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Autore: Xion92    17/04/2020    1 recensioni
Post-KH3. Kairi è disperata perché non c’è modo di riportare Sora indietro. Ma quando, poco dopo, Ansem il saggio le rivela la verità sul suo passato, per la ragazza si apre una nuova prospettiva di vita.
Cosa significa veramente essere il capo di un mondo e governarlo? Quanti modi ci sono per farlo, e qual è quello più efficace e accettabile al tempo stesso? Quali pericoli, minacce e congiure attendono un principe? Questa è la storia di tre generazioni di sovrani del Radiant Garden, in cui ognuno di loro, a modo proprio, cerca di portare il regno verso la prosperità. Una storia di governo e di politica, fortemente basata su “Il principe” di Machiavelli.
(Il rating è arancione solo per il capitolo 7, tutto il resto dovrebbe mantenersi sul giallo)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Capitolo 11 – Distanza sociale

 

Kairi dormiva ancora quando sentì bussare timidamente alla porta. Sollevò appena una palpebra, assonnata. Non aveva dormito bene, quella notte: il ricordo di Sora l’aveva tormentata ancora. Strabuzzò gli occhi nel buio per guardare l’orologio sul comodino di fianco al letto. Dovette sforzarsi un po’ per leggere il quadrante, perché le pesanti tende di velluto erano tirate e non filtrava nemmeno un po’ di luce dalle ampie finestre. No, erano solo le sei del mattino. Aveva stabilito di alzarsi alle sei e mezzo. Ancora non era ora, era troppo presto perché qualcun altro degli abitanti del castello fosse in piedi. Perciò chiuse di nuovo gli occhi, tirandosi su il lenzuolo che durante la notte le era scivolato via di dosso. A quel punto sentì di nuovo bussare, più forte questa volta. Si tirò su a sedere. Allora non se lo era immaginato.

“Avanti…” rispose assonnata.

La porta si aprì con cautela e sulla soglia apparve Kain, col suo pigiama coi pantaloni e maniche lunghe, le pantofole ai piedi e i capelli biondi sciolti sulle spalle.

“Kain, cosa fai qui?”, chiese Kairi stupita. “Hai bisogno di qualcosa? Ti senti male?”

“No, no, Kairi”, rispose il bambino, che dopo la prima giornata insieme era entrato del tutto in confidenza con lei chiamandola solo per nome, pur mantenendo il voi per rispetto. “Avevate detto che oggi volevate andare in giro per il regno, vero? Portatemi con voi, per favore!”, la pregò a mani giunte.

“Kain…” sospirò Kairi. “Ti porterò volentieri con me, ma ancora è presto, torna a dormire”, lo invitò.

Senza stare a vedere se le avrebbe obbedito, si sdraiò di nuovo a pancia sotto, sentendosi davvero stanca. Dopo poco udì dei passi leggeri avvicinarsi, qualcosa che tirava le coperte e un attimo dopo tutto il peso del bimbo sopra la sua schiena.

“Kain, ma cosa fai…?” protestò senza convinzione.

Il bambino si mise a cavalcioni sopra la ragazza, ed iniziò a darle dei colpetti sulle spalle. “Forza, Kairi, forza!”, la esortò ridendo, perdendo sempre di più la propria timidezza. Era chiaro che Kairi gli piacesse proprio. “Un giorno voi ed io regneremo insieme questo mondo, non vi ricordate? Dovete conoscerlo bene, ed io stamattina sono qui pronto ad accompagnarvi per mostrarvelo!”, aggiunse molto orgoglioso.

Anche Kairi si mise a ridere sommessamente, con la testa affondata nel cuscino. “Il Radiant Garden non scappa mica se dormi una mezz’ora in più, lo sai?”

Kain allora scese dalla schiena della ragazza e si sdraiò a pancia sotto di fianco a lei, imitando la sua posa. Col viso scrutò nel cuscino per cercare di cogliere il suo sguardo.

“Oh-oh, abbiamo una futura principessa davvero pigrona qui!” commentò ingrossando il tono.

Kairi non riuscì a trattenersi dal ridacchiare ancora di più a quelle parole, ma un’improvvisa malinconia la colse: quel bambino le ricordava tanto Riku. Anzi, quelle erano più o meno le parole che il suo vecchio amico le diceva, quando erano ragazzini. Che era pigra quanto Sora. Si rese conto, una volta che ebbe formulato quei pensieri, che se fosse rimasta ancora nel letto la tristezza l’avrebbe colta di nuovo. Doveva alzarsi in piedi e darsi da fare, per scacciare i pensieri. Quindi si sollevò a sedere di colpo, e Kain, lì di fianco, la guardò stupito.

“Bene, allora andiamo giù di sotto a far colazione”, disse col tono più vivace. “Poi mi aspetto che questo bel cavaliere mi accompagni per il regno e me lo mostri”, aggiunse rivolgendo una dolce occhiata al bambino.

Kain distolse lo sguardo guardando in basso, ma Kairi vide benissimo, anche nella penombra, il suo imbarazzo. “Ma certo”, rispose subito il piccolo. “Vi farò vedere tutto tutto.”

La ragazza allora si stiracchiò e si alzò, scostando le tende del baldacchino. “Puoi andare giù in sala da pranzo allora, io mi devo vestire.”

E, mentre si avvicinava alla finestra per tirare le tende, sentì la voce di Kain dietro di sé, un po’ imbarazzata ma convinta, dire: “E’ un peccato che non vi volete sposare, Kairi… altrimenti vi sposavo io da grande.”

Kairi, sorpresa, girò la testa per guardarlo, ma il bambino era sparito. La ragazza riuscì a sentire il suo passo in corsa allontanarsi per andare nella stanza da pranzo.

“Che tipo”, commentò, non sapendo se essere meravigliata o ridere. Quel bambino l’aveva davvero presa in simpatia. Certo quella dichiarazione non aveva niente di serio, molti bambini della sua età dicevano cose simili a ragazze grandi, ma le faceva capire che Kain era davvero ben disposto verso di lei. No, veramente, la giovane donna si sentiva davvero tranquilla al pensiero di avere al suo fianco una persona simile, fra una quindicina d’anni.

“Ma ora è ancora presto per pensarci”, disse a voce alta mentre si vestiva. Ed intanto osservò, attraverso le finestre, il suo nuovo mondo. Era tutto grigio, e pioveva come il giorno precedente, anche se con intensità minore, e non sembravano esserci raffiche di vento.

“Perfetto”, annuì allora Kairi. “In questo modo dovrei essere in grado di fare un giro della città senza bagnarmi troppo.”

Mentre si preparava, visto che la luce che entrava dalla finestra non era sufficiente, accese la luce della stanza per vederci meglio, ma dopo pochi minuti si spense da sola.

“Hanno di nuovo tolto l’elettricità…” mormorò la ragazza a bassa voce, pensierosa.

 

Dopo essersi lavata e vestita, si avviò quindi verso il piano di sotto per mangiare. Ora che il suo stomaco aveva ripreso il via, sentiva che aveva bisogno di parecchia energia per affrontare bene la mattinata, specialmente con un clima umido e freddino come quello. Nella grande sala da pranzo in penombra ancora non c’era nessuno, solo Kain appollaiato su una sedia. A quel punto a Kairi venne un dubbio: forse doveva aspettare che si svegliassero tutti prima di fare colazione? Ma dalla cucina si affacciò una giovane cameriera, col grembiule e la crestina.

“Signorina”, si inchinò rispettosa. “Siete mattiniera. Di qua stiamo preparando. Sedetevi pure, che adesso apparecchiamo e vi serviremo da mangiare.”

Kairi guardò prima la tavola, poi Kain seduto, ed infine di nuovo la cameriera. “Lascia che vi aiuti”, le disse sorridendo.

L’altra ragazza le rivolse uno sguardo sbigottito e fece un passo indietro. “Ma cosa dite, signorina? Noi siamo solo dei servi del popolo, voi siete la futura principessa, siete la figlia del nostro principe.”

“E allora?” insisté gentilmente Kairi. “Ho comunque due mani come voi. Se vi aiuto, facciamo prima.” Si voltò poi verso il bambino. “E se ci aiuta anche Kain, le mani saranno quattro”, aggiunse allegra.

Ma quel bimbo, così carino e gentile come Kairi l’aveva conosciuto, ebbe a quel punto una reazione che la giovane donna non si aspettava. Aggrottò le sopracciglia bionde e fece no col dito. “Kairi, le cose non funzionano così. Ognuno nel regno deve avere il suo ruolo, e questo non è il nostro”, disse, col tono più adulto di come l’aveva di solito.

“Ecco”, annuì la cameriera. “Vedete che anche il signorino Kain è ragionevole? Sedetevi tranquilla, che qui ci pensiamo noi.”

Ma Kairi non volle saperne di restare lì a guardare mentre vedeva il personale lavorare, e vista l’assenza di suo padre ne volle approfittare. I cuochi e i camerieri in cucina rimasero a fissarla incredula mentre lei, incurante dei loro sguardi, spremeva le arance e spalmava la marmellata sulle fette di pane.

“Beh? Cosa avete da guardarmi in quel modo?” chiese a un certo punto alzando lo sguardo, mentre i servi si lanciavano delle occhiate perplesse. “Non sono mica così diversa da voi, sapete? Rimettetevi a lavorare anche voi, insieme faremo prima.”

A quel comando, istantaneamente i cuochi ripresero i loro compiti senza porre più domande, anche se era evidente il loro disagio nell’averla lì con loro. Quando la brocca della spremuta fu piena, la cameriera di prima fece per prenderla e portarla in sala, ma Kairi gliela tolse dalle mani. “La porto io, tu continua pure qui”, la invitò.

Kairi fu sicura di vedere un leggero rossore sul viso dell’altra ragazza mentre abbassava gli occhi. La cameriera annuì in silenzio e rimase in cucina. Mentre andava in sala con la brocca, vide che Kain era ancora seduto sulla sua sedia. “Perché intanto non vai a prendere la tovaglia ed apparecchi?”

“Ve l’ho già detto, Kairi”, insisté Kain. “Quello che state facendo è sbagliato. Va bene avere a cuore il popolo, ma non bisogna dar loro così tanta confidenza. Poi si mettono strane idee in testa.”

“Ma questo è assurdo”, protestò Kairi con disappunto. “Chi ti ha detto una cosa simile?”

“Il principe Ansem”, rispose con orgoglio Kain.

“Mio padre…?” mormorò la ragazza, stupita. “Perché dovrebbe mai pensarlo?”

Kairi sapeva davvero poco di suo padre biologico e del suo modo di governare, ma le poche cose che aveva sentito da lui in quei pochi giorni non le erano piaciute per niente. Ecco quello che era riuscita a capire dal suo modo di ragionare: che riteneva i sudditi incapaci di provvedere a loro stessi, che le differenze nette fra le varie tipologie di cittadini non avessero niente di strano, addirittura che non importava che le popolazioni alla periferia del regno venissero escluse dalla vita politica, e che non era corretto aiutarli quando avevano bisogno. Veramente suo padre le voleva indicare che questa era la via giusta? Ma no, non era possibile. Decise, mentre apparecchiava la tavola con le posate d’argento, che all’ora di pranzo avrebbe parlato meglio con lui, perché non voleva credere che un principe così rispettabile e con una così vasta esperienza nel governo potesse ragionare in quel modo meschino.

Intanto i camerieri avevano portato da mangiare, e Kairi si stupì della gran quantità di cibo che poteva stare su quella tavola anche a colazione. Prima, mentre preparava il succo e i panini con la marmellata, non aveva fatto molto caso a tutto il resto del cibo che i cuochi stavano cucinando, ma ora vide che stavano portando latte, caffè, orzo, miele, affettati, uova sode e innumerevole altre cose. Per lei, che nella sua vecchia casa era abituata a fare colazione solo con frutta tropicale e relativi succhi, fu una sorpresa vedere tutta quella varietà.

“Credo che dovremo mangiare senza aspettare mio padre, visto che dobbiamo partire”, disse a Kain.

Il bambino non se lo fece ripetere, e cominciò a versarsi il latte nella tazza e a prendere i panini con la marmellata. “Così divento grande prima”, si limitò a spiegare iniziando a riempirsi la bocca.

Kairi ancora doveva abituarsi a quel cibo così calorico, pesante e diverso da quello cui era abituata, quindi fu più lenta di Kain nel mangiare, ed infatti era solo a metà quando il bambino balzò giù dalla sedia strappandosi il tovagliolo.

“Andiamo, andiamo, Kairi”, iniziò a ripetere a voce alta, tirando la ragazza per il polso con tutte e due le mani. Kairi si volse a guardare i camerieri con uno sguardo d’intesa, e notò con piacere che quelli, invece di rimanere impostati ed impassibili come avevano fatto durante i due pasti presi in precedenza, le rivolsero un timido sorriso. Forse perché suo padre stavolta non c’era. Forse perché si era messa al loro livello aiutandoli in cucina, non poteva saperlo ma quella loro espressione più morbida la confortava.

“Arrivo, arrivo, Kain, lasciami finire”, cercò allora di placare il bambino cacciandosi in bocca l’ultima fetta di pane con la marmellata, mentre il piccolo continuava a tirarle l’altra mano.

“Cosa succede qui?” esclamò a quel punto imperiosa una voce maschile. “Kain, ti sembra il modo di comportarti?”

Veloce come l’aveva afferrata, Kain lasciò andare all’istante il polso di Kairi e tornò a sedersi al suo posto di corsa, rimanendo a testa bassa.

“Buongiorno, padre”, fece un inchino con la testa Kairi. “Vi avevo avvisato ieri sera, ricordate?”

“Buongiorno, Kairi. Sì, mi avevi detto che avresti fatto un giro per il regno stamattina. Brava, fai molto bene. Questo è lo spirito giusto con cui partire. E’ giusto che i sudditi ti conoscano e ti avvicini un po’ a loro. Porterai con te anche Kain, no?”

“Certo”, annuì la ragazza. “Non penso che lui voglia stare qui nel castello”, aggiunse ridendo, vedendo come il bambino, sebbene seduto, tenesse stretti i bordi della sedia e scalciasse impaziente.

“Ti chiedo solo una cosa, Kairi, devi farmi un favore”, aggiunse Ansem. “Per favore, se parlerai con i sudditi, metti una buona parola per me. Verifica un po’ come si sentono nei miei confronti, ora che sei tornata. Dopo vorrei uscire anch’io a fare un giretto, ma preferisco aspettare che torni a riferirmi. Per la mia sicurezza, capisci.”

“Sì, capisco”, mentì Kairi. Per la sua sicurezza? Il suo vecchio padre temeva i suoi sudditi? Al punto di aver paura di uscire di casa?

“Andiamo, Kain”, disse allora, alzandosi e tendendo la mano verso il bambino, che subito scese dalla sedia imbottita e corse al suo fianco, mettendo la manina nella sua. “E grazie mille per la colazione”, aggiunse verso i camerieri, chinando la testa verso di loro. Vide Ansem aggrottare appena le sopracciglia a quell’atto, ma visto che non aggiunse altro nemmeno lei gli disse niente.

“Un’ultima cosa, Kairi”, la chiamò Ansem mentre i due si allontanavano. “Mi raccomando, non dire al popolo che anche Kain diventerà principe, un giorno. Se qualcuno chiede, dì che diventerà uno dei miei apprendisti.”

“Cosa? Perché?” chiese stupita Kairi, voltandosi. “Perché dovrei mentirgli?”

“Te lo spiego dopo. Ora vai, figliola”, le disse con tono morbido il vecchio principe.

“Sì, Kairi, mi raccomando”, ripeté Kain, mettendosi l’indice davanti alla bocca e guardandola serio. “E’ un segreto.”

 

Così, la ragazza ed il bambino uscirono dalla porta principale del castello, avvolti nelle loro giacche e tenendo un grosso ombrello sopra la testa. Salutarono le due guardie ai lati del portone, che fecero loro rispettosamente il saluto militare, e si avviarono. La pioggia si era calmata, ed ora cadeva dal cielo senza violenza, ticchettando leggermente sulle strade lastricate di pietra.

“Bene bene bene, e chi abbiamo qui di prima mattina, kupò?”, chiese una vocetta allegra sopra di loro.

I due futuri principi guardarono in su, e videro Mog arrivare svolazzando, con la pelliccia gonfia di umidità.

“Buongiorno, Mog”, salutò Kairi con rispetto.

“Sì, sì, buongiorno!”, salutò il moguri, mettendosi di fronte a loro tenendosi a mezz’aria e portandosi la zampa alla fronte. “Stavo giusto venendo a fare colazione, ma… siete già fuori? Avete mangiato senza di me, kupò?”

“Sì, abbiamo mangiato tutto, sono rimasti solo gli avanzi!”, esclamò Kain con voce melodrammatica. “Ti consiglio di correre, Mog, se non vuoi che finiscano anche quelli!”

Il moguri, con un’espressione alquanto preoccupata, si premette le guance con le zampe e schizzò via.

Kairi allora guardò il bambino alzando un sopracciglio. “Gli hai detto una bugia”, lo riprese.

“Sì, perché quel moguri non si sopporta”, spiegò Kain. “Se non gli dicevo così, ci veniva dietro per tutto il giorno. Ed io mi rompevo. Veniva anche a voi il mal di testa, perché quello non finisce mai di parlare dei fatti suoi.”

“D’accordo”, acconsentì Kairi alzando gli occhi al cielo. “Ma ricordati che se vuoi governare devi essere leale e sincero con i tuoi sudditi. Non si deve mentire in questo modo.”

“Beh, non è che funziona proprio così”, replicò Kain. “Se ci guadagni, perché no?”

E, prima che Kairi potesse replicare, la afferrò per la mano e la trascinò giù per la grande scalinata che portava al cancello. Kairi era sicura che anche quel principio glielo avesse messo in testa suo padre, anche se non ne aveva nessuna prova, e decise di lasciar stare, per il momento. Uscendo dal cancello principale, la ragazza si rese conto che doveva esserci qualcosa di particolare nella piazza. Il grande spiazzo era infatti gremito di bancarelle, occupate da uomini dai modi grezzi che urlavano con la loro voce potente i prodotti che componevano la mercanzia: frutta, ortaggi e cereali, per lo più. Attorno alle bancarelle, affaccendate e dai modi composti, si stringevano signore e ragazze di tutte le età, cercando di accaparrarsi la merce migliore ad un buon prezzo. Kairi non conosceva ancora nessuna di loro, ma basandosi sul loro aspetto riuscì a capire all’incirca a quale ceto del popolo appartenevano. Alcune di loro, poche, erano vestite con giacche dal tessuto più ricercato e da gioielli di discreta qualità, mentre altre, un numero maggiore, avevano dei vestiti semplici e non indossavano gioielli ed accessori. Decise che, se voleva fare bene il suo dovere in quel mondo, la prima cosa che doveva fare era incontrare personalmente i suoi futuri sudditi, perciò, anche se un po’ nervosa, strinse più forte la manina di Kain e si diresse verso di loro con passo deciso.

Una signora di mezza età, con i capelli raccolti in una crocchia, fu la prima a notarla. “Signore, guardate chi c’è stamattina!”, esclamò, emozionata e stringendo forte al petto la busta col pane appena comprato.

“E’ la futura principessa, cla che m’avete detto”, disse in modo sgrammaticato un tizio baffuto che stava a una bancarella di verdure. Si capiva che non aveva nulla a che fare con le signore che compravano da lui. “Ma se sa, noi dell’isole semo sempre gli ultimi a sapé le cose…” brontolò.

“E’ Kairi, è Kairi!” si diffuse presto la voce tra le donne che affollavano la piazza, e tutte lasciarono perdere i loro acquisti per avvicinarsi alla nuova arrivata. Kairi si trovò ben presto circondata da quella folla emozionata, che la ammirava piena di aspettative, e si sentì addosso una pressione assurda, ma cercò di non darlo a vedere. Quelle donne non sembravano affatto intimorite da lei. Anzi, una, sulla cinquantina, si avvicinò più delle altre e le pizzicò una guancia in modo affettuoso, come se fosse stata una sua parente.

“Ma come ti sei fatta grande, carina!”, le disse con un tono che, se fosse stata sua zia, avrebbe usato senza variazioni di sorta. “E pensare che io ti ho vista che eri piccolina così, quando ancora non eri alta nemmeno la metà di me.” Si rivolse poi a una sua comare di fianco a lei. “Carissima, non è vero che si è fatta una bellissima donna, la nostra Kairi?” “E’ proprio bella!” assentì l’altra. “E tu, bellissima, ti ricordi di noi?” le chiesero untuose.

Kairi si stava sentendo bruciare di imbarazzo e vergogna. Non sapeva nemmeno se assecondarle dicendo che si ricordava di loro, o dir loro la verità. Ci pensò Kain a risolvere: lasciata la mano della ragazza, si mise davanti a lei dando delle spinte alle donne più vicine a loro. “Rispetto, signore: è così che si parla alla futura principessa?”, chiese irritato. “Ma Kain…” cercò di placarlo Kairi. “Non essere scortese.” Il bambino allora si voltò verso di lei. “Mantenete la distanza, Kairi, ricordatevelo!”

La giovane donna allora si rese conto che doveva prendere in mano la situazione. Alzò la voce per farla risuonare sul forte vociare emozionato attorno a lei: “è un vero piacere per me incontrarvi di persona. Sono uscita dal castello così presto perché ci tenevo a conoscervi tutti, uno per uno. Volevo come prima cosa assicurarmi che steste bene.”

“Avete sentito?” dissero fra loro le donne del popolo, emozionate. “Questa futura principessa ha tutte le carte in regola! Guardate come tiene a noi! Vuole sapere se stiamo bene!” La loro contentezza e soddisfazione cresceva sempre di più man mano che il tempo passava, e Kairi fu sicura che qualcuna avesse aggiunto, subito dopo con tono rabbioso, “non come suo padre…”.

Kain allora ricominciò a tirare la mano di Kairi. “Dai, andiamo via, che voglio farvi vedere la città”, la spronò impaziente.

“Kain, sta calmo”, lo fermò però Kairi. “I sudditi sono più importanti della città in sé. Quella la guardiamo dopo. E-ehm… calmatevi, per favore!”, riuscì infine ad esclamare, placando temporaneamente la folla che si era accalcata attorno a lei. Era comprensibile che tutte quelle persone volessero conoscere meglio la donna che avrebbe governato il loro mondo per i decenni a venire, ma non le rendevano le cose più facili, in quel modo. “Una di voi vuole essere così gentile da spiegare come vanno le cose qui? Ho notato che manca l’elettricità, e allora…”

“Uuuh”, la interruppero lugubri le donne che, dai vestiti che indossavano, era evidente fossero dei ceti sociali più bassi. “Signorina, non ce ne parlate… da dove possiamo cominciare?”

“Intanto da questo”, suggerì un’altra. “Kairi, noi non abbiamo niente contro di voi e contro questo tesoruccio di bambino, sia chiaro, ma vogliamo che vi rendiate conto che vostro padre è il peggior principe che ci sarebbe potuto capitare!”

“Avevo immaginato che non vi andasse molto a genio…” la assecondò Kairi, notando con piacere che, ora che la conversazione era avviata su questioni più serie, la ressa si era sedata e poteva perlomeno respirare.

“Non ci va a genio? Signorina, è chiaro che non avete abitato questo regno, negli ultimi anni”, scosse la testa una ragazza.

“No, ma ho saputo per altre vie quello che è successo. E’ stata colpa di mio padre, dite?”

“Certamente, e di chi, sennò?” chiesero altre tre donne, insieme. “Quindi, per dovere di correttezza, ci teniamo a farvi sapere che non apprezziamo per nulla che sia lui il principe del Radiant Garden. Figuratevi, nemmeno si fa vedere più in giro. Si mostra in pubblico una volta ogni quindici giorni, se va bene. A quello lì non importa niente di noi. Cosa aspetta ad abdicare e a farvi diventare principessa immediatamente? Qualunque cosa facciate, farete certamente un lavoro migliore del suo.” “Esatto, e mio marito la pensa come me. Anche i suoi colleghi e i suoi amici. Tutti la pensano così!”

Kairi si rese allora conto che il suo vecchio padre aveva ragione ad essere così timoroso nei confronti del popolo e a starsene sempre rintanato. In quel momento si trovava in una polveriera. Un minimo passo sbagliato, e tutti i cittadini sarebbero insorti. Ma adesso che c’era lei, poteva cercare di mediare un po’.

“Guardate, io sarò più che felice di aiutare a sistemare ciò che in questo mondo non va, e il vostro benessere sarà la mia massima priorità”, assicurò, seria. “Però voi, in cambio, dovrete impegnarvi ad essere più indulgenti con mio padre. Lui è sinceramente dispiaciuto di tutti gli errori che ha commesso, anche se non lo volete più come principe, lasciate che possa girare in mezzo a voi con tranquillità e possa prendere un po’ d’aria in città. Ha governato per tanti anni, ormai è anziano e vorrebbe poter godersi la vecchiaia. Lo perdonerete?”

Le donne, interdette, si scambiarono delle occhiate dubbiose. “Non possiamo perdonarlo, signorina. Ma, visto che ce lo chiedete con il cuore, ci impegneremo a sopportarlo. Purché voi prendiate in mano il governo del regno il prima possibile”, decisero infine.

Kairi allora annuì contenta. Era chiaro che più di così non si poteva fare. Lo avrebbe riferito ad Ansem appena fosse rientrata nel castello. Rimase però stupita di quanto il suo vecchio padre fosse detestato, anche solo per il fatto che gran parte dei cittadini la volessero subito come principessa pur non sapendo praticamente nulla di lei. Era chiaro che, ai loro occhi, chiunque in quel momento sarebbe stato meglio del vecchio principe.

“E adesso ditemi un po’ degli altri problemi”, le invitò. Si rese subito conto, però, che aveva fatto male a parlare genericamente di altri problemi. Forse avrebbe dovuto essere più specifica, perché quelle donne iniziarono subito a riversarle addosso una questione dopo l’altra, senza nemmeno darle il tempo di ragionare sulle cose dette.

“Manca l’elettricità.” “E il riscaldamento.” “I generi di prima necessità hanno prezzi sempre più alti.” “Tanto che ho dovuto ridurre le porzioni di mio figlio, voi mi dite se vi sembra giusto?” “Le case sono vecchie e vanno ristrutturate, ma non si trova nessuno che lo faccia.” “La paga dei nostri mariti operai è sempre più bassa.” “Ora che ci penso, una volta la stagione delle piogge non era così umida…” “I fiori crescevano più belli…” “E il nostro principe è un menefreghista!”

Poteva bastare. La ragazza ragionò che, se i problemi che le presentavano quelle persone le venivano posti in quel modo, non sarebbe mai riuscita a trovare una possibile soluzione. Si stava sentendo soffocare e la testa le faceva male. Sussurrò al bambino che stava stretto a lei e si premeva le mani sulle orecchie: “Kain, andiamo via”, poi interruppe la fiumana di informazioni sconnesse che le stavano arrivando. “Credo di aver capito, più o meno. Rifletterò bene su quello che mi avete detto e vi farò sapere.”

Senza aspettare una loro reazione, afferrò Kain per la mano e lo trascinò quasi di corsa via di lì, infilandosi in una stradina che portava in uno dei quartieri, mentre le donne, che non si erano neanche accorte che Kairi si era allontanata, continuarono a parlare fra loro e a cianciare di questo o di quello.

Appena girato l’angolo, la ragazza si fermò col bambino di fianco, ansimando sfinita.

“Ve l’avevo detto di non fermarvi, Kairi”, la ammonì Kain, incrociando le braccia.

“Ma è assurdo”, protestò Kairi. “Come possono sperare che dia loro una mano, se si comportano così?”

“Perché loro sono così”, le spiegò Kain. “Il popolo non ha un grande cervello, non bisogna pensare che siano al pari nostro. Io lo so.”

“Adesso basta, Kain”, lo interruppe Kairi, arrabbiata. “Non devi parlare in questo modo dei nostri sudditi. Sono quelli che abbiamo il compito di aiutare e proteggere, non puoi trattarli come se fossero degli stupidi.”

Kain la guardò imbronciato. “Ma è la verità… sennò perché hanno fatto così?”

“Erano solo un po’ confusi ed emozionati per avermi incontrata, tutto qui”, alzò le spalle Kairi. “Dai, un po’ con qualcuno dei sudditi ho parlato. Qualcosa sono riuscita a capire, ma ho bisogno di approfondire, sennò non sarò mai in grado di aiutarli. Intanto vuoi mostrarmi un po’ questa parte della città, Kain, visto che ci siamo?”, aggiunse conciliante. Quel bambino le stava simpatico, e non aveva voglia di rimanere a lungo in discordia con lui.

“Oh, sì!”, esclamò Kain, rallegrandosi. Si era già scordato la piccola discussione appena avuta con la ragazza, e le prese la mano in modo molto galante. “Venite, vi faccio vedere il quartiere più vicino.”

“Quanti quartieri ci sono in città?” iniziò ad informarsi Kairi.

“Quattro”, rispose subito Kain. “Quello che vi faccio vedere oggi è quello sud-est.”

“Sì chiama proprio così? Che strano nome per un quartiere…”

“Poi ci sono il quartiere nord, est e sud-ovest”, elencò Kain. “Questo qui che vi faccio vedere è il più bello.”

Tenendola stretta per la mano, il bambino iniziò a guidarla per l’intrico di vicoli in cui si trovavano, fino a finire su una stradina un po’ più larga, su cui iniziavano ad affacciarsi le abitazioni. Kairi esaminò con attenzione tutto ciò che vedeva mentre camminavano. La strada lastricata di mattonelle era regolare e ben tenuta, senza pietre rotte o con grossi dislivelli, e anche le case che si susseguivano sulla strada, benché ammassate fra di loro, non davano un’idea di oppressione o di spazi troppo angusti. Quelle donne di prima avevano detto che le case erano vecchie e bisognose di ristrutturazione, ma a lei non sembrava proprio che queste qui fossero decadenti. Anzi, i tetti spioventi avevano tutte le tegole, i tubi della grondaia erano ben assicurati e facevano defluire l’acqua senza problemi, e le finestre sbarrate avevano i loro vasi decorati, che probabilmente nella bella stagione dovevano essere pieni di bei fiori, ma ora erano vuoti e zuppi d’acqua. Alcune case, più grandi delle altre, avevano addirittura un pezzetto di giardino sul davanti, anche se ora era tutto un pantano pieno di fango. Per le stradine non c’era nessuno, vista la pioggia e la temperatura non favorevole, ma Kairi non riuscì proprio a riscontrare in quelle viuzze il malessere generale che quelle donne le avevano descritto, né quelle che suo padre le aveva accennato. Anzi, a ben guardare, in alcune finestre la luce era perfino accesa. Dunque?

Aveva bisogno di parlare con qualcuno. Non poteva chiedere a Kain delucidazioni su quanto aveva appena visto, lui era troppo piccolo per poterle dare un quadro completo. Se almeno avesse visto qualcuno in giro… ma le strade erano deserte, i bambini dovevano essere a scuola, gli uomini al lavoro, e le donne forse erano rintanate in casa per sfuggire all’umidità. Solo dopo aver girato il quartiere un altro po’, Kairi vide la porta di una bottega al pianterreno lasciata socchiusa. Strinse più vicino a sé Kain. “Adesso entriamo lì, voglio un po’ parlare col proprietario”, gli disse. Chiuse l’ombrello e bussò alla porta, entrando poi con discrezione. “E’ permesso?” Rimase stupita da quello che vide. Da fuori le era sembrata una piccola bottega grande poco più di un garage, ma dentro si rese conto che l’ambiente era molto più spazioso. Le luci erano tutte accese e l’elettricità non sembrava avere problemi. I muri erano rivestiti di scaffali impilati di panni e stoffe, e tutt’attorno erano disposti in ordine dei bancali a cui stavano sedute delle donne che cucivano, concentrate nel loro lavoro. Kairi ne contò più o meno una ventina. Prese com’erano da quello che stavano facendo, nemmeno si accorsero che lei e Kain erano entrati. Ma il proprietario, un signore sui cinquant’anni, vestito con cura, la notò subito.

“La futura principessa! Siete passata nel nostro laboratorio! Che grande onore per me!” esclamò con calore. Le andò vicino e si inchinò con rispetto.

Anche le donne al lavoro alzarono gli occhi e fecero per congratularsi con lei, ma il proprietario, con un tono molto diverso da quello usato con Kairi, le riprese: “non distraetevi, continuate a lavorare!”, al che le operaie obbedirono immediatamente. Si rivolse poi, con un gran sorriso, a Kairi. “Ho assistito ieri alla vostra presentazione. Che devo dire, signorina, tutti noi siamo felicissimi che siate tornata a casa, e siamo ansiosi di vedervi presto prendere il vostro posto di principessa.”

“E’ proprio per questo che sono entrata”, spiegò Kairi. “Come sapete, sono arrivata solo ieri, e avrei bisogno che qualcuno mi spieghi un po’ come funzionano le cose qui.”

“Certamente”, annuì con gran piacere l’uomo, evidentemente lieto che Kairi avesse scelto proprio lui per quel compito. “Siete nel quartiere sud-est adesso, ed è sicuramente il quartiere più benestante del Radiant Garden. Intendiamoci, anche il quartiere sud-ovest è messo molto bene… ma noi siamo tutta un’altra cosa rispetto a loro”, aggiunse orgogliosamente.

Ora che c’era calma e si stava rivolgendo solo ad una persona che le forniva informazioni, la mente di Kairi registrò immediatamente le notizie: in quel quartiere non sembrava esserci niente fuori posto semplicemente perché dei quattro era il più ricco. E c’era forse del campanilismo tra i quartieri del Radiant Garden?

“E qual è il vostro lavoro, signore?”

“In questo quartiere vivono le famiglie più ricche del Radiant Garden. Intendiamoci, non siamo ricchi come voi aristocratici, ma non possiamo certo lamentarci. I commercianti della città vivono tutti qui intorno. Io mi occupo del commercio dei vestiti e delle stoffe, e come vedete grazie a me possono avere lavoro anche tutte queste persone”, spiegò, accennando alle donne che cucivano.

“Interessante”, annuì Kairi. Lontana com’era dai prodotti che venivano preparati, vide che alcuni di essi erano pregiati e di buona fattura, mentre altri erano di colori più spenti e fatti con stoffe di qualità inferiore. “E con chi commerciate, signore?”

“Oh, ci occupiamo di rifornire di vestiario e coperte tutto il Radiant Garden”, continuò il commerciante. “E ci occupiamo anche del commercio con le isole, ovviamente.”

“Le isole?” volle sapere Kairi. Aveva sentito parlare varie volte di queste isole del Radiant Garden, ma non aveva approfondito la questione, finora.

“Ma sì”, disse il commerciante, col tono di qualcuno che sta per affrontare un argomento sgradevole. “Sapete, la fascia più bassa della popolazione, costantemente ai margini della vita politica di questo regno. Non sono venuti neanche alla vostra presentazione, ve ne siete accorta, no?”

“Lo sapevo”, annuì Kairi. “Ma solo perché nessuno li aveva avvisati, suppongo.”

“Fidatevi, non sarebbe cambiato niente”, insisté il signore. “Pensate ai chocobo, per esempio. Sapete, quei grossi uccelli gialli che vivono nella foresta su una delle isole. Li avreste invitati, quelli?”

“Ma che paragoni sono…?” chiese Kairi con un filo di voce, sempre più sbalordita.

Kain alzò di scatto la mano. “Io lo so, io lo so! Gli animali non vengono a queste assemblee. E neanche i contadini.”

“Esatto, giovanotto”, annuì il commerciante, scompigliandogli i capelli in modo affettuoso.

Kairi decise che ne aveva abbastanza. Non sarebbe riuscita a stare dentro quel laboratorio un attimo di più. “Grazie mille per le informazioni che mi avete dato, ma adesso dobbiamo andare”, disse sbrigativa, affrettandosi a riprendere la mano di Kain.

“Potete passare quando volete, signorina. Sarebbe un onore per me potervi vendere le nostre stoffe migliori…” incominciò a dire con tono untuoso il proprietario, facendo inchini su inchini, mentre Kairi si apprestava a uscire. Ma, prima che girasse le spalle, una cosa catturò la sua attenzione: una delle operaie cercava nervosamente qualcosa. Cercava sul bancale, tra le pieghe del grembiule, per terra, ma non trovava niente. Chissà cosa stava cercando? Ma, con la sua vista giovane ed acuta, la ragazza notò, vicino ai piedi calzati in scarpe modeste della donna, un ago scintillante. Doveva esserle caduto e non poteva continuare il lavoro. Allora si avvicinò svelta, si piegò sulle ginocchia e chinò la fronte per raccogliere meglio l’ago, e lo porse alla donna che la guardava sbalordita.

“Prego, signora”, la invitò Kairi incoraggiante.

L’operaia la guardò boccheggiante per qualche altro momento, prima di sporgere la mano rovinata e tremante per prendere l’ago. Aveva un’espressione talmente sconvolta che non riuscì nemmeno a ringraziare. Kairi, perplessa, si guardò attorno. Tutte le altre donne avevano interrotto il lavoro e la fissavano sbalordite. Il padrone aveva una faccia che sembrava che il mondo si fosse capovolto, e Kain la guardava con aria di disapprovazione.

“Beh…” fece Kairi, iniziando a sentirsi a disagio. “Noi andiamo. Vieni, Kain.”

Si diresse verso la porta, afferrò la mano del bambino e lo trascinò fuori, sentendosi gli occhi di quelle persone ancora puntati addosso. Chiuse la porta con un gesto quasi liberatorio. Non ci voleva credere. Non poteva credere che quel commerciante – che probabilmente rispecchiava il pensiero dei suoi colleghi –, suo padre, e Kain pensassero tutti che dei cittadini avevano un certo valore ed altri valevano meno. Ed addirittura che tutti si sconvolgessero perché, per aiutare una donna, aveva chinato la testa di fronte a lei. Non le piaceva assolutamente questo modo di ragionare, e in quel momento decise che, pur con tutte le problematiche che il Radiant Garden poteva avere, quello in cui si sarebbe impegnata di più sarebbe stato l’abbattimento delle differenze fra i sudditi. Non tanto in benessere e qualità della vita: era ovvio che chi faceva certi lavori ed apparteneva a certi ceti sociali avesse un diverso tenore di vita. Ma non voleva che, solo perché uno aveva meno soldi e magari viveva ai margini del regno, venisse per questo considerato una persona di valore inferiore. Non poteva esistere che il lavoro rispecchiasse la persona. Il giorno che suo padre l’avesse nominata principessa del Radiant Garden, tutti i sudditi sarebbero stati presenti, nessuno escluso.

“Kairi, a cosa pensate?”, chiese Kain stupito, e Kairi si accorse che stava andando talmente veloce che se lo stava quasi trascinando dietro, allora rallentò l’andatura.

“A niente… ma mi vuoi spiegare qualcos’altro, Kain?”

Non aveva quasi finito di parlare che, da un portone di legno massiccio un po’ rialzato, a cui si accedeva per mezzo di alcuni scalini, uscì un uomo giovane, alto, con pantaloni e giacca neri, i capelli lunghi e castani e una cicatrice che gli attraversava la faccia. Kairi si fermò di colpo. Le sembrava di aver già visto quell’uomo. Il ragazzo la vide subito.

“Kairi!”, esclamò sorpreso. Si girò verso l’entrata della casa e chiamò. “Ehi, venite a vedere chi c’è!”

Subito una ragazza, che doveva essere poco più grande di Kairi, con i capelli corti e neri, uscì fuori e, emozionata, non prese neanche un ombrello per ripararsi dalla pioggia. Le andò vicino e le afferrò la mano con entrambe le proprie, dando quasi uno spintone a Kain.

“Kairi! Che piacere, che piacere rivederti! E’ davvero, davvero un piacere! Sono Yuffie, ti ricordi? Ti abbiamo visto ieri, sai? Eravamo nella piazza insieme a tutti gli altri cittadini, ed è stata una vera sorpresa quando abbiamo visto che eri tu.”

In tutto questo, non aveva smesso per un attimo di agitare il braccio di Kairi, che stava iniziando a sentirselo staccare dalla spalla. Anche quando finalmente le mollò la mano, ormai Kairi aveva preso talmente il via che continuò a sollevare ed abbassare il braccio come se l’altra glielo stesse tenendo ancora stretto. Allora Kain, che guardava la scena davvero divertito, ridendo le afferrò la mano per fermarla.

“Vacci piano, Yuffie”, commentò l’uomo, avvicinandosi.

“E voi siete…” iniziò Kairi, senza sapere come proseguire, visto che non si ricordava il nome di quello strano ragazzo sfregiato.

“Oh, lui è Squall”, si intromise Yuffie. “Una volta si faceva chiamare Leon, ma ora che è tornato nel suo mondo di origine ha ripreso a usare il suo vecchio nome, vero?”, chiese dando di gomito al fianco dell’uomo, che sembrava infastidito. “O meglio… noi lo chiamiamo col suo vecchio nome, indipendentemente da quello che vuole lui”, aggiunse con una risatina.

“E’ un vero piacere rivederti, Squall”, salutò cortesemente Kairi. “Adesso mi ricordo di te. Quella volta alla Città di Mezzo… vero?”

“Già”, annuì Squall. “Qualche anno fa.”

“Kairi!”, esclamò a quel punto una ragazza con lunghi capelli castani, un fiocco verde e vestita di rosa. “Che bello che sei passata di qui! Ma venite dentro, che fa freddo”, invitò.

La futura principessa, riprendendo la mano di Kain, seguì gli altri ragazzi dentro la casetta.

Dentro, la casa era talmene piena di cianfrusaglie che le diede un gran senso di disordine. Vide un uomo di mezza età, seduto al computer, biondo e con uno stecchino in bocca, un altro uomo, giovane, vestito di nero, alto e con gli stessi capelli a punta di Sora, però biondi; ed una donna, con i capelli lunghi e neri.

“Siete la figlia del nostro principe”, esclamò sorpresa la donna. “Kairi, giusto? Yuffie mi aveva parlato di voi”, e fece un breve inchino. “Io sono Tifa. Lo spilugone qui vicino a me è Cloud, e quest’altro è Cid.”

“Anch’io sono lieta di conoscervi”, disse Kairi, inchinandosi a sua volta.

“Avete portato anche Kain con voi?”, chiese Cloud, guardando il bambino. “E’ un po’ che non ti si vede in giro.”

“Non è colpa mia se sua maestà non esce più. E non posso andare in giro da solo. Ma adesso che c’è Kairi sarà tutto diverso!”, esclamò il piccolo, attaccandosi al braccio della ragazza.

“E’ stato un gesto gentile da parte di Ansem adottare Kain”, commentò Squall. “I suoi genitori sono morti un paio di anni fa, quando al Radiant Garden c’è stato un feroce attacco da parte degli Heartless.”

“Kain…” mormorò Kairi, scioccata. “Non sapevo che i tuoi genitori avessero fatto una fine così orribile…” E si chinò per abbracciarlo stretto.

“Ma io sto bene!”, cercò di tranquillizzarla il bambino. “E quando sarò grande, farò tutto quello che posso per far sì che certe cose non succederanno più!”

Kairi capì che si stava riferendo al suo futuro ruolo di principe, anche se, essendo in presenza di sudditi, si era guardato bene dall’accennare in modo esplicito la cosa.

“Sì, una volta questo mondo era una topaia!”, commento in modo grezzo Cid. “Non è che ora sia molto meglio, intendiamoci.”

“Sapete, Kairi, quando vostro padre ancora era lontano dal regno, siamo stati noi a cercare di prendere in mano la situazione e cercare di far riprendere a Radiant Garden un po’ del suo antico splendore”, spiegò Aerith

“Voi… voi avete preso in mano le redini del governo?”, chiese Kairi, impressionata.

“Già”, annuì Tifa, soddisfatta. “Nessuno di noi è un principe, ma siamo stati piuttosto bravi. Anche se abbiamo solo messo la prima pietra. Ora questo lavoro spetta ai reali. Non ci occupiamo più di queste cose, ma continuiamo a mantenere i contatti fra noi e a vederci regolarmente per discutere delle questioni del regno.”

“Così, in caso di problemi, potremo intervenire”, aggiunse Yuffie, grintosa. “Non ci sono più stati attacchi di Heartless ultimamente, ma in caso dovesse succedere, noi saremo pronti. Siamo esperti nel combattimento, e siamo in grado di ricevere qualunque nemico esterno.”

“Ma non dobbiamo dimenticarci dei cittadini”, disse Aerith. “E’ importante anche quello che facciamo con loro. Quando vediamo che il malcontento e l’odio verso il nostro principe supera un certo limite, cerchiamo di parlare con loro per calmarli. Penso che sia anche grazie a questo che non sia scoppiata nessuna sommossa, nel frattempo.”

Kairi era rimasta impressionata. Ecco delle persone che potevano veramente darle una mano: che conoscevano bene il Radiant Garden, i disagi e i problemi dei cittadini, gli altri problemi che il regno sicuramente aveva, esperti nel combattimento e che avevano già preso in mano il governo per un breve periodo di tempo. E, soprattutto, che non facevano parte dell’aristocrazia, quindi non avevano di sicuro quella visione fredda e distaccata dal popolo che aveva suo padre. Anzi, erano essi stessi parte del popolo, quindi quali persone potevano essere migliori di loro per iniziare a far fronte ai problemi del regno?

Ma Kairi non fece in tempo ad iniziare a chiedere ulteriori informazioni, che Aerith chiese: “cara… avete già visto come sta vostra nonna?”

Kairi si sentì mancare l’aria a quella domanda. Sua nonna… le ci vollero alcuni secondi perché riuscisse a concretizzare nella mente il pensiero che un tempo aveva avuto una nonna. Una figura nebulosa si materializzò nel suo cervello: ricordava vagamente l’immagine di una signora anziana, bassetta e un po’ curva, coi capelli grigi raccolti in una crocchia, un lungo abito viola col grembiule e gli occhi di un blu intenso come i suoi. Ed era accompagnata da un gradevole profumo di lavanda. Ma da quando era stata portata via dalla sua casa natale ed aveva iniziato la sua nuova vita, non aveva più pensato a lei. Forse perché aveva dato per scontato che nel frattempo fosse morta. Allora era ancora viva? E perché nessuno l’aveva avvisata?

“Dov’è? Dov’è lei adesso?” chiese affannata, impaziente di sentire la risposta, e nella foga strinse così forte la mano di Kain che il bambino gridò di dolore e si liberò dalla sua presa.

“Non vive qui”, rispose Tifa. “Sta in una casetta un po’ isolata, nel quartiere est. Ma non lo sapevate?”

“No…” boccheggiò Kairi. “Lei… non sa che sono qui?”

“Non credo…” mormorò Aerith. “Sapete, ormai è molto vecchia ed è quasi cieca per la cataratta. Non si interessa più della vita politica del regno, sta sempre tappata in casa perché la cecità le rende i movimenti molto difficili. E’ talmente isolata da tutti che dubito che qualcuno si sia preso la briga di andarla ad avvisare. Era una delle cose che avremmo fatto oggi, ma voi siete capitata prima che potessimo farlo.”

“E mio padre? Perché lui non l’ha avvisata?” riprese il fiato Kairi. Non voleva credere che il vecchio principe l’avesse tenuta all’oscuro dell’esistenza di sua nonna.

“Credo che tuo padre non abbia colpa, Kairi”, sospirò Cloud. “Lui e tua nonna non hanno mai avuto quasi nessun rapporto. Forse nemmeno si ricordava della sua esistenza, dopo essere tornato al suo regno. Non siate arrabbiata con lui, di certo non l’ha fatto di proposito.”

Kairi non stette a cercare altre spiegazioni. “Portatemi da lei, presto”, ordinò quasi, nonostante la gentilezza che l’aveva finora caratterizzata.

 

Il quartiere est era diviso dal quartiere sud-est da un ampio giardino, che partiva dalle mura del castello ed arrivava alle mura esterne della città, tagliando la capitale in due come il raggio di un cerchio. Si occupò Aerith di accompagnare Kairi, lei sotto il suo ombrello, Kairi e Kain sotto il loro, fino al limite del quartiere sud-est, per poi entrare nel giardino. Un grosso muro divideva le abitazioni dalla parte verde, con solo un’apertura munita di cancello a fare da collegamento, ed entrando Kairi si rese conto della grandezza e dell’imponenza esagerata di quel giardino, come doveva essere durante la bella stagione. Era immenso, con stradine acciottolate che tagliavano la terra, vi erano statue e sculture astratte sparse in giro, fontane ora spente ma comunque piene di acqua piovana, ed ovunque gradoni su gradoni, anch’essi pieni di terra e di aiole. Ora era tutto impastato e sporco di fango e di malta, ma Kairi giurò a se stessa che quando fosse tornato il bel tempo, avrebbe trascorso lì il suo tempo libero.

Le due donne e il bambino camminarono con cautela lungo le stradine, per evitare di imbrattarsi troppo le scarpe, fino a raggiungere il muro opposto con il cancello che portava nel quartiere est. Aerith ne approfittò per spiegare a Kairi di cosa si trattava: il quartiere est era meno claustrofobico di quello sud-est, era composto da strade più grandi, ed erano frequenti le aiole e i giardini.

“Gli abitanti di quel quartiere sono meno benestanti di quelli del quartiere dove viviamo noi”, spiegò. “Ma hanno comunque un tenore di vita soddisfacente. Hanno un forte gusto del bello, e ci sono vere e proprie gare fra le famiglie per decidere chi ha il giardino più decorato. Quando è primavera c’è anche una fiera in questo quartiere, che culmina con una gara in cui le varie famiglie partecipanti si sfidano fra loro per farsi valutare il giardino. I lavori più diffusi sono due: gli operai lavorano nell’impianto di depurazione delle acque che sta sotto la città, e gli altri si occupano della manutenzione e della cura dei giardini di tutta la capitale.”

“L’impianto di depurazione è statale o privato?”, volle sapere Kairi.

“Statale. Ma ultimamente le cose non vanno bene: i cittadini non pagano le tasse, così anche le paghe degli operai non sono più sufficienti. Così le famiglie sono sempre più frustrate e pagano ancora meno, ed è tutto un circolo vizioso”, spiegò Aerith tristemente.

Kairi annuì. Avrebbe pensato anche a questo. Ma prima voleva rivedere sua nonna. Si sentiva il cuore pulsare nelle orecchie e il corpo tremare, tanto che strinse così forte la mano di Kain che allentò un po’ la presa solo quando arrivarono alle sue orecchie le proteste del bambino.

Aerith aveva ragione: nella bella stagione il quartiere est doveva essere stupendo: Kairi vide che le case erano grandi, disposte in bell’ordine, ognuna col suo pezzo di terra sul davanti. Alcune l’avevano più grande ed altre più piccolo, a seconda dello spazio disponibile, ed ora erano solo pantani di fango, ma Kairi si rese conto, anche solo per com’erano decorate e curate le case, che gli abitanti dovevano tenere molto all’estetica delle loro abitazioni. Addirittura c’era una gara, in primavera, in cui le famiglie si sfidavano per il giardino più bello? Camminando sui ciottoli bagnati, alla ragazza iniziarono a tornare man mano in mente alcune cose della sua infanzia. Provava una sensazione strana: era come una parte buia della sua mente che si rischiarava. Le sembrava di riconoscere certi scorci, alcuni particolari delle case, delle prospettive… anche se in giro non c’era nessuno, riconobbe con chiarezza anche le abitazioni di alcune famiglie.

“Riconosco quella casa!”, esclamò all’improvviso, fermandosi, ed indicando una bella casetta col giardino tutt’intorno. “Lì abitava quella signora così gentile che mi regalava sempre le caramelle all’orzo…”

“Sì”, annuì Aerith. “Vi ricordate bene. Quando ero piccola e passavo di qui, regalava sempre qualche dolcetto anche a me.”

“Allora andiamo a chiedergliene altri adesso? Ho fame!”, propose Kain, davvero interessato.

“Adesso no, abbiamo una cosa più importante da fare. Dopo”, lo calmò Kairi.

Da lì in poi, Kairi non ebbe più bisogno che Aerith le indicasse la strada: la casina di sua nonna era un po’ isolata dalle altre, più piccola, con il suo bel giardinetto. Quando la ragazza aprì il cancelletto, si bloccò per l’emozione, ed iniziò a tremare.

“Cosa c’è, Kairi? Siete emozionata?”, le chiese gentile Aerith.

Kairi provò a negare, ma la donna più grande sembrò comprendere. “Aspettate, vado a suonare io. Così per voi sarà più facile.”

Si avvicinò alla porta di legno e suonò il campanello, e dopo pochi istanti Kairi sentì dentro un passo strascicato ed affaticato che aveva qualcosa di familiare. La porta si aperse e alla ragazza quasi si fermò il respiro. Eccola lì, sua nonna. Vecchia, piccola e curva. Quando la vedeva da bambina le sembrava alta ed imponente, ma ora si rese conto che era davvero bassa. Forse, per quanto la vecchiaia l’aveva rattrappita, ora le arrivava alle spalle o poco più. Indossava un vestito sobrio, con la gonna che arrivava fino ai piedi, un grembiule bianco, aveva i capelli ormai bianchi legati in una crocchia e gli occhi che spuntavano fra le rughe della faccia, una volta di un blu vivace, erano ora coperti da una patina biancastra.

“Sei tu, Aerith? Ho riconosciuto i tuoi passi…” disse incerta la vecchietta, tendendo la mano rugosa e ossuta, tremante per la vecchiaia.

“Sì, signora, sono io”, rispose la donna, prendendogliela. “Sono passata per vedere come state. Posso entrare?”

“Entra, entra”, la accolse con calore la vecchia, facendosi da parte. “C’è qualcuno con te, cara? Ho sentito altri passi oltre ai tuoi…”

“Sì, c’è una… amica, con me. Può entrare anche lei?”

“Casa mia è casa anche vostra”, assentì la vecchietta, ma quando Kairi fece qualche passo verso di lei per dirle qualcosa, la nonna piegò la testa, intristita. “Oh, la mia nipotina faceva proprio questo rumore quando appoggiava i piedi…” Con una mano si asciugò gli occhi imbiancati, e disse, cercando di mantenere il tono fermo: “Ma è passato tanto tempo ormai, le speranze e i sogni di una povera vecchia fanno brutti scherzi… come ti chiami?” chiese a Kairi, guardandola in viso ma senza riconoscerla, perché ormai non ci vedeva quasi più.

Kairi, sopraffatta dall’emozione, deglutì senza riuscire a rispondere.

“Cara, per favore, dovresti parlare…” insisté gentilmente la nonna. “Purtroppo non riesco quasi a vederti, quindi dimmi qualcosa…”

A quel punto la gola della ragazza si sbloccò, anche se con fatica. “Nonna…” riuscì a buttar fuori.

Il corpo dell’anziana donna iniziò a tremare, e lei dovette appoggiarsi al muro. “Questa assomiglia un po’ alla voce di Kairi… ma non può essere davvero Kairi…”

La ragazza si rese conto di quanto la cecità avesse reso fine il suo udito. Non poteva credere, infatti, di avere una voce simile a quella di quando aveva quattro anni, eppure sua nonna era riuscita a riconoscerla.

“Sono io, nonna”, ripeté. “Sono Kairi.”

La nonna allora, col viso sconvolto, allungò le braccia per toccarle la faccia e i capelli, facendo scorrere i ciuffi tra le dita, come a poterli riconoscere dal tatto. Kairi rimase impietrita sul posto, senza fiatare, mentre l’anziana donna continuava ad ispezionarla con le mani.

“Sei Kairi, sei proprio Kairi!” concluse con la voce rotta quando ebbe finito, e le due donne si buttarono le braccia al collo, stringendosi forte. “Sei viva, allora! Sei tornata, mia cara bambina! Avevo quasi… perso le speranze…”

Kairi sentì di nuovo nel naso un odore inconfondibile, l’odore della lavanda che la nonna chiudeva nei sacchetti e metteva poi nei cassetti della biancheria. Avrebbe voluto stringerla ancora più forte, ma temeva di farle male, visto quanto ora era anziana e fragile. Le veniva da piangere, ma riuscì a trattenersi: aveva già versato tante lacrime i giorni e le settimane prima, e per motivi che erano legati ad avvenimenti tristi. Ora era intenzionata a non farlo, ed era decisa a non farlo più, non per un momento come quello, che voleva rimanesse gioioso e basta. Ma, staccandosi dalla sua anziana parente, si rese conto che lei non si era trattenuta affatto: i suoi occhi non vedevano, ma erano pieni di lacrime, che scendendo le rigavano le guance rugose.

“Riesco a distinguerti a malapena, Kairi… ma come sei cresciuta… sicuramente devi essere bellissima”, singhiozzò toccandole la guancia.

“Lo è, signora”, intervenne Aerith, che si era emozionata anche lei. “Dovreste vederla, è senza dubbio una delle ragazze più belle della città.”

“Non avevo dubbi, non avevo dubbi”, disse allora contenta la nonna. “Grazie, Aerith, di avermela riportata. Desideravo tanto riaverla accanto a me, nella mia vecchiaia, era tutto ciò che volevo…”

“E’ stato un piacere, per me. Ascolta Kairi, se vuoi… posso accompagnare io Kain a casa. Penso che voi due abbiate molte cose da dirvi”, suggerì Aerith.

“Sì, grazie, mi faresti un favore”, annuì Kairi. Si rivolse poi a Kain, che stava già iniziando ad annoiarsi. “Ti riporterà a casa Aerith, va bene? Stai un po’ con mio padre, poi oggi pomeriggio faremo un altro giro. Digli che sarò al castello per l’ora di pranzo.”

Kain, alla prospettiva di un’altra passeggiata con Kairi, non ebbe niente da ridire, e seguì docile Aerith fuori dalla porta.

“Vieni, Kairi, vieni a sederti”, la invitò la nonna con la voce tremante e, anche se Kairi ci vedeva e lei invece era quasi cieca, la prese per mano e la guidò verso il salotto, piccolo e raccolto, in cui c’erano due poltrone un po’ logore. Guardandole, a Kairi tornò in mente tutto.

“Questo è… il soggiorno dove giocavo da piccola quando fuori pioveva…” mormorò, guardandosi attorno con gli occhi spalancati mentre i ricordi le tornavano via via. “E su questa poltrona qui… mi sedevo sempre io.”

“Esatto”, annuì la nonna. “Anche se eri piccola, non volevi mica il seggiolino come facevano tutte le bambine della tua età. Tu volevi stare seduta in una bella poltrona, come i grandi. In tutti questi anni, non ho mai voluto toglierla, perché ho sempre avuto la speranza che un giorno saresti tornata.”

Kairi, profondamente toccata, andò allora a sedersi al suo vecchio posto, mentre la nonna occupò l’altro. La ragazza rimase a fissare il tappeto consunto, gli scaffali pieni di oggettini di legno, i quadri di paesaggi alle pareti, mentre sentiva la pioggia continuare a battere leggera sulla finestra.

“Dimmi, bambina mia, cos’hai fatto in tutti questi anni… e come mai sei tornata solo ora?”

Kairi rifletté su cosa raccontare alla sua anziana parente. Dirle che aveva combattuto contro un potentissimo maestro del Keyblade? Che lui era riuscito quasi ad ucciderla? Che qualche anno prima aveva perso il suo cuore? No… alla poveretta non avrebbe retto il cuore a sentire che alla nipote erano accadute certe cose. Meglio andarci piano. Le raccontò quindi solo la parte più lieta della sua vita, ossia che era stata portata in un altro mondo composto da isole tropicali, che lì era stata adottata, si era fatta molti amici ed aveva vissuto un’infanzia felice.

“Quando sono arrivata lì mi ricordavo solo il mio nome e nient’altro, per questo non sono mai venuta a cercarti in tutti questi anni, nonna…” si sentì in dovere di precisare.

L’altra annuì. “Non c’è bisogno che me lo dici, non sono arrabbiata con te. Se non sei mai tornata a casa, hai di sicuro avuto i tuoi motivi.”

“E adesso sono di nuovo qui perché… beh, Ansem è venuto da me per rivelarmi quello che non mi ricordavo, ossia che è mio padre e che il mio posto è sul trono di questo regno. E così ho accettato di seguirlo. Se tutto va bene, fra qualche mese sarò la principessa del Radiant Garden, e quando avverrà, voglio che tu stavolta venga alla cerimonia, nonna. Anche se non potrai vedermi, potrai sentirmi.”

La nonna si asciugò allora gli occhi pieni di rughe. “Ah, Kairi… lo sapevo che il tuo destino sarebbe stato questo. E dire che tuo padre quando eri piccola non ti badava mai… ti lasciava sempre a me, lui era troppo occupato dai suoi studi. Non ho una buona opinione di lui, anche per quello che ti ha fatto.”

“Sì, ma io non sono tornata per fare un piacere a lui, ma perché voglio avere a cuore questo popolo ed aiutarlo il più possibile”, rispose Kairi, convinta. “Nonna, ascolta, perché non lasci questa casetta e vieni a vivere nel castello? Staresti più vicina a me, ed avresti molte comodità che qui non hai.”

Ma la vecchietta scosse la testa. “Sei molto gentile, bambina, ma ormai sono troppo vecchia per cambiare le mie abitudini. Ho sempre vissuto in questa casa e voglio continuare a viverci, non potrei mai trasferirmi nel castello. E poi, adesso che ci vedo così poco, vivere in un ambiente che conosco bene per me è meglio.”

“Allora ti verrò a trovare tutti i giorni, nonna, vuoi?” propose Kairi.

“Oh, sì”, si rallegrò la nonna. “Sono sempre così sola… so che avrai molto da fare, ma se potrai stare un po’ con me quando hai tempo, mi farebbe molto piacere.”

“Verrò di sicuro”, la tranquillizzò Kairi. “E tu cos’hai fatto in tutti questi anni, nonna cara?”

“Cosa ho fatto io…? Beh, nipotina, ho vissuto la mia vita di sempre. Con tutte le mie abitudini che ho costruito negli anni. Non è cambiato proprio nulla. Tranne una cosa: ho continuato a sperare di poterti rivedere, prima di morire”, sorrise la nonna. “E vedo che sono stata ripagata.”

Kairi divenne pensierosa a quella risposta: quello che le aveva detto sua nonna le ricordava qualcosa. Era proprio la situazione in cui si trovava lei ora. Tranne per il fatto che lei stava cercando di smettere di sperare. Forse perché lei era meno forte della sua anziana parente? O forse per evitare di soffrire troppo? Non sapeva se rivelarle il suo segreto, ma alla fine si decise: quella era l’unica sua parente rimasta, a parte suo padre. Era la donna che l’aveva cresciuta, accudita e l’aveva consolata quando piangeva e aveva paura. Anche se ora aveva quasi diciassette anni, Kairi sentì di nuovo il bisogno della sua vicinanza e del suo supporto. Forse, restando sul vago, almeno a lei avrebbe potuto aprirsi per avere un consiglio, e forse anche solo confidarsi l’avrebbe fatta stare meglio, in fondo la nonna aveva vissuto la sua stessa situazione.

“Ascolta, nonna… volevo dirti una cosa… che mi fa stare male”, iniziò incerta.

“Cos’è che ti fa stare male, tesorino?”, le chiese subito preoccupata la vecchietta.

“Pensa, nonna… di essere innamorata di un ragazzo. Fin da quando sei piccola, perché vi siete incontrati quando eravati bambini. Cresci insieme a lui, quando siete diventati grandi decidete di stare insieme, ma lui ti viene portato via e non c’è nessun modo di riaverlo indietro… come ti sentiresti? Cosa faresti?” Non sapeva bene come mettere tutta la faccenda, se essere più precisa o meno. “Forse… non mi sono spiegata bene, non so.”

“No, tesoro, ti sei spiegata bene. E’ una cosa che ti è successa?”

“Sì…” mormorò Kairi.

“E mi dici che questo ragazzo non è morto, è solo lontano da te? E che non c’è modo di riportarlo indietro?”

“Esatto”, annuì la ragazza.

“Hai provato a fare di tutto per poterlo salvare? E nonostante questo, non c’è stato niente da fare?”

“Sì. E’ per questo che sono così disperata, anche se non sembra. Cerco di tenermi sempre occupata in modo da non dover pensare, è per questo in realtà che ho accettato di tornare”, spiegò Kairi, sentendo che stava iniziando a piangere. Non c’era niente da fare. Non poteva affrontare quell’argomento senza sentirsi trafiggere il cuore. “Ho fatto, ho fatto, ma non è servito a niente. Non sono riuscita a riportarlo a casa con me, e io… senza di lui, mi sento così vuota… non ci dormo la notte… come posso andare avanti così, nonna?” Si coprì la faccia con le mani, piangendo e bagnandosi i palmi di lacrime, mentre cercava disperatamente di darsi un contegno, col solo risultato di far aumentare i singhiozzi invece di farli calare.

La nonna allora, nonostante i suoi acciacchi, al sentire il pianto della nipote si alzò prontamente ed andò a sedersi vicino a lei, nonostante lo spazio fosse stretto, abbracciandola forte.

“Povera bambina mia… si vede che lo ami davvero tanto” la confortò. “Posso dirti una cosa, nipotina: quando hai fatto tutto il possibile per poter riavere indietro questo ragazzo, e nonostante questo non ci sei riuscita, non hai niente da rimproverarti. Se c’è anche solo una possibilità, allora quello che devi fare è continuare a provare. Ma se hai fatto tutto quello che hai potuto e non puoi fare altro, allora l’unica cosa che puoi fare è aspettare.”

Kairi tirò su col naso ed abbracciò anche lei sua nonna. Le venne in mente che quello era stato lo stesso identico discorso che Sora aveva fatto quella volta a Chirity, prima di riportarlo da Ventus. Erano frasi logiche, che avevano senso, ma…

“Ma non ha senso aspettare, nonna… lui non tornerà… non importa quanto aspetterò… lui non tornerà mai più”, scosse la testa, sentendo altre lacrime che le facevano bruciare gli occhi.

“Perché non dovrebbe riuscire a tornare? E’ forse morto, per caso?”

“No… ma non cambia molto… in passato è stato separato da me altre volte, e siamo sempre riusciti a riunirci, ma questa volta è diverso”, disse la ragazza, affranta.

“Ricorda, Kairi, solo i morti non possono tornare. Se è riuscito a tornare da te altre volte, allora ci riuscirà ancora un’altra volta, se ti ama”, sorrise la nonna. “Perché ti ama, vero?”

“Sì, mi ama da morire”, assentì Kairi. In tutti i sensi. “E anch’io…”

“Allora, tesoruccio, non devi essere triste”, le disse la nonna con tono più allegro. “Se lui ti ama come dici, e come sembra che sia, troverà il modo di tornare da te. Sai, io conosco leggende di tanti mondi, non solo del nostro, e so che esistono addirittura delle isole dove crescono frutti gialli a forma di stella. Ecco, si dice che se due innamorati si imboccano l’un l’altro con questo frutto, saranno uniti per sempre. Ma non serve avere per forza una leggenda alle spalle, basta anche solo la volontà di stare insieme.”

“Nonna, io… ho vissuto su quelle isole che dici, quel ragazzo era di lì. E ci siamo scambiati due frutti, prima che… prima che…”, e non riuscì a proseguire, riprendendo a singhiozzare. “Ma le leggende sono solo leggende, questa è la verità.”

“No, Kairi, questo non è vero. Cosa ti ho insegnato quando eri piccola? Dietro ogni leggenda c’è un fondo di verità. Adesso che so anche questo, te lo posso dire con sicurezza: un giorno voi due vi rincontrerete”, le disse serenamente la vecchietta.

Kairi la guardò con gli occhi blu spalancati ed arrossati. “Ne sei davvero sicura, nonna? O lo dici solo per consolarmi?”

La nonna si poggiò una mano sul petto. “Ne sono sicura. Puoi fidarti di quello che dico.”

“Ma quando pensi… che accadrà?”

“Questo non posso saperlo, tesoro”, rispose però la nonna. “Potrebbe essere domani. Potrebbe essere fra un anno. O fra dieci, o venti. Ma ne sono sicura, come sono sicura che in questo momento fuori sta piovendo. Tu vivi la tua vita serenamente, cerca di essere una buona principessa e di portare la felicità a questo popolo allo sbando, e vedrai… te lo ritroverai davanti quando meno te lo aspetterai”, le disse incoraggiante, accarezzandole il viso. “Non è successa la stessa cosa con me? Quando ti hanno portata via da me, ho continuato con la mia vita e a fare le mie cose, ma non ho smesso mai per un attimo di sperare che saresti tornata. E oggi, eccoti qui. Con lui succederà uguale”, le sorrise. Allora Kairi, smettendo di piangere, le sorrise di rimando rasserenata, anche se non sapeva quanto la vecchietta riuscisse a vederla. “E adesso soffiati il naso, su”, aggiunse la nonna porgendole un fazzoletto di stoffa ricamato.

Kairi obbedì, sentendosi un po’ più leggera rispetto a prima. La sofferenza era ancora grande, anzi, le sembrava che al suo cuore mancasse proprio un pezzo che le era stato brutalmente strappato, e ancora le sanguinava copioso, ma un sottile fascio di luce di speranza, con cui sua nonna l’aveva appena illuminata, stava cercando di arginare un po’ quel dolore che sentiva. Avrebbe fatto come la nonna le aveva detto: si sarebbe dedicata anima e corpo al Radiant Garden, al popolo e alla soluzione di ogni problema che si fosse presentato. Da quel momento in avanti, il benessere e la felicità dei suoi futuri sudditi per lei sarebbero stati al primo posto. Nonostante Sora le avesse detto molto chiaramente che non doveva mantenere viva la speranza di rivederlo, addirittura di sposare un altro uomo, per smettere prima di soffrire, decise invece di fare come la sua anziana parente le aveva saggiamente detto: fare ciò che si era prefissata nella vita, senza però mai lasciar spegnere nel cuore la speranza di rivedere il suo innamorato, ed avrebbe continuato a scrivergli tutto quello che pensava, per mantenere vivo il loro rapporto anche se non poteva vederlo né sentirlo.

“Nonna, ti ricordi quella leggenda che mi raccontavi sempre? Me la racconti ancora una volta?”, le chiese speranzosa. Adesso che era entrata di nuovo nella sua vecchia casa, tutto quanto le era tornato alla mente. Ma quella storia, benché la conoscesse parola per parola, voleva sentirla ancora. In quel momento ne aveva bisogno.

“Ancora, cara?” sospirò la nonna, anche se si capiva che non ne era infastidita.

“Sì, per favore…” insisté Kairi.

“Bene, allora. Molto tempo fa, le persone vivevano in pace…” iniziò a raccontare la vecchietta. Kairi rimase ad ascoltare, presa dal tono di voce che la nonna utilizzava nei suoi racconti, che non era cambiato per niente rispetto a tredici anni prima. Forse faceva solo un po’ più fatica a parlare. Si emozionò una volta che fu arrivata alla fine: tutto quello che le aveva detto la nonna le sembrava una metafora sul suo rapporto con Sora. Ora doveva continuare a credere e sperare, e un giorno si sarebbero rivisti, come la sua anziana parente le aveva predetto.

“E’ davvero una bella storia, nonna, mi ha fatto tanto bene risentirla. Ne conosci altre, vero?”

“Sì, il Radiant Garden ha tante leggende, tesoro. Noi della città ne abbiamo molte, ma i contadini sulle isole ne hanno ancora di più. Ogni tanto una leggenda meno significativa delle altre muore nell’oblio, ma altre, quelle che hanno per protagoniste persone e vicende grandiose, quelle non moriranno mai. Chissà se in futuro ne nasceranno altre, in aggiunta a quelle che abbiamo già?”

“Deve esserci prima una persona più grande ed importante delle altre perché possa nascerci attorno una leggenda”, aggiunse Kairi.

“Mmmh… hai in mente qualcuno, tesoro?”, chiese la nonna.

“Beh… mio padre è stato principe di questo regno per tanto tempo. Forse lui”, suggerì.

La nonna stranì un momento l’espressione, poi fece una breve risata divertita. “Molto bene, Kairi, ho capito la battuta. Ma adesso è ora di pranzare. Vuoi restare con me?”

Kairi guardò fuori dalla finestra. C’era un po’ di foschia, ma sembrava aver appena smesso di piovere. “Mi piacerebbe, nonna, ma ho promesso a mio padre che sarei tornata per pranzo. Tornerò domani a trovarti, va bene?”

“Sì, tesoro. Passa, quando hai tempo. Hai rallegrato la mia vita, tornando qui. Vedrai, illuminerai anche quella di tutti gli altri abitanti”, la abbracciò la nonna.

Kairi rifletté su quelle parole ed aspettative che le risuonavano nelle orecchie, e con un ultimo abbraccio si congedò dalla sua vecchia parente, incamminandosi poi per tornare al castello.


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Brevi appunti: ebbene sì, in questa fan fiction c’è Cloud. Lo so che teoricamente non dovrebbe esserci perché KH2 chissà dove l’ha portato, ma è stato un sipario che non è stato mai risolto. Speravo che il re:mind desse finalmente una risposta su dove fosse finito quel pover’uomo, invece Nomura se n’è strafregato. Allora coccone stai a sentire: i tuoi buchi di trama risolviteli da per te, io se me li metti e poi non li risolvi li ignoro e pace.

Poi c’è da fare un appunto su un concetto che d’ora in poi sarà sempre presente. Nelle interazioni col popolo, vediamo Kairi parlare con molte persone diverse. Queste persone però saranno identificate o con la loro professione, o dalla loro appartenenza sociale, o da altri particolari. A parte i personaggi di FF, nessuno dei sudditi avrà mai un nome proprio, questo per una scelta precisa: ossia il popolo (come nel Principe) è visto come una massa, non come un insieme di individui. Anzi, il popolo stesso è come un personaggio, buono o cattivo a seconda delle circostanze.

Ansem si sta rilevando un personaggio un po’ ambiguo. In questa storia ci sarà molta ambiguità da parte di chi comanda (a parte Kairi, perché il suo personaggio non lo permette), ed anche se un principe vuole come obiettivo finale il bene del suo popolo (lo scopo di essere un principe è proprio questo, essere al servizio dello stato), non è detto che abbia una buona opinione o fiducia nello stesso. Specie se è formato da una massa di gente che appena le cose vanno male ti si rivolta contro. Ansem in particolare mi sembra molto adatto per questo ruolo, anche se il suo stato di principe ormai odiato dal popolo non gli consente libertà di manovra: ha mantenuto questa ambiguità da “fine giustifica i mezzi” (anche se brrr, Machiavelli non ha mai scritto questa frase) per tutta la serie di giochi, e ho deciso di mantenerla, un po’ annacquata, anche qui. Anche se questa sua visione comprende solo il popolo generico, e ne è esclusa la sua famiglia. Comunque più avanti approfondirò il suo modo di ragionare, che non è poi così sbagliato.

Per quanto riguarda la nonna di Kairi: sentivo che questa storia avesse bisogno del suo personaggio, perché è Kairi stessa ad avere bisogno di lei. E’, diciamo, l’unico personaggio a poter entrare in empatia con lei, e a livello di sentimenti la sua unica parente e l'unica con cui si possa confidare. Ansem è suo padre ma, se avete notato, non le è vicino col cuore, ma più in modo “professionale”.

Un appunto sulla “coppia” di questa storia: sarebbe bello (per dire…) che da adesso in poi Kairi pensasse solo al RD e basta, senza più distrazioni. Purtroppo il ricordo di Sora continuerà a tormentare questa povera ragazza, perché io penso che una separazione così brutale nemmeno in anni e anni si riesca a superare. Quindi, anche se di fatto, a livello pratico, non c’è come coppia nella storia (è un po’ impossibile trattare una coppia quando manca uno dei componenti), a livello spirituale comunque rimane, perché Kairi manterrà sempre vivo questo legame, lei è un personaggio che per sua natura non può vivere senza il compagno. Non c’è Kairi senza Sora (e viceversa), e quindi anche se lui non c’è nella narrazione la loro coppia comunque in qualche modo si mantiene. Perché sì, questa è una storia a sfondo politico, ma i sentimenti dei personaggi saranno comunque in primo piano, e non ci saranno solo vicende inerenti al governo e basta.

Al prossimo aggiornamento, spero di non metterci troppo tempo!

   
 
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