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Autore: LilithGrace    18/04/2020    1 recensioni
"Ci sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare".
(Oriana Fallaci)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dick Grayson, Jason Todd, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le prime luci dell’alba mi fecero sobbalzare e con grande sorpresa mi trovai ancora stretta tra le braccia del nuovo pazzo criminale di Gotham. Avevamo passato tutta la notte insieme.
“Perché sei così arrabbiata con me?”, mi chiese a bruciapelo.
“Da quanto sei sveglio?”
“Da un po’…”, sussurrò accarezzandomi i capelli.
Mi voltai verso di lui: “Sono arrabbiata con te perché mi hai lasciata sola quando avevo bisogno di te…” respirai profondamente “poi hai avuto la brillante idea di resuscitare”
Sorrise amaramente: “Pensi che per me sia stato facile?”
“Non lo so… Ancora non ho avuto occasione di chiedertelo. Com’è stato?”
“Non mi va di parlarne…”, si allontanò leggermente, quanto bastava per potersi mettere a pancia in su.
“Scusa…”
Mi guardò posando le sue iridi verdeazzurre su di me in un modo quasi dolce: mi guardava così quando voleva rassicurarmi dopo un piccolo litigio o quando facevo considerazioni o domande scomode. Si passò una mano tra i capelli e sbuffò fingendosi scocciato.  
Mi riavvicinai a lui, poggiando la testa sul suo petto e ripercorrendo con le dita alcuni dei segni rossi lasciatogli la notte precedente: “Almeno non fumi più”.
“No, quello no… che poi non avevo il vizio, fumavo una volta ogni tanto”
Sorrisi soffermandomi con lo sguardo sulle sue labbra: “Giusto per andare controcorrente” e ci baciammo di nuovo. Ancora ed ancora, ricominciando da dove avevamo interrotto qualche ora prima.


Mi riaddormentai pesantemente, mi sentivo al sicuro ed in pace con me stessa. Finalmente.
Sentii bussare insistentemente alla mia porta.
Indossai velocemente la biancheria intima e il pigiama.
Andai ad aprire e mi ritrovai faccia a faccia con il dottor Stabler, il mio psicologo.
Lo feci accomodare: “Disturbo? Mi trovavo in zona e ho pensato di passare a trovarti e fare due chiacchiere…”, annuì semplicemente e prima di iniziare con lui una qualsiasi tipo di conversazione, con la scusa di volermi dare una sistemata, mi allontanai.
“Jason, non puoi stare qui...”, sussurrai al ragazzo ancora nudo sotto le coperte.
“Ormai ho scelto di riposare sempre qui”, mi rispose con la voce ancora assonnata.
“Ho visite...” cercai di svegliarlo scuotendogli un po’ le spalle. Fece finta di non sentire, ne ero consapevole. Sbuffai rassegnata: “Ok va bene resta, ma non muoverti di qui e non fare rumore, te ne prego…”

 Mi lavai velocemente, tornando poi dal mio ospite: “JayJay è piuttosto silenzioso, vero?”
“Già, è un pessimo cane da guardia…”
“Come stai? Ormai sono passati un po’ di anni dal nostro ultimo incontro… dalle foto sembra quasi che tu abbia voltato pagina”. Accusai il colpo.
Mi schiarii la voce: “Lei sa che non è così, come io so che lei mi sta psicanalizzando anche ora…”
Rise sottovoce: “Già… visto che lo sai, che ne dici di parlarne un po’ per bene senza i soliti giochini? Ormai sei adulta e sai affrontare la realtà”
Di certo non potevo dirgli che il mio incubo era tornato in vita: “Va bene…”
Cominciò a studiare tutti di me, dai gesti all’ intonazione della voce: “Ho notato che hai ancora appeso al muro il tuo famoso discorso, quello da dire al funerale, in bella vista. Perché? Non è ora di toglierlo?”
“Per ricordarmi che non sono stata capace di dire quelle parole prima di dirgli addio. Le leggo quasi tutti i giorni ad alta voce e spero che gli arrivino, ovunque sia…”, nell’altra stanza.
“Sei troppo dura con te stessa, non ne hai colpa. Avevi solo quindici anni… Da quanto non vai al cimitero?”
“Da qualche mese…”, tanto ormai è inutile andarci.

La chiacchierata durò circa un’oretta e con grande sorpresa spaziammo molto con gli argomenti; parlammo dei miei studi, dei capelli verdi che mi feci per una stupida scommessa… forse questa volta ero stata io più disponibile e aperta ad un confronto con lui.  Salutai e ringraziai il signor Stabler chiedendogli se ci saremmo potuti rivedere in futuro per altre chiacchierate. Sempre tra amici.




Mi voltai per tornare nella mia stanza e ritrovai Jason poggiato allo stipite della porta: stava passando compulsivamente la mano sulla lama del coltello che portava sempre con sé, come per controllare se la lama fosse ben affilata.
“Anche da morto ero la tua croce…”
Lo guardai: “Beh, da vivo sei pure peggio quindi…”, incrociai le braccia al petto indispettita. Non era possibile che non riuscivamo ad avere una sola conversazione decente.
“Ho una domanda per te, anzi forse due e so che risponderai ad entrambe sinceramente, sai so essere molto persuasivo”
Camminò verso di me con quel maledetto pugnale in mano.
“Perché hai mentito allo psicologo?”, mi chiese.
Rimasi interdetta: “Non ho mentito allo psicologo, cosa vai a pensare… non si può mentire ad uno psicologo”.
Mi puntò con molta calma il coltello tra l’angolo della mandibola e la giugulare. Chiusi gli occhi d’istinto e sentii il mio cuore ammutolirsi di colpo, come se avesse smesso di battere.
“Ti ho detto di non mentire e tu lo stai facendo. Non sei mai andata al cimitero e non sei neanche venuta al mio funerale, per questo hai il discorso per me appeso al muro. Posso leggerlo o ti dispiace? Sono curioso di sapere quante belle parole hai scritto”
“Come fai a dire che non ero al tuo funerale se eri morto? Eri chiuso in una dannatissima bara… Sicuro che fossi morto davvero?”
“Non fare dell’ironia, perché ti avverto che sto iniziando a perdere la pazienza con te”, staccò dal muro il foglio, non curandosi di strapparlo o rovinarlo.
Lasciai che lo leggesse e decisi di assecondarlo in tutto: sorrideva a quelle parole, forse ne era compiaciuto. No, forse le trovava divertenti.
Mi arresi al fatto che ormai quel barlume di ragione che sembrava aver riacquistato era stato inghiottito nuovamente dal suo folle rancore.


 
  
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