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Autore: Red_Coat    17/04/2020    1 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Sognare sempre lo stesso sogno non era una novità per Victor Osaka, perciò non si stupì quando ad un tratto il suo sonno tranquillo si colorò dei suoni e dei colori di una foresta che aveva già visto quando Fenrir era apparso la prima volta a salvarlo.
Allora era ferito e aveva avuto paura, ma il lupo lo aveva purificato guarendolo.
Ora invece era confuso, ci mise un po’ a capirlo mentre si guardava intorno, restando seduto su quella roccia ricoperta di muschio.
Era notte, la foresta era buia e silenziosa ma non gli faceva paura, si sentiva come se due occhi premurosi e saggi vegliassero su di lui.
"È un altro incubo, ora la situazione tornerà ad essere terrificante o spunterà qualche mostro orripilante" pensò tra sé.
D'un tratto del fiato caldo sfiorò il suo collo e voltandosi di colpo vide un'ombra nera e due occhi gialli fissarlo intensamente.
Un pesante alito caldo lo travolse, l'ombra batté le ciglia e lui sembrò nuovamente essere in grado di muoversi.
Si alzò ed arretrò, puntandogli contro i pugni chiusi.
 
«Fenrir ...» mormorò, senza nemmeno accorgersene.
 
Il lupo uscì dall'ombra, facendo un passo in avanti e lasciandosi inondare da un improvviso fascio lunare. Luna?
Victor Osaka tornò a guardare il cielo nel quale brillava il globo grande e perfetto della sua regina. C'era la luna ... Come...?
Non c'era quando si era svegliato, ne era sicuro.
Tornò a guardare il lupo, che sembrò sorridergli.
Allora anche lui fece in passo verso l'animale, chinandosi ad accarezzarlo e stupendosi della sua mansuetudine. Uno spirito così potente ...
Sorrise a sua volta.
 
«Ma tu non dovresti stare dalla parte del Pianeta? Mh? Perché invece stai dalla mia?» tornò a chiedere.
 
A quel punto il dio fece qualcosa che sulle prime non capì: Avvicinò il muso al suo cuore e vi strofinò contro il naso un paio di volte, poi vi alitò sopra. Uno sfarfallio di luce argentea lo avvolse fino a farsi sempre più intenso e poi svanire con rapidità.
Li per li non si accorse di nulla, ma lentamente il sogno iniziò a svanire e riuscì a percepire ora il battito del proprio cuore. Calmo, regolare ... Come il suo respiro.
Poi iniziarono a raggiungerlo i suoni dall'esterno, dapprima indecifrabili, alcuni appena udibili come il suono del vento dietro le finestre o il ticchettio della sveglia sul comodino, poi alcuni un po’ più distinti, come il rimestare di alcune stoviglie, che li per li trovò strano, destabilizzante.
Sentì il caldo delle coperte e la morbidezza delle lenzuola e del materasso, e lentamente iniziò sentire il proprio corpo, riappropriandosi di sé.
Riaprì gli occhi lentamente, la luce accesa della stanza lo costrinse a rimanere con le pupille abbassate per qualche istante mentre si abituava.
Nel frattempo, al suo fianco, qualcuno che stava trafficando con una tazza e una teiera smise di farlo, come accorgendosi di lui.
Non poté vederlo, ma ne intravide i vestiti e non gli sembrarono quelli dei suoi tre compagni di viaggio. Doveva essere un cameriere dell'albergo. O peggio ancora ...
 
«Siete sveglio ...»
 
La voce di Colin lo raggiunse, facendolo sussultare. Sospirò, chiudendo di nuovo gli occhi e quindi impedendosi di vedere la sua immagine nel momento in cui si avvicinò al letto.
C'era un che di strano nel suo tono di voce, ma non se ne accorse fin da subito anche perché francamente non aveva molta voglia di sprecare altre energie inutilmente.
Dovette farlo quando all'improvviso si sentì afferrare per il colletto del soprabito e strattonare prepotentemente.
Sgranò sorpreso gli occhi e volle reagire, ma ebbe solo la forza di afferrare quelle mani ed evitare che gli si stringessero attorno al collo.
 
«Osaka, maledetto!» ringhiò Colin, iniziando a piangere rabbioso e disperato, stringendo i denti «Dov'è Hikari? Dov'è suo figlio? Avevi detto che li avresti protetti! Lo avevi promesso!»
 
Fu come se un macigno gli fosse crollato addosso. Se lo aspettava, si, di rincontrare quel ragazzo e il fantasma di sua moglie e suo figlio, per questo in un primo momento non aveva voluto prendere in considerazione l'idea di fermarsi li.
Ma quelle parole ... quelle ... accuse ... gli mozzarono il fiato più di quanto avrebbe potuto fare un pugno nelle stomaco, e perse le forze, gli occhi annebbiati da lacrime che, nemmeno seppe dire come, in qualche modo riuscì a respingere.
Ma proprio nel momento in cui fu chiaro che anche il suo avversario non aveva più voglia di combattere, una mano guantata lo afferrò per la nuca e lo spinse via.
Loz lo sbatté con violenza contro il muro di fianco alla finestra, talmente forte da stordirlo, e mentre Kadaj e Yazoo gli puntarono contro le loro armi stava per scagliare il primo pugno quando la voce di Victor, udibile ma pericolosamente incrinata, lo bloccò chiamandolo per nome.
Lo guardarono far loro segno col capo di lasciarlo stare, e un poco sorpresi obbedirono, ma Kadaj mantenne comunque la sua spada puntata contro di lui, rivolgendogli assieme agli altri due uno sguardo minaccioso.
Victor chiuse gli occhi, prendendosi qualche istante in più ancora prima di parlare, fissando il soffitto sopra di sé con occhi persi, stanchi.
 
«Era nostro figlio ...» concluse infine, e una lacrima gli sfuggì restando incastrata fra le ciglia «E posso assicurati che, prima ch'io me ne vada, chi li ha uccisi pagherà con la propria vita ... fino all'ultima, schifosa goccia di sangue ...»
 
Tutti e quattro si voltarono a guardarlo, a Colin mancò il fiato nel sentirlo. "Chi? Chi è stato? Perché lo hanno fatto? Cosa ...?"
Ma uno strano suono lontano li distrasse. Veniva da fuori, si mescolava al vento della tempesta che spazzava la notte scura, e per qualche singolo istante anche Victor parve udirlo, perché si voltò ad osservare il nero oltre i vetri, per poi sorridere portandosi una mano sul cuore.
Tornò a guardarlo. Serio, fissandolo negli occhi.
 
«Quanto a te ...» concluse, un lampo negli occhi «Considerati fortunato ad essere ancora vivo ... e se c'è qualcuno a cui tieni prendilo e vattene da qui, finché sei in tempo.»
 
La sua espressione si scurì ancor di più, fino a diventare una bieca maschera di rabbia sordida. Fece segno ai suoi tre accompagnatori di lasciarlo andare, e non appena questi lo fecero una forza simile al terrore più puro lo spinse a muoversi.
Scappò via, da quella stanza, da Victor Osaka e dai suoi scagnozzi, si fiondò nella sua camera ed iniziò in fretta e furia a radunare le sue cose nell'unica valigia che aveva, il cuore a mille, nella mente ancora quell'inquietante avvertimento.
Si fermo d'un tratto, guardando i suoi vestiti sparsi sul letto e ammucchiati dentro la valigia alla bell'e meglio, e sconcertandosi.
"Ma che ...? Cosa accidenti sto facendo?"
All'improvviso si rese conto di esser stato in balia del dolore e della paura per tutto quel tempo, e se il primo era solo frutto della notizia appresa dal dottor Fujita, la seconda aveva l'aspetto di un vendicativo Victor Osaka che giurava vendetta mentre fuori il vento ululava come un lupo ferito.
Sembrò riscuotersi, si diresse verso la finestra e la spalancò, lasciando entrare folate di vento gelido.
Chiuse gli occhi e resistette in piedi, ma fu allora che lo sentì di nuovo, stavolta in maniera più chiara.
Era un lupo si, e ululava all'unisono col vento di tempesta che era sceso fino al villaggio, spazzandolo come mai prima d'ora aveva fatto. Era una tormenta di neve gigantesca, talmente forte che quando fece per richiudere le ante della finestra dovette usare tutta la forza nei suoi muscoli e anche appoggiarvisi di sopra per riuscirci.
Di nuovo al riparo, restò interdetto a guardare ancora la tempesta infuriare oltre il vetro, e un'ombra sinistra cadde sul suo cuore ripensando all'avvertimento di Osaka, ai suoi occhi pieni di rabbia e dolore e al modo in cui aveva reagito nel sentire il richiamo del lupo. Aveva sorriso, come riconoscendo un vecchio amico, e all'improvviso rabbrividì, ma non per colpa del freddo.
 
«Cosa sei ...» mormorò sgomento «...Victor Osaka?»
 
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Il 1st class attese che la sua vecchia conoscenza avesse lasciato la stanza, poi fece segno a Kadaj di chiudere la porta e si liberò dalle coperte, mettendosi a sedere sul letto.
Si, stava decisamente meglio anche se era ancora un po’ stordito dal lungo sonno.
Oltre alla sua divisa indossava solo il suo vecchio soprabito sbrindellato, e non aveva gli stivali ma solo le calze, ovviamente nere. I primi erano stati posti ai piedi del letto, qualcuno aveva provveduto a pulirli e lucidarli al meglio. Anche la sua spada, ancora nel fodero, lo aveva atteso appoggiata al fianco del comodino assieme ai guanti.
Si toccò il petto, sentendo sotto le sue dita il tocco freddo del ciondolo con la foto di Hikari e la morbidezza della stoffa con cui era stata fabbricata la bambolina che Keiichi aveva voluto regalargli.
Li guardò entrambi portandoseli davanti agli occhi nel palmo della mano destra, e si morse le labbra per non piangere, stringendo convulsamente le lenzuola nel pugno sinistro.
E nei suoi occhi sembrò tornare la stessa forza con cui Kadaj, Loz e Yazoo lo avevano conosciuto, nelle visioni che la Madre aveva dato loro di lui.
 
«Dov'è il medaglione?» chiese quindi, quasi ordinandolo, tornando a guardarli.
«Niisan ... non avrai intenzione di usarlo? Sei ancora troppo debole per quello.» gli ricordò Kadaj, ricevendo in cambio uno sguardo truce.
«Credete che sia venuto qui in villeggiatura?» rispose serio, quasi ringhiando.
 
Quindi lanciò un lungo sguardo a Loz.
 
«Vi ho promesso che avremo giocato, e giocheremo.» ghignò minacciosamente, infine allungò una mano verso di lui e attese.
 
Il pugile strabuzzò gli occhi, colto di sorpresa. Aveva nascosto il medaglione sotto la giacca di pelle in un primo momento, ma era troppo stretta e alla fine aveva optato per un altro posto, il terzo cassetto della scrivania di cui aveva poi requisito la chiave. Quello che era veramente sorprendente però era che Victor sapesse nonostante lo scambio fosse avvenuto fuori dall'albergo e lui fosse entrato nella stanza solo per nasconderlo, attento a non fare il minimo rumore.
Yazoo e Kadaj lo scrutarono altrettanto sorpresi e dopo un primo momento di esitazione lo videro obbedire, tirando fuori la chiave dalla tasca e dirigendosi verso la scrivania.
Quando il ciondolo ricadde nel suo palmo e il suo bieco scintillio rifulse di fronte ai suoi occhi, Victor Osaka sogghignò, stringendolo.
Non era poi così pesante, ora. Se lo rimise al collo ed inspirò, chiudendo gli occhi.
 
«Un giorno.» decise riaprendoli e guardando i suoi fratelli «Aspetterò ancora solo un giorno. Domani all'alba ... Questo posto diventerà un covo di zombies.»
 
I tre si scambiarono sguardi sorpresi, poi però un sorriso eccitato si dipinse sulle loro labbra, specie su quelle di Loz.
 
«Ah! Finalmente. Non vedevo l'ora di divertirmi un po'!» esclamò.
«Non essere egoista, Loz.» lo rimbeccò Yazoo, rivolgendo poi una rapida occhiata complice a Kadaj e Victor, che sogghignarono quasi contemporaneamente «Non sei il solo qui ad essere impaziente.»
 
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Il resto delle ore di quella lunga notte nessuno di loro quattro le trascorse a dormire, neanche Colin ce la fece, nonostante la stanchezza per il lavoro svolto fosse veramente tanta.
Restò tutto il tempo sdraiato nel letto, bevendo camomilla e facendo lunghi respiri profondi per cercare di calmarsi e razionalizzare nel frattempo le sue paure. Il lupo che continuava ad ululare in lontananza nella tempesta glielo impedì, fino a che la sveglia elettronica sul comodino non segnò le quattro e un quarto del mattino. A quell'ora la tempesta si placò, e con essa l'ululato. Stupito, si alzò e andò alla finestra a vedere: le strade erano completamente intasate dalla neve, i tetti stracolmi, e quasi tutti i lampioni erano spenti. Il vento aveva spento le torce ad olio usate per sostituire la lampadina elettrica ormai inservibile, oltre a sradicare qualche albero tra i più deboli, qualche cespuglio, e a mettere in subbuglio i marciapiedi e le parti esterne delle facciate dei locali e delle case, facendo volare via eventuali insegne, bidoni dell'immondizia e gazebo.
C'era un silenzio irreale ora, fin troppo spesso, quasi inquietante.
Aprì la finestra e restò lì per un bel po’ ad ascoltare. Non un filo di vento, né il canto di un uccello notturno, solo una sottile nebbiolina mentre le nuvole si rialzavano tornando alla loro solita latitudine, poi il chiarore delle stelle in un cielo senza luna.
Victor Osaka dal canto suo, dopo aver fatto una lunga doccia fredda ed aver indossato nuovamente la sua divisa tirata a lucido, aveva ordinato un caffè amaro e si era seduto alla scrivania a berlo, studiando con attenzione le carte che si era portato dietro, quelle che Sephiroth gli aveva fatto avere attraverso lo spettro di Jim. Sentiva fosse arrivato il momento giusto per farlo, perciò le lesse con molta attenzione e con carta e penna davanti cercò in qualche modo di estrapolarne le informazioni più importanti, nel tentativo di capire cosa ci fosse di così essenziale da spingere il suo Niisan a suggerirgli in maniera nemmeno tanto velata di dargli un'occhiata in più.
Iniziò all'una e un quarto di notte, ed esattamente tre ore più tardi, pur mettendoci su tutta la sua concentrazione, non riuscì a venirne a capo, anzi gli interrogativi non fecero che moltiplicarsi nella sua testa.
Quelle scritte in quei documenti, per quanto esaltanti, erano informazioni ormai obsolete per lui che già sapeva di essere fratello di Sephiroth e di avere un grosso potenziale spirituale e fisico. Lo sapeva, perciò a che gli serviva ora ripeterselo.
Forse era un semplice incoraggiamento, ma Sephiroth non faceva mai le cose senza una logica e senza un motivo, come quando aveva lasciato che fosse Kendra a rivelargli di raggiungere il cratere Nord, in modo che potesse così ottenere da lui anche il medaglione per la sua vendetta.
No, anche in questo caso doveva esserci una spiegazione più profonda, a meno che ... non l'avesse già trovata, anche senza leggerli.
Si fermò un istante, sbruffando. Si accasciò sulla sedia e incrociò le braccia sul petto, storcendo le labbra.
Kadaj era rimasto con lui mentre i suoi due fratelli erano nuovamente scesi a cercare di ammazzare il tempo, tra una partita al biliardo dell'angolo ricreativo dell'hotel e una sessione di allenamento all'aperto lontano da occhi indiscreti una volta che la tempesta si fu placata. Disteso sul letto a leggere un romanzo con molto interesse per le descrizioni di quel pianeta che conosceva così poco e per contro del tutto disinteressato alle vicende dei protagonisti, quando udì il suo "fratellone" sospirare in maniera così spazientita prima lo guardò preoccupato, poi gli venne da sogghignare, senza sapere bene perché. Non era molto bravo a leggere le emozioni, anche se a dirla tutta lo era molto di più dei suoi due fratelli. Con le proprie però era un completo disastro e ... non sapeva bene a cosa attribuirlo. Era confuso, c'era una sorta di ... alterazione improvvisa che a volte lo frastornava, rendendolo incapace di comprendersi. Vedeva e sentiva ricordi che non erano i suoi, pensava cose che non avrebbe mai pensato e se ne scordava due secondi dopo, come se qualcuno stesse giocando con lui e con la sua memoria, senza un senso logico, senza un motivo apparente. Ne aveva paura, gli altri non sembravano essere soggetti a quel fenomeno e questo aumentava la sua inquietudine.
In fondo al suo cuore lo sapeva ... Conosceva bene l'identità di quel mostro malefico, ma ... quello era il suo turno, sarebbe stato suo fino a che la Madre non avesse fatto la sua scelta. E poi ... Kadaj era Kadaj, anche con la memoria tagliuzzata in più punti allo scopo di rendere difficile un'individualità, e quelle sensazioni fastidiose e intrusive non erano che attimi, rapidi istanti che lasciavano il tempo che trovavano. Sephiroth non aveva potere, si diceva, fino a che la Madre non avrebbe deciso che lo acquisisse. La Madre, era lei a decidere, non Sephiroth, e lei lo faceva sempre per il loro bene. Sempre!
Sempre ...
Sarebbe riuscito a convincerla, l'avrebbe indotta a cambiare idea su chi fosse il suo preferito, e per il momento era contento che anche Victor, il suo Niisan, gli avesse dato l'opportunità di dimostrarglielo.
Victor ... Anche per lui Sephiroth era al centro del mondo, ma ...
Alzò gli occhi a guardarlo e lo osservò corrucciandosi, ma si distrasse di nuovo, dimenticandosene.
Un altro pensiero, che non seppe ricordare dopo, lo indusse a sogghignare.
 
«Qualcosa non va, Victor?» chiese.
 
La voce di Kadaj, i pensieri di qualcun altro.
Victor non notò la differenza, troppo impegnato a riflettere rosicchiando il tappo della penna nera che aveva usato per scrivere.
Rimase in silenzio un istante di troppo, e in quell'istante Kadaj tornò in sé, riprendendo a scrutarlo preoccupato.
 
«Mh?» fece a quel punto Osaka, accortosi di aver sentito parlare.
 
Lo fissò sbattendo un paio di volte le palpebre, poi sorrise e sospirò di nuovo, alzandosi e andandosi a stendere nuovamente sul letto affianco a quello sul quale era seduto lui.
Gonfiò le guance con un lungo respiro e lasciò andare l'aria a labbra strette, come faceva sempre in quel suo modo un po’ infantile nel tentativo di allentare la tensione.
Il più piccolo lo osservò con curiosità, corrucciandosi, e a quel punto sorrise divertito.
 
«Sei buffo.» commentò divertito.
 
Victor lo guardò alzando un sopracciglio.
 
«Trovi?» chiese, sorridendo a sua volta.
 
Lo vide annuire. Si alzò mettendosi a sedere di fronte a lui e incrociando le dita delle mani, gomiti sulle ginocchia e schiena in avanti, quasi accasciato su sé stesso.
Kadaj, schiena dritta e mano ben salde sul materasso, lo fissò continuando a sorridere.
 
«Presumo che tu abbia un problema con quelle carte ...» osservò.
 
Osaka ridacchiò, scompigliandosi i capelli e massaggiandosi i lati della fronte.
 
«Io ... no ...» provò a spiegare, ma aveva la mente così confusa da non riuscire nemmeno più mettere due parole una davanti all'altra «Ho solo bevuto troppi caffè, credo ...»
 
Si fermò di colpo a guardarlo, come folgorato da un'idea.
 
«Credo mi ci voglia una passeggiata. Kadaj, vuoi accompagnarmi?»
 
Questi s'illuminò, felice. In effetti era stufo di leggere, avrebbe tanto voluto raggiungere gli altri, che di sicuro se le stavano dando di santa ragione in uno dei loro allenamenti.
Ma ...
 
«Non sei stanco?» chiese, preoccupandosi di nuovo.
 
Victor sorrise scuotendo il capo.
 
«Sto bene ora, ho dormito anche troppo.» poi gli mise amichevolmente una mano sulla spalla.
 
Quel contatto lo sciolse quasi, per poco i suoi occhi non si riempirono di lacrime. Per fortuna, sarebbe stato difficile per lui spiegarle altrimenti.
Si limitò ad osservare il colorito ora più roseo del maggiore, gli occhi espressivi dalle lunghe pupille feline, ora meno scavati e non appesantiti dalle occhiaie nere che tanto lo avevano preoccupato in quel lungo cammino fino a lì.
Sembrava sincero, stava bene ora. Si rasserenò all'istante.
 
«Andiamo?» tornò quindi a chiedergli il fratellone.
 
E lui annuì, felice come una pasqua a quella prospettiva. Ogni ora passata da solo con lui era una vittoria senza pari.
 
\\\
 
La neve accumulatasi era tanta, ma per fortuna alcuni inservienti dell'albergo avevano provveduto almeno a spalare il viale che portava dalla steppa all'Hotel, e ora stavano facendo lo stesso con le altre aree esterne della struttura.
Osaka e Kadaj si avviarono a passo tranquillo verso il boschetto dal quale erano venuti, restando in un silenzio che faceva compagnia e riscaldava più di mille parole e fermandosi ogni tanto ad osservare le stelle. Non è che il più piccolo non avesse nulla da dire, anzi c'era una cosa che voleva chiedergli da molto, esattamente da quando la Madre gli aveva parlato di lui, ma ... aveva paura che facendolo lo avrebbe intristito, quindi tacque, fino a che non riuscì a trovare un argomento un po’ più "leggero" di cui discutere.
 
«Quindi che faremo domattina? Trasformeremo questo posto, e poi? Qual è il piano?»
 
Era curioso. Non credeva affatto che Victor volesse solo "giocare", e il sogghigno malefico che si dipinse sul suo volto quando udì quella domanda glielo confermò.
Lo vide giungere le mani dietro la schiena e tornare a scrutare il cielo.
 
«Quando ero un SOLDIER ... Ancora un 2nd class...» ricordò «C'era un 1st che era una vera rottura di scatole, e se c'era una cosa che sapeva fare era riapparirti davanti quando meno te lo aspettavi, perfino dopo averlo creduto morto. Ha osato sfidarmi perfino da fantasma, il figlio di puttana...»
 
Sorrise, ma non era un sorriso felice. C'era qualcosa di rabbioso, Kadaj se ne accorse vedendolo stringere i pugni.
Quello destro un po’ meno duramente.
 
«Genesis?» chiese, intuendo il motivo del suo fastidio.
 
Victor lo guardò, corrucciandosi.
 
«Ho sentito parlare di lui quando ero nel lifestream.» fu quindi costretto a spiegargli, accendendo ancor di più la sua curiosità.
 
Lo vide voltarsi totalmente nella sua direzione, fissandolo con interesse.
 
«Tu ...»
 
Kadaj prese un respiro.
 
«Sono nato a Nibelheim, poi mi hanno sparato e sono caduto, ho viaggiato nel lifestream per trovare la Madre e lei mi ha condotto da Loz e Yazoo, e infine da te.»
 
Victor si fece per qualche istante pensieroso, restando in silenzio a riflettere, gli occhi puntati a terra.
 
«Mentre viaggiavo ho sentito diverse cose, tra cui questa. Ho saputo quello che ti ha fatto Genesis, tutto quanto.» continuò nel frattempo il più piccolo, senza lasciar spazio alle domande.
 
Temeva davvero di doverne risentire qualcuna su ...
Ma Victor continuò ad elaborare quelle informazioni rimanendo in un silenzio ostinato che lo agitò sempre di più, fino al punto da spingerlo a chiedere, infastidito.
 
«Allora qual è il piano? Farai qualcosa che ha fatto anche lui?»
 
A quel punto, finalmente, Victor Osaka sembrò riscuotersi e tornando a guardarlo ghignò.
 
«Oh, no ...» fece, beffardo «Assolutamente no. Noi faremo qualcosa di cento volte meglio.» rise, soddisfatto, poi scosse il capo e si guardò intorno, concludendo «Che ironia, non trovi anche tu?» quasi stesse parlando col diretto interessato «Io farò qualcosa di gran lunga più spettacolare ed efficace della primadonna di SOLDIER, e di sicuro non sarà per renderti omaggio ... Patetico pallone gonfiato.» soffiò, tornando a stringere il pugno sinistro «Del resto non sono stato io a sfidarti per primo, no?»
 
Lui. Era stato lui a dirgli che "per loro era finita."
Oh ... Oh, quanto avrebbe goduto nel ripetergliela in faccia quella frase, quando il suo piano avrebbe raggiunto il culmine!
Si sarebbe proprio tanto divertito a ripetergliela, ad ogni essere umano trasformato in zombie e ad ogni brandello di pianeta ridotto in polvere! L'avrebbe urlata, prima di distruggere per sempre il lifestream. E alla fine avrebbe chiesto: "E adesso? Per chi è finita, adesso?"
Kadaj si assentò di nuovo, sogghignando, ma continuò a farlo anche quando tornò in sé.
 
«Quindi ci limiteremo ad ammazzare chiunque ci capiti a tiro?» chiese nuovamente, dopo averlo lasciato crogiolarsi per un po’ in quel sogno di vendetta. «Questo come ci aiuterà a trovare la Madre?» riportandolo al punto focale.
 
Comunque, il punto Victor Osaka non lo aveva perso di vista nemmeno per un istante.
 
«Rifletti Kadaj.» disse, tornando a guardarlo negli occhi «C'è un mondo morente dopo un'apocalisse mancata, un'umanità che soffre e muore a causa di un'epidemia ancora senza una cura e una piaga di zombie dilagante. Cos'è che attira le mosche nella trappola? Cos'è che le spinge ad avvicinarsi al miele?» domandò, sussurrando e alzando l'indice verso di lui, in attesa di una risposta.
 
"Avvicinarsi?" pensò in un primo momento "Credevo volessi ucciderli, ma...?"
Proprio nel momento in cui stava concludendo quell'ultimo pensiero tuttavia, la soluzione si fece strada nella sua mente.
 
«Paura ...» mormorò, guardandolo illuminarsi, e illuminandosi a sua volta «La fame o la paura.» concluse scoprendosi all'improvviso sulla stessa lunghezza d'onda del più grande.
 
Lo osservò illuminarsi, battendo il pugno destro sul palmo della sinistra e poi tornando a indicarlo, annuendo soddisfatto.
 
«Fame e paura, i peggiori nemici di qualsiasi avversario, esatto Kadaj.» sussurrò, diabolicamente felice «Tutti cercano una soluzione, ma per trovarla devono conoscere il nemico. E quando arriverà il momento di farlo ...» tornò a sghignazzare, alzando trionfale la testa e stringendo la mano attorno all'elsa della sua spada «Scapperanno tutti a gambe levate, te lo dico io. E non sarà che l'inizio.» concluse, facendosi serio e incattivendosi «Senza energia elettrica, senza esercito, malati, deboli. Se anche riuscissero a radunare le truppe in qualche modo ... sarebbero comunque troppo deboli per farcela contro un esercito di zombie. Sono miei ... finalmente. Sarebbe davvero uno spasso se pensassero anche che io sia morto. La ciliegina sulla torta.»
 
Sogghignò, ridacchiando famelico.
Kadaj lo osservò senza parlare, solo seguendo il suo ragionamento, e alla fine si ritrovò ad ammirarlo. Fosse stato per lui, si sarebbe limitato a trovare la madre e a tentare la reunion con lei, ma il piano di Victor ... Era qualcosa di cento volte più elaborato e raffinato, qualcosa che avrebbe fatto perdere loro forse un po’ più tempo ma che alla fine ... avrebbe consegnato loro un pianeta interamente pulito da ogni intralcio, pronto per esser donato alla Madre come vascello attraverso lo spazio.
Ne fu così affascinato da meravigliarsene.
 
«Intendi davvero sterminarli tutti?» domandò infine, sorridendo ammirato.
 
Osaka tornò a guardarlo, facendosi serio.
 
«L'ho già fatto.» rispose, portandosi poi l'indice destro alla tempia e sfiorandosela «Qui dentro.» concluse «Almeno centomila volte per ognuno, in mille mila modi diversi. Ora devo solo scegliere quale fra questi sia quello migliore da rendere reale. È anche per questo che sono ancora in vita, dopotutto. No?»
 
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Quel pomeriggio, dopo aver pranzato in camera in compagnia di quelli che ormai a tutti gli effetti erano diventati i suoi fratelli, oltre che complici e a quanto pareva anche sottoposti, Victor tornò a studiare le sue carte mentre i tre uscirono nuovamente ad allenarsi per l'alba successiva, durante la quale ad attenderli ci sarebbe stato il compito importante di trasformare quel misero villaggio in una gigantesca trappola per mosche, o topi che dir si voleva.
Volevano essere pronti, e poi non sopportavano più l'idea di dover continuare a star fermi nello stesso posto per così tanto tempo.
Erano le quattro meno venti quando qualcuno bussò alla porta.
 
«Avanti ...» disse Osaka, intuendo fosse il cameriere col caffè che aveva ordinato.
 
Erano il secondo della giornata, ma ne sarebbero serviti molti altri ancora. Non riusciva proprio ad acchiappare il filo del discorso nascosto dietro a quei documenti.
La tazzina fu posata da mani esperte proprio di fronte ai suoi occhi, di fianco ai fogli. Non ringraziò nemmeno fino a che una voce non lo indusse a riscuotersi.
 
«Signor Osaka ...»
 
Fu sorpreso di risentirla. Alzò gli occhi e si trovò a guardare il volto rammaricato di Colin, che lo fissava a mani giunte sulle cosce.
Accennò ad un profondo inchino giungendo i palmi all'altezza del viso e chiudendo gli occhi, Victor lo osservò serio senza dire una parola.
 
«Volevo ...» lo sentì bofonchiare poi «Volevo scusarmi per il mio comportamento dell'altra sera. Ero sconvolto ...» sospirò, gli occhi lucidi.
 
L'espressione dell'ex SOLDIER non cambiò minimamente, facendosi ancora più atona.
 
«Sono stato avventato e incorreggibile. Le mie parole ... sono state terribili, me ne rammarico ancora.»
 
Tornò poi a guardarlo negli occhi, e il silenzio che seguì non fece che scioccarlo ancor di più. Victor Osaka posò la penna e lo fissò senza dire una parola per diversi minuti, il volto atono, negli occhi felini la durezza dell'acciaio.
 
«Sei ancora qui?» disse infine, severo «Credevo di essere stato chiaro. Prendi i tuoi amici e vattene. Domani potrebbe non esserci più tempo. E cerca di non comparirmi più davanti in futuro, potrei non essere così clemente.» era un consiglio, un caldo avvertimento nell'eventualità che si fossero rincontrati.
 
Quindi tornò ad ignorarlo, ritornando sulle sue carte e scribacchiando sul taccuino che doveva essersi portato appositamente dietro.
Colin lo fissò a bocca aperta, la mente in confusione, per diversi minuti rimase lì in bilico sul da farsi prima di dirsi che ogni domanda posta non avrebbe incontrato che silenzio e ogni altro istante lì sarebbe stato inutile.
Se ne andò, a passo calmo ma col cuore che lentamente tornava a battere sempre più forte.
E tornato in camera sua fissò la valigia ancora sul letto, ora più ordinata.
Allora, pensò, non era stato un sogno, né un caso. Che voleva fare? Cosa aveva in mente per gli abitanti di quel villaggio? Li conosceva tutti! Dal vecchio cacciatore dell'emporio al bambino con lo skateboard, sua nonna era andata ad abitare con lui dopo la morte del marito e viveva ad appena un paio di case più in là. E i suoi colleghi? Il suo capo? Erano tutte brave persone, era sicuro che nessuno avesse a che fare con la morte di Hikari e Keiichi. Pensò di fermarlo, di tornare indietro e cercare di fargli cambiare idea, ma poi ricordò le sue reazioni, il suo sguardo atono come se nemmeno lo avesse visto e il suo tono di voce calmo, anche quando lo aveva attaccato.
Aveva già deciso, forse sapeva cose che a lui erano sconosciute.
Scosse il capo con vigore, cercando di far ordine tra i pensieri, e alla fine decise.
Si cambiò, indossando i suoi abiti più pesanti, scrisse dei foglietti in cui avvisava i colleghi di andarsene perché un imprecisato pericolo imminente stava per abbattersi su di loro, e ne lasciò uno nella camera di ciascuno, poi andò dal suo capo e disse che sua nonna non stava bene, che doveva urgentemente portarla via, dal medico che la curava. Il permesso gli fu accordato, e con il borsone in spalla andò da lei, le disse che la neve era stata troppo abbondante e che dovevano andarsene prima che una valanga li travolgesse. Dovette faticare non poco per convincerla, ma alla fine ci riuscì promettendole che un elicottero sarebbe venuto a prenderli appena fuori dal villaggio. Per fortuna un suo vecchio amico ne possedeva uno, un po’ sgangherato ma comunque valido per viaggi brevi come quello. Sarebbero andati a stare da lui, abitava a Rocket Town, la stessa città del dottore. Almeno sarebbero riusciti a sopravvivere in qualche modo, ma quell'ultima conversazione ... l'inquietudine che gli aveva messo addosso ...
Quella forse non se ne sarebbe più andata via come un marchio sbiadito ma ancora ben presente sulla pelle.
Sperò solo che anche gli altri avrebbero fatto la scelta giusta.
 
***
 
Wilfred era un altro dei receptionist dell'albergo, colui che si occupava del turno dopo quello di Colin ma anche l'addetto alla gestione del servizio in camera. Era un ragazzo sui 20, capelli ramati tagliati corti e un po’ ribelli sopra le orecchie, e un'aria allegra ma sempre costantemente in agitazione. Era un perfezionista, ci teneva a svolgere il proprio lavoro con solerzia e accuratezza, e le recensioni dei clienti per lui erano molto importanti.
Colin era stato per lui una specie di maestro, lo aveva addestrato a svolgere il ruolo di receptionist e gli aveva inculcato l'amore per quella professione, quindi era stato molto più di un collega per lui e vederlo andare via lo aveva destabilizzato, soprattutto in quel modo ... strano.
A comunicarglielo era stata quel post-it verde evidenziatore lasciato sulla sua porta. Lo aveva trovato uscendo per raggiungere la reception ed era rimasto interdetto per un bel po’ scorrendone più volte le righe con gli occhi.
 
"Non posso più restare, e nemmeno tu dovresti farlo. Siamo in pericolo. Prendo mia nonna e me ne vado, spero davvero di rivederti un giorno."
 
Aveva scoperto quella sera che anche gli altri suoi colleghi avevano ricevuto un messaggio simile, e che Colin aveva consegnato le sue dimissioni al capo dicendogli che quel posto era diventato pericoloso a causa della recente nevicata, anomala per la zona e per la stagione certo, ma che non giustificava tutta quell'angoscia.
Wilfred era convinto che ci fosse qualcos'altro dietro, per spingere un tipo appassionato di quel mestiere come Colin per lasciarlo in questa maniera, ma quella stessa passione travolgeva anche lui ed era difficile lasciare il lavoro dei suoi sogni senza un valido motivo. Provò a chiamarlo, ma non ebbe alcuna risposta, quindi con una scrollata di spalle risolse che avrebbe concluso il turno di notte, poi avrebbe deciso che fare.
Per tutta la notte l'atmosfera era stata tranquilla, nessun problema rilevante e nessuna chiamata d'emergenza. Verso le sei del mattino tuttavia, a circa mezz'ora dalla fine del suo lavoro, decise di effettuare un breve giro d'ispezione per sincerarsene del tutto.
I corridoi al piano di sopra erano vuoti e silenziosi, tornò quindi di sotto e la prima cosa che notò fu la strana nebbia che in meno di cinque minuti aveva invaso l'atrio esterno, rendendo quasi impossibile vedere la piscina. Era talmente fitta da infilarsi perfino sotto le fessure delle porte in plexiglas contro cui sembrava spingersi quasi volesse farle esplodere con la sua silente forza.
Guardandola, non seppe dire perché, trattenne il fiato.
 
«Wooow...» mormorò, guardandosi intorno ma senza riuscire a staccare da quello spettacolo inquietante gli occhi «Sembra viva ...» constatò ammaliato.
 
Tossicchiò, risvegliandosi da quello strano torpore e decidendo di vedere se la situazione era identica fuori.
Si avvicinò alla porta d'ingresso e anche da sotto quello stipite vide entrare quel vapore che, lentamente e senza che se ne accorgesse, stava invadendo la sala della hall, rendendo i contorni sfocati e i colori sbiaditi. La fioca luce dell'alba non rendeva le cose più facili, anzi le complicava confondendo la vista.
Dal piano di sopra non si udiva alcun rumore, neanche il minimo.
Aprì la porta, e la nebbia si riversò liquida dentro all'edificio e nei suoi polmoni.
Era tutto bianco, non c'era altro che quello spesso muro di nuvole ad annullare i colori e ad ovattare i suoni. Fece un passo fuori e per poco non inciampò, dimenticandosi degli scalini, anch'essi annullato dalla nebbia.
L'angoscia all'improvviso crebbe a dismisura quando, decidendo di rientrare, si voltò e non trovò più l'ingresso, pur allungando la mano verso il punto in cui era sicuro si trovasse la maniglia.
Scomparso. Era stato completamente risucchiato dalla nebbia e l'Icicle Inn era scomparso. Non solo l'albergo, ma tutto il villaggio.
Le case, le strade, le persone.
Non c'erano altro che nuvole, sempre più fitte, sempre più opprimenti.
Tossì di nuovo, ma stavolta non riuscì a fermarsi e all'improvviso i polmoni iniziarono a bruciare, e poi anche la pelle lo fece, infiammandosi e iniziando a sanguinare.
In meno di qualche secondo si ritrovò in ginocchio, le mani davanti alla bocca che ormai annaspava alla ricerca di aria, ogni lembo di pelle esposto alla nebbia ricoperto da un'orribile crosta che bruciava, bruciava ancora di più ogni istante che passava come se fosse stata esposta ad un potente acido.
Urlò ma si ritrovò a gemere, la gola riarsa e gli occhi pieni di lacrime che non sapeva se fossero dovuti alla paura o al dolore. Non riusciva a vedere più nulla, perciò non fu in grado neppure di vedere in volto l'uomo che, avvolto da un soprabito nero, spuntò all'improvviso dalla nebbia e li afferrò per i capelli, trafiggendolo al ventre con la fredda lama di una katana.
Cadde a terra, contorcendosi, e l'ultima cosa che vide prima di esalare il suo ultimo respiro fu quell'ombra che si moltiplicava, diventando prima una, poi due, tre e quattro. Tutte diverse, tutte che lo guardavano in silenzio sogghignando.
 
\\\
 
Quando anche quell'ultima vittima ebbe esalato il suo ultimo respiro Victor Osaka diede un ordine con un semplice gesto della mano e la sua anima raggiunse una delle piccole materie incastonate nel medaglione, facendola scintillare di una violacea luce sinistra.
Il SOLDIER chiuse per un istante gli occhi, sforzandosi di rimanere in piedi mentre un giramento di testa improvviso cercava di impedirglielo.
Si era già appropriato di quasi una trentina di anime, tra i pochi turisti presenti, gli abitanti e i lavoratori dell’albergo, estrapolandole dal loro corpo. La sua energia magica era quasi del tutto nulla e quella vitale era stata leggermente intaccata.
Yazoo tirò fuori dalla tasca del soprabito che indossava una fiala di etere e gliela consegnò senza dir nulla, solo guardandolo negli occhi. L'accettò ringraziandolo con un sorriso e la bevve tutto d'un fiato lasciando cadere poi la boccetta in mezzo alla neve fresca sporca di sangue.
Nel frattempo la nebbia aveva iniziato a diradarsi, restituendo il paesaggio ai suoi abitanti ... Tutti morti, fuori dalle loro case e riversi in pozze di sangue.
L'unica vittima ad aver raggiunto il lifestream era stato un ragazzo di appena 14 anni, morto nel suo letto senza nemmeno accorgersene ad opera dello stesso incantesimo che aveva ucciso il figlio di Nigel Newell.
Osaka gli aveva risparmiato la vista dei suoi nonni morti e una morte altrettanto atroce, lasciando che raggiungesse più in fretta possibile il centro del pianeta.
Ora l'assassino si guardò intorno, sfiorando appena con sguardo atono i corpi riversi nella neve macchiata di rosso, e dentro di sé sentì di non provare nulla, nemmeno un po’ di rimorso per quella gente.
Solo ... rabbia, atavica e divoratrice come le fiamme di un fuoco inarrestabile.
"Sephiroth ... è per te." pensò.
 
«E adesso, Niisan?» chiese Kadaj, riscuotendolo.
 
Lo guardò negli occhi, gli fece segno di arretrare, quindi fece un passo avanti e chiuse gli occhi, alzando lentamente le braccia verso il cielo.
Si mise in ascolto, connettendosi con quelle anime intrappolate, ascoltando la loro disperazione, la loro paura, il loro dolore e le loro urla rimbombargli in testa.
Li vide di nuovo, uno ad uno, e guardandoli con disgusto li zittì, incatenandoli alla sua sete di vendetta, alla sua rabbia, al suo dolore, fino a che non furono che una cosa sola, fino a servirsi di quei sentimenti per alimentare i propri e viceversa, fino a diventare un tutt'uno con i suoi burattini di carne morta.
E allora, solo allora quando sentì le catene ben strette nelle sue mani e attorno ai polsi della sue vittime, li rispedì nei loro corpi con un'ondata violenta di luce violacea che ebbe l'effetto di una potente tempesta, sollevò la neve da terra, fece crollare qualche baracca mal messa e agitò le chiome degli alti pini liberandoli dalla neve caduta a coprirli.
Perfino Kadaj, Loz e Yazoo faticarono a restare in piedi, coprendosi gli occhi con un braccio e ritornando a guardare solo quando tutto si fu placato.
All'inizio tutto sembrò normale, il silenzio ancor più fitto di prima e la calma ancora più piatta.
All'improvviso però Victor riaprì gli occhi e lo fecero anche tutti i cadaveri, tornando a lamentarsi, a muoversi come se non riuscissero più a farlo.
Il ragazzo vicino a loro rantolò guardandoli. I suoi occhi erano atoni come quelli di un morto, la sua pelle pallida come la neve e il sangue invase la bocca.
Victor ghignò appena, con perfida soddisfazione lo vide allungare una mano tremante verso di lui, senza riuscire ad emettere altro suono che quel misero rantolio dolorante.
Nel frattempo gli altri iniziarono a rialzarsi, restando lì dov'erano e vacillando ad ogni passo che compivano, lento e instabile.
I tre fratelli di Osaka assisterono a quel spettacolo a bocca aperta, all'inizio preoccupati e increduli, osservando prima i non-morti, poi la maschera di malvagia soddisfazione in cui si era trasformata la faccia del loro Niisan, che ad un certo punto li guardò e l'invitò ad avvicinarsi allo zombie che avevano di fronte con un cenno del capo.
Il primo a farlo fu Kadaj. Vide le unghie delle mani allungarsi anormalmente fino a trasformarsi in artigli pericolosi e i canini fare lo stesso diventando zanne, mentre una minima parte di energia continuava a fluire dalle dita di Osaka.
Un piedi davanti all'altro, girò intorno al mostro osservandolo con attenzioni e questi, gli occhi sbarrati e persi come se non riuscisse nemmeno a vederlo, glielo lasciò fare senza muovere nemmeno un muscolo.
Tutti gli altri rimasero a guardare dai loro posti, gli sguardi rivolti al loro burattinaio che continuava a tenerli stretti.
Quindi Kadaj mosse un braccio, e lo stesso fece la creatura, facendogli prendere un bello spavento prima di accorgersi che fosse in realtà tutta opera di Osaka, che lo manovrava a suo piacimento.
Allora il più giovane dei tre rise, di gusto, ed iniziò a muoversi come imitando i gesti meccanici di un burattino mentre quello vero lo ricopiava di pari passo mosso dai fili invisibili del burattinaio che li osservava sogghignando sadico.
Risate divertite travolsero anche Yazoo e Loz, che iniziarono a canzonare le loro vittime danzando attorno ad esse, passando una mano davanti ai loro occhi ciechi e divertendosi a infliggere loro altri colpi che avevano il solo effetto di renderli ancora più macabri di quanto già non fossero.
 
«Yazoo...» gli consigliò d'un tratto Victor, continuando a ghignare malvagiamente «Prova a sparargli al cuore.» indicando con un gesto del capo una giovane donna a lui vicina.
 
Yazoo guardò la sua pistola e poi di nuovo suo fratello, stupito. Ma ad un ulteriore cenno d'incoraggiamento di quest'ultimo accettò di farlo senza nemmeno prendere la mira.
Sentì il rumore della carne e dei vestiti lacerarsi, vide il sangue macchiare il punto della camicetta a fiori in cui il proiettile era scomparso trapassandole la schiena da parte a parte, poi la guardò in faccia e la vide continuare a guardarlo con quella espressione da ebete, come se nemmeno si fosse accorta di esser stata ulteriormente oltraggiato.
Neanche Victor la sentì gridare, avendo ormai nascosto tutti i sentimenti di quella sua schiava sotto alle pesanti catene del suo risentimento.
Risero guardandosi negli occhi, e lo fecero anche Kadaj e Loz, quest'ultimo sferrando un sonoro pugno ad uno dei camerieri dell'albergo e vedendolo rotolare a terra senza un minimo cambiamento di umore e di espressione, rialzandosi ad un cenno del padrone.
E quel momento d'ilarità durò anche dopo che questi, decidendo fosse arrivato il momento di preparare quel suo piccolo avamposto, fece affluire ancora un'ultima scarica di energia magica ripetendo a fil di labbra il suo ultimo ordine.
 
«Uccidere. Chiunque vi capiti a tiro, chiunque venga qui. Massacrateli tutti, senza distinzione. Tranne Cloud Strife ... lui lasciatelo a me.»
 
Ora avevano un compito, una missione da portare a termine, qualcosa che li avrebbe fatti muovere lo stesso anche se il loro burattinaio fosse stato lontano. Sarebbe stato come se una parte della sua coscienza fosse rimasta lì, in fondo alle loro menti, per guidarli e permettere loro un'obbedienza solerte qualsiasi fossero state le loro capacità in vita.
 
\\\
 
Tre ore dopo ...
 
Vincent Valentine arrivò all'Icicle Inn con tutti i buoni propositi che la sua missione richiedeva, ma ciò che trovò sconvolse totalmente ogni sua previsione.
Era mattino, un orario in cui i camini avrebbero dovuto essere accesi e la gente avrebbe dovuto uscire per strada almeno a spalare la neve. Invece nessun comignolo fumava, nessuna luce era accesa, la neve era macchiata da centinaia d'impronte insanguinate e il villaggio era avvolto in un silenzio spettrale. 
Lo attraversò cautamente fino ad arrivare a pochi metri dall'albergo. Non c'era anima viva in giro, ma alle sue orecchie giunsero sinistri sussurri e ringhi sommessi, spingendolo ad afferrare in allerta il manico della Cerberus.
All'improvviso la porta di una casa si spalancò e da essa uscirono in gruppo quattro figure umane, lunghe zanne affilate e artigli al posto delle unghie. Lo aggredirono circondandolo e ringhiando come bestie rabbiose, li affrontò senza scomporsi ma gli bastarono pochi istanti per rendersi conto di non avere di fronte avversari comuni.
Erano morti, il loro sguardo spento e le occhiaie, le loro ferite e il loro pallore mortale glielo rivelavano, il fatto che non parlassero se non per mezzo di grugniti lo confermava.
Eppure non lo erano, nessuno di loro lo era realmente, e sebbene molti di loro avessero corpi non propriamente adatti al combattimento e già gravemente feriti e martoriati, riuscivano a infliggere colpi pesanti ed erano letali con le loro zanne. Cosa peggiore, nessun colpo sembrava metterli definitivamente KO.
Ben presto da quattro divennero otto e da otto venti. Sbucarono all'improvviso da dentro le loro case, ringhiando e aggredendolo con impressionante bestialità, e altri continuarono ad arrivare.
Nemmeno Galiant Beast riuscì a domarli, e alla fine fu costretto a battere ritirata, non prima però di aver raccolto una prova interessante dal terreno di scontro.
Una provetta di Etere vuota, abbandonata nella neve. Non era certo stata usata da una di quelle creature, non avevano bisogno di cose del genere. Ma ... qualcuno doveva aver trasformato gli abitanti del villaggio in quei mostri. E se fosse stato lo stesso che subito dopo l'aveva bevuta, magari per ripristinare le proprie energie dopo aver usato quel genere d'incantesimo? Non era un esperto, ma sapeva che esistevano due tipi di magia al mondo, e che di certo quella usata dagli appartenenti alla Shinra non era in grado di fare cose simili.
Non poté tornare indietro, gli zombies erano aggressivi, attaccavano chiunque si avvicinasse al villaggio senza lasciargli scampo, ed erano troppi per essere gestiti da un uomo solo. Forse qualche sopravvissuto aveva cercato di resistere, ma di sicuro non era dotato di poteri magici.
No, quell'etere non doveva essere appartenuto ad uno degli abitanti ma a un ospite che poi si era dileguato, o era stato ucciso.
Un ospite che conosceva bene la differenza tra etere e pozione e ch'era stato addestrato ad usarli al meglio.
   
 
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