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Autore: VesperStar    17/04/2020    2 recensioni
Sei mesi fa, la famosa serie tv space opera Lost Galaxy ha fatto l’impensabile: ha reso canonica la controversa ship nemica MattKira. Questo sarebbe già abbastanza brutto di per sé, ma poi la famosa anti blogger Rey trova una fanfiction MattKira rebloggata sulla sua dashboard.
La sua soluzione? Odiarla e iniziare a leggerla solo per poi pubblicare commenti su quanto sia brutta sul suo blog.
C’è solo un problema.
La fic è, in realtà, abbastanza buona.
E poi l’autore, KyloRen, le manda un messaggio…
***
Questa storia non mi appartiene. È la traduzione in italiano in una fanfiction in inglese pubblicata su AO3, pubblicata qui con il permesso dell’autrice originale. Si prega quindi di leggere il disclaimer e le note a inizio capitolo.
***
Ship presenti: Reylo [Kylo Ren ǀ Ben Solo/Rey], sfondo Stormpilot [Finn/Poe Dameron]
***
La storia è stata già tradotta integralmente, aggiornamenti previsti ogni lunedì, mercoledì, venerdì e uno doppio il sabato.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Finn, Kylo Ren, Poe Dameron, Rey
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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DISCLAIMER

Questa storia non mi appartiene. È una traduzione in lingua italiana dall’inglese, ed è postata qui con il permesso dell’autrice, the-reylo-void (Anysia), a cui vanno tutti i crediti e che ringrazio di tutto cuore per il permesso di tradurla. La storia originale è stata pubblicata su Ao3 a questo link: https://archiveofourown.org/works/22316659/chapters/53304883

Se la storia vi piacerà, vi invito a passare dall’originale, per leggerla nella sua lingua madre o anche solo per lasciare un kudos e/o un commento.

 

 

 

Capitolo 9

 

Maz, con tutto il rispetto per la sua età e il suo aspetto eccentrico, era una terapista sorprendentemente impegnativa. Rey aveva fatto due sole sessioni, e già le aveva assegnato una notevole quantità di compiti per casa e avevano trascorso molto tempo a praticare determinate “attività”. Una di quelle che Maz sembrava preferire era quella che obbligava Rey a identificare le sue emozioni quando le provava per aiutarla a esprimerle in modo sano. “Hai problemi nel gestire la rabbia in modo sano”, le aveva detto quando Rey aveva aggrottato le sopracciglia davanti al foglio che le era stato consegnato. “Quello ti aiuterà a identificare cosa provi, così potremo affrontarlo in modo diverso”.

Quindi, Rey aveva passato gran parte del giorno precedente a identificare le sue emozioni. Paura, quando un uomo di mezza età si sedette vicino a lei sull’autobus. Frustrazione, quando internet saltò a metà di un episodio di Cupcake Wars e dovette alzarsi dal suo comodo angolo di divano per resettare il modem.

Solitudine, quando si rannicchiò a letto dopo aver scritto a Ben e, per la prima volta dopo anni, ammise a se stessa che le mancava il suo corpo premuto contro il suo, le sue mani che la stringevano e la accarezzavano per farla addormentare.

Stava diventando più facile capire ciò che provava e, per quanto odiasse ammetterlo, Maz aveva ragione: rendeva più facile elaborarlo e gestirlo.

Tranne, scoprì, quando provi così tante cose tutte in contraddizione fra loro in una successione tanto rapida da sembrarti di aver ricevuto una martellata in testa e tutti i fogli di terapia del mondo non aiutavano a gestire quello.

Quello era il punto in cui si trovava Rey mentre fissava Ben, mentre fissava un Luke troppo calmo, mentre un milione di domande le riempivano la testa e non riusciva a decidere da quale iniziare.

“Rey…”, iniziò Ben, facendo un passo verso di lei, e Rey gli lanciò un’occhiataccia.

“Tu”, disse, a bassa voce, ignorando come sentire la sua voce per la prima volta dopo tre anni, mentre pronunciava il suo nome, nulla meno, le avesse fatto provare una scossa nelle ossa, “sei già abbastanza nei guai”.

Ben ebbe il buonsenso di tacere, alzando le mani in segno di resa e indietreggiando.

“E tu…”.

“Immagino di dover dare qualche spiegazione”, osservò Luke. Ignorando l’indignazione muta di Rey, si rivolse invece a Ben. “Mi fai un favore? Chiami la signora Clarkson? Chiederà lo sconto anziani, e non ne abbiamo uno, ma puoi dirle che lo abbiamo già applicato piuttosto che discutere con lei per quindici dollari e ascoltarla minacciare di chiamare l’AARP”.

Luke”.

Rey si stava avvicinando, e Luke afferrò Ben per un braccio e lo spinse nel negozio, chiuse la porta dietro di lui e ci si appoggiò contro, incrociando le braccia e osservando Rey senza grande interesse. “Se vuoi uccidere entrambi, preferirei prima chiudere con la Clarkson. In realtà, preferisco sempre chiudere prima con la Clarkson, qualsiasi sia l’alternativa. Ti sei persa il suo racconto dell’operazione all’ernia. Ben no, poveraccio”.

Rey si fermò, aprendo e stringendo i pugni e fissando Luke. “Per tutto questo tempo”, disse, e la sua voce era innaturalmente calma. “Tu lo sapevi. Per tutto il tempo”. Rabbia, pensò. Delusione. Tradimento?

Accidenti, cosa non avrebbe dato per uno dei fogli di Maz.

“Quale parte? Di te? Di te e Ben?”.

Rey serrò i denti, trattenendo un urlo di frustrazione. “Tutte”.

Luke indicò il Falcon dietro di lei. “Ho capito quando mi hai venduto la macchina”, disse. “Conosco quella macchina. Ero praticamente un accessorio in tutte le bravate, se non veri e propri delitti, commessi con quell’auto. Se non conoscessi mio nipote e non sapessi che l’ha ripulita centimetro per centimetro nel secondo in cui l’ha ricevuta, probabilmente ci sarebbe ancora dell’erba nascosta in qualche angolo”.

“Tuo…”, fece Rey, alzando poi gli occhi al cielo. “E comunque non pensare che non sappia della tua serra nel retro”.

“Spiritosa. Non ho mai trafficato, ma Han era davvero nel campo. Troppo furbo per essere preso. E adorava quella macchina”. Luke chiuse gli occhi per un momento e fece un respiro profondo. “Quindi, inutile dirlo, mi sono fatto molte domande quando la ragazza uscita dal nulla che avevo assunto me l’ha venduta”.

“Cosa hai pensato?”.

“Onestamente? Che l’avevi rubata, o comunque comprata da qualcuno che l’aveva fatto”. Luke le fece un sorrisetto ironico. “Ma non sembravi il tipo, e poi, quando hai firmato i documenti e ho visto il tuo nome vicino a quello di Ben…mi sono ricordato delle cose che Leia mi ha raccontato quando mi ha aggiornato su quello che mi ero perso mentre cercavo l’illuminazione in Tibet e nel Bhutan, qualcosa sul mio ribelle nipote e la sua bella ragazza e su come era andato tutto allo sfacelo, e ho fatto due più due”.

Rey accarezzò il Falcon, e sentì lo sguardo di Luke su di lei. “Per questo non ti ho mai incontrato prima?”, chiede dopo un attimo, senza guardarlo. “Eravamo…siamo stati insieme molto tempo. Ma nemmeno sapevo avesse uno zio”.

“Mia sorella ha costruito la sua casa editrice da zero ad appena venticinque anni, un enorme, fottuto dito medio agli uomini che le dicevano che una donna sola non ci sarebbe mai riuscita”, disse. “Per riuscirci però ha dovuto sacrificare molto. La famiglia, tra le altre cose”. Sospirò, accarezzandosi la barba. “Leia mi vuole bene e ama suo figlio. Ma è stato…lontano dagli occhi, lontano dal cuore, come si dice. Ben ha passato quasi tutta l’infanzia in collegio, e io sono stato in Asia per dieci anni. È stato facile allontanarsi, tanto che non ce ne siamo neppure resi conto. Probabilmente lo hai imparato anche tu, nel modo più duro”.

Rey si accigliò. “Leia è stata grande con me”, disse, a voce bassa. Dolore. Perdita. Difensiva. Voleva difendere la donna che era feroce a dispetto della bassa statura, che le aveva sempre sorriso e l’aveva abbracciata, che si assicurava sempre che si sentisse inclusa in qualsiasi evento organizzasse, non importa quanto era elegante o quanto erano ricchi e sprezzanti gli invitati.

“Lo è”, disse Luke, sorridendo. “Ha un caratteraccio, però. Come Ben. E anche tu. Non riesco a immaginare i litigi fra voi due. Non pensavo qualcuno potesse competere con Leia e Han, ma scommetto voi ci andate vicino…”.

“Perché non mi hai detto nulla?”. Tradimento. Tristezza. Rabbia. Rey si risedette sul cofano del Falcon e si tirò le ginocchia al petto, fissando Luke. “Ti ha detto di non farlo? Lui, intendo”.

Luke sospirò, avvicinandosi al Falcon e appoggiandosi allo specchietto laterale. “Non mi ha detto niente nessuno”, disse. “E non l’ho detto nemmeno a lui, fino a poco tempo fa. Il 24”.

Rey sorrise senza allegria. “Gran bel giorno”.

“Già, anche se in realtà non avevo capito fino a quest’anno. Ma con Leia che sorvegliava Ben come un falco e Ben che gironzolava per casa come un cucciolo preso a calci, alla fine ho afferrato. Ma ho sempre pensato, perché macerarsi nei ricordi? Cosa avresti guadagnato se te lo avessi detto? Oh, ciao Rey. Abbiamo due cambi d’olio e uno delle gomme oggi. A proposito, ricordi il ragazzo con cui stavi per sposarti e che invece ti ha abbandonata? Sì, è il mio nipotino stronzo. Ruba i soldi a Monopoli quando pensa di non essere visto e fa sempre i capricci per essere la macchina da corsa. Molto maturo, eh? Comunque, ti va del caffè?”. Alzò gli occhi al cielo. “Mi avresti reso sterile a suon di calci e te ne saresti andata di nuovo, e io sarei stato mollato dalla mia segretaria per la…sesta volta? Quante volte ti ho licenziato io?”.

“Due volte. E non ti avrei preso a calci così forte”.

“Lo avresti fatto”.

“Hai ragione, lo avrei fatto”. Rey allungò le gambe e si appoggiò al parabrezza. “E poi? Voglio dire, glielo hai detto? Te lo ha detto lui?”.

Luke si grattò la barba, pensieroso. “Mi aveva appena derubato con il suo hotel in Pennsylvenia Avenue, e non avevo mai visto nessuno così determinato a vincere una partita a Monopoli”, disse. “Era stato di pessimo umore tutto il giorno, quindi ho detto qualcosa del tipo che anche per la mia segretaria quella non doveva essere una bella giornata, che il 24 gennaio era sempre di cattivo umore, e ho fatto una battuta sul fatto che forse era un virus o qualcosa del genere. Ma il ragazzino si è immobilizzato e mi ha chiesto come ti chiamavi. Ed eccoci qui”.

“Se ti fa stare meglio, ha voluto immediatamente sapere quanto ti pagavo e ha deciso che non è abbastanza. Per amor di verità, lo ha deciso prima che potessi rispondere”.

“Ha ragione, comunque”.

Comunque”, fece Luke, osservandola, “abbiamo smesso di giocare e…abbiamo parlato, lui, io e Leia. La prima volta da un bel po’, da dopo…”. Strinse le labbra e lanciò un’occhiata al Falcon. “Alla fine, Ben mi ha chiamato, venerdì, ed è stato irremovibile sul fatto che dovevo dirti tutto, ma poi ti sei data malata e…ora sei qui”.

Rey increspò le labbra, tamburellando distratta con le dita su cofano del Falcon, fissando la porta del negozio. “Venerdì”, mormorò infine. “Ti ha detto il resto? Di noi due, online?”.

“No, e io non ho chiesto. Era agitato e continuava a insistere che dovevi sapere tutto, trasparenza totale. Ha aggiunto che forse doveva dire qualcosa di persona, visto che era a casa…”. Luke s’interruppe, evitando lo sguardo di Rey. “Niente”.

Rey si accigliò. “Continuo a sentire un sacco di cose che finiscono con qualcuno che mi mente. Sono davvero fottutamente stanca di sentire bugie, Luke”.

Lui annuì. “Posso capirlo. Credo siano stati un paio d’anni duri”. Indicò di nuovo la porta del negozio. “A proposito, non sapevo nulla di te quando Ben ha chiesto, ma poi lui ha menzionato la scuola d’arte. Sembrava davvero abbattuto quando ha capito che non sapevo che eri un’artista. Come se non ti avrei fatto disegnare un nuovo logo per il negozio se lo avessi saputo. Chi vuol vedere sempre gli stessi soli gemelli dopo quarant’anni?”.

“Non ho mai capito cosa dovrebbero significare. È vintage?”.

“Qualcosa del genere. Il primo proprietario veniva dalla mia stessa città e gli ha inseriti nel logo. Ma non c’è motivo per cui dovrebbero significare qualcosa per te. Altre domande?”.

“Altre domande?”. Rey lo fissò incredula.

“Ne avrei al tuo posto”.

Rey si coprì il viso con le mani. “Sei serio, cazzo?”, disse. “Altre domande. Il mio capo gioca a Monopoli con il mio ex, che è anche suo nipote, e vuole sapere se ho delle domande. Certo che ne ho, tipo…da quando tempo è tornato? Per quanto tempo rimarrà? Lavora qui ora? Devo preoccuparmi di evitarlo alla macchinetta del caffè? Che succede…”.

“Sai”, disse Luke, “queste sembrano tutte domande per Ben”.

Rey si tolse le mani dal viso e fissò la porta del negozio, incerta.

Luke la guardo. “Comunque, oggi sembra una giornata leggera”.

“Tutte le giornate qui sono leggere”, rispose Rey, ancora fissando la porta.

“Posso cavarmela da solo, nel caso voi due voleste parlare. Siete molto in ritardo, ma meglio tardi che mai”.

Rey si morse le labbra, distogliendo finalmente lo sguardo dalla porta, dall’incombente spettro di Ben, dalla conversazione che sapeva, nel profondo, non sarebbe mai stata completamente pronta a sostenere. “Non so se ci riesco”.

Sussultò quando Luke le posò una mano sulla spalla. “Non credo ci sia qualcosa che tu non possa fare”, disse, e c’era qualcosa di paterno nel suo sguardo.

Rey deglutì, fissando la sua mano. Orgoglio. Rispetto.

Pensò al suo blog, a come avesse allontanato entrambi, e a come tutto quello che credeva di aver ricevuto dall’anti-fandom alla fine le si fosse rivoltato contro.

Rimpianto.

Sentiva amarezza, ma annuì, posando la mano su quella di Luke e stringendo le labbra, determinata.

“In più”, concluse Luke, sorridendo, “ricorda: ha più paura lui di te che tu di lui”.

 

*****

 

Questa è la segreteria telefonica di Maz Kanata. Se si tratta di un’emergenza, si prega di contattare il pronto soccorso locale…

Rey si morse il labbrò e chiuse la chiamata, fissando il telefono. Aveva pensato che magari Maz sarebbe stata libera, essendo sabato mattina, ma comunque poteva ancora usare i suoi consigli.

Cosa ti dice il tuo istinto? Immaginò le chiedesse.

Scappa.

Combatti.

Allontanati il più possibile e non tornare.

Marcia in quel negozio e urlagli contro finché non implorerà il tuo perdono.

Cosa provi?

Paura.

Rabbia.

Perché?

Perché poteva ferirla come nessun altro.

Perché lo amava ancora, e non era giusto.

Perché era lui ed era qui e lei non poteva più scappare.

Cosa ti dice il tuo istinto?

Scappa.

Scappa.

Rey fece un respiro profondo e aprì la porta del negozio.

 

*****

 

Trovò Ben nell’ufficio sul retro, il quale era stato messo in ordina un’unica volta, nel 1979, e da allora era stato lasciato all’entropia. Era piccolo, occupato da una scrivania e due sedie, e, combinando le inesistenti capacità organizzative di Luke e Rey, da abbastanza fogli volanti e cartelle sparse da far piangere un vigile del fuoco.

Ben fissava con disgusto la macchinetta del caffè. “Quando Luke me ne offre, nel migliore dei casi è tipo catrame”, avvisò Rey, chiudendo la porta dietro di sé. “Non so neppure se Luke usa fondi di caffè o se raccoglie semplicemente la ghiaia del vialetto e ce la butta dentro”.

“Penso che la ghiaia sarebbe un passo avanti”, osservò Ben. Sembrava calmo, ma gli tremavano le mani. Si voltò verso di lei, appoggiandosi al tavolo.

Rey si torse le mani, guardandolo per un lungo momento senza parlare. Si era quasi dimenticata di quanto fosse alto e ben messo: quasi toccava le pareti con le spalle. C’erano strappi e qualche macchia di grasso sulla maglia e sui jeans, e aveva i capelli un po’ arruffati.

Cazzo, era ancora più sexy.

Lo odiava.

“Ciao”, disse, facendo un passo.

“Ciao”, rispose Ben. Le indicò una delle sedie, dopo un momento, si sedette di fronte a lei, a pochi centimetri dalle sue ginocchia, ma evitando il suo sguardo.

“Andrebbe meglio se avessimo, tipo, quattro milioni di patate da pelare per aiutarci a rompere il ghiaccio”, disse Rey, e vide Ben sorridere appena.

“Te lo ricordi ancora?”.

Rey lo guardò, socchiudendo gli occhi sorpresa da quello che leggeva sul suo viso. Diffidenza. Trepidazione. Smarrimento.

Anche lui è spaventato, si rese conto.

Bene.

“Certo che me lo ricordo”, disse Rey. “Ricordo tutto”.

Ben annuì. “Anch’io”.

Ci fu un lungo silenzio teso, Rey tamburellava con le dita contro le ginocchia, Ben teneva le mani in tasca. “Fa freddo oggi”, disse infine.

“Sì, l’ho pensato”.

“Però va bene. Il vento, intendo. C’è il sole, quindi va bene”.

“Non è insopportabile”.

“E si sta sciogliendo la neve”.

“Ce ne sarà altra”.

“Ce n’è sempre in questo periodo”.

Silenzio. Di nuovo.

“Dev’essere strano”, disse Rey. “Rispetto a Los Angeles, voglio dire”.

Ben la guardò in modo strano, ma rimase in silenzio.

Rey sospirò, passandosi un mano fra i capelli. “Senti”, disse, “sarà un casino a prescindere, non importa come ci muoviamo. Quindi, forse serve qualche regola base. Ok?”.

Ben si mosse sulla sedia, ma la guardò curioso. “Cos’avevi in mente?”.

“Onestà, soprattutto”. Rey gli lanciò un’occhiata significativa. “Brutale onestà. Nessuna censura, tutto fuori. Non importa quanto fa male”.

Ben espirò lentamente. “Andata”.

“Nessun attacco personale”.

“Concordo”.

“E chi mente deve bere una tazza del caffè di Luke. Una tazza intera”.

Ben fece una smorfia. “Quello che c’è è freddo”.

“Tra poco ne sarà pronto dell’altro, ma dubito che caldo sia più buono”. Rey sollevò il sopracciglio.

Ben sospirò e annuì. “Va bene. Vuoi iniziare tu? Io non saprei da dove partire”.

“Bene, perché io sì”. Rey si sporse avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. “Perché cazzo hai mentito su chi eri, online? Sul non sapere che ero io?”

Ben sospirò, passandosi una mano sulla mascella. “Non ho mentito”, disse, e alzò una mano quando Rey fece per parlare. “No, aspetta, fammi finire. Ti ho detto la verità, non lo sapevo da subito. All’inizio, pensavo solo di star perdendo qualche ora con una antis con troppo tempo libero che si divertiva a distruggere la mia storia”.

“Mi hai detto che ero intelligente”.

“E lo eri. Lo sei. Ma cazzo, Rey, alcune cose sul tuo blog…”, si fermò, poi scosse la testa. “Mi dispiace, non stavamo parlando di quello”.

“No, intendo…hai ragione”. Rey si morse la guancia. “Ora è difficile non vederlo. Ho fatto leggere dei post a Maz e lei ha fatto quel suo sguardo che fa quando dico qualcosa di sbagliato e aspetta che me ne accorga”.

Ben inarcò le sopracciglia. “Maz?”.

Rey si accigliò. “Hai detto che anche tu andavi in terapia”, disse, sulla difensiva. “E non avevi problemi quando ci andavo io”.

“No, intendo…è fantastico. La dottoressa Holdo mi è stata di grande aiuto e mi ha fatto superare più di uno schema negativo. Sono contento tu abbia avuto Maz in questi anni”.

“In realtà”, esitò Rey, “sono appena tornata. Vado da lei il mercoledì. Il ragazzo di Finn mi aiuta a pagarla, anche se credo che in parte lo faccia perché voleva liberarsi dell’ospite catartica semimovente sul suo divano”.

“Non a causa mia, spero”.

Rey alzò gli occhi al cielo. “Certo che no, perché dovrei essere arrabbiata con un ex fidanzato che mi ha mentito online su chi era e mi ha fatta appassionare a una fanfiction su una ship che odio? E che a quanto pare sapeva chi fossi da chissà quanto tempo?”.

“L’ho capito il 24”, disse Ben, piano. “Non ero sicuro all’inizio, e in verità neppure a quel punto. Avevi detto che non ti chiamavi Rey, e con tutto l’odio e la rabbia che vedevo, mi ero convinto che non potessi essere tu. Ma poi hai detto qualcosa sul 24, e i messaggi di quella sera, c’era qualcosa nello stile e nel dolore che esprimevi…”. Sospirò. “Non so come l’ho capito. Lo sapevo e basta”.

“E non hai pensato fosse buona cosa dirmelo?”.

Ben esitò. “Col senno di poi, questo sembrerà molto stupido”.

“Ne sono certa”.

“Ma te lo giuro Rey, visto il modo in cui ci eravamo lasciati, pensavo stessimo di nuovo giocando al nostro gioco. Tu eri Isobel e io Kylo…”, fece una smorfia. “Avevi ragione, suona terribile ad alta voce”.

Rey riuscì a sorridere.

“…e che stavamo solo aspettando di vedere chi avrebbe ceduto per primo”, concluse. “E quando hai iniziato a essere…insomma…civettuola, immagino, me ne sono convinto ancor di più. Pensavo, io lo so che è lei e lei sa che sono io e stiamo solo…prendendo di nuovo confidenza, come la prima volta, prima che tutto…prima che io rovinassi tutto”.

Rey lo guardò senza emozioni. “Sei un fottuto idiota, Ben Solo”, disse, senza sorridere. “Cosa avresti fatto se non fossi stata io? Avresti solo continuato a flirtare con la prima ragazza comparsa nella tua posta dopo aver smerdato la tua scrittura?” 

“Sei l’unica ragazza a cui sia mai importato abbastanza della mia scrittura da smerdarmi”, disse, franco. “E l’unica con cui abbia mai giocato così. L’unica con cui abbia mai voluto farlo”.

C’era un confine, da qualche parte, ma lo stavano già attraversando, per vedere cosa c’era oltre.

Rey all’improvviso aveva bisogno di chiedergli se aveva letto i messaggi della sera prima. Strappare il cerotto e affrontare la ferita sotto, non importa quanto era profonda.

Brutale onestà. Nessuna censura. Tutto fuori.

Non era sicura di essere pronta a buttar fuori quello.

“Da quanto sei tornato?”, chiese invece. “Perché sei tornato, vero? Luke non è stato chiaro su questo punto”.

“Perché Luke è a malapena cosciente di quel che gli succede intorno”, disse Ben. “Ma sì, sono tornato. Alla fine del 2018”.

Rey lo fissò a bocca aperta. “Scusa, non devo aver capito bene, hai detto che sei tornato da un fottuto anno?”.

“Un po’ di più, ma sì”.

“E non ti è venuto in mente di contattarmi, a un certo punto di quest’anno?”.

“Mi avresti risposto?”.

Rey rimase zitta, sotto lo sguardo acuto di Ben. “Il 2018 è stato l’anno peggiore della mia vita”, continuò, ed era più calmo. “Non pensavo qualcosa potesse superare il 2017, ma poi è arrivato il 2018”.

“Hai finalmente pubblicato il tuo primo fottuto romanzo, quell’anno, giusto?”, mormorò Rey. “Non può essere stato così male”.

Gli occhi di Ben incontrarono i suoi, e c’era dolore in loro, qualcosa di profondo e non detto appena sotto la superficie. “Vuoi sapere l’intera storia?”, chiese, atono.

Non m’importa. Te ne sei comunque andato. È stata una tua scelta. Mi fa ancora male e spero che…

Rabbia. Dolore. Cuore spezzato.

Rey chiuse gli occhi.

Cosa dice il tuo istinto?

Scappa.

Combatti.

Quando riaprì gli occhi, la stava ancora fissando.

“Sono pronta”, disse.

 

 

 

Nota della traduttrice

 

Nulla da segnalare per questo capitolo, se non che siamo quasi alla fine, quindi lascio a voi i commenti.

Il prossimo capitolo arriverà domani.

 

 

*****

Rey fece un sorriso stanco. “Quindi, cosa vuol dire, che mi hai chiesto di sposarti per liberarti dalle pretese del tuo inquietante agente? Davvero romantico, Ben, fottutamente romantico”.

“No. Ti ho chiesto di sposarmi perché ti amavo e volevo essere tuo marito, perché l’idea di una vita senza di te era intollerabile”. Fu schietto e non distolse lo sguardo.

Le mani di Rey tremavano quando prese un altro sorso. “Già, così impensabile da non cercarmi mai più”, disse. “Sei partito e non hai mai avuto ripensamenti. Quindi forse non era così intollerabile, ma solo un po’ fastidiosa…”.

“Ti ho chiamato per supplicarti di ripensarci e venire da me il 26 gennaio”, la interruppe Ben. “E ho resistito più di quanto pensassi”.

“Di che anno?”, chiese Rey. Lo stava provocando e lo sapeva, ma fanculo, erano entrambi alla frutta.

“2017, Rey, maledizione”. Si passò una mano sul viso. “Ho resistito neppure due giorni senza di te. Non dormivo senza tenerti tra le mie braccia da tre anni. Sembrava tutto così sbagliato. Ti ho chiamata il 26, il 27, il 28. Ogni giorno, per mesi. Ho provato in ogni modo, per parlarti anche solo un’altra volta”.

*****

 

VesperStar

 

   
 
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