Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Crudelia 2_0    15/04/2020    5 recensioni
[Prequel della long Luna]
Ore in cui accartocci parole
che il cuore può reggere
ma la speranza non più
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hermione Granger, Minerva McGranitt, Molly Weasley, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: questa one-shot è il prequel di una long, Luna. Per capirne al meglio il significato vi consiglio di leggerla.

Un abbraccio.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intermezzi

 
[Ore in cui accartocci parole
che il cuore può reggere
 
ma la speranza non più]
 
 
 


 
 
Passava giorni lenti, interminabili, scanditi solo dal variare della luce all'esterno. Ma cosa aspettarsi, da un reietto? Sopravvissuto era una parola troppo lusinghiera, per lui, che si sentiva come un soldato, al bordo di una strada, a cui è stata amputata una gamba, che tende una mano chiedendo un'elemosina che chiunque ignora. Ma era davvero una richiesta d'aiuto, il suo allungare la mano solo per afferrare il collo di una bottiglia già mezza vuota?
Forse sì, forse no. A chi interessava, comunque, il suo muto urlo di dolore?
Fingeva di non sentirlo lui stesso, affogando ricordi e dubbi in uno stato comatoso causato da alcool e medicine. Medicine scandite da orari precisi, tra l'altro, che non riusciva a rispettare. Era capace di bere in un'ora le pozioni per un'intera giornata e passare una settimana senza toccarne alcuna, anestetizzandosi con liquori di bassa lega.
Forse era per quello che la ferita al collo non smetteva di sanguinare ad ogni suo brusco movimento. Ma ancora, non gli importava un accidenti del suo collo martoriato. Che non si chiudesse mai, quel morso maledetto, il suo unico desiderio era finire tre braccia sotto terra dimenticato dal mondo e da Dio.
Nessun fiore per l'odiato professore, grazie.
Proruppe in una risata sarcastica e gorgogliante a quel pensiero, che gli ferì le corde vocali. Decise di brindare al suo cervello ancora brillante: prese la bottiglia più vicina e tracannò un lungo sorso, che bruciò la gola fino allo stomaco, che sentì contrarsi in un conato all'arrivo dell'indesiderato ospite. Da quanto tempo non mangiava?
Chi lo sapeva più. Ormai la sua principale attività era bere a canna, in un'imitazione spaventosa e ridicola di suo padre, una creatura troppo ignorante per controllarsi e troppo pigra per versarsi un bicchiere.
Eppure era convinto ce ne fossero, di bicchieri, nella dispensa. Minerva aveva detto: «Dovresti trasferirti, ti farebbe bene cambiare casa» e lui l'aveva assecondata. Da quando gli avevano dato l'Ordine di Merlino aveva così tanti soldi da non sapere cosa farne.
Aveva comprato quindi un anonimo appartamento babbano, con due stanze che per lui erano perfin troppo. Forse così sarebbe riuscito a scappare alle penne insistenti della Gazzetta del Profeta, ma non aveva messo protezioni: se uno dei suoi cari vecchi amici Mangiamorte avesse voluto fare una sorpresa al traditore l'avrebbe accolto a braccia aperte. Non era forse giusto accogliere con cortesia gli affezionati compagni di avventura?
Porgi l'altra guancia, diceva sua nonna paterna. Ma lui avrebbe porto anche il cuore, se fosse riuscito a strapparselo.
Rise di nuovo. Di nuovo dolore, di nuovo bevve.
Alcune gocce caddero sulla camicia e lui le asciugò con il palmo, con il solo risultato di creare una sbavatura giallastra vicino ad altre macchie. Corrugò la fronte a quella vista. Non si era cambiato il giorno prima? O forse erano due i giorni che erano passati, ma potevano anche essere tre o quattro per quanto ne ricordasse. Decise di toglierla e buttarla sul divano affianco a lui, una sgangherata copia di un animale domestico.
«Prenditi un animale da compagnia,» diceva Minerva. «un gatto o un gufo. Non ti fa bene stare solo»
Ma lui l'aveva liquidata ridendo beffardo. Non riusciva ad occuparsi di se stesso, figurarsi di un altro essere vivente che avrebbe messo la sua sopravvivenza nelle sue mani. Come poteva poi essere sicura che non avrebbe soffocato il gufo perché il suo stridere gli ricordava i prigionieri ansimanti, o avrebbe strozzato il gatto perché i suoi miagolii erano le indecenti richieste di aiuto delle donne che aveva visto violentare?
Era una pazza, se pensava che avrebbe potuto conviverci. Ma-oh, certo! La sua bacchetta. Non poteva certo ucciderli con il lampo verde dell'Avada Kedavra. Non riusciva a produrre neanche la più banale delle magie, come uno stupido Tassorosso al suo primo anno. Non sapeva neanche più dov'era finito, quel bastoncino lungo 12 pollici e 1/4, flessibile, composto da legno di betulla e crine di unicorno, scuro e con incisioni sul manico.
Aggrottò la fronte. Non voleva ricordare tutti quei dettagli, voleva dimenticare. Ma forse i giorni che lui, pallido bambino denutrito, aveva passato a fissare la bacchetta con desiderio e aria adorante erano più forti dei fumi che gli annebbiavano i sensi e i ricordi.
C'era un'unica ragione, quindi, un'unica soluzione: non aveva bevuto abbastanza.
 
 
Cadeva, Albus. Cadeva dall'interminabile altezza della torre di Astronomia senza mai toccare il suolo. Ogni volta che si avvicinava la terra si allontanava, creando altri nuovi oscuri metri da riempire con la sua caduta.
Caduta che si interruppe quando la sua figura iniziò a drizzarsi, crescere, ergersi ancora più imponente della sua trasportazione a casa Black. Albus lo guardava con occhi furiosi, le mani alzate: una a stringere la bacchetta, l'altra, maledetta, di un nero ancora più nero della notte tutt'intorno.
«Sei stato tu!» Iniziava a gridare, la voce baritonale che creava echi profondi e angosciosi. «Colpevole! Assassino! Traditore!» Ma non era solo più Silente a gridare. Ovunque si girasse c'erano bocche accusatrici, dita puntanti.
C'era Minerva, simbolo di rettitudine; Potter, magnifico Ragazzo d'Oro che aveva compiuto il miracolo; Lily, tanto bella da far male a guardarla; sua madre, vittima innocente dei suoi stupidi sogni di gloria; il primo uomo che aveva ucciso, gli stessi occhi impotenti e arresi di allora. Ma non solo loro: alle spalle altri volti, altre voci, altri occhi. Persone che aveva guardato morire senza muovere un muscolo, persone che aveva ucciso con un gesto secco della sua bacchetta. Madri a cui aveva strappato dei figli, mogli a cui aveva tolto i mariti, bambini che aveva reso orfani.
E tutti giravano, puntandolo. Giravano e gridavano. Urlavano, piangevano, gemevano, accusavano.
Severus abbassò lo sguardo e si vide le mani rosse di sangue, un grido gli nacque sulle labbra.
«Uccidi» disse una voce, e alzò gli occhi. Ma non era Voldemort, a scagliargli contro il suo serpente maledetto. Era Albus.
E Nagini morse e morse e affondò le zanne.
 
 
 
Piangeva, Kathleen. Piangeva con i suoi strilli acuti e la sua boccuccia senza denti, profonda come un baratro.
Hermione la cullava cercando di tranquillizzarla, ma quella che all'inizio era una canzoncina era diventata gemiti disperati e strozzati.
Perché piangeva?
Aveva fame? Non mangiava.
Aveva sonno? Non dormiva.
Aveva male? Come poteva capirlo?
«Perché piangi!» gridò. Posò la neonata in una carrozzina, e fu il suo ultimo gesto di autocontrollo: cadde in ginocchio, il viso abbandonato tra le mani e le guance bagnate di lacrime.
 
 
 
Bussare e non ricevere risposta. Due fronti che si aggrottano,
 davanti a due porte in appartamenti all'opposto della città.
Due nomi pronunciati con tono interrogativo, due donne che
stendono la mano alla bacchetta con uguale preoccupazione,
 senza saperlo.
 
 
 
Avevano ancora le guance bagnate di lacrime, entrambe. Molly la vide e capì come solo una donna che ha conosciuto la difficoltà di crescere dei figli può capire.
Accarezzò i capelli ad Hermione senza svegliarla, notando con un sorriso tirato i cerchi scuri sotto gli occhi. Si affacciò sulla carrozzina, e un sorriso sdentato e un gorgheggio l'accolsero.
«Oh, siamo felici stamattina» sussurrò sorridendo e prendendo la bambina tra le braccia. «E ora mangiamo senza svegliare la mamma, mh?» continuò, spostandosi in cucina.
Kathleen non pianse per tutta la mattina. Quando lo scoprì, Hermione pianse di nuovo.
 
 
Severus giaceva scomposto ai piedi del divano, una pozza di sangue sotto il corpo.
Minerva strinse le labbra, avvicinandosi, senza capire perché l'uomo si fosse intestardito a non farsi aiutare.
Avrebbe chiamato il San Mungo, era evidente, ma prima avrebbe pulito l'ambiente. Finché era addormentato, finché gliel'avrebbe permesso.
Ma non poté impedirsi di allungare una mano verso la spalla dell'uomo: si era fatto carico di così tanto peso per così tanti anni.
Era ancora giovane, ma aveva deciso di morire.
 
 
 
 
Era difficile e non capivano, pensava.
Ma non era vero.
Era difficile, capivano, e volevano aiutarla.
La bambina sentiva la sua paura e piangeva, ma non era sola.
Soprattutto, non era inadeguata. Giovane, certo, ma avrebbe potuto farcela.
Se soltanto qualcuno le avesse spiegato come crescere una bambina a soli diciotto anni avrebbe preferito, ma era in campo aperto, allo sbaraglio.
Continuavano a dirle che non era sola, ma chi c'era con lei in piena notte quando la bambina iniziava a piangere ed Hermione sussultava credendo di essere ancora in tenda, attaccata da Ghermidori dalle dita lunghe e viscide? Chi c'era con lei quando la bambina apriva gli occhi ed Hermione scorgeva quei pozzi neri che le ricordavano con orrore chi fosse il mostro da cui aveva generato quel corpicino?
Come potevano non capire che lei voleva, ma non poteva?
La neonata, nel frattempo, aveva ricominciato a piangere, ed Hermione con lei.
Avrebbe voluto attaccarla al seno, ma se l'avesse fatto avrebbe sentito le sue dita serrarsi attorno al suo corpo e il suo fiato bollette gettato nella bocca.
 
 
 
 
Si incontrano per caso in un corridoio come mille altri. La stessa domanda,
 due nomi diversi come risposta.
Lo stesso sorriso teso, che sorriso non è, a sostituire un mi dispiace.
Una di figli ne ha tanti, e occuparsi della ragazza che considera tale
 non è un peso.  L'altra ne avrebbe sempre voluti, e ora si ritrova
il delicato compito di avvicinare chi ha perso tutti i punti
di riferimento e non ne vuole altri.
Hanno le stesse rughe agli angoli della bocca,
ma la stessa speranza in fondo agli occhi.
 
 
 
«Non voglio vedere nessun Weasley!»
«E allora girati e non guardare!»
Uno sbuffo e silenzio, ma da tempo nessuno gli parlava in quel modo.
«Perché sei venuta?»
«Per portarti lo stufato. So che ti piace, anche se non me l'hai mai detto»
«Mi dispiace»
«Lo so»
Nessuno dei due parlava dello stufato, ma non serviva altro: fu la prima a perdonarlo.
 
 
«Hermione, è una bambina bellissima»
«Lo so»      
Un sorriso teso e silenzio, nessun complimento riesce a sentirlo sincero.
«Perché è qui, professoressa?»
«Alcune persone hanno bisogno di compagnie, anche se si ostinano a negarlo»
«E impareranno mai ad ammetterlo?»
«Sono sicura che con il tempo non ne avranno più bisogno e saranno all'altezza del loro compito»
Non scoprì mai chi fosse andata a trovare, ma fu la prima a restituirle ciò di cui aveva bisogno: la fiducia.
 
 
 
 
 
 


 
Kathleen rideva dalla carrozzeria ed Hermione le sorrise, finalmente. Ora riusciva a guardarla.
Prima di entrare all'ospedale per una semplice visita di controllo si guardò intorno, quasi per caso.
Una figura nera stava uscendo dalle porte di vetro. Poteva essere il professor Piton?
Forse, gli assomigliava.
Hermione sorrise: la vita andava avanti per tutti.
 
Poteva essere la Granger, con un passeggino in mano?
Forse, con quei capelli a cespuglio.
Non c'era da stupirsi se si era già messa a figliare, considerata la sua tendenza a circondarsi di Weasley. In fondo, la vita andava avanti per tutti.
Anche per lui, nonostante tutto, e avrebbe fatto bene a continuare, se non correre, a camminare.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Crudelia 2_0