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Autore: MaikoxMilo    19/04/2020    2 recensioni
Le voci di tenebra azzurra, cheta ma terribile, si stanno allungando sempre di più sul nostro mondo. Sono latrati di sofferenza che, rantolando, vanno sparendo sempre di più, sono singulti di dolore che affogano nel silenzio di una frattura spazio-temporale, sono pianti inermi di bambini che non sono mai nati. Tutto porta ad un unico filo conduttore, tutto è manovrato da un solo, unico, burattinaio che agisce in virtù di uno scopo più alto, imprescindibile. La Dimensione Terra, la dimensione delle possibilità, unica ancora a resistere nel Multiverso algoritmico, sta per venire risucchiata da un'altra estensione, vicina ma lontana, gemella ma distante: il luogo natio del Mago medesimo, Ipsias. L'altra. L'infinitamente ineffabile.
Ciò che è successo lassù, quale correlazione ha con la Dimensione Terra? Potrà la Melodia della Neve, la melodia di tutte le cose, opporvisi?
Nuove esperienze e battaglie attendono i Cavalieri d'Oro del XXI secolo, sempre accompagnati da Marta, Michela, Francesca e Sonia, ormai entrate di diritto tra le schiere dei custodi del tempio.
In un mondo che va eclissandosi... sarà possibile una nuova luce?
Naturalmente si tratta del seguito di Sentimenti che attraversano il tempo, del quale è necessaria la lettura!
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 6: Creazione e distruzione (seconda parte)

 

 

 

 

Camus non conosceva ancora bene Genova, al di là del quartiere, posto sulle alture, dove viveva con la famiglia. Non aveva avuto il tempo di abituarsi, non ancora, lui aveva Nizza nel cuore e lì si sentiva uno straniero, ma se c’era una cosa che aveva memorizzato bene era il tragitto per arrivare alla stazione centrale. Pertanto, infagottando Marta in una spessa coperta per non farle prendere freddo, si era recato alla fermata del bus lì vicino per arrivare dove il suo schema mentale lo conduceva.

Non aveva un piano preciso, la giovane mente febbricitante lavorava convulsamente senza sosta. Non aveva che una manciata di lire con sé, non gli andava di ‘prendere in prestito’ troppi soldi dalla sua Maman, perché già si sentiva sporco ad averlo fatto, ma l’urgenza della fuga per un buon fine aveva sopperito tutto il resto. Li avrebbe riguadagnati in qualche maniera, ancora non sapeva come, ma lo avrebbe fatto, permettendo così alla sorellina di essere nutrita e a lui di mantenere le forze necessarie per la fuga. Tra l’altro, era ancora molto piccolo, lo sapeva, ma essere piccoli in un mondo enorme aveva i suoi vantaggi, ne era più che certo. Forse qualche grande lo avrebbe aiutato nella sua fuga oltreconfine, a Nizza, perché lì si sarebbe recato, ricostruendosi una nuova vita per sé e la sorellina. Se la sarebbero cavata, ne era certo.

Una cosa però non aveva valutato: le insistenti occhiate incuriosite dei passeggeri del bus che, sorpresi e spaesati da vedersi un bambino così piccolo lì da solo con una neonata, si erano avvicinati e avevano chiesto gentilmente spiegazioni.

“Ehi, piccolino, dove stai andando?”

“Sei così piccolo, e la mamma?”

“Ti sei perso, scricciolo?”

“E’ la tua sorellina, quella?”

“Siete così carini!!!”

In tutte le frasi dei fastidiosi passeggeri erano presenti diminutivi raccapriccianti, neanche lo considerassero scemo. Era terribilmente irritante. Camus ovviamente non rispondeva ad una sola domanda, discostando lo sguardo, in quel momento freddo, e scendendo alla fermata subito dopo per non destare troppo l’attenzione. Poi aspettava il bus dopo. E risaliva. La scena si ripeteva. E così via, finché finalmente non giunse alla stazione centrare di Genova Brignole. Ci impiegò il doppio del tempo ma alla fine arrivò. Doveva però muoversi e allontanarsi in fretta da lì, prima di essere raggiunto dal vecchio con l’universo negli occhi.

Le braccia e il collo, nel sorreggere la sorellina, gli cominciavano a fare male, ma si sarebbe riposato solo sopra il treno, determinato come non mai. Si fermò sulle strisce pedonali, sgranchendosi una manina che percepiva atrofizzata, poi scostò la coperta per vedere la sorellina in faccia, la quale, accorgendosi del suo movimento, si voltò gli sorrise radiosa del tutto rasserenata.

“Certo che… mangi davvero tanto, eh, si sente! - le disse con dolcezza, ricordandosi ancora una volta di ricambiare il suo sorriso – Fai bene, devi diventare grande e forte, fino ad allora mi occuperò io di te!” aggiunse con calore, attraversando poi la strada allo scattare del verde.

Essere formato mignon aveva i suoi vantaggi, se lo ripeté ancora una volta, in un mondo gigante. Le sue ridotte dimensioni addolcivano l’indole spietata degli esseri umani, permettendogli così di poter andare dove voleva, ma potevano essere anche un freno, ne era consapevole. Non era usuale che un bimbo così piccolo girasse da solo, ancora meno se con una neonata appresso. Occorreva prestare attenzione.

Fu forse per questo motivo che Camus, all’ultimo, decise di non comprare il biglietto del treno che lo avrebbe condotto a Ventimiglia e da lì poi al confine con l’amata Francia. Prima di tutto, perché i soldi che aveva portato con sé, combinando una marachella, sarebbero serviti per nutrire la sorellina, e poi perché, proprio perché così piccolo, gli sarebbe stato facile nascondersi sotto i sedili del treno in caso di controllore, o scappare e chiudersi direttamente in bagno, non visto. Naturalmente non gli piaceva come prospettiva, sapeva che non era un comportamento corretto, sua madre glielo aveva insegnato, ma la situazione era tale che lo richiedeva, il bene di sua sorella davanti a tutto.

Fortunatamente il treno diretto a Ventimiglia era fermo al binario 1, fu quindi facile per lui scattare verso le porte ancora aperte, salire al piano superiore e lì sedersi, sempre con la piccina in braccio.

Era un treno di quelli vecchi, con ancora i sedili in legno e conseguentemente concrete possibilità di nascondersi tra gli anfratti per poi svicolare nel bagno. Camus si guardò intorno diverse volte prima di decidere la postazione migliore, all’inizio o alla fine del vagone non era il massimo, perché, se il controllore fosse venuto dalla parte opposta non l’avrebbe potuto vedere in tempo, optò quindi per un sedile centrale vicino al finestrino, in modo che così avrebbe potuto stare allerta per eventuali movimenti ed eventualmente scappare. Anche scendere poteva considerarsi parte del piano, ma era l’ultima opzione perché il tempo era prezioso e non poteva perderlo. Non gliela avrebbe data vinta a quel signore anziano e, appena trovato un lavoretto e dei soldi per sé e la sorellina, avrebbe mandato quanto doveva a sua madre, magari accompagnata anche da una letterina di scuse e alle rassicurazioni che stavano bene entrambi. Avrebbe insegnato lui a camminare alla piccina, le avrebbe insegnato anche a parlare, anche se ancora non si decideva a scegliere se partire dal francese o dall’italiano, e, come promessole, le avrebbe fatto vedere le meraviglie del mondo. Meglio sotto un ponte a spasso per la Francia ma insieme che non al sicuro al caldo ma separati. Per sempre.

Era ancora preso da questi pensieri quando il treno partì, entrando immediatamente nell’immensa galleria che separava Brignole da Principe, altra stazione importante del capoluogo ligure.

Era domenica. Fortunatamente però il treno non era pieno di gente, anche se i viaggiatori che passavano da lì, dal piano superiore, e lo vedevano, gli scoccavano una occhiata fastidiosamente lunga, prima di ricordarsi probabilmente che già avevano i loro problemi, ci mancava di averne altri. Meglio così. Camus non voleva seccature e si sentiva agitato, speranzoso e un poco spaventato. Strepitava nel constatare la lentezza del treno che, ancora dopo mezz’ora, non aveva del tutto superato la oblunga città metropolitana di Genova. Voleva allontanarsi il prima possibile da lì, sapeva che probabilmente sua madre si era già accorta della sua assenza, sapeva che le si sarebbe stretto il cuore nell’appurare della loro fuga verso l’ignoto, si sentì irrimediabilmente in colpa. La decisione era stata presa, al bando le incertezze. Eppure Camus, il futuro Aquarius, aveva paura e, per un solo istante, desiderò tornare indietro. Ma il pensiero che farlo avrebbe significato non rivedere più la sorella, lo fece resistere strenuamente, indomito.

“Nnnnnnngneeeeee!”

Lo sguardo di Camus si posò sulla sorellina nel sentire quel suono. Era stata brava per tutto lo spostamento da casa alla stazione, quasi sentisse le contrazioni dell’aria, ma in quel momento era spaventata e sul punto di piangere, gli occhioni erano lucidi e le guanciotte color rosso porpora, nell’estremo tentativo di controllarsi.

“Oh, cosa c’è, piccolina? Hai fame?” chiese il fratello più grande, anche se sapeva già che quelle manifestazioni non erano proprie di quando richiedeva il cibo ma di altro.

La boccuccia di Marta tremò appena, trattenendo a forza il pianto, ma due lacrimoni le avevano illuminato le guance.

“Anche io… anche io ho paura, ma… ma non voglio che ci separino...” ammise Camus sul punto di piangere anche lui. Percepiva la sua paura come propria, era un’asticella sopra alla più comune empatia, ma non sapeva come altro nominarla.

“Se torniamo indietro ora, quel vecchio mi porterà via da te… non cresceremo più insieme, non ti potrò far vedere il mondo e… non potrò più parlarti… NON VOGLIO!” si confidò ancora, stringendola a sé e avvicinando la sua testa a quella della piccina. Era difficile trattenersi, ma era lui il fratello maggiore.

“Gneeee” vagiva intanto Marta, sempre sull’orlo del pianto ma ostinandosi a non produrre versi più rumorosi di quelli. Poi alzò una manina, arrivando così a posarla sulla guancia del bambino, soffermandosi lì. Camus si meravigliò ancora una volta di quanto fosse tenera e profumata quella manina così piccola, se paragonata alla sua.

“Grazie… riesci sempre a farmi sentire meglio, non importa quanto sia disperato. Io… grazie davvero, piccolina!” le sorrise con tutte le sue forze, baciandole con dolcezza le dita prima di sistemarsi meglio sul largo sedile.

Sentiva la voce di Marta nella sua testa, lo rassicurava; il suo solo tocco era in grado di rasserenarlo completamente. Stava bene. Non importavano le avversità del mondo, ma con lei al suo fianco le avrebbe sconfitte tutte, era questo ciò che sentiva. In quel momento, però, lei era più spaventata di lui, l’ambiente circostante misterioso, la tensione che percepiva ma che non capiva, toccava quindi a Camus farla stare meglio, ma come?

Quasi simultaneamente gli sovvenne di aver portato con sé, nello zainetto, il libro preferito di Marta, quello che le leggeva sempre prima di farla addormentare, perché il futuro Aquarius sapeva già leggere, aveva imparato, in gran segreto, all’età di quattro anni, quando ancora aveva difficoltà ad esprimersi verbalmente, quasi come se il mondo scritto fosse di più facile accessibilità che quello orale. Per il piccolo Camus era davvero così e adorava follemente leggere racconti alla sorellina, a volte insieme a sua madre, altre volte da solo.

Tra tutti quei racconti e quelle favole, ce n’era uno che a Marta piaceva tanto e non si sarebbe mai stancata di udirlo, si intitolava “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. A Camus piaceva molto l’idea che il gatto fosse lui e la gabbianella la sua sorellina.

Posizionò quindi la sorellina in grembo, in maniera simile a quando Mamma la doveva allattare, cominciando a trafficare con lo zainetto pieno di pannolini, biberon e cose simili. Non lo trovò subito, tanto da temere di esserselo dimenticato a casa, ma infine riconobbe la copertina dal tatto, tirandolo poi fuori sotto gli occhi incuriositi della piccola.

“Guarda cosa ho portato con noi...” le sorrise, contento, e lo stesso fece lei, alzando le braccine.

“Ugheeeeeee!” trillò lei felice, gli occhi luminosi.

“Te ne leggo una parte, va bene?” le chiese, sistemandola meglio sulle ginocchia, circondandola con le braccia e sfogliando il libro.

La neonata stette in attesa, cullata dalla vicinanza del fratello.

Sei una gabbiana. Su questo lo scimpanzé ha ragione. Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana. Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall’uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. - le raccontò con voce dolce e giustamente cadenzata, come una ninna nanna, dandole un’occhiata ricca di affetto prima di proseguire – Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie d’orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. E’ molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo...

La piccola aveva chiuso gli occhi, rilassata nell’udire la voce del fratello, ma non si era ancora addormentata, limitandosi pigramente a piegare la manina su di sé e appoggiarsi contro il suo petto. Camus adorava quella favola e, ancora di più, il pezzo che si stava apprestando a leggere, quello del volo. Il vero significato del racconto sfuggiva alla sua giovane mente, ancora immatura per plasmare pensieri troppo elaborati, ma era bello, bello davvero, ed emozionante sopra ogni dire, e bastava quello. In più, per qualche ragione sconosciuta, percepiva quel racconto suo; suo e di sua sorella. Era la loro favola ed era ciò che di più intenso potesse rappresentare il loro rapporto. Camus non ne capiva il reale significato, era vero, ma ne saggiava pienamente la potenza. Era qualcosa di sacro e inviolabile. Qualcosa di inamovibile.

Continuò a leggerle il racconto con voce di miele, cullandosi la sorellina tra le braccia, mentre la distesa marina fuori dal finestrino si apriva totalmente, mostrando la Riviera di Ponente. Nello stesso momento, un signore anziano dagli strambi capelli si avvicinò a lui, chiedendo gentilmente se potesse sedersi dall’altra parte. Camus non rispose, discostando lo sguardo, così la stana persona prese il suo posto e tirò fuori un giornale, cominciando a leggerlo.

Quello non ci voleva, a Camus non piaceva parlare in pubblico, tanto meno condividere un momento così intimo e delicato con un estraneo, però non aveva ancora ultimato il racconto che avrebbe tranquillizzato Marta, per cui, facendosi forza e abbassando ulteriormente il tono della voce, proseguì ad oltranza, perché stava arrivando la parte più bella.

Ora volerai, Fortunata. Respira. Senti la pioggia. E’ acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama acqua, un altro si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali”.

Marta sembrava essersi appisolata completamente, un leggero sorriso sul visetto delicato, le guance ancora rosse. Camus si rilassò contro lo schienale, totalmente rasserenato. Guardava con dolcezza il volto della piccola placidamente addormentata, una stretta ben nitida al cuore nello scorgerla. La abbracciò istintivamente senza farle male, socchiudendo gli occhi e lasciando che i contorni materiali intorno a lui svanissero. C’era solo lui e il fagotto delicato che stringeva con le braccine, nient’altro.

“Aprirai anche tu le ali, piccola mia...” le sussurro ancora, emozionato.

“Oh, è meraviglioso vedere quanto ti prodighi per la tua sorellina, sai? Io lo so bene quanto forte è il vostro legame, lo so bene… - gli disse una voce gentile vicino a lui. Mano a mano però, essa si faceva sempre più sinistra e distorta, il piccolo ebbe appena il tempo di accorgersene – Lo so bene, già, del resto… è per colpa del vostro legame se mi sono ridotto così!”

Camus spalancò gli occhi, spaventato, voltandosi immediatamente verso al figura del signore davanti a lui e che, per la prima volta lo scorse davvero, aveva i capelli di due colori diversi, netti, come la luce e l’oscurità. Istintivamente, presa la sorella saldamente, scese dal sedile e corse con l’intenzione di allontanarsi di capocollo, ma ciò che vide dalla finestra, o meglio, che NON vide, anche se avrebbe dovuto esserci, lo fece raggelare sul posto: il mare non c’era più, non c’era niente di quello che avrebbe dovuto esserci; al suo posto un immenso bianco che bruciava agli occhi, unito la consapevolezza di essere fermi, il treno non era più in movimento. Il signore lentamente si alzò, i suoi occhi erano glaciali ed era alto, altissimo, Camus non gli arrivava che alle ginocchia. Ne ebbe paura.

“Tu faresti di tutto per la tua amata sorellina, non è forse così? Già, tutto… anche soverchiare le leggi del mondo, anche distruggerlo, se questo può garantire la sua sopravvivenza. E’ proprio questo il problema, sei un essere pernicioso, un essere che non dovrebbe esistere… Camus...”

A quel punto il bambino indietreggiò ancora di qualche passo, più spaventato di prima. Come conosceva il suo nome?! Perché era lì? Cosa era successo al treno e ai sui passeggeri? E fuori? Perché non c’era altro che bianco? Il libro tonfò per terra, secco.

“Stia lontano da noi!!!” urlò contro il signore, la sorellina in braccio ancora addormentata e il cuore a mille. L’avrebbe protetta, a qualunque costo!

“Io devo stare lontano da te? Non stavi forse scappando da qualcun altro? Da chi scappi, Camus? Dove vuoi portare Marta? Chi è il vero nemico qui, io… o tu?” lo interrogò il signore, avanzando inesorabilmente.

“Ho detto di stare lontano!!!” gridò a squarciagola, il respiro mozzato e una paura viscerale, di animale in gabbia.

“Va bene, fintanto che parleremo starò lontano, anche perché voi… - assottigliò lo sguardo, sbeffeggiandolo - non potete proprio andare da nessuna parte, invece...”

Camus si guardò disperatamente intorno alla ricerca di una via d’uscita, ma era tutto fermo intorno al lui, persino il paesaggio inesistente fuori. Bianco etereo ovunque. Grigio dentro. Nessuno in giro.

“Il tempo è fermo – si affrettò a spiegare il signore, l’espressione vittoriosa e un’intensa regalia – Solo momentaneamente, è vero, ma sufficiente per non darti speranze di fuga. Mi siete scappati per troppo tempo!”

“Che cosa vuole da noi?” chiese temerario Camus, non trovando altre soluzioni che affrontarlo a parole.

“Solo ristabilire l’ordine. Sta a te decidere se farlo senza costrizione o con una mia, per così dire, piccolissima spinta...”

Camus non capiva nulla di quei discorsi. Parlava come se lo conoscesse ma lui non lo aveva mai visto ed era tutto meno che affidabile.

“Di Marta cosa ne sarà?”

“Uhmph, è il tuo primo pensiero sempre e comunque, eh? Se tu mi seguirai spontaneamente non le farò niente, mi serve anche lei per i miei progetti”

“Non lo farò mai! Vuole solo farle del male, null’altro! Non le consegnerò mai mia sorella!”

“Oh? E perché dovrei farle del male? Non mi ha fatto nient...”

“Bugia! Pensa che non me ne sia accorto?! L’odio che traspare per lei è ben nitido davanti a me. Non la sopporta, vero? Vuole ucciderla, ed io non glielo lascerò fare, a costo della vita!”

“Parole grosse, troppo grosse, per un bambino di 5 anni… non credi di correre un po’ troppo con l’intuito?”

“Non ha mai sbagliato fino ad adesso… e proprio ora mi sta dicendo di diffidare di lei!”

“Oh? E quindi io sarei…?”

“Lei è malvagio! Prima di torcerle anche un solo capello dovrà passare sul mio corpo, ma sappia che finché avrò un alito di vita non mi arrenderò!”

A quel punto inaspettatamente, il signore strambo dal doppio colore di capelli cadde per terra, in preda quasi alle convulsioni, prendendosi la testa fra le mani in totale balia degli spasmi.

“Uh-oh… i-io… io malvagio?! Uuuuuuuh….Uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuhhhh!!!” cominciò a latrare, soffrendo tangibilmente.

Camus lo fissava sconcertato, sempre più sconvolto da quell’individuo. Era il momento giusto per fuggire con la sorellina, ma in quale direzione e soprattutto come? Era tutto fermo intorno a lui, ma un modo doveva trovarlo, oppure…

“Uhhh… uuuuuuhhh! Aaaaaaaaaaaarghhh!!!”

Ad un certo punto il signore urlò a squarciagola, prendendo a strapparsi i capelli bianchi con foga inaudita. Ogni capello staccato gli ricresceva nero, sempre più nero. Le rughe del volto di acuivano o scomparivano a seconda della modalità ascendente o discendente del grido agonizzante. Era uno spettacolo orribile, da far accapponare la pelle. Camus si guardò intorno alla disperata ricerca di una via di fuga, una scappatoia, che lo allontanasse da lì il più in fretta possibile.

“Io…. Io sono Fei…. FEI OZ! Un tempo ero il Demiurgo di Ipsias… - rivelò, stringendosi il busto con le braccia e paralizzandosi sul posto, come se fosse stato preso d’assalto da ricordi troppo dolorosi – Io… io ero un sovrano giusto ed equilibrato, amministravo la giustizia e davo libertà di credo ed espressione a tutti gli esseri viventi… non posso essere malvagio, non posso!”

I suoi occhi erano vitrei e bui, per un solo secondo, e in un solo secondo, aveva perso tutta la regalità che era trasparita dal suo primo dialogo. Camus, non trovando alcuna via di fuga, si acquattò all’angolo del vagone, il più lontano possibile da quel pazzo scatenato.

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non posso!”

“Non po… SONO!”

Improvvisamente cadde nel silenzio più concreto, ammutolendosi, e non si mosse più. Che il tempo fermo avesse preso anche lui? Camus lo credette fermamente per… una manciata di secondi! Poi… la grande svolta.

Il tiranno si alzò in piedi come se niente fosse, come se non fosse successo niente. E ripartì dal principio.

“Sono Fei Oz, il Grande Demiurgo… non posso in alcun modo essere malvagio, le mie azioni sono sempre state rivolte al bene; al bene della mia dimensione…” riprese a dire meccanicamente, il tono nuovamente imperioso.

Camus era all’angolo, si sarebbe aspettato di tutto, era pronto a tutto, con quel pazzo a fiatargli sul collo, ma una cosa non si aspettava: che quel pazzoide che diceva di chiamarsi Fei Oz e di essere un Demiurgo, si precipitasse all’improvviso nella sua direzione con gli occhi iniettati di sangue, mostrando sia i denti che le gengive. Non se ne rese nitidamente contro, non finché non si sentì sollevare di peso dalla collottola.

“IO NON POSSO ESSERE MALVAGIO!!! VOI LO SIETE! VOI!!! CHE AVETE DISINTEGRATO IPSIAS, LA RIDENTE IPSIAS! MALEDETTIIIIIIIIIII!!!”

Camus si sentì in balia di una forza potentissima, i suoi piedi non toccavano più terra, ma le sue braccia erano salde sul corpo della sorellina, continuarono ad esserlo finché non si sentì lanciare con incredibile velocità. Il volo durò pochissimo, il tempo di capire che ci sarebbe stato un impatto e che, se non avesse fatto da scudo lui a Marta, l’innocente sorellina sarebbe stata uccisa, prima di cozzare violentemente il fianco sinistro contro lo spigolo dell’appoggia bagagli e finire malamente a terra tra i sedili.

Il respiro gli si troncò nel petto, il dolore fu tremendo, mentre il fagotto che teneva tra le braccia scivolò più in là, urlando istericamente e piangendo a seguito del risveglio così brusco. Camus stava annaspando per terra, straziato, ma la forza di muoversi la trovò nelle lacrime della piccola che, finita più in là, strillava con tutte le sue forze. Strisciò verso di lei, riprendendola tra le braccia e stringendola a sé.

“S-sono qui… andrà tutto b-bene… andrà… Cough! Cough!” tossì selvaggiamente. Respirare gli provocava un dolore atroce, ma l’avrebbe protetta a qualunque costo. A QUALUNQUE! Il loro viaggio non era che appena iniziato.

Ad un certo punto Camus avvertì alcuni passi dietro di lui, percependo di essere soverchiato dalla presenza del signore. Era immobile, in balia degli eventi. Ne fu terrorizzato...

“Lascia andare quel botolo schifoso...”

“L-l’unico botolo schifoso qui è lei che… che attacca due bambini così...” ribatté Camus, ostinato, stringendo con ancora più forza Marta, spaventatissima dagli ultimi eventi. Un calcio improvviso dritto nel rene gli fece vomitare altri fluidi non ben definiti, ma per nulla al mondo avrebbe ceduto. Tossì di nuovo, sempre più forte, respirare era diventato ormai difficilissimo.

“Molla la presa… soffrirai di meno!”

“Non mollerò la presa finché avrò un alito di vita, glielo ho detto e… ARGH!”

Altri due calci, ancora più forti di prima, sulla schiena. Camus si sentiva rotto, spezzato in due, ma neanche in quei momenti la sua cocciutaggine lo abbandonò, tanto da far imbestialire ancora di più quel pazzo forsennato.

“Molla! Mollala!!! O ti massacrerò, costi quel che costi!!!” gli gridò l’altro, continuando ad infierire su di lui a suon di calci, senza alcuna pietà.

Lo colpiva ovunque; ovunque potesse fargli male. Due volte sulle spalle, altre tre sul fianco sinistro, una dritta e netta alla colonna vertebrale. Il piccolo Camus non aveva più neanche le forze per urlare, del resto non voleva nanche farlo, non voleva dargliela vinta. La sua coscienza defluiva via, con essa anche il dolore diminuiva, ma non poteva cedere, non poteva. Farlo avrebbe esposto sua sorella al pericolo e lei era tutto per lui.

“Quanta vana resistenza… - disse il signore, premendo il piede, di peso, tra le scapole, Camus rantolò, non sopportando più quella pressione che gli schiacciava la cassa toracica, facendogli sussultare i polmoni, improvvisamente a corto d’aria – Siete sempre così, voi altri, cocciuti come muli e temerari, siete la rovina del mondo, voi e il vostro rapporto con le rispettive sorelle, ma questa storia avrà fine e tutto ricomincerà dal principio!” continuò, sogghignando tra sé e sé.

Poi si accorse che Camus non si muoveva più, la sua presa ferrea sulla sorellina era scemata, i suoi rantolii terminati, anche se l’espressione, inframezzata da un respiro penoso, permaneva ad essere contratta dal dolore. Lentamente lo spostò con la punta del piede, facendolo voltare completamente in posizione supina, libero di agire.

“Finalmente ha perso coscienza… penserò a lui dopo, ora devo eliminare il mio obiettivo prima che...”

Ma si bloccò, irrigidendosi nello scorgere gli occhi di Marta, in quel momento brillanti e superbi come una neonata non avrebbe mai dovuto essere, fissarlo con astio misto a ripugnanza. Il Mago Fei si trovò ben presto a tremare, la mano ancora aperta nel protrarsi verso i due, ma parallelamente non più in grado di avvicinarsi per adempiere alla sua sacra missione. Quegli occhi… no, non poteva essere, emanavano la scintilla del divino!

“La colpa è stata tua… se ti fossi fermata prima di far reincarnare l’anima di Dégel in questo bambino, io non sarei stato costretto a ricorrere a questo espediente! Pensi… pensi che faccia piacere, persino ad uno come me, di picchiare così violentemente un bimbo di 5 anni?!? Mi ci hai costretto tu, Seraphina, l’anima di Dègel NON avrebbe dovuto reincarnarsi! Doveva finire nelle mie mani e ristabilire così l’ordine nel mio mondo; l’ordine che voi stessi avete ribaltato e poi strappato, facendo precipitare così Ipsias nella perdizione più nera!”

La neonata lo continuava a guardare con espressione severa, sembravano dorati quegli occhi, non più solo blu, come il mare che tutto governa, il mare… insieme ad un cosmo dorato di dimensioni immani, forte e puro come la distesa di acqua salina.

“Pensi di potermi fermare di nuovo come già hai fatto nel Limbo? Pensi di averne la forza, nonostante le tue sembianze siano quelle di una neonata?!?”

“Grrrrrrrrrreeee!!!”

“MUORI!!!”

E la mano calò. Spietata. Ma ancora si fermò prima di trapassare l’obiettivo, la sensazione dell’immobilità che riparte. Il Mago stentò a crederci, mentre, con orrore, fu costretto a constatare che il treno, prima fermo come il tempo, aveva ripreso a muoversi, forzando il blocco. Tutto tornava a scorrere.

Era un qualcosa di semplicemente inaudito… che il controllo gli fosse sfuggito?! Non aveva dato ordine al vortice temporale di azionarsi nuovamente, ma lo aveva fatto, contro la sua volontà. Inconcepibile.

Era ancora indaffarato a pensare su come fosse stato possibile, che il corpicino di Camus sussultò, mentre i suoi occhi si riaprirono, distanti.

“Le avevo detto che non le avrei permesso di toccare mia sorella neanche con un solo dito, fintanto che avessi avuto un alito di vita...” ripeté a fatica, caparbio.

Avrebbe dovuto essere impossibile, il Mago ne era certo, sicuro come non mai di aver ridotto il piccolo ai minimi termini, tanto da impedirgli qualunque tipo di azione, eppure era di nuovo lì, sveglio, possibile che… che Marta gli avesse, in qualche modo, ceduto parte delle forze?! Impossibile! Era solo una neonata!!!

“Co-cosa?!? Sei stato tu, Camus?!? Come sei riuscito a… riattivare il tempo?!”

Ma lo sguardo del piccolo non era nella sua direzione, non era quasi il suo, si era fissato altrove, alla finestra, al treno di nuovo in movimento e al mare infinito fuori dal finestrino: mancava poco alla stazione più vicina, erano già in provincia di Savona, sarebbe bastato creare un diversivo, scappare e mischiarsi tra la folla in discesa dal vagone. Mancava davvero poco.

Nel frattempo, il Mago non si capacitava, era ancora accucciato lì, con i due bambini a poca distanza da lui, sarebbe bastato poco per dargli il colpo di grazia, ma era troppo sconvolto per farlo. Il tempo era libero, non più imbrigliato sotto la sua volontà… il tempo… il tempo… lui era l’Essere per eccellenza, come poteva farsi gabbare così da un bimbo? No, un secondo, era stato davvero lui a farlo ripartire?! Con quali forze?!? Era inaudito! Fuori da ogni logica!

“Come diavolo hai fatto??? Come diavol…?”

Non ebbe il tempo di finire la frase che il respirò gli si mozzò di netto. Camus, radunando tutte le sue forze, lo aveva colpito alla gola con un testata che gli aveva troncato il respiro, facendolo ricadere all’indietro del tutto impossibilitato a reagire. Tossì più volte, annaspando e contorcendosi alla ricerca d’aria, ma l’attacco disperato di Camus non aveva lasciato indenne il suo artefice, il quale, ricadendo sul pavimento dolorante, scivolò sul fianco, esausto a sua volta. Ancora fu la voce di Marta, come durante l’incoscienza, a riportarlo alla consapevolezza e ridargli le energie perdute. Coagulò tutte le sue forze per strisciare verso la sorellina, la raggiunse, prendendola di nuovo tra le braccia e decidendo di abbandonare tutto lì, tranne sé stesso e la piccola.

“Sono qui, sono con te… scusami se ci ho messo tanto!” le sussurrò, con dolcezza, prima di scattare con tutte le sue forze lontano da quell’essere abominevole. Il treno di stava fermando alla stazione di Varazze, l’unica speranza di salvezza, l’avrebbe presa e stretta a sé, così come la sorellina.

“Anf, anf, ci siamo quasi… resisti, Marta!”

Persino in quell’istante dove le gambe lo reggevano appena e non c’era un angolo del suo corpo privo di dolore, il suo primo pensiero ero rivolto a lei, alla sua protezione.

Le porte finalmente si aprirono, Camus si fiondò giù dal treno con la stessa velocità di una palla di cannone appena sparata. Non sapeva dove andare, la testa gli cominciava a pulsare con forza, annebbiandogli il cervello, il cuore pompava tutte le energie residue verso le gambe, per farle andare più veloce e farlo così fuggire, ma il dolore, tolto quel breve attimo di adrenalina, era troppo forte. Troppo intenso. Troppo soverchiante. Troppo per un bambino di appena 5 anni. Fatti pochi passi fuori dalla stazione, infatti, Camus si sentì tonfare a terra, la presa sul fagotto delicato di nuovo si affievolì, prima di separarsi del tutto. Marta scivolò qualche centimetro più in là sull’asfalto che gli procurò una vistosa abrasione sulla manina sinistra. Scoppiò quindi a piangere, inconsolabile, terrorizzando anche il fratello.

“Oh, no, anf… Marta! M-mi dispiace… - biascicò, tentando di riavvicinarsi a lei, anche se poteva farlo solo strisciando – Ti prego, perdonami, io… ARGH!”

“Bello scherzetto, quasi ci stavo cascando, sai? Ma la vostra corsa finisce comunque qui!” disse lapidario l’essere senza cuore, improvvisamente apparso di fianco a lui, schiacciandogli la mano protratta nel tentare di riacciuffare la sorellina. Il tempo era di nuovo fermo, ad eccezione di loro tre.

Camus non aveva più le forze di muoversi, era stremato, ferito, avvertiva un calore innaturale nelle zone colpite e un sapore dolciastro in bocca ma che non recava in sé alcuna delizia. Non era la cioccolata e neanche la vaniglia, né tanto meno lo zucchero, anche se qualcosa di zuccherino era insito nel palato, semplicemente era qualcosa di dolciastro ferroso che copriva tutta la totalità della cavità orale, procurandogli violenti spasmi e una nausea crescente.

“Potrei nuovamente picchiarti per darti una lezione, ma… sei già ai minimi termini e il tuo corpicino da bambino di 5 anni non può resistere più di così. Hai la fortuna di servirmi, quindi aspetterai docilmente qui, mentre io sistemo il conto con tua sorella!”

“NO! Non la tocchi! Prenda me, se le servo, ma lasci in pace lei, ha solo 8 mesi, non può in alcun modo averle recato… Cough! Cough!” tossì e sputò ancora una volta quel fluido strano, accorgendosi nitidamente che si trattava di qualcosa di rosso. Di sangue. Il suo.

Nel frattempo la mano nemica aveva preso spietatamente e malamente la sorellina, la quale strillava a più non posso. Non c’era più traccia del divino in lei, come se le sue forze si fossero esaurite.

“Come immaginavo… un abbaglio, coniato da un mio errore di controllo, null’altro!” si disse Fei Oz, un sorriso trionfante a solcargli il volto.

“Si fermi… si fermi, ho det… COUGH! COUGH!”

L’altro non lo ascoltava, così preso nei suoi piani di vendetta nei confronti di quell’esserino indifeso.

“Per quanto io ti odi, sarà rapido e indolore, vedrai, non sentirai niente!” continuò, aprendo le falangi, come a voler trafiggere la piccola con le sue dita.

“E ADESSO MUORI!!!”

“NOOOOOOOOOOO!!!”

Una vistosa chiazza di sangue cadde a terra, fluida, cominciando fin da subito a rapprendersi. Ma non apparteneva alla piccola Marta. Tutto sembrava essersi perfettamente cristallizzato intorno, immobile. Eppure Fei, ancora prima di capire che quello che era stato ferito era in realtà lui, si accorse, con estremo biasimo suo, che un fiocco di neve, seguito da un altro e poi un altro ancora, sempre più fitto, gli si era posato sulla ferita, colorandosi di rosso per poi sciogliersi, irrorato dal caldo liquido vitale. Sbatté le palpebre, guardandosi smarrito intorno: il tempo era, per la seconda volta, ripartito, ma neanche quello era lontanamente incredibile come assistere ad una tempesta di neve creatasi inaspettatamente e, con il sole, in cielo, del tutto privo di nuvole. Anche gli occhioni di Marta di spalancarono, increduli, poco prima di diventare ridenti. La boccuccia si aprì in un delizioso sorriso al contatto con quella magia di neve insperata.

Nello stesso momento Camus si rimise in piedi, gli occhi furenti, una nuova forza in corpo.

“Q-questo è… no… NO! E’ impossibile!” indietreggiò il Mago, gli occhi quasi fuori dalle orbite. Aveva paura. Peggio, era terrorizzato, proprio lui, il Demiurgo di Ipsias!

“Glielo dirò ancora una volta… lasci libera Marta e se ne vada da qui, senza fare più ritorno, o le conseguenze per lei saranno terribili!” lo minacciò il piccolo, alzando il braccio dal quale ben presto si formò una stalattite di ghiaccio. Non era semplice aria congelante, ma molto di più.

“N-non...non può essere, tu hai questo potere?!? L’altro Camus non ha mai dimostrato una simile attitudine, perché tu sì? - esclamò il Mago, sempre più stupefatto – Che davvero… che davvero le cose in questa dimensione funzioni diversamente?!?”

“La lasci andare, o...”

Continuava a minacciarlo il bambino, sempre più sicuro di sé, tanto che dietro di lui altre stalagmiti e stalattiti si formavano, puntando contro di lui come delle vere e proprie lance. Non c’era più alcun dubbio: la neve che si formava in assenza di nuvole e quindi voluta dallo stesso Camus, quelle costruzioni di ghiaccio che prendevano forma propria a seconda della mente del bambino e che sfuggivano alle leggi fisiche di quel mondo. Era impossibile sbagliarsi!

“Questo è il Potere della Creazione, sì… - ne dedusse il Mago, tornando a sorridere con movimento ampio e inquietante delle labbra, poco prima di inneggiare a più non posso – Sììììì!!! Fantastico, meraviglioso! Questo Camus ha in sé un potere primordiale, che credevo perduto dalla Notte dei Tempi, la capacità che io non ho mai posseduto, la capacità che mi permetterà di far rifiorire Ipsias: LA CREAZIONE!”

Era incredibile. Era fuori di sé dalla gioia come non lo era mai stato. Era molto più di quanto sperasse, tutto ciò doveva essere contingente, quindi necessario: la chiave per far ripartire il suo mondo perduto.

“La lasci andare, ho detto!!!” urlò all’improvviso Camus, totalmente fuori controllo, facendo scattare verso la direzione del nemico le costruzioni ghiacciate.

Il sorriso del Mago gli morì in gola quando, resosi appena conto di essere sotto attacco, eresse una barriera tra sé e le stalagmiti proiettate a tutta velocità dal volere del bambino. Con orrore si accorse che la difesa non sarebbe bastata, che lo avrebbe comunque colpito, perché quel potere privo di controllo era di gran lunga superiore alle magre capacità di coordinazione del moccioso, visibilmente agitato e quindi non idoneo ad ammaestrare una simile energia.

Si disse che nessuno ci sarebbe riuscito meglio di lui, che bastava quindi possedere quel corpo, e che il più sarebbe stato così fatto, quando la barriera costruita magistralmente da lui si ruppe, lasciandolo sguarnito all’attacco. Imprecò, tra sé e sé, razionalizzando che l’unico modo per non subire un attacco fatale sarebbe stato quello di distruggere le tre stalagmiti che puntavano al suo torace, lasciandosi colpire dalle altre in punti non vitali. Così fece, accorgendosi comunque troppo tardi che una decima stalagmite a forma di mezza lancia, era in ritardo sul tempo delle altre, la traiettoria l’avrebbe preso in pieno al petto, ferendolo mortalmente e trafiggendogli il cuore. Diamine, non aveva tempo per fare alcunché, non aveva…

La prima stalagmite lo centrò con precisione tra la spalla e il petto, a seguire le altre, la seconda al fianco sinistro, la terza e la quarta alla coscia destra e la quinta sul braccio. Il respiro gli si mozzò istantaneamente, ma non si fermò, ripartendo subito dopo, anche se un po’ affannoso. Si chiese cosa fosse successo, se aveva fatto male i calcoli sull’ultima lancia, credendosi già spacciato, ma capì pienamente cosa fosse accaduto solo quando la vide. Guardò meglio. Non c’era possibilità d’errore. Sorrise, glorioso.

“Aaaaaaaaaaaaaahhhh!!!” dall’altra parte l’urlo sgomento di Camus, che si era irrigidito di botto, diede la certezza definitiva.

“Ma che bravo, Camus, anf… anf… saresti una perfetta macchina da guerra, se avessi il controllo sul tuo corpo. Oggi mi hai tolto un grosso lavoro, sai?” sorrise di scherno, scoppiando poi in una vera e propria manifestazione di ilarità.

L’ultimo colpo non lo aveva colpito in pieno petto per uno sporco gioco del destino: tra lui e l’arma contundente c’era infatti il fagotto di nome Marta, che aveva subito in pieno il colpo al posto del Mago. E stava ferma e immobile la creaturina, gli occhi spalancati vitrei e vuoti. La stalagmite conficcata con precisione su di lei.

“No… no… no… noooooooooooooooooo!!!” strepitò Camus, gridando con tutte le sue forze, mentre calde lacrime gli si riversavano giù dagli occhioni spalancati in un urlo viscerale. Non aveva mai pianto prima di allora, quella fu la prima volta.

Si accasciò a terra, scioccato, l’ultimo assalto lo aveva esaurito, ma ancora di più, la consapevolezza di ciò che aveva fatto alla sua sorellina. Proprio lui, che voleva solo proteggerla, solo…

“Muahahahahahahahahaah! Hai detto che la rivolevi, Camus?!? - lo canzonò il Mago, senza alcuna pietà – Eccotela, così vuota non mi serve più!” disse, lanciandogli davanti il corpicino trafitto, neanche fosse stato un mero oggetto.

Camus avrebbe voluto precipitarsi su di lei e impedirle di cadere.

Camus avrebbe voluto risvegliarsi dall’incubo, perché non poteva essere altro che un brutto sogno.

Camus avrebbe voluto vedere sparire quell’uomo cattivo; voleva massacrarlo, nel peggiore dei modi.

Camus avrebbe voluto aggrapparsi ad una speranza nel credere che la sorellina non fosse stata colpita.

Camus avrebbe voluto tante cose in quei secondi che separavano il corpicino di Marta dal terreno, ma non gli riusciva niente, solo piangere, disperarsi… ma sia piangere che disperarsi non servivano a niente, non cambiavano le cose, i fatti...

Era svuotato, perso, qualcosa in lui si era di nuovo spezzato, irrimediabilmente. Se non fosse stato costruito, dentro di lui, quel ponte di emozioni, se fosse rimasto asettico come una pianta, forse, non avrebbe sentito quell’enorme fitta che lo distruggeva da dentro? Gli sembrò di morire. Spietatamente. Dentro.

“Che qualcuno… che qualcuno salvi la mia sorellina, vi prego!!!” riuscì solo a pensare, disperatamente, singhiozzando, vinto.

Quella volta fu ascoltato.

“STURDUST EXTINCTION!!!”

Gli occhi del piccolo Camus non percepirono niente, se non un’eterna luce sfavillante e gloriosa. Quando le sue iridi furono di nuovo in grado di distinguere le forme, si meravigliò di vedere un ammasso di capelli verde sbiadito sovrastare la figura del Mago, in quel momento di nuovo a terra ad annaspare nel suo stesso sangue.

“Sono venuto qui, avvertendo un cosmo magnifico, superiore a qualsiasi altro. Ma ora che ti vedo negli occhi, non vi è nulla di ancestrale in te, solo un essere spregevole che si fa da scudo con una neonata in fasce! - disse nuovo venuto, che Camus riconobbe come il vecchio dall’universo dentro, colui che lo voleva strappare da sua madre e sua sorella. Gli fece un cenno con il capo, prima tornare a concentrarsi sul nemico – Chi diavolo sei?!? Il tuo cosmo è divino ma il tuo agire è vergognoso!”

“Non sono una divinità, sono molto di più, infatti! Tu invece sei il Grande Sacerdote Shion, giusto? Ti conosco… conosco ognuno di voi!”

Camus si accorse solo in quel momento che il corpicino abbandonato a sé stesso di Marta era tenuto saldamente dal vecchio. Un moto di gratitudine lo pervase, ma le lacrime non si arrestarono, né tanto meno la paura.

“Mi… mi conosce? Come…?”

Anche il vecchio signore era incredulo, il Mago annuì con la testa, il solito sorriso di scherno rivolto agli astanti.

“Non conosco voi in particolare ma le vostre controparti di Ipsias, ed essendo la vostra essenza uguale, le stesse speranze, gli stessi errori, le stesse emozioni, è come se avessi avuto a che fare direttamente con voi!”

“Sta parlando… di un multiuniverso?!”

“Bravo! La saggezza del Grande Sacerdote è un dato di fatto per ogni dimensione, anche qui è ben riposta!”

Shion rimase sul chi vive, rigido. Non si spiegava un cosmo così sfavillante e colossale in un individuo che si era comportato meschinamente. Nell’atto di attaccare non aveva dato che una veloce occhiata al piccolo Camus, ma già da distanza si vedeva che fosse davvero malridotto, probabilmente era stato picchiato brutalmente da quell’omuncolo; anche la sorellina, pur non avendo ferite visibili, stava immobile. Sembrava quasi che non respirasse neppure, ma non c’era stato il tempo per sincerarsi adeguatamente delle sue condizioni.

“In guardia!”

“Raffredda i bollori, ex Ariete, non vorrai attaccare un povero vecchio ferito, vero? Dovresti capirmi, anche tu non sei più tanto giovane...”

“Non mi incanta… la forza per infierire su due bambini innocenti ce l’ha avuta eccome, non ho pietà per gente come lei… STURDUST EXTINCTION!”

Il colpo era stato lanciato alla velocità della luce, ma semplicemente cozzò contro il muro perimetrale dietro, giacché il nemico aveva fatto in fretta a dileguarsi.

Shion non riusciva a crederci. A che velocità si muoveva quell’essere?! Eppure era certo che lo avrebbe centrato in pieno. Ringhiò sommessamente, iracondo. Nonostante gli anni sulle spalle, non riuscire nel suo intento di amministrare correttamente la giustizia lo faceva imbestialire, sia nel 1743 che nel 1994. Quello schifoso sarebbe rimasto a piede libero, quando invece avrebbe solo voluto ucciderlo. Malgrado il cosmo non più percettibile, lo udì nuovamente con le proprie orecchie.

“Ho ridotto io Camus così, ma stai tranquillo, ho fatto in modo di non danneggiare organi vitali, penso che i tuoi poteri siano sufficienti per occuparsi di lui. Per quanto concerne la sorella, invece, è stato lui stesso a colpirla, non controllando minimamente il suo potere. Aspetterò quinsi che cresca e che affini le sue qualità, me ne tornerò nel mio mondo in rovina in attesa, aspettando che il piccolo mi consegni le sue abilità di creazione!” disse ancora, dileguandosi totalmente.

Il sole era tornato a splendere, il tempo era di nuovo in moto, ma i fiocchi di neve continuavano a scendere tutt’intorno, sorprendendo non poco il vecchio Shion. Era un fenomeno del tutto atipico, la neve con neanche una nuvola in cielo, le persone di quella zona se ne erano già accorte e non c’era spiegazione logica ai fatti. Shion si disse ancora una volta che era più che necessario condurre Camus al Tempio il prima possibile. Ma aveva bisogno di comprendere i fatti accaduti, che sfuggivano alla logica.

“Camus...”

“La prego… salvi la mia sorellina. E’… è colpa mia, la… la colpa è mia...” balbettò Camus, inginocchiato per terra con l’espressione sgomenta. Era chiaramente sconvolto, con le braccia si abbracciava le spalle, come se avesse freddo, tuttavia non era gelo fisico. Rischiava di finire a pezzi, di nuovo, quella consapevolezza investì il vecchio Shion, il quale si avvicinò lentamente a lui.

Nel compiere il movimento guardò la sorellina, effettivamente non aveva ferite visibili ma non respirava ed era immobile. Gli occhi chiusi.

“Camus, cosa è successo, come…?”

“L’ho colpita io… IO! La prego, la salvi, la scongiuro!” ripeté Camus, continuando a piangere, era totalmente fuori di sé.

Shion si inginocchiò vicino a lui, tenendo sempre la piccola tra le braccia. Le scostò la pesante coperta che aveva indosso, rivelando un pesante tutina con dei grossi bottoni. Non era macchiata di sangue ma era bucata in prossimità della spalla sinistra, come se fosse stata perforata da un oggetto contundente. Gliela sbottonò nel vedere cosa celasse, trovandoci un grosso foro di entrata in prossimità della spalla sinistra, poco sopra il cuore. Ne scaturiva una potente aura. La situazione sembrava disperata, ma fortunatamente Shion capì in un lampo l’origine di quel potere mitico, attuando così le giuste contromisure.

“Camus, sono sicuro che non l’hai fatto apposta, non volevi ferirla, solo proteggerla… non è forse così?”

Il piccolo non disse niente, gli occhi permanentemente sbarrati e le labbra tremanti. Non si discostava dalla posizione assunta prima, né si dibatteva, era come se fosse da un’altra parte, in un mondo a sé.

Shion sospirò pesantemente, adagiando la piccola Marta sul suo grembo, la situazione era meno tragica di quel che appariva, il potere che sembrava possedere Camus, la Creazione, sfuggiva alle leggi del mondo, perché concepiva nello stesso mondo fisico atomi che non esistevano in quella dimensione. Era un potere assoluto e pericoloso e non privo di conseguenze per chi lo produceva e chi lo subiva, ma fortunatamente tali strascichi non potevano incidere sul corpo della piccola, che pure pareva morta ma così non era, anche perché il fratello non voleva in alcun modo farle male, e la volontà, in quel potere meraviglioso e spaventoso al tempo stesso, era determinante.

Shion si concentrò sulla neonata, premendole la laringe con forza: il foro si stava richiudendo da solo, come immaginato, non restava che far ripartire il respiro. Così fece e attese diversi secondi, i tempo necessario affinché la ferita si richiudesse del tutto.

“Uuughe!”

Finalmente il primo vagito, nello stesso momento in cui la piccola riprese a muoversi, stiracchiandosi pigramente e scalciando con foga. Shion sorrise con tenerezza, felice che le sue deduzioni si fossero rivelate fondate. Si rilassò totalmente, ringraziando Atena, che pure non si era ancora reincarnata, per essere riuscito a salvare una vita. Anche Camus si riscosse, sebbene gli occhi continussero ad essere inondati di lacrime.

“Ecco qui, piccolina, sei molto forte, sai? - Shion parlò direttamente con la neonata, la quale gli sorrise a sua volta, acciuffandogli il dito, giocosa – Hai rischiato molto e, per un secondo, ho temuto che non bastasse il mio intervento, ma fortunatamente ci sono riuscito!”

Certo, era confermato che fosse Potere della Creazione, il che angustiò il cuore del vecchio Shion, sia per il destino di Camus che per quello della sorella, ma non erano argomenti da trattare in quel momento, assolutamente!

Il piccolo Camus aveva ancora gli occhioni sbarrati, il cuore gonfio e il viso umido, quando Shion, con delicatezza, gli posò di nuovo la sorellina tra le braccia.

“Eccola qui, come nuova! Come dicevo, non volevi farle male, è stato solo un incidente! Il tuo potere è solo tuo, dipende dalle tue intenzioni, per questo sono riuscito a risolvere la situazione. Guarda, la ferita è completamente chiusa, tra poco no avrà più alcun segno. E’ salva!” gli spiegò Shion in tono più dolce possibile.

Camus era ancora incredulo, vedeva la sorellina tra le sue braccia, la vedeva muoversi briosa come la ricordava, ma al contempo la scena della battaglia gli si ripresentava nella testa, subdola e spietata. L’aveva trafitta, lo ricordava bene, era stato perché aveva perso il controllo, ferendo lei, il suo bene più prezioso.

“Camus… hai un potere straordinario, ma privo di controllo può ritorcersi contro di te, o contro le persone a cui vuoi bene!” si sentì di aggiungere Shion, cauto.

Il piccolo continuava a tenere la sorella a distanza, spaventato e ancora sconvolto, sembrava che stentasse a crederci, che stentasse a credere che il suo agire era stato privo di conseguenze. Non era stato infatti privo di conseguenze, Shion lo sapeva bene, ma non si sentì di rivelarglielo: quello che contava era che la neonata non avrebbe avuto alcuno strascico fisico e, probabilmente, giacché il nemico l’aveva creduta morta, non avrebbe avuto più problemi durante la crescita, nessuno che la venisse a cercare per ucciderla… a patto però che il piccolo Camus avesse accettato completamente il suo destino!

Camus intanto persisteva ad essere afasico, sconcertato e ancora terrorizzato, la situazione si sbloccò solo quando la neonata, per un qualche tipo di ragione a Shion sconosciuta, allargò le braccine in direzione del fratello, producendo versetti che parevano avere un significato loro. Il Grande Sacerdote non capì, non era infatti rivolto a lui il messaggio.

“Oh, Marta! Martaaaaaa!!! Scusami… scusami, ti ho fatto male, io… non volevo, non volevo!!!” pianse Camus, cingendola al petto con tutte le forze che gli rimanevano. A Shion gli si strinse il cuore nel vedere quella scena: davvero i due erano legati da un legame di simbiosi che non aveva mai visto in nessun altro essere vivente. E lui… e lui era lì per distruggerlo in vista di n bene superiore. Per la prima volta, capì le parole della Signora Antoinette.

La piccola, avvolta dall’abbraccio disperato del fratello, gli posò la manina sulla guancia, come a volergli asciugare le lacrime. Shion se ne stupì, era di lunga troppo prematura una reazione così, eppure… sembrava che le sue azioni fossero mirate, anche se non aveva che pochi mesi.

“Camus… hai ferite e lividi su tutto il corpo, forse anche dei danni interni, dovremmo...”

“Sto bene, ora… non preoccuparti, sto bene, Marta!” rispose Camus, non rivolto a lui ma alla sorellina, come se avesse parlato. Il comportamento incuriosì ancora di più Shion, che volle indagare.

“Puoi… puoi parlare con lei?” domandò, sorpreso oltre ogni dire.

“Sì… mi ha parlato nella mia testa, chiedendomi come stavo e rassicurandomi sul suo stato di salute… - si affrettò a spiegare, poco prima di concentrarsi nuovamente sul fagotto profumato – Non ti devi preoccupare per me, se tu stai bene, sto bene anche io e… grazie, grazie, piccolina! Sono io il più grande ma tu riesci sempre a confortarmi con una naturalezza che mi meraviglia ogni volta!”

“Questo bambino… - pensò intanto Shion, con un velo di tristezza – E’ ferito gravemente e Atena solo sa cosa ha dovuto passare. Deve avere un dolore atroce a tutto il corpo, da urlare e disperarsi, vista l’età, eppure non una volta si è lamentato delle sue condizioni, tutte le sue preoccupazioni sono rivolte alla sorella e a lei sola...”

“Marta mi dice di ringraziarla calorosamente!”

“Eh, cos…?

Camus annuì, guardandolo finalmente in faccia. Aveva il volto sporco di sangue, ma si sforzava di sorridergli, persino a lui, che era uno sconosciuto.

“E anche io la ringrazio, la mia sorellina le deve la vita e… e...”

Ma non finì la frase che cadde a terra, sfinito, mentre Marta, quasi dal nulla, prendeva a paingere. Shion gli impedì di toccare il suolo, afferrandolo con lestezza e chiamandolo per nome. Respirava irregolarmente, l’espressione sofferente. Le gambine avevano ceduto, ma la stretta sulla sorellina no, anche di questo Shion si sorprese, elogiando ancora una volta la sua incredibile forza di volontà. Non c’era tuttavia tempo da perdere, la situazione stava rapidamente precipitando.

“Camus? Camus!!! - lo riprovò a chiamare, ma il bimbo era completamente svenuto, l’espressione contratta, la bocca semi-aperta. Marta, al contempo strillò angosciosamente più forte, come se sentisse il malessere sempre più accentuato del fratello. Occorreva sbrigarsi – Dannazione!” imprecò tra sé e sé il Grande Sacerdote, sempre più angustiato..

Prese quindi la piccola tra le braccia, portandosela in grembo per farle percepire calore, poco prima di concentrarsi sul corpicino di Camus, che probabilmente aveva subito più danni di quelli che dimostrava. Gli sbottonò e aprì la giacca per farlo respirare meglio. Intorno non era altro che neve sotto un cielo blu cobalto, stava cominciando ad accumularsi, malgrado il bimbo avesse perso coscienza. Le mani di Shion corsero febbrilmente a girovagare per tutto il suo corpo alla ricerca di eventuali, gravi, danni. Lo aveva nel frattempo disfatto della pesante maglione per poi sollevargli la maglietta, scoprendolo e scoprendo altresì, con estremo orrore, tutti i grossi lividi, le abrasioni e le ferite che lo ricoprivano.

Il piccolo Camus versava in gravi condizioni, peggio di quanto aveva creduto e peggio di quanto aveva dimostrato. Era inconcepibile una tale violenza su un bambino di appena 5 anni, probabilmente era stato preso barbaramente a calci, il busto aveva già pesanti lividi e sangue gli era uscito dalla bocca. Nella disgrazia, per lo meno, non sembravano irreversibilmente danneggiati gli organi vitali, ma la situazione era comunque molto grave. Shion si ricordò che prima di andarsene il nemico aveva confessato che il bimbo gli sarebbe servito più avanti, per questa ragione, a suo dire, ci era andato giù leggero.

“Leggero, certo… guarda come lo hai massacrato, lurido bastardo!” Shion insultò il nemico a denti stretti, mentre, continuando a tastargli il busto, concentrava tutte le sue energie per contenere i danni.

Lo fece adagiare sulle gambe, iniziando a curargli poi i traumi più gravi con l’ausilio della sola mano posata sul diaframma, che si alzava e abbassava a scatti, sempre più irregolarmente, fino a cessare del tutto. La pelle di Camus era bollente; con orrore, si accorse che il piccolo non riusciva più a respirare da solo.

Ancora una volta Shion ebbe l’impulso omicida di seguire quell’essere fin oltre l’orizzonte degli eventi per fargliela pagare, ma prima di tutto doveva salvare quella vita innocente che stava scivolando via.

“Respira, Camus, respira… - lo provò ad incoraggiare, rivoltandogli interamente la maglia sul petto per massaggiarglielo con due dita allo scopo di effettuare le manovre necessarie per la RCP e passare poi ad aprirgli la bocca e soffiare dentro di lui l’aria che così spietatamente gli mancava - Resisti, piccolo, ti prego, tua sorella è qui, la senti? Piange per te, è in sofferenza per te, non puoi cedere!” gli diceva, tra una sessione e l’altra, pregando che potesse bastare quello come primo soccorso, perché quel corpicino era già straziato, premerlo più forte gli avrebbe causato un dolore difficilmente sopportabile.

Finalmente Camus tossì più volte, con forza, e quel segno, quell'unico segno, consentì anche alla piccina di smettere di strillare per tornare, a sua volta ad una respirazione regolare anche se ancora un poco frammentata. Shion sentì la tensione sciogliersi.

“Bravissimo! Così, ancora… forza!” gli continuò a sussurrare per un tempo indefinito, sollevandogli un poco la nuca per aiutarlo.

La procedura di emergenza aveva funzionato, ma Camus era ancora in condizioni critiche, doveva affrettarsi. Avvolse quindi quel corpicino martoriato nella coperta che riscaldava anche Marta, pensando che la vicinanza con la sorella avrebbe potuto dargli ancora più forza, prima di scattare alla velocità della luce verso la casa dei due piccoli eroi, un luogo sicuro e caldo dove sarebbe stato più semplice prendersi cura delle ferite rimaste.

Non esitò un attimo, aveva preso a cuore l’intera faccenda.

 

 

* * *

 

Ciò che seguì per Camus fu un lungo e innaturale silenzio avvolto da una oscurità perpetua. Non provava dolore, non aveva concezione del tempo che passava. Solo e soltanto la pace, assolutamente priva di sogni.

Quella tranquillità generale e innaturale ebbe comunque presto termine, mentre i sensi piano piano rinvenivano dall’oblio.

La prima sensazione fu puramente tattile: un piacevole torpore.

La seconda fu uditiva: qualcuno piangeva e singhiozzava al suo fianco.

Solo per terza venne la vista, permettendo così alle sue palpebre di aprirsi faticosamente. I suoi occhi impiegarono non poco a dischiudersi, unico movimento concessogli, poiché il resto del corpo era pesante e spossato, piano piano la nebbia attorno a lui si dissipò, permettendogli di riconoscere i contorni della sua cameretta e, in seconda istanza, la figura accovacciata al suo fianco, in lacrime. Deglutì, avvertendo la bocca secca e ancora quel sapore dolciastro che gli dava nausea. Era tremendamente stanco ma doveva parlare, doveva… era di vitale importanza.

“M-mamma, non… non pia-ngere...” biascicò con tutte le sue forze. L’unica cosa che riuscì a produrre era in un tono rauco, come se la voce avesse faticato non poco ad uscire, ma ce l’aveva fatta.

La giovane donna al suo fianco alzò la testa e drizzò la schiena, mostrando così il viso inondato dalle lacrime. Era terribilmente in pena per lui, Camus lo percepiva, per quel motivo tentò di sorriderle per rassicurarla, come gli era stato insegnato a fare. Era dura. Era difficile. Tutto il suo corpo ululava di dolore, essendo il suo cervello sempre meno intorpidito dal sonno e sempre più conscio della realtà, ma sorrise comunque. Il piccolo non riusciva a tollerare il peso delle lacrime delle persone a lui care, lo facevano sentire male, angosciato… ed era una sensazione terribile.

“Ca-Camus! G-grazie a Dio!” ringraziò a gran voce la signora Antoinette, ancora in lacrime, accarezzandogli dolcemente la testa per poi scendere sulla guancia ancora terribilmente pallida. Lì incassò la testa fra le spalle, sopraffatta.

“Per-perché sei così disperata… mamma? Io… scusami, sono fuggito di casa, non dovevo...”

Il piccolo era mortificato dal suo comportamento e convinto che la madre piangesse per quel motivo. Non sapeva, no, che aveva rischiato la vita, che era stato in coma per giorni, nonostante le cure di Shion, no, non lo sapeva, e chiedeva supplichevolmente perdono per una quisquilia simile.

“Quello non ha assolutamente importanza, Cammy, non… non ci stavo nemmeno pensando!” singhiozzò ancora la madre, sopraffatta, non smettendo di toccarlo.

“E allora perché piangi?”

“Per-perché ho avuto tanta paura che non aprissi più gli occhi!” gli sussurrò, distrutta dalla lunga veglia, ricercandosi il tempo per darsi un contegno.

Camus si sentiva sempre più mortificato. Era consapevole che comunque era stata colpa sua, ma non rammentava ancora i fatti accaduti per una buona manciata di secondi. Era addolorato da vedere quelle lacrime sul volto della giovane donna, gli procuravano un male lancinante, quasi come...

Un flash improvviso.

Rivisse i momenti prima di svenire tra le braccia di Shion, riaccusò il dolore di essere preso a calci, la paura di aver perso la sorellina. E capì.

Nello stesso momento, quasi in sincronia si rese conto di essere nudo tra le coperte, ad eccezione del pannolino che gli sfregava fastidiosamente sulla pelle. Provò una intensa sensazione di vergogna. Non indossava i pannolini da anni, ormai credeva di essere diventato grande, ed eccolo invece lì, nudo e indifeso come un lombrico, con quell’affare tra le gambe che sfregava fastidiosamente sulle cosce. Arrossì di netto.

“Quanto tempo è trascorso?”

“Una settimana, giovanotto… le botte subite erano più gravi del previsto, così come le ferite. Tua madre non ti ha mai staccato gli occhi di dosso per paura di perderti!” gli spiegò una terza voce, che Camus riconobbe come il vecchio con l’universo dentro, colui che lo voleva portare via dalla sua famiglia, la ragione che lo aveva condotto a scappare, ma anche colui che aveva salvato la vita a sua sorella. Doveva essersi trattenuto lì, prendendosi cura di lui.

“Marta… mia sorella sta bene?”

Shion sorrise cordialmente, nuovamente intenerito dall’attaccamento di Camus per la piccola.

“Sì, sta dormendo nella sua culla dopo aver mangiato un sacco, non ha neanche un graffio!”

A quel punto anche gli occhi di Camus si inumidirono per la commozione, mentre due lacrime gli scivolarono sulle guance diafane per poi sparire lungo il collo.

“Menomale… lei è una ghiottona, se mangia così tanto vuol dire che sta bene, sono così sollevato!” si rilassò, più sereno e con un peso minore sul cuore.

“Cammy, riposati ancora un po’ e non alzarti assolutamente dal letto, intesi? Andrà tutto bene adesso...” lo incoraggiò la mamma, accarezzandogli la guancia ancora calda e baciandogli la fronte come sempre. Tuttavia c’era qualcosa di strano in lei, un’ombra, un presagio, Camus la percepì appena mentre la vide alzarsi con lo sguardo basso e dirigersi verso la porta, fermandosi qualche secondo davanti all’uomo di nome Shion. Prese un profondo respiro, prima di parlargli schiettamente.

“Camus è sveglio adesso… chieda direttamente a lui cosa voglia fare del suo futuro, visto che la situazione è così grave, è un suo diritto scegliere! - gli disse, quasi in lacrime – Solo… solo ci vada piano, è ancora molto debole e spossato, non lo faccia sforzare troppo, la prego!”

Proferito questo si allontanò a capo chino, chiudendo la porta dietro di sé, tetra.

“Camus… scusami, ho bisogno di farti ancora delle domande, sei abbastanza in forze per rispondermi?” chiese gentilmente Shion, in tono affabile. Vedendo il movimento del piccolo, che tentava di alzarsi per darsi un contegno si affrettò ad aggiungere – Oh, no, non c’è bisogno che ti alzi, stai pure giù, lascia che questo vecchio si sieda sul bordo letto mentre ti misura la febbre e ti pone quesiti importanti...” lo fermò, riportandolo garbatamente giù e prendendo il termometro dal comodino.

“Le posso rispondere, sì, ma prima chiedo io a lei: mi ha salvato la vita?”

Shion sorrise ancora più intenerito, sfiorando la sua guancia con due dita. Era un bambino molto intelligente e sveglio, un piccolo prodigio, assolutamente degno del suo predecessore.

“Si può dire di sì… ma la tua tempra è molto resistente, senza di quella sarebbe stato tutto vano. Sei molto coraggioso, sai, Camus? Ti chiedo di esserlo anche ora, perché il momento è assai grave...”

“…Mi vuole chiedere di seguirla in quel luogo misterioso, vero?”

La domanda prese Shion in contropiede, facendolo sussultare. Già, era un bambino molto sveglio, forse anche troppo, meglio andare direttamente al sodo.

“Sì… ma prima volevo sapere se chi vi ha attaccato ha rivelato perché lo faceva… perché ce l’aveva con voi due, lo hai capito, Camus?” chiese ancora lui, scostandogli le coperte, prendendogli il braccio per mettere più agevolmente il termometro sotto l’ascella.

Il bimbo ci pensò un po’ su, muovendosi un poco per sistemarsi meglio nel letto. La pelle bruciava e le articolazioni dolevano alquanto, per non parlare dei muscoli che sembravano quasi strappati da quanto gli dolevano. Gli sfuggì una smorfia causata da una fitta istantanea al fianco, spingendolo così a rimanere fermo per tentare di controllare il malessere.

“Diceva cose strambe quel signore, mi faceva paura, sembrava un pazzo… temevo per la mia sorellina, voleva ucciderla, ha detto che la odiava e… e...”

“Calmati, Camus, sono qui, siete qui, al sicuro! - lo fermò immediatamente il Sommo Shion, percependo la sua agitazione crescente, assolutamente non adatta per un bimbo in simili condizioni – Hai detto che ce l’aveva con Marta? Voleva… voleva farle del male?”

“Sì… l’ha chiamata botolo schifoso, lei, che è un essere puro e innocente, non potevo accettare che la insultasse così, v-volevo solo proteggerla e… e invece...”

Camus continuava ad agitarsi, tanto da spingere Shion ad accarezzarlo come aveva fatto precedentemente sua madre. Era comprensibile: sebbene coraggioso e forte, era stato traumatizzato da quegli avvenimenti e, ancora di più, dal suo potere fuori controllo.

“Ci sei riuscito, Camus, l’hai...”

“L’HO FERITA!”

“E’ successo, sì, ma ora sta bene e non avrà conseguenze nella crescita!” lo rassicurò, sebbene non ne fosse altrettanto convinto.

Camus aveva ripreso a piangere, gli occhioni luminosi che si erano discostati dalla figura imponente del Grande Sacerdote, il petto sconquassato dai singhiozzi, che pure non lasciava trapelare fuori da sé.

“Camus… il nemico ha detto niente sul suo conto? Perché ce l’aveva con la piccola Marta?”

“Non so… non so come potesse avercela con lei, ha solo 8 mesi, non so… proprio non so… ma su di me ha detto gli servivo, che non mi avrebbe causato danni mortali, perché sono indispensabile per i suoi piani...”

I nodi cominciavano a venire al pettine, muovendo gli ingranaggi. Il vecchio Shion lentamente cominciava a soppesare un piano ben più grande, illimitato, tanto che la mente umana, forse, non sarebbe bastata. Era atroce. Le tenebre correvano veloci. Erano tenebre ben diverse dalla nuova minaccia di Hades, ancora lontana, ma forse ancora più terribile di quella.

Era comunque certo che il nemico, almeno per il momento, aveva discostato i suoi occhi su quella dimensione, convinto che Marta fosse ormai morta, il che era un bene, offriva a loro una chance di celarla, permettendo così alla piccola di vivere una vita normale.

“Camus… ti è mai capitato di formare e maneggiare altre figure di ghiaccio oltre alle stalagmiti con cui hai colpito quell’essere?”

“Sì, lo faccio da quando avevo tre anni… A Marta, poi, piacciono così tanto, dovrebbe vedere come sorride, riscaldandomi il cuore...” proferì il piccolo, nuovamente emozionato nell’evocare a sé la dolce espressione della sorellina.

“Che tipo di costruzioni fai?”

“Animali… adoro formare degli animali di ghiaccio, si muovono pure, per poi scomparire. Sono davvero belli!”

“Aspetta! Hai detto che le muovi secondo la tua volontà?”

“Sì, è così!”

“E’… è magnifico! Davvero hai il Potere della Creazione, tu solo!” si stupì Shion, quasi boccheggiando. A differenza degli altri Cavalieri d’Oro, aveva già un’impronta, un’abilità unica. Non solo: una abilità che nessun altro essere umano possedeva, occorreva proteggerlo con tutte le forze in suo possesso.

“Piaceva anche a me… ma poi ho ferito Marta con quello e ora… ora non lo voglio più usare… - mormorò ancora, affranto, tremando – La piccola… sta davvero bene?”

Non riusciva proprio a credere che il suo colpo non avesse portato conseguenze serie sulla sorellina, si dimenava nel parlare di lei, spaventato a morte. Shion gli sfiorò nuovamente la guancia per rassicurarlo.

“Sì, stasera, se ti saranno tornare un po’ di forze, potrai rivederla. Sta bene, Camus, davvero, è vivace come sempre!”

Il piccolo annuì, socchiudendo gli occhi, la stanchezza cominciava a prendere piede, era necessario andare dritto al punto, il più importante.

“Camus… c’è un modo per controllare il tuo potere, sai? Ma per farlo devi venire con me...”

Il bimbo riaprì gli occhi, brillanti nonostante la debolezza, prestando attenzione alle parole dell’uomo al suo fianco, il quale gli spiegò passo per passo ogni cosa.

“Camus, tu sei un essere speciale, un predestinato… se verrai con me ti porterò insieme ad altri bambini come te, imparerai a sfruttare appieno la tua dote, in modo che… non accada più una cosa simile. Inoltre...”

“Inoltre?”

“Ho il sentore che, così facendo, tua sorella abbia più speranze di condurre una vita normale. Ho ragione di credere che il Mago la reputi morta, non la cercherà più e, se ti lascerai condurre al Tempio, porteremo in salvo anche te!”

Camus no rispose subito, soppesando l’entità di quel discorso fin dove la sua giovane mente lo concepiva. Purtroppo capiva bene la realtà delle cose, e le parole di Shion erano veritiere, aveva avuto la stessa sensazione sua.

“Se accetto riuscirò a controllare questo potere?”

“Senza dubbio!”

“E… se controllo il potere potrò proteggere Marta?”

“Marta o qualunque altra persona che vorrai proteggere!”

“Sarò davvero così forte?”

“Lo sei già, piccolo… ma ad ogni modo, sì, hai una dote naturale in questo!”

Camus si zittì, tremando con ancora più forza. Aveva freddo e un peso sul cuore che gli mozzava il respiro. In quel momento sapeva la strada giusta da prendere. La sapeva. Ed era la più dolorosa.

Rivisse brevemente gli istanti del confronto con quell’essere ripugnante. La sofferenza, la sua, ma ancora di più la paura per la sorellina, il sentirsi spezzato, per le botte subite, fino alla terribile immagine di Marta trafitta dalla sua stessa creazione. L’essere che più gli stava a cuore, che aveva rischiato di morire per sua mano, per la sua debolezza. No, non poteva tollerare su di sé quello sbaglio, lo avrebbe perseguito di notte, ad occhi chiusi e aperti, non poteva tanto meno accettare l’idea che avrebbe potuto ripetersi.

“Ho… ho promesso a Marta che saremo cresciuti insieme, che le avei fatto vedere il mondo, dal canto del merlo al profumo del tulipano… glielo ho giurato! - biascicò con enorme fatica, sentendosi tremendamente male nel pronunciare quelle parole che preannunciavano una rinuncia, la più grossa e la più sofferta – Ma… ma ancora di più io voglio proteggerla! Non posso pensare di rischiare nuovamente di farle del male, non posso! Per cui… se questo potrà servire per tenerla al sicuro e per rendere me più forte in modo da prendermi cura meglio di lei… allora accetto! Accetto tutto ciò che esso può comportare!”

“Oh, Camus… sei molto coraggioso! Ti prometto che a tua sorella non accadrò niente, vivrà in pace, crescerà felice, senza ingerenze esterne, te lo giuro solennemente!” si sentì in dovere di promettere solennemente, non sapendo neanche lui bene come destreggiarsi in una simile situazione. Si sentiva lordo e stanco, tanto stanco, a commettere quell’ennesima ingiustizia per un bene superiore. Lo avrebbe comunque fatto, come era nei suoi doveri, ma con dolore.

Camus nel frattempo si era rifugiato sotto le coperte, lasciando finalmente libero sfogo alle lacrime di cadere e bagnare le lenzuola. Era spossato. Era stremato e soffriva, ma non poteva fare diversamente.

“Voglio solo che la mia sorellina sia felice, anche senza di me, me lo prometta, la prego: non le accadrà più niente, NIENTE!”

Shion non poteva che annuire per calmarlo, sempre più coinvolto per le sorti di quel bambino come mai gli era accaduto con gli altri, eccetto Mu, suo allievo prediletto.

Camus gli strappò la promessa per un totale di tre volte, come Kengah aveva fatto con Zorba, quasi fosse una garanzia in più sul suo mantenimento. Poi, tra le lacrime e altri giuramenti vari, ancora debilitato per la febbre, sprofondò nuovamente in un sonno profondo ma catartico.

 

 

* * *

 

 

25 novembre 1994, ultima notte prima della partenza

 

 

Nel buio della notte, Camus scostò le coperte le lo avvolgevano, infilandosi in fretta la maglia del pigiama prima di posare i piedi nudi per terra e avviarsi verso la porta. Le forze gli stavano lentamente tornando, ormai era in grado di nutrirsi e camminare da solo, ma sotto consiglio di Shion, a suo dire, per far respirare un po’ d’aria alla pelle martoriata, dormiva a busto scoperto, limitandosi ad indossare i soli pantaloni. Tuttavia, quella notte, l’ultima passata in quella casa, stava passando del tutto insonne, spingendolo così ad alzarsi per andare a vedere la sorellina nella culla.

Facendo meno rumore possibile, si diresse nell’altra stanza. La casa era avvolta dal silenzio completo, l’atmosfera carica di tensione si presagiva ampiamente. I nonni dormivano nella stanza vicina, avvolti in un ritmico russare, la madre al piano terra, più composta, l’ospite Shion, del tutto silente, probabilmente nel soggiorno, e la sua amata sorellina nella cameretta adibita per lei.

Camus si sentiva molto triste, sentendo forte e chiaro in lui il bisogno di piangere e non riuscendo a porvi rimedio. Non gli era mai capitato di versare così tante lacrime nella sua breve vita, era una sensazione fastidiosa e spossante, atrocemente spossante. Era inquieto, spaventato, ma la decisione era stata presa, non sarebbe tornato più indietro, non avrebbe più avuto esitazioni, anche se non era ciò che realmente voleva. Il suo unico desiderio era di crescere con la sorellina, di farle vedere il mondo, quel fantastico e meraviglioso mondo che era spietato e atroce allo stesso tempo, un po’ come il tic e tac di un orologio che produceva due suoni diversi.

Quel mondo era bellissimo, come una cinciallegra che volava al nido per nutrire i propri piccoli.

Quel mondo era terribile come un insetto finito nella tela del ragno e subito spietatamente predato.

Bene e male erano intermediari a metà, ma se fossero stati insieme, lui e la sorella, sarebbero riusciti a superare tutte le difficoltà e ad assistere a quella meraviglia, chiamata vita, con il doppio della gioia condivisa. Solo questo Camus desiderava, più di ogni altra cosa e sopra ogni cosa.

Il suo unico desiderio. Irrealizzabile. Una fitta al petto lo colpì, come sempre quando pensava a cosa avrebbe rinunciato da quel giorno in avanti. Eppure non avrebbe ritratto: il bene della sorellina, la sua sicurezza, era prima del suo volere. Null’altro importava.

Finalmente arrivò davanti alla porta della cameretta della piccola, lasciata socchiusa, la spinse delicatamente, facendola cigolare il meno possibile. Lentamente ne varcò la soglia, dirigendosi verso la culla. Entrarvi fu più difficile del previsto, il dolore che provava nel muoversi era ancora acuto, ma non si arrese e, coniugando tutti i suoi sforzi, finalmente raggiunse la sommità della culla.

Rischiarata dalla luce del lampione fuori (la piccola aveva paura a dormire al buio completo, era molto più tranquilla con una luce che illuminasse la cameretta), il viso della neonata sembrava neve fresca, così assolutamente perfetta, così soffice e delicato… Camus si intenerì immediatamente, sorridendo amaramente: ecco cosa perdeva per garantirle un futuro sicuro. Era tutto lì, come il significato stesso dell’esistenza!

Ingoiò a vuoto quell’immenso fardello che gli bloccava la gola, le labbra gli tremavano, vinte da quella pressione inarrestabile. Rimase lì per una serie di secondi, accorgendosi di essere bloccato, un solo movimento e avrebbe ricominciato a piangere.

La piccola, dal canto suo, dormiva beata con il pollice in bocca, non sembrava davvero aver subito conseguenze permanenti dal colpo che l’aveva inavvertitamente trafitta, ma Camus continuava a non sentirsi tranquillo. Shion gli aveva detto di non preoccuparsi ulteriormente, che era tutto sistemato, che sarebbe stata bene da quel momento in avanti… ma sarebbe davvero andata così? Sacrificando il suo tempo con lei, sarebbe stata realmente al sicuro? O sarebbe stato tutto vano? Era certo che quell’uomo spietato sarebbe tornato per lui, non sapeva bene quando, ma lo avrebbe fatto, più sua sorella era distante, più sarebbe stata in salvo.

Si lasciò cadere nella culla, stremato, avendo comunque cura di non svegliare la piccola, cosa comunque impossibile perché aveva un sonno davvero profondo. Le si avvicinò gattonando, prendendola poi tra le braccia e sdraiandosi al suo fianco.

“C-ciao, piccolina...” si raschiò la gola, ritrovandosi a tremare impaurito. La piccola non rispose verbalmente, essendo nel mondo nei sogni, ma pur nell’incoscienza, ebbe comunque l’istinto di voltare il visino silvano proprio nella sua direzione. Lo percepiva. Le altresì piccole dita di Camus le sfiorarono le guanciotte, mentre i suoi occhi tornano ad essere annebbiati, ma non per le ferite.

“Perdonami… - le disse a cuore aperto, stringendosi a lei con tutta l’intensità che disponesse in quel preciso istante – Ti avevo promesso un sacco di cose, che saremmo cresciuti insieme, che ti avrei fatto vedere le meraviglie di questo mondo, che ci sarei stato nei momenti di difficoltà, quando il cielo sembra caderti addosso e la speranza si rompe in mille frammenti, e poi ancora, che non ti avrei mai lasciato da sola, ma… ma pare che non potrò mantenere neanche un giuramento...” sospirò, affogando a forza un singhiozzo dentro sé. Parlare, soprattutto in quei momenti di totale prostrazione, non era affatto semplice.

“Ma, sai, piccolina? C’è qualcosa di più forte che va oltre ai miei desideri, è l’istinto di proteggerti e, per farlo, devo diventare più forte, ad ogni costo! - continuò a spiegarle, non smettendo di cingerla con tutte le forze che possedeva – Il vecchio Shion mi ha raccontato che sarò un Cavaliere d’Oro e che questi ultimi, dodici in tutto, sono più forti di ogni altra cosa umana di questo mondo. Sono dei veri prodigi, possono compiere miracoli, ed è così che sono i più alti paladini della giustizia! Io acquisirò tale potere per garantire la tua sicurezza, crescerai felice, non avrai più quell’uomo spietato a tentare di ucciderti e potrai vedere questo meraviglioso mondo con i tuoi occhi enormi e pieni di speranza, anche se… anche se saremo lontani...”

Camus faticava sempre di più a parlare modulando la voce in modo da non essere troppo incrinata. Non voleva che la sorellina si preoccupasse, non voleva svegliarla, per questo tentava il tutto e per tutto per controllare le sue emozioni. Voleva passare quella sera a parlare, parlare, parlare e ancora parlare, sebbene la stanchezza lo trascinava sempre più nelle tenebre del sonno.

“A-anche se… saremo lontani, io...”

Tacque un attimo, ripensando alle parole dolorose del vecchio Shion, che era stato fin troppo chiaro e sincero:

 

Tieni questo però a mente, Camus… tua sorella è molto piccola, se scompari dalla sua vita in questo momento, lei non si ricorderà più di te, crederà di essere figlia unica. Sarà quindi al sicuro dalle ingerenze del nemico, ma non avrà più alcuna memoria del tempo passato con te. Ti va bene lo stesso?”

 

Gli andava bene lo stesso, anche se il solo pensiero lo torturava e lo faceva soffrire ancora di più. Avrebbe così rinunciato a tutto, Camus, nato a Nizza il 7 febbraio del 1989 e fratello maggiore di Marta, non sarebbe più esistito, dando così, forse, vita ad un altro sé stesso. Ancora una volta il piccolo Cammy sentì un enorme strappo dentro di sé. Definitivo.

“Anche se saremo lontani… io non ti dimenticherò mai, Marta, te lo prometto, non scorderò il tuo viso, saprò sempre di essere stato tuo fratello maggiore, anche se per un tempo così limitato. T-te lo giuro solennemente!” balbettò, baciandola sulla fronte, poco prima di adagiarsi al suo fianco e scoppiare in un vero e proprio pianto silenzioso ma continuo. Una parte di lui sarebbe fuoriuscita per sempre, esattamente come quelle lacrime. Si ricordò dell’ultimo passaggio del racconto “storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, che aveva perduto su quel treno, ed ebbe l’impulso di ripeterlo, a lei, alla sua dolce sorellina, che avrebbe dovuto aprire le ali da sola, senza più l’aiuto di Zorba, volando nel cielo con tutte le energie in suo possesso. Sapeva che lo avrebbe fatto, perché lei era forte, una piccola guerriera. Ingoiò a vuoto, prima di chiudere gli occhi e recitare a memoria l’ultimo passaggio, quasi come un rituale di separazione.

Zorba rimase a contemplarla finché non seppe se erano gocce di pioggia o di lacrime ad annebbiare i suoi occhi gialli di gatto nero grande e grosso, di gatto buono, di gatto nobile, di gatto del porto”.

Si arrese infine alla stanchezza, sprofondando in un sonno abissale.

Quelle furono le ultime lacrime che Camus, il futuro Aquarius, versò per molti, moltissimi, anni.

 

Pochi minuti dopo anche il vecchio Shion, rimasto insonne pure lui, si decise a salire in cameretta di Marta per analizzare, per l’ennesima volta, la situazione.

Il Potere cella Creazione non aveva lasciato segni visibili sul corpicino di Marta, vivace e sana come un pesce, ma qualcosa non tornava nella sua vecchia mente. Quell’abilità era totalmente sconosciuta ai più, persino lui, nei suoi oltre duecento anni di vita non ne aveva sentito parlare che come una leggenda. Non poteva quindi sapereche conseguenze avrebbero potuto esserci nel subire quell’attacco per una creatura appartenente al mondo fisico. Sapeva per certo che il farabutto ne era stato colpito, ben si rammentava dei rivoli di sangue che colavano dalle ferite, ma Marta? Cosa era successo alla piccola? L’aveva presa al volo, impedendole di finire malamente a terra, che non respirava, ma poi la stalagmite si era dileguata come neve al sole ed era bastato poco per riattivare il respiro della neonata, e il foro si era richiuso quasi subito, senza perdite di sangue. Ma a quale prezzo? Cosa aveva danneggiato, di lei, se non era la fisicità? Per questa ragione il vecchio Grande Sacerdote si era recato da lei per tutte le notti in cui era stato gentilmente ospitato dalla Signora Antoinette. Temeva una morte in culla, o peggio, ma la piccola permaneva a stare sempre bene, de tutto dimentica di quella brutta esperienza che invece aveva segnato profondamente suo fratello. Il dilemma avrebbe quindi richiesto tempo per risolversi, per il momento sembrava tutto sistemato.

Arrivato al piano di sopra, notò la porta della cameretta aperta. Temendo qualcosa, si recò subito a vedere la culla, trovandovi sia Camus che Marta profondamente addormentati e stretti in un abbraccio disperato e intenso al tempo stesso.

Il piccolo Camus era coricato sul fianco destro, quello meno ingiuriato, respirava pesantemente ma non sembrava più soffrire per i colpi subiti. La sua testa era vicinissima a quella della neonata, appoggiata a lui con una manina a stringere due delle dita del fratello maggiore. Era serena, a differenza del futuro Aquarius che aveva il volto illuminato da un rivolo brillante che, complice la luce, lo faceva apparire come una galassia di stelle luminose. Si era addormentato piangendo, le lacrime non gli si erano del tutto asciugate.

“Oh, Camus… vuoi davvero bene a tua sorella, vero? Meritavate di certo di rimanere uniti, perché davvero non ho mai visto un rapporto profondo quanto il vostro, ma, ahimé, ognuno nasce sotto determinati auspici e viene proiettato in un destino dal quale difficilmente può scappare completamente. A te è toccato questo...” mormorò, prostrato all’inverosimile.

Davvero riportare Aquarius al Tempio gli stava costando più fatica del previsto, e tanti, tanti rimorsi, che però non potevano certamente fermalo.

Erano passati giorni dal suo arrivo a Genova e ancora stava lì, pressato. Fortunatamente aveva delegato i suoi doveri al più grande dei Cavalieri d’Oro presenti: Saga di Gemini. Era sicuro che stava facendo un ottimo lavoro, del resto era un’anima nobile e un fiero combattente, malgrado la giovane età, ma non poteva comunque prolungare ancora per molto la sua assenza. Era il momento di agire.

Si chinò sulla culla, spostando gentilmente il viso di Camus con l’indice e il pollice in modo da essere frontale con il suo volto, gli sbottonò e aprì la maglietta del pigiama, controllando le sue condizioni fisiche sia per mezzo della vista che del tatto: aveva un grosso livido sul fianco sinistro, esso scendeva fino all’ombelico, e dava motivo di preoccupazione, visto il perenne colore scuro che lo contraddistingueva, come un vero e proprio versamento. Non era tuttavia il solo, perché tutto il busto, e soprattutto la schiena, erano contornati da quei segni ingiuriosi. Non era bastato il suo intervento per rimetterlo in sesto, ormai aveva usato quasi tutte le sue risorse, sarebbe quindi servito l’aiuto dei Curatori del Santuario. Sospirò, affranto.

“Perdonami… un tempo avrei potuto guarirti completamente, ma… la vecchiaia deve avermi fatto perdere un po’ di smalto...” gli sussurrò, teso, riabbottonandogli il pigiama.

Fatto questo, lo sollevò appena, tanto quanto bastava per stipulare un vero e proprio contatto tra la sua fronte e quella del bambino. Il piccolo non si risvegliò, totalmente assopito. Meglio così.

“Camus, perdonami anche per quello che sto facendo… perdonami, ma devo farlo! Io rammenterò ogni singolo fatto di quello che mi hai raccontato e di ciò che ho visto, ma per te, vittima di una violenza così inaudita e di una sofferenza più che ingiustificata, forse è meglio dimenticare lo spiacevole scontro contro quell’essere...” disse così, mentre dal contatto della loro pelle, scaturì una luce carezzevole e rassicurante. Quel bagliore improvviso svegliò la piccola Marta che, non vista, spalancò le ampie iridi, assorbita a sua volta da quello strano fenomeno.

La luce terminò di brillare, permettendo così a Shion di raddrizzarsi e di accompagnare gentilmente il corpicino di Camus dove era prima, ovvero a fianco della sorella, dove avrebbe desiderato di essere.

I suoi ricordi di quella nefasta esperienza erano stati sigillati, non spariti, ma suggellati momentaneamente, in attesa. Nulla avrebbe comunque potuto farli riaffiorare, se non la volontà dello stesso Shion.

“Domani partiremo, Camus, tutto cambierà per te, piccolo, non posso fare diversamente! Quella è la tua vera casa, quello il luogo in cui tornare. Ma fino ad allora dormi serenamente. Questa notte è ancora vostra, se Atena vorrà, vi rincontrerete prima o poi, in questa vita o in un’altra!”

 

 

* * *

 

 

“…Modificai i ricordi di Camus, in modo che non potesse ricordare quel brutto incontro, né quello che aveva patito, ma, come sai, non ti dimenticò mai. Certo, smarrì il tuo nome, ma non la consapevolezza di avere una sorellina. Io credo che… credo che nei momenti difficili si sia soventemente aggrappato a te, al tuo viso da neonata, io… ne sono sicuro, Marta!”

Non ribatto nulla, totalmente prostrata da quella visione che si è stampata ora nel mio cervello. La mia bocca è semi-aperta, calde lacrime mi bagnano le guance, continuando a scorrere fino al collo. Ho vissuto le sensazioni di mio fratello come fossero mie, come sempre, ma triplicate sulla mia pelle, in seguito, a quelle, si sono aggiunte anche le mie, sopraffacendomi.

Io… io non ci posso davvero credere, al momento mi sento come se mi avesse investito un treno in corsa, distruggendomi da dentro e dilaniandomi. Tu-tutto quello che lui ha fatto per me, fin da piccolissimo, la sofferenza patita ad opera di quel bastardo, la sua scelta di accettare il suo destino… quindi… quindi Camus è diventato Cavaliere d’Oro per me, per proteggermi e… e comunicavamo fin da piccolissimi. Io… oddio!

“Ho… ho bisogno di sedermi, le gambe non mi reggono e… ugh!”

Sto per crollare per terra, ma Efesto è lesto a sorreggermi con gesto burbero. Non mi tocca che il minimo indispensabile, giusto per impedirmi di cadere, ma abbastanza da farmi riprendere.

“Sembra quasi che anche tu sia stata malmenata… davvero provate le emozioni reciprocamente, gran brutto affare!”

“Fatti gli affari tuoi!”

“Marta… non mi piace questo vostro potere che state sviluppando! Vi soverchierà, con il tempo!”

“E invece… invece è la cosa più bella che potesse accadere!” mi oppongo, fulminandolo con lo sguardo.

“Sarà… ma rimanete il punto debole dell’altro!”

“Ma anche la forza reciproca!” continuo, testarda.

Efesto sospira sonoramente, poi, capendo che il momento di smarrimento è passato abbastanza da farmi reggere in piedi da sola, si allontana scocciato. La prossima volta che disprezzerà questa dote che condivido con mio fratello, gli rifilerò un calcio in culo, come minimo! Non si deve azzardare neanche a nominarlo, questo potere, è il mio tesoro più prezioso!

“Marta, scusami… so l’intensità di ciò che ti ho fatto rivivere, ma era necessario per farti capire...”

Annuisco comprensiva, non sentendomi ancora del tutto bene. Troppi avvenimenti, troppe emozioni. Mi asciugo velocemente gli occhi, scacciando il pianto sommesso che mi aveva avvolto, tornando a scrutare Shion; anche per lui non deve essere stato affatto facile...

“Ad ogni modo, Camus non mi ha mai perdonato per averlo separato da te, lo hai ben visto l’altro giorno. Non ricorda i fatti realmente accaduti, se non a sprazzi, non ricorda il Mago, che lo ha picchiato violentemente, ma rammenta che sono stato io ad allontanarlo dalla sua famiglia e dal suo desiderio di crescere insieme a te, ecco la ragione della sua reazione così accesa l’altro giorno! - prende una breve pausa, sentendosi stanco, sebbene, di aspetto, sia tornato giovane – Ora che ti ha ritrovata, non permetterà più a nessuno di separarlo di nuovo da te, né a te di essere in pericolo… è così protettivo, nei tuoi confronti...”

Non dico niente, ancora profondamente scossa. In questo momento vorrei solo correre da lui e abbracciarlo, ringraziandolo per l’uomo straordinario che è, per essere il mio eroe sempre e comunque, e per tutto quello che ha fatto per me, fin dal primo battito del mio cuore. E’ una sensazione talmente forte che a stento riesco a controllarla, per questo Efesto è così preoccupato, anche se non lo vuole dare a vedere, me ne rendo conto, ma… non posso comunque permettergli di partecipare alla mia sfera personale, mi rifiuto.

“Una cosa ancora, Nobile Shion… - accenno, tornando sulla questione più urgente, lasciando momentaneamente i sentimentalismi indietro – Io non ho cicatrici visibili sulla spalla sinistra e, fino ad adesso, almeno, non ho mai avuto problemi di salute. Nella visione avete detto che tale capacità dipende dalla volontà di chi possiede questo potere… Camus non voleva farmi del male, quindi… cosa mi è successo?”

“Sapevo me l’avresti chiesto... è un altro dei motivi per cui ti ho fatto assistere a tutto questo” prende parola lui, passeggiando nervosamente intorno, totalmente sulle spine. Rimango ferma e immobile in attesa che prosegua.

“Figlia mia, le teorie a cui siamo giunti sono molteplici, ma nessuna risposta definitiva. Non ti piacerà...” mette le mani avanti mio padre, forse per la prima volta comprensivo.

“Non ha importanza… mi avete fatto vedere tutto questo e l’ho vissuto sulla mia pelle, già solo così è tutto cambiato per me - li tranquillizzo, risoluta, fremendo visibilmente – Camus… Camus ha fatto così tanto per me, fin da piccolissimo, ed io… io, per 17 anni non ho saputo nemmeno della sua esistenza. Ero del tutto ignara, mentre lui ha vissuto con questo tremendo peso sul cuore. Ditemi pure a quali supposizioni siete giunti, vi prego!”

Shion ed Efesto si scambiano un’occhiata grave, poi vedo mio padre annuire, dando così il permesso al Grande Sacerdote di proseguire.

“Marta, prima prometti che non racconterai a Camus nulla di ciò che hai visto. Anche così, pur non rammentando distintamente, da quel giorno ha smesso di usare il Potere della Creazione, arrivando ad odiarlo… gli si spezzerebbe il cuore a ricordare che ti ha ferito in quella maniera, ed è proprio questo ad angustiarmi. Probabilmente sopporterebbe l’idea di essere stato barbaramente preso a calci, ma non quella di averti fatto del male, non potrebbe tollerarlo!”

“Non lo farò, no, non dirò niente, ma ditemi… ditemi che conseguenze pensate che abbia avuto questo potere su di me, io… sto bene, ma… dalla visione...”

“Orbene, Marta, ascoltami attentamente… - si appoggia alla colonna Shion, prendendo un profondo respiro – Ho ragione di credere che tale potere non abbia danneggiato in alcun modo gli atomi del tuo corpo, ma ti abbia colpito più in profondità...”

“E cioè?”

Vedo l’incertezza baluginare in lui, saldamente ancorata alla sua rivelazione. Non sa come addolcire la pillola, si capisce. Per questo ci pensa Efesto, assai meno premuroso.

“Ho sempre pensato che tu non possedessi alcun potere, Marta, non in maniera innata, almeno, ad eccezione di essere Seraphina nella precedente vita ed aver così ereditato alcune delle sue, si può dire, specialità… - mi racconta, chiaro, senza incrinare il tono della voce – Ma non avevi un cosmo tuo, da piccola…”

“Sai… di Seraphina?! ”

“So”

Ingoio a vuoto, lasciando che questa nuova notizia penetri in me. Lentamente. Inesorabilmente.

“Sarebbe a dire, quindi… che non sarei una predestinata? - chiedo, a bassissima voce, sentendomi, per una manciata di secondi, meno speciale di quanto credessi – Sarei una ragazzina qualsiasi, retaggio di una personalità grandiosa chiamata Seraphina e che si è ritrovata, di capocollo, il potere del ghiaccio grazie a suo fratello?! ”

“Secondo le mie teorie… sì!”

“Oh...”

“Secondo le mie… no, non solo!” prende di nuovo parola, Shion, avvicinandosi a me con sguardo fiero e penetrante. Ha proprio l’universo dentro, aveva ragione il piccolo Cammy…

“Sì… o no? Siate chiari, per lo meno, accidenti!” ribatto, un poco infastidita.

Shion, vedendo la mia espressione corrucciata e percependo ciò che si muove in me, mi posa gentilmente le mani sulle spalle, acciuffando così il mio sguardo.

“Marta, ascoltami attentamente, la risposta certa non l’abbiamo ancora trovata, non è univoca, ma ha poca importanza. Ora, è vero che, quando presi Camus con me, da te non percepii la sfavillante aura cosmica che possiedi invece ora, ma mi chiedo… non riuscii a scorgerla perché non ce l’avevi? Oppure era talmente grande ed elaborata da riuscire a rimanere silente in te? E… se fossi stata tu a celarmela intenzionalmente?!”

“I-io...”

“Uhmpf, ne abbiamo già parlato, Shion, Marta era una neonata all’epoca, come avrebbe potuto tenerlo nascosto?! D’accordo, eri vecchio, ma non può averti gabbato, andiamo, su, è molto più probabile che non avesse alcun cosmo!” gli fa notare Efesto, in tono tranquillo.

Io questo, prima o poi, lo prendo a calci in culo, giuro… come diavolo fa ad essere così assurdamente irritante anche quando crede di parlare normalmente?!

Mi limito a fulminarlo con lo sguardo, mentre Shion, voltandosi leggermente verso di lui, mi difende.

“Può averlo fatto, invece! Sapete anche voi la reale identità di Marta, sapete che ha scelto lei di rinascere come sorella di Camus. E’ di gran lunga una creatura oltre le aspettative!”

“Non ho mai detto il contrario, tutto può essere, ma al momento siamo ancora nel ventaglio delle ipotesi!” acconsente parzialmente Efesto, guardando altrove.

A questo punto sono io a prendere la parola, attirando l’attenzione del Grande Sacerdote con una stretta di mano.

“Vorrei udirlo dalle vostre labbra, Nobile Shion, come pensate che mi abbia nuociuto il Potere della Creazione di mio fratello?!” chiedo, tremando distintamente, un poco titubante. In verità vorrei dimostrarmi forte, soprattutto davanti a mio padre, che mi sottovaluta sempre, ma mi sento sconvolta e… spaventata.

Shion mi passa gentilmente una mano tra i capelli, regalandomi un altro sorriso di incoraggiamento, prima di parlare.

“In verità, mi piacerebbe risponderti in maniera completa, ragazza, ma… non lo so ancora. Da quando sei giunta qui sto provando a fare ricerche… purtroppo è un potere che risale alla Notte dei Tempi, non si trova quasi nulla, è mitico persino per le divinità... - mi spiega, poi vedendo che mi sono morsa il labbro inferiore, prosegue – Tuttavia… sono pressoché certo che Camus, tuo fratello, ti abbia dato qualcosa quel giorno...”

Alzo lo sguardo, incrociandomi di nuovo con l’universo che scaturisce nei suoi occhi. Shion mi posa una mano sul petto con gesto paterno, rassicurandomi ulteriormente.

“Qualsiasi impulso, energia, o principio, ti abbia donato inconsapevolmente lui, è dentro di te, proprio qui. Ho piena fiducia che tu riuscirai a controllarlo, non avere paura di esso, anche se sì misterioso e profondo, consideralo come un’ulteriore prova del vostro indissolubile legame!” tenta di rassicurarmi, una volta in più.

Annuisco cupa, tenendo lo sguardo basso. Cerco di non dare peso al significato sottinteso da Shion in quest’ultima frase, e cioè che, qualsiasi sia questo dono, o impulso, o emanazione, che dir si voglia, ci sono discrete possibilità che esso sia un principio malvagio altamente distruttivo. Creazione… che diventa distruzione? Rabbrividisco, massaggiandomi le spalle.

“Hai… bisogno di riposare?” mi chiede premurosamente Shion, percependo che il messaggio è arrivato e con esso il significato.

“V-vorrei andare da Camus, ho… ho così bisogno di abbracciarlo, non immaginate quanto… - tento di spiegare, emozionata Mi ha stretto il cuore vederlo in quelle condizioni...” biascico, torturandomi le mani.

Shion mi sorride con dolcezza, lasciandomi libera di sgattaiolare via.

“Ci mancherebbe, Marta! Vai… vai da lui, e abbraccialo, ricordandogli di quanto sia insostituibile per te. Sei la sua luce, ti sarà già stato detto e lo sai certamente anche tu. Lui è… felice, in questo periodo, come mai prima d’ora. Dopo tutto quello che ha sofferto, non l’ho mai visto luminoso come adesso, e il merito è tuo, non dimenticarlo mai!” mi incoraggia, benevolo.

Faccio un mezzo inchino, grata, poi corro via, ardentemente desiderosa di ritagliarmi un po’ di tempo con lui e lui solo. Il cuore trepidante e proiettato in avanti nell’immaginarmi di correre ad abbracciare mio fratello Camus.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi nuovamente qui con la seconda parte dei capitoli inerenti a Camus, Marta e alla loro “avventura” nel 1994. Ciò che qui ho narrato, è di cruciale importanza per i prossimi avvenimenti.

Questo capitolo completa la spiegazione che Camus sul suo potere nell’epilogo di sentimenti che attraversano il tempo, mettendo in luce le ragioni che lo hanno spinto a temere così tanto questa dote meravigliosa e terribile. Essa non si limita a concepire atomi non esistenti nel mondo fisico, ma come si è visto durante il primo scontro con il Mago, è anche in grado di far ripartire un tempo fermo o… “annullare” il tempo medesimo.

Questa è la ragione per cui il “mio” Camus non ha lo Zero Assoluto, che invece è un principio opposto, avvolto ancora nel mistero.

Anche qui i riferimenti alle altre storie si sprecano, ma sono due quelli principali su cui pongo l’accento:

1) Ipsias, il mondo perduto da cui proviene il Mago di cui parlo nel capitolo tre di Parallel hearts (diviso in due) e che avrà ulteriori approfondimenti in altre circostanze.

2) Le condizioni di Camus, raccontate in “ritrovarsi al Grande Tempio di Atene”, che vede come protagonisti i mini Gold e, nei primi capitoli, un piccolo Camus abbastanza conciato male. Ora sapete perché.

Si può quindi dire che gli interessi del Mago per il Potere della Creazione partono da qui, ma non il suo desiderio di “usare” Camus, anche se quest’ultimo particolare ancora sfugge. Multiversi? “Voi e il vostro rapporto con le rispettive sorelle?”, senza contare che qui, per la prima volta si parla di un “altro” Camus (anche qui il collegamento è con Parallel hearts. Lo so, sono più le domande che le risposte!

Vorrei evidenziare un’ultima cosa prima di lasciarvi, ovvero il riferimento alla “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, un racconto basilare per la mia infanzia, e che ho voluto omaggiare in questo capitolo, stante anche la recente e dolorosa morte di Luis Sepùlveda. A onor del vero, va detto, il libro è del 1996, mentre i fatti narrati accadono nel 1994, diciamo che mi sono presa una piccola licenza poetica e ho anticipato la pubblicazione di due anni. Questo racconto sarà molto importante sia per Marta che per Camus, come si è capito, torneranno dei riferimenti più avanti nel corso della storia. ;)

  
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