Libri > Eragon
Segui la storia  |       
Autore: PrincessintheNorth    15/04/2020    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
KATHERINE
 
«… cercare di controllarti».
«Non è una cosa semplice».
La prima voce che riconobbi, quando mi svegliai, fu quella di Murtagh: una volta che ebbi riconquistato il senso dell’udito ogni mia percezione si fece immediatamente più chiara, permettendomi di capire cosa stesse accadendo.
Nell’aria c’era profumo di pranzo: bistecca impanata, capii, con salsa agrodolce di amaretti, pinoli ed uva passa. Era uno dei miei piatti preferiti, insieme al merluzzo fritto con patate: avrei dovuto chiedere di prepararlo per cena.
Belle era rannicchiata contro il mio petto, la stavo abbracciando: il ritmico sollevarsi della sua cassa toracica sotto il mio braccio mi fece capire che stava dormendo, o che perlomeno era molto tranquilla. Evan era seduto contro la mia schiena e Killian aveva preso posto nell’incavo delle mie ginocchia: li sentivo parlare di soldatini e draghi, probabilmente stavano giocando con i loro piccoli eserciti di stagno.
«Devi capire» riconobbi la voce di Morzan, che aveva il tono di star pazientemente spiegando qualcosa ad una testa dura. «Che il tuo caro suocero coronato potrà essere uno stronzo, ma sta sicuro che non è un deficiente. Inoltre, la tua magia è diversa da quella di Katherine, si capisce quando i casini sei tu a combinarli. Lo sai che Galbatorix, molto probabilmente, è interessato a lei. Vuoi renderti un bersaglio ambultante? Vi siete per caso accordati per rendere i bambini orfani?» quell’ultima parola la sussurrò solamente, per evitare che i piccoli la sentissero.
Murtagh sbuffò: era il suo tipico sbuffo da “ma non è vero”. «Quella tempesa era indistinguibile da quelle che crea Katie».
«E invece no» Morzan insistette. «Era ovvio che fosse tua. Quelle di Kate hanno, come dire, più fulmini. Oh, e vogliamo parlare delle sfumature rossastre delle tue nuvolette?»
Stavolta Murtagh non rispose.
Cercando di fare il più piano possibile mi misi a sedere: inutile dire che quella semplice azione mi beccai addosso cinque paia d’occhi, alcuni grigi, altri castani, altri policromi.
Due secondi dopo, ero assediata da un coro di “mamma!” “Katie!” “Come ti senti?” assordante e, a tratti, stonato come le campane del vecchio tempio di Cape Snow.
«Fatele spazio!» ordinò poi Morzan. «Razza di maleducati».
Inutile dire che i bambini protestarono vivamente: tutti e tre dichiararono serissimi di “volel stale con la mamma”.
«Ma mamma ma hai fatto un saaaacco di nanna» fece Killian, la cui parlantina migliorava ogni giorno di più, anche perché, con due fratelli chiacchieroni (Murtagh li definiva logorroici) come Belle ed Evan, era difficile non assimilare un po’ della loro proprietà di linguaggio.
«Davvero?» domandai, ancora confusa dal risveglio.
«Cosa credevi?» Murtagh prese in spalla Killian, che però si sporse oltre la sua testa per guardare il suo papà negli occhi. «Che fare il fratellino non fosse stancante per la mamma? È un lavoraccio creare ed assemblare tutte le braccia, le gambe, la testa …»
«E tutte le dita» concluse Killian. «Che sono impottanti …»
«Fondamentali» Morzan convenne.
La conversazione proseguì per qualche minuto sulla fondamentale importanza delle dita in un feto, finchè Evan non si stufò.
«Ho fame» dichiarò. «Volio la pappa».
In men che non si dica Belle e Killian si aggregarono e corsero, insieme a Morzan, nella saletta attigua che usavamo per mangiare tra di noi: con me rimasero Murtagh, che aveva in volto un’espressione preoccupata, e Mellie, che invece si spaparanzò come suo solito sulla mia pancia, facendo le fusa per ricevere le coccole.
«Come ti senti?» Murtagh domandò.
Quella domanda, unita al suo sguardo impensierito, mi fece capire che forse non avevo solamente schiacciato un pisolino.
«Cos’è successo?»
Lui sospirò. «Qual è l’ultima cosa che ricordi?»
«Avevamo trovato il modo per metterla ai miei dove non batte il sole» risposi sicura.
Ma che madamigella, commentò Antares riferendosi alla poca grazia del mio linguaggio.
Se lo meritano.
Ah, su questo non c’è alcun dubbio. Ma, come dice qualcuno, non si parla così, o ti scappa con i bambini.
«Siamo tornati da Belle, tuo padre è arrivato, ha fatto a botte col mio per la storia della cicatrice, ti sei incazzata e hai inaspettatamente difeso mio padre dicendo che lui aveva solamente minacciato di portarti via i bambini, mentre tuo padre aveva complottato per farlo» un sorriso stupefatto gli si formò sul volto nel rendicontarmi di quanto mi ero persa: evidentemente doveva essere stato piuttosto epico o, quantomeno, divertente. «Poi gli hai gentilmente chiesto di non fare più scene simili davanti ai bambini ed infine di levare, cito testualmente, le sue sudicie chiappe dal tuo trono e dal tuo castello. Belle, essendo figlia tua, ha contribuito sgridandolo perché “non si fa la bibi al nonno e non si ulla sennò si sveglia il bimbo nella pancia della mamma”; io gli ho fatto intendere in che modo possiamo rovinarlo e mio padre ha concluso dicendo che pesti molto meglio tu, ed in maniera più efficace» una risatina gli risollevò il viso, anche se poi si rabbuiò. «Successivamente sono tornati i medici e hanno detto che secondo loro l’unico modo per curare Belle è con la termoterapia. Mio padre ha dato di matto dicendo che chiunque volesse bollire viva sua nipote sarebbe stato cagato da Dracarys e tu, che eri già un po’ nel tuo mondo d’ansia dopo aver trattato papino come una brava figlia devota, sei andata nel panico, ti è mancata l’aria e hai perso i sensi» scosse la testa concludendo il suo racconto. «Tranquilla, al bambino non è successo niente».
«Fantastico» commentai. «Ed i cari genitori cosa stanno combinando?»
Murtagh storse il naso. «Con una moglie incinta svenuta, una bimba stregata ed un padre che ha deciso di sgridarmi come se avessi cinque anni capirai che non ho avuto molto tempo per pensarci».
Ha ricominciato a chiamarlo padre, notai. Da quando avevamo lasciato la foresta era sempre stato “Morzan”, e lo nominava solo se non poteva evitarlo: in genere preferiva cambiare argomento.
«Avete fatto pace?» gli chiesi.
Lui capì immediatamente a chi mi stessi riferendo. «Non esattamente» rispose, la voce ricolma di dubbi. «Ma se non fosse stato per lui Belle starebbe ancora urlando di dolore, tu ti saresti sfracellata per terra e tuo padre avrebbe preso Killian ed Evan. Stava già mandando le guardie a prenderli da Roran» mi spiegò, storcendo la bocca in piglio colmo di incredulità e disgusto. «E di questo non posso che essergli grato. Abbiamo parlato un attimo della tua cicatrice … ma penso ne vorrà discutere meglio con te. Hai fame? Te la senti di venire a mangiare?»
«Per la bistecca agrodolce questo ed altro …» sbuffai togliendomi Mellie dalla pancia ed alzandomi, anche se nel farlo ebbi un leggero capogiro. «Altrimenti quelli se le divorano tutte».
«Ecco, Altezza» Therese, che fino a quel momento non avevo notato, mi porse un semplice abito rosso: fu solo a quel punto che mi resi conto di essere in sottoveste.
Maledizione. «Murtagh, dove sono i vestiti che avevo su prima?» sibilai.
Lui arrossì, e preferì concentrarsi sulla punta dei propri stivali. «Io ho … ho fatto venire i medici a visitarti, ma non potevano controllare la pancia se …»
«Quanta gente mi ha vista svestita?!»
«Ti rendi conto di non essere nuda, vero?» ridacchiò. «Quella sottoveste nasconde le tue forme ben più della tenuta da caccia».
È inutile affrontare questo discorso con lui, commentò Antares. Da qualche giorno avevo ripreso a parlarle: sapevo che mi aveva tenuta nascosta la malattia di Belle per buona fede e non per complottare contro di me, e non volevo punirla per aver cercato di proteggermi.
Morzan era in questa stessa stanza … dei, ma ti rendi conto? Suo padre! Suo padre mi ha vista in sottoveste! Come faccio adesso a stare nella stessa stanza dove c’è lui? Mi vergognerei troppo!
Oh, Katherine, ti ha vista in pannolino da piccola! Non sarà troppo diverso.
È completamente diverso!
Lei ridacchiò, con la tipica risata gutturale dei draghi. Dimentichi che Belle era una neonata quando l’hai incontrato per la prima volta, e prendeva ancora il latte da te. Ha già visto ben più di quanto è consentito ai comuni mortali.
Tu sei una dragonessa e non puoi capire.
Tu ti fai troppi problemi.
«Con il vostro permesso, mia signora, vado ad aiutare lord Morzan a dare da mangiare ai vostri bambini» Therese disse piegando appena la testa.
«Vai pure, grazie» le fece Murtagh. «La aiuto io col vestito».
Lei fece un piccolo inchino e sparì nella saletta da pranzo, mentre Murtagh dava una scossa all’abito per dispiegarlo, guardandolo come se fosse un mostro. «Per questo genere di abiti serve il corsetto, vero?» chiese titubante. Quando annuii, scosse la testa.
«Allora non va bene» decise. «Ti è già mancato il respiro, prima. Non hai qualcosa che non richieda l’intervento dello strumento infernale della morte?» ridacchiò riferendosi al corsetto.
«La vestaglia, credo» riflettei. «E le tenute da caccia e da volo».
«Non credo abbia senso che ti metta abiti da caccia per restare in casa» commentò. «Ma con la vestaglia prenderesti freddo e con la tenuta da volo moriresti di caldo. Quindi … questa andrà bene» si decise, lanciandomi sul letto un paio di pantaloni neri ed aderenti, di un tessuto che la mia sarta aveva creato intessendo fibra di cotone e di lana: ne aveva ottenuto una stoffa morbidissima, calda e resistente, con la capacità di adattarsi alle forme del corpo. Per andare a caccia o cavalcare draghi quello era l’ideale: inoltre non premevano troppo sulla pancia. Dopo i pantaloni mi passò una casacca di lana di cachemire, che Orrin ci aveva portato in regalo, anch’essa morbida e calda: fortunatamente era abbastanza lunga da nascondere le mie forme intime che i pantaloni sottolineavano, e sufficientemente leggera da permettermi di non sudare.
«Altezza» una delle ancelle che aiutavano Therese mi chiamò, rimanendo sulla soglia della stanza. Aveva un’espressione intimidita, e non osava alzare gli occhi da terra. «Il re vostro padre chiede di entrare».
«Informalo che per il momento stiamo mangiando» Murtagh rispose seccato, prima ancora che mi venisse in mente di rispondere.
«Ha … ha detto che non gli servirebbe nemmeno chiedere, ma che … voleva essere garbato» sussurrò. «Inoltre desidera informarvi che stasera ci sarà un ricevimento per la borghesia della città».
«Non ci saremo» commentai.
La ragazza sbiancò. «Ma Sua Maestà il re ha detto che dovete, Altezza! Scusate, non volevo essere inopportuna» farfugliò poi.
«Non lo sei stata, non preoccuparti» mormorai alzandomi dal letto per andare dietro al paravento a vestirmi. «Solo, digli che lo ringraziamo per l’invito ma che non avremo modo di parteciparvi».
«Come … come desiderate, mia signora» fece e corse via.
Non appena la porta si richiuse dietro di lei, Murtagh ridacchiò. «Me la sto già immaginando» fece. «Oh, Maestà, sono terribilmente spiacente, ma quella pazza squilibrata di vostra figlia e il suo marito traditore non parteciperanno! Comunque ringraziano».
«Traditore?»
«Oh, sì» sogghignò. «È uno dei molti appellativi che mi ha rivolto prima che tu sclerassi e gli regalassi una bella lezione. Come hai osato tradirci? Guarda che se facciamo tutto questo è per il tuo sogno!» lo imitò mentre raggiungevamo i bambini e Morzan.
Belle ed Evan erano già in grado di usare le posate e di mangiare da soli, ma Killian era ancora un po’ maldestro a tavola, dunque Morzan gli stava dando una mano: non stava ottenendo grandi risultati, perché il piccolo si stava divertendo a spalmargli la salsa agrodolce in faccia.
«Quella dovrebbe andare sulla bistecca» brontolò, facendo sbellicare Killian dalle risate.
«Guadda è buffo!» rise, indicandolo insistentemente.
«È vero, amore, ma la salsa non va in faccia al nonno» sospirai sostituendo Morzan accanto a Killian. «Va sulla carne».
Lui sbuffò, ma ritornò a mettere la salsa sulla bistecca: nel piatto posto al centro della tavola, fino a pochi minuti prima ricolmo di deliziose bistecche impanate, erano rimaste solamente due fette di carne, una per me ed una per Murtagh, che di solito ne mangiava almeno tre.
«Voi tre» sospirò lui. «Come avete fatto a divorarvi tutta questa carne?»
Belle arrossì. «Ela motto motto buona» confessò. Evan annuì, come a darle ragione.
«Io gli ho detto di lasciarvene qualcuna» si difese Morzan. «Ma mi sembrava di avere a che fare con dei draghetti affamati, non con dei bambini».
Murtagh ed io, dunque, ci limitammo a mangiare una bistecca (tra l’altro le due più piccole rimaste) a testa, prendendo in compenso grandi quantità del contorno: deliziosi peperoni grigliati.
Il pranzo, contrariamente a quanto temessi, filò liscio come l’olio: l’atmosfera era rilassata e resa gioiosa dalle risate e dagli scherzi dei bambini, che sembravano trovare divertentissimo lanciarci palline di mollica. Morzan e Murtagh chiacchieravano tranquillamente, come se tra di loro non ci fosse alcuna diatriba, e quelle volte in cui Killian smetteva di parlarmi perché attirato dai giochi dei suoi fratelli venivo inevitabilmente trascinata nella conversazione dei “grandi”. Morzan era sempre così gentile ed affabile che quasi mi faceva dimenticare il duello nella Du Weldenvarden: a farmi tornare la memoria era l’istinto, che ormai avevo, di strofinarmi la cicatrice. Sentire quel sottile rilievo accanto al sopracciglio mi faceva sempre correre un brivido lungo la schiena e per un attimo mi ritrovavo di nuovo a terra, la punta gelida di Zar’roc che mi scavava la pelle.
Ovviamente la pace di quel pasto non poteva durare: la servetta che poco prima aveva cercato di annunciare mio padre nelle mie stanze ritornò, con un’espressione ancora più contrita e terrorizzata. Rimase muta finchè Murtagh non la esortò a parlare, ed anche dopo la sua richiesta le ci volle un momento per ritrovare le parole.
«Io …» balbettò. «No, non io … il re … Sua Maestà il re rinnova il suo invito alla festa di stasera».
«Allora tu rinnovagli il nostro rifiuto» sibilai. Era così duro di comprendonio?
«No, ferma» Morzan intervenne inaspettatamente, un cipiglio indecifrabile in volto. «Ringrazialo sentitamente e di’ che ci saranno».
«Come … come desiderate, Lord Morzan» la ragazza sussurrò e corse via.
Murtagh gli lanciò un’occhiataccia di fuoco, ma non ebbe modo di rispondergli, perché suo padre partì subito all’attacco.
«Sta buono. Anzi, state buoni tutti e due» si corresse. «La lealtà del popolino è più mutevole del vento. Adesso sono con voi, ma ciò non significa che lo saranno anche in futuro. Cosa penseranno i borghesi, gli arricchiti, se non vedranno i loro signori?! Che di loro non v’importa. E allora chi preferiranno tra il re, che sarà presente, e due ragazzini che non si presentano nemmeno? Fareste la figura degli spocchiosi, perdereste gran parte del potere che vi permette di resistere a Derek ed a quel punto lui avrebbe gioco facile a fare quella cosa, perché non avreste modo di impedirglielo» ci spiegò.
Purtroppo, non potevo dargli torto: andare a quel ricevimento era l’ultima cosa che volevo fare, eppure era il mio primo dovere.
«Ma Belle è …» mormorò Murtagh.
«A Belle farà solamente un gran bene godersi una bella festa» fece Morzan.
«Quale festa?» domandò infatti lei, estremamente incuriosita. Saltò giù dalla sua sedia e corse fino a quella di Murtagh, per poi arrampicarsi in braccio a lui. «C’è la festa? Posso venile?»
No, avrei immediatamente risposto. Un ricevimento politico non era un luogo adatto ad una bambina di tre anni: portarla con noi inoltre sarebbe stato utilizzarla a fini politici, lanciarla nella fossa dei leoni senza tanti riguardi.
«Amore, sarà una cosa noiosissima» dissi. «Non è il caso. E poi non sarà una vera festa … ci saranno solo delle persone che vengono a dire ciao al papà e ai nonni».
Lei storse subito il naso. «Allola non volio venile» ritrattò, rubando un pezzetto di dolce dal piatto di Murtagh.
Morzan annuì fra sé e sé: probabilmente aveva capito che, riguardo la partecipazione della piccola al ricevimento, doveva aver parlato senza pensare.
«E fate in modo di avere un aspetto quantomeno regale» concluse. «Abiti costosi, diamanti … tu lo saprai meglio di me» mi disse. «Dovete far capire che siete più ricchi del re e della regina, cosicchè commercianti e banchieri sappiano chi può garantire loro protezione e chi, dunque, merita la loro fedeltà».
 
 
 
 
 
MORZAN
 
Quel giorno mi ero organizzato per andare a caccia. Avevo preparato tutto: l’arco, le frecce, la sella del cavallo, il corno, i coltelli. Ovviamente, non c’ero andato ed ero finito a farmi spalmare della salsa agrodolce in faccia da un bambino di due anni, che tra le altre cose era mio nipote, e ad aiutare Katie e Murtagh a resistere agli scellerati complotti di Derek.
Sarebbe stato bello se quello fosse stato l’unico problema: figurarsi. La mia giornata era iniziata con la maledizione di Belle, l’isterismo di Murtagh, la pazzia di Derek e Miranda, l’ira di Katherine ed era ben lungi dal concludersi, visto che era solamente mezzogiorno. Tuttavia, quelle grane erano nulla in confronto alla preoccupazione che mi assillava ormai da giorni: neanche a dirlo, riguardava Katherine e lo scontro che avevo avuto con lei nel bosco. Contrariamente a quanto tutti volevano pensare, non era stato affatto un duello impari: era proprio quella la stranezza che dovevo capire. Mi bastava chiudere gli occhi per rivedere Kate davanti a me: solo che non era lei che vedevo. Quella appoggiata all’albero era una persona completamente diversa che non aveva nulla ad accomunarla a Katherine: la postura, lo sguardo, il sorrisetto, non erano suoi. Per non parlare poi del duello: mi era capitato di misurarmi con lei qualche volta, e mi era stato tremendamente facile mandarla a terra persino quando s’impegnava veramente. Com’era possibile che, incinta e fisicamente provata dopo quella giornata, fosse riuscita non solo a sconfiggermi, ma ad infliggermi ferite tanto gravi? Sapevo che, quando era preda delle proprie emozioni, era un avversario facile da battere: i colpi erano imprecisi, senza un vero scopo. Nella foresta invece, pur essendo palesemente sopraffatta dalla rabbia e dalla paura, era stata letale, e non riuscivo a spiegarmi quel suo improvviso cambiamento. Mentre combattevamo avevo avuto un tremendo sospetto: essendo completamente diversa dal solito, avevo iniziato a pensare che potesse essere posseduta. Per questo non appena ero riuscito ad atterrarla le avevo fatto quella cicatrice: dovevo controllare di che colore fosse il suo sangue, per confutare la mia teoria. La scelta del punto era stata casuale solo in parte: per la posizione in cui ci trovavamo, la tempia era il punto meno doloroso in cui potessi ferirla, ed inoltre non avrei reciso nervi fondamentali e il sangue sarebbe affiorato molto più in fretta. Per fortuna (o per sfortuna) il suo sangue era di un sanissimo color rosso scuro, invece del nero opaco che invece avrebbe confermato i miei sospetti.
Da quel momento dunque avevo passato le mie giornate ad interrogarmi su cosa potesse essere successo: la ragazza che avevo affrontato non era Katie, di questo ero certo. Nemmeno lo stile di combattimento era il suo: lei aveva imparato gran parte della scherma da Murtagh, ma in quel duello non uno degli attacchi che mi aveva rivolto era riconducibile alla maniera di combattere di mio figlio (o alla sua).
Da un lato, Kate aveva mostrato tutti i segni di una possessione; dall’altro, però, la prova principale mi aveva sconfessato quel timore.
Dovevo vederci più chiaro in quella faccenda: non era stato solamente durante il duello, o poco prima, che lei mi era sembrata strana. Quando ero entrato nella stanza di Murtagh mentre litigavano mi ero reso conto che lei stava avendo una reazione assolutamente esagerata per essere Katherine: Murtagh, però, non se n’era accorto, accecato com’era dai sensi di colpa e dalla paura per Belle. Anche nella sala del trono lei mi era parsa diversa: lo sguardo e la postura che aveva non le appartenevano. Derek e Miranda l’avevano notato: era stata una delle cose che li aveva portati a decidere di separarla dai bambini. Non potevo dire che avessero completamente torto: se Kate fosse peggiorata, l’ultima cosa che dovevamo lasciarle fare era influenzare i piccoli.
Bisognava capire cos’avesse, e soprattutto svegliare Murtagh, che da quando era scappato con lei dalla Du Weldenvarden sembrava essersi messo i paraocchi: ogni cosa che lei faceva, per lui, era normale e giustificata, in ogni momento Katherine era il ritratto assoluto della perfezione. Persino quando gli avevo parlato, non troppo nel dettaglio, dei miei sospetti, era parso scettico. Prima, però, dovevo aggiungere dei pezzi al puzzle: parlare con la diretta interessata era l’unico modo.
Poco prima si era allontanata dal tavolo con Belle: la piccola aveva avuto un altro attacco di tosse, così l’aveva portata a riposare. Rapidamente controllai la situazione intorno a me: Evan era già scappato per andare a giocare ed a tavola rimanevano solamente Murtagh e Killian, visto che il piccolo mangiava più lentamente. Sembrava tutto sotto controllo: mandai giù l’ultimo peperone grigliato che avevo nel piatto e mi alzai, per raggiungere Katherine.
Si trovava nella camera padronale, seduta sui cuscini posti sul davanzale gradinato della finestra: Belle era rannicchiata fra le sue braccia, avvolta in una morbida pelliccia d’ermellino. Aveva gli occhi chiusi e respirava lentamente: doveva essersi addormentata di nuovo.
Devo trovarle un rimedio.
«C’è qualche problema di là?» Katherine sussurrò, notando la mia presenza. «Killian sta mangiando?»
«Come un lupo» le risposi, accomodandomi su una poltrona vicina. Belle, notai, era impallidita notevolmente e le occhiaie le si erano fatte più scavate.
Kate sospirò. «Allora cosa c’è?»
Mi sembra poco incline alle chiacchiere, commentò Dracarys.
Le ho rovinato la faccia, mi sembra ovvio.
«Volevo innanzitutto scusarmi per quanto accaduto nella Du Weldenvarden» iniziai, cercando di ignorare il suo sbuffo scettico. «E presto spero di poterti spiegare perché ho dovuto farlo. Prima però devo farti alcune domande …»
«Falle, allora» disse sbrigativa, iniziando a cullare Belle, che aveva dato segni di agitazione.
Diamo il via alle danze.
«In realtà credo di averne una sola. Ho bisogno di sapere se, mentre eri nella Du Weldenvarden, ti è successo qualcosa … qualcosa di poco normale» feci. Non era il caso di confidarle i miei sospetti: destabilizzarla dicendole che molto probabilmente era vittima di un sortilegio era l’ultima cosa che serviva.
Lei strinse le labbra. «Nulla di quanto accaduto nella foresta è stato molto normale» sospirò.
«Me ne rendo conto. Mi riferivo a qualcosa di estremamente anomalo … di oscuro, perfino».
Non appena dissi quella parola, iniziò a tremare. Ogni colore che aveva in viso se n’era andato, facendola sembrare persino più pallida di Belle.
Lentamente, annuì, senza che nemmeno dovessi insistere per farla parlare. «Non so se … se me lo sono immaginato o meno» mormorò. «Ma una sera ero da sola in camera e … stavo litigando con Murtagh. Ad un certo punto mi sono sentita male e ho visto che c’era un’ombra che … che cercava di entrare dalla finestra. Però non è entrata» aggiunse rapidamente. «Insomma, ci ha provato ma … non è entrata».
Merda.
Speravo che parlare con lei mi avrebbe aiutato a far luce sul mistero, ma mi aveva lasciato più ombre che altro: il sortilegio a cui lei aveva assistito era sì un incantesimo oscuro, ma non uno che potesse anche solo lontanamente essere causa del suo comportamento. Galbatorix l’aveva usato spesso e volentieri per eliminare quei Rinnegati che ormai non gli servivano più: l’ombra che creava, l’ombra che Kate aveva descritto, non era in grado di indurre una possessione od un controllo mentale. Era solamente corpo, non mente: poteva uccidere, non manipolare.
«Perché non dici niente?» sussurrò lei: ora piangeva, un’espressione terrorizzata, disturbata dalla cicatrice, a contrarle i lineamenti. «Cosa sta succedendo?»
«Nulla di grave» la rassicurai, anche se la situazione era ben più che grave. «Davvero, non è niente. Sono solo i sospetti di un vecchio».
Mi alzai dalla poltrona e feci una carezza sui capelli a lei e a Belle, prima di uscire, diretto alla biblioteca del palazzo, probabilmente l’unico luogo in tutto il Nord in cui potessi trovare qualche informazione in più.
Non era posseduta, questo era chiaro, ma c’era qualcos’altro in lei, ben peggiore della possessione per un semplice motivo: non avevo idea di cosa fosse, e dunque, non sapevo come combatterlo.
 




 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Eragon / Vai alla pagina dell'autore: PrincessintheNorth