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Autore: Dalybook04    20/04/2020    1 recensioni
Napoli, 1712
Antonio Fernandez Carriedo aveva scoperto con non poca sorpresa quanto si potesse comunicare attraverso un pomodoro.
***
-bastardo?
-dimmi Lovi
-ho fatto davvero bene a lanciarti quel pomodoro.
-già- lo baciò -hai fatto davvero bene
***
Gli piaceva pensare fossero un regalo da parte sua, come se ogni pomodoro che cresceva gli volesse ricordare quanto lo avesse e avrebbe amato, e quanto lo amasse ancora.
***
-ve, mi dispiace fratellone. Stai tranquillo, l'amore troverà un modo
-non darmi false speranze, Feliciano. Per favore.
***
-a quanto pare abbiamo entrambi il cuore spezzato, eh?
***
_principalmente Spamano e Gerita, con accenni molto lievi alla PruAus_
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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Lovino si risvegliò al caldo. Voltò la testa e, trovando il viso del bastardo spagnolo affianco al suo, sorrise. La notte prima, dopo cena, si era ritirato con la servitù per non destare sospetti e, non appena tutti si erano addormentati, era sgattaiolato dall'altro, che lo aveva accolto a braccia aperte.
Era stata in assoluto la notte migliore della sua vita, almeno fino a quel momento; si erano baciati, sempre più profondamente, fino a finire sul morbido letto dell'altro. Antonio lo aveva riempito di baci ovunque, lo aveva stretto come la cosa più preziosa del mondo e lo aveva fatto stare bene in modi che prima Lovino aveva solo sognato, ma questa volta non c'era stato nessun crucco irritante a interromperli. Piano piano, i ricordi della sera prima gli tornarono alla mente, e Lovino sorrise stringendosi di più al suo amore. Si sentiva pieno di sole, rilassato e sdolcinato, pure troppo per i suoi standard, ma non ci diede peso; si limitò ad accarezzare i capelli del ragazzo affianco a lui, disordinati e sparati ovunque, sia per il sonno e sia, soprattutto direi, per tutte le volte in cui Lovino ci aveva passato le mani in mezzo la notte prima, aggrappandosi ad essi o giocandoci distrattamente. Mentre cercava di darci un ordine, Antonio si svegliò.
-'giorno, Lovi- sbadigliò, passandosi una mano tra i capelli, spettinandoli ancora di più.
-'giorno, bastardo- gli stampò un bacio sulla guancia, con un sorriso.
-Dio, quanto vorrei svegliarmi così ogni giorno.
-posso tornare anche stasera.
-no, nel senso... ogni giorno per tutta la vita. Sai, tipo marito e moglie.
-sai che non è possibile.
-però mi piacerebbe- lo baciò, salendogli sopra a cavalcioni e posando poi la fronte sulla sua.
-potremmo fuggire- intervenne Lovino.
-eh?
-sì, insomma...- tossicchiò a disagio -è pieno di campagna dove non abita nessuno o quasi. Potremmo fuggire lì, come in quelle storie romantiche che piacciono tanto a Feliciano.
-lo sai che non posso. Mia madre verrebbe a riportarmi in Spagna a calci- a quell'immagine, Lovino scoppiò a ridere, immaginandosi una versione femminile di Antonio che prendeva a calci lo spagnolo per tutto il mare, fino in Spagna.
-almeno io non mi dovrò sposare- commentò l'italiano, allacciando le braccia intorno al suo collo e baciandolo ancora -non ho un nome da portare avanti o cazzate simili.
-potresti rimanere a lavorare per me. Io e mia moglie dormiremmo separati e tu resteresti con me. Molte coppie lo fanno, anche se non si dice apertamente.
-non sarò la tua puttana, scordatelo.
-non intendevo...
-lo so che non lo intendevi, ma ho una dignità anch'io, e per quanto possa innamorarmi di te mi rifiuto di essere solo un amante e di far soffrire una donna in questo modo. Non dovresti sposare qualcuno solo per rendere felice qualcun'altro, né dovresti sposare una donna solo per poi scoparti un altro quando nessuno guarda- lo guardò male -è una mancanza di rispetto verso la donna, verso di me e soprattutto verso te stesso.
-non...- Lovino sospirò, interrompendolo.
-senti, se vuoi farlo va bene, vivi la tua vita come cazzo ti pare. Ma sappi che io non voglio avere niente da fare con una cosa del genere.
Antonio, inaspettatamente, sorrise e lo baciò.
-è questo che più amo di te. Sei in grado di dire di no e hai una dignità, cosa che nessuno sembra avere o rispettare. E poi adoro il tuo caratterino- lo baciò ancora e ancora e ancora, finché non sembrò ricordarsi di qualcosa -che ore sono? Più tardi c'è la messa, non posso mancare, ho saltato già quella di ieri per Natale con la scusa dell'arrivo di Gilbert.
-cosa?- domandò Lovino, intontito da tutti quei baci -la messa? Ti metti davvero a pensare alla messa in un momento del genere?
-scusa, Lovinito- si sporse e afferrò l'orologio sul comodino, sospirando di sollievo -bene, è presto, abbiamo ancora del tempo.
-torna subito qui, prima che mi alzi e me ne vada- sapendo che faceva sul serio, Antonio si affrettò a sdraiarsi di nuovo affianco al suo scontroso Lovinito e a baciarlo -uhm, ti volevo chiedere...- venne interrotto da un altro bacio -quando riprendo a lavorare? Sai, quella storia dei pomodori...
-perché sei così impaziente di lavorare?
-non mi piace fare il mantenuto.
-uhm, non penso sia la stagione per piantare pomodori e ci vorrà del tempo per far arrivare i semi e tutto il resto, ma intanto ti puoi occupare del giardino. C'è un capanno degli attrezzi, puoi innaffiare le piante e tutte quelle cose lì.
-è dicembre. Cosa dovrei innaffiare? Le piante secche?- sbuffò divertito -sei fortunato che da piccolo mi occupassi del giardino con la mamma e sappia cosa fare.
-avevi una casa con il giardino? Feliciano mi ha detto che viaggiavate di continuo.
-lui viaggiava di continuo, i solo alcune volte al mese. Non mi piace parlarne, quindi evita le domande.
-va bene, Lovinito- lo abbracciò, lasciandogli un bacio tra i capelli.
-bastardo...
-dimmi, Lovi.
-ho fatto davvero bene a tirarti quel pomodoro.
-già- lo baciò -hai fatto davvero bene.
Una pausa.
-...bastardo...
-dimmi, Lovi.
-se non ti sbrighi farai tardi.
-giusto- si alzò e corse all'armadio, e Lovino si godette la vista dello spagnolo senza maglia, con solo un paio di pantaloni di lino addosso; si leccò le labbra.
Antonio si sfilò i pantaloni, senza preoccuparsi dello sguardo dell'altro, che si mise seduto per guardare meglio, si infilò un paio di pantaloni neri e una camicia bianca, ma l'italiano scosse la testa.
-quella è meglio di no.
-perché?- il castano si indicò la spalla e guardandosi allo specchio Antonio notò un segno rosso, che si intravedeva attraverso la stoffa bianca. Ghignò all'altro, che distolse lo sguardo arrossendo -Lovinito, non si fa!
-senti chi parla, dovrò mettere la sciarpa e fingere di avere il raffreddore per settimane per come mi hai ridotto il collo- sbuffò, omettendo quanto gli piacessero in realtà quei segni. Gli davano un senso di proprietà, gli sembrava che, dovunque fosse andato, quelli gli avrebbero ricordato di quello spagnolo irritante e di quei sentimenti incredibili che lo avevano aggredito in così poco tempo.
-sì ma il capo sono io, posso farlo- Lovino gli tirò un cuscino, mancandolo di poco. In quel momento bussarono alla porta.
-signor Carriedo?- Lovino maledì mentalmente la dannata cameriera -è sveglio? Tra poco comincerà la messa, le conviene sbrigarsi.
-sì, mi sto vestendo, arrivo tra poco- rispose, afferrando una camicia verde, dello stesso colore dei suoi occhi notò Lovino, e infilandola. Quando sentì i passi della cameriera allontanarsi, si sedette accanto a Lovino e lo baciò -ora devo andare, tu vestiti ed esci, se ti vedono di' che eri venuto a cercarmi per chiamarmi ma ero già uscito, va bene?- Lovino annuì -stanotte torni, vero?- annuì di nuovo, sporgendosi per baciarlo -magari facciamo dormire di nuovo Feli con il piccolo crucco, lui si accorgerebbe della mia assenza- propose, e Antonio annuì.
-a dopo, Lovinito- lo baciò, più a lungo, e gli sorrise prima di uscire.
Rimasto solo, Lovino sospirò. Per quanto sarebbe riuscito a mantenere il segreto? Se avesse continuato ad innamorarsi, perché sì, per quanto ne dicesse era innegabile che stesse accadendo, sempre di più, poco, molto poco. Sapeva per esperienza che, quando due persone si amavano, per quanto cercassero di nasconderlo alla fine sarebbe venuto fuori; nei gesti, negli sguardi, nel modo in cui si pronuncia il nome dell'altro. Feliciano era troppo piccolo per poterlo ricordare, aveva appena tre anni, ma c'era un motivo se i loro genitori si erano separati, e non era legato al lavoro come credeva il piccolo. Papà amava la mamma, ricordò Lovino, ma la mamma amava la zia. E quando era venuto fuori, non era stato perché le due amanti avessero confessato, o perché il padre le avesse scoperte; era venuto fuori perché il loro amore era diventato troppo grande per poter essere nascosto; suo padre se n'era accorto da uno sguardo, da come la mamma guardava la zia, e da lì si erano divisi l'Italia e i bambini. Feliciano al nord e Lovino al sud, la loro vecchia casa a Roma come terreno neutro dove incontrarsi per le festività. Sua madre viaggiava solo periodicamente, circa una settimana ogni mese, e portava sempre il piccolo con sé; il resto del tempo, lo passavano a casa della zia, in una casetta di campagna appena fuori Napoli, per questo l'accento di Lovino era particolare: aveva come base, così come quello di Feliciano, l'accento romano, dai primi anni di vita e dai brevi periodi nella Città Eterna, poi era principalmente l'accento del paesino dove vivevano, appena fuori Napoli, certo, ma comunque c'era qualcosa, nel modo in cui pronunciava le s e arrotondava le r, che faceva sentire la lontananza da quello napoletano; aveva poi influssi da ogni parte del sud, fino al siciliano, dovuti ai numerosi viaggi. La parlata sua e del fratello sembrava comprendere ogni dialetto d'Italia, e questo li riempiva di uno strano orgoglio e di una speranza, un sogno, di poter finalmente un giorno vedere la loro Italia unita sotto uno stato proprio, senza invasori stranieri a dettare legge. Un sogno che non era solo loro e che, nonostante fosse nel letto di un invasore, Lovino non aveva ancora dimenticato. Antonio era l'uomo che amava, ma l'amore sarebbe stato abbastanza da fargli dimenticare il suo orgoglio di italiano? Sarebbe riuscito a trovare un modo per conciliare le due metà del suo cuore? Ma la domanda più immediata era un'altra: per quanto ancora sarebbe riuscito a nascondere quel sentimento, prima che diventasse troppo evidente per poter essere ignorato dal resto del mondo?
Con la nebbia nel cuore, Lovino si vestì e uscì in silenzio dalla camera, sperando di trovare risposta nella preghiera.

Ludwig si svegliò abbracciato a Feliciano, senza avere idea di come ci fosse finito. Inizialmente avevano dormito in letti separati, e questo lo ricordava, ma poi Feliciano aveva avuto un incubo e lo aveva svegliato chiedendo se potesse dormire con lui, perché non era abituato a dormire da solo ma con suo fratello e aveva freddo; Ludwig aveva acconsentito, e si era addormentato sdraiato sulla schiena, con la mano stretta alla sua e il respiro calmo dell'italiano, stretto al suo fianco, contro il collo. Nel sonno, evidentemente, si era girato sul fianco e lo aveva abbracciato a sua volta. Mentre la nebbia del dormiveglia svaniva lentamente e Ludwig realizzava in che posizione si trovasse, Gilbert spalancò la porta urlando un buongiorno in tedesco, facendogli fare un salto per lo spavento; Feliciano, svegliato più dal salto fatto da Ludwig che dall'ingresso di Gilbert, rimase sdraiato e si stropicciò gli occhi con uno sbadiglio.
Vedendo il fratellino ancora abbracciato al piccolo italiano, Gilbert fece un versetto in estasi -ma siete carinissimi!
-Gilbert, ti prego!- urlò Ludwig, rosso fino alla punta delle orecchie.
-che c'è? Che ho detto di male?
-veeeeeeeeee- mugugnò Feliciano, girandosi sul fianco, ancora mezzo addormentato e abbracciando Ludwig -Luddi, che ore sono?
-l'ora di alzarti, piccoletto- rispose Gilbert con un ghigno -tra poco c'è la messa e siamo obbligati ad andarci, o Antonio mi ci porterà a calci.
-ve, dov'è il fratellone?
-credo lo stia tenendo occupato Tonio- il ghigno di Gilbert aumentò, e Ludwig sospettò di sapere il perché -vestitevi, piccioncini. Quando siete pronti andate nell'atrio, di lì andremo tutti insieme appassionatamente alla chiesa. Amen!- e uscì sbattendo la porta.
-vee, Luddi- Feliciano si mise seduto e lo guardò confuso -che vuol dire "piccioncini"?
Ludwig divenne un pomodoro.
Feliciano lo guardò confuso, non aveva mai sentito quella parola prima e non capiva perché l'amico fosse diventato così rosso, ma poi alzò le spalle e gli lasciò un bacio sulla guancia, alzandosi subito dopo -ve, io mi cambio nel bagno e tu qui in camera, ti va bene?
Ancora rosso e scosso, Ludwig annuì, e appena l'altro fu uscito si affrettò a cambiarsi. L'italiano tornò dopo poco e gli prese la mano -veee, andiamo Luddi?
Ludwig annuì, rosso, senza dire una parola, troppo in imbarazzo. La sera prima, dopo gli autoritratti, aveva insegnato all'altro a scrivere, almeno le basi, e l'altro poi gli aveva insegnato un po' di spagnolo. Ludwig era sempre stato una frana con le lingue, e non gli erano mai piaciute, ma, spiegata dalla vocina dell'italiano, qualsiasi cosa gli sarebbe piaciuta. Arrivati nell'atrio trovarono tutti lì, e Gilbert lo raggiunse.
Feliciano fu costretto a lasciare la mano di Ludwig per poi darla a suo fratello; si sentì improvvisamente molto triste, ma cercò di non darlo a vedere.
-ve, fratellone, perché hai la sciarpa?
-ho il raffreddore- tirò su con il naso -sai, per la notte sul tetto...
-oh, ve, quindi la coperta che vi ho portato è stata inutile?- domandò triste.
-no no, è che comunque sono rimasto senza per un po' e mi sono ammalato comunque.
-vee, meno male che non ti sei preso di peggio!
-già- concordò Lovino, poco convinto, pensando a tutt'altro -meno male.

Quando entrarono in chiesa, Antonio, Gilbert e Ludwig si sistemarono nei posti davanti, mentre i due italiani alcune file più indietro, con il resto della servitù. La messa iniziò, e Ludwig strinse il disegno di Feliciano che teneva piegato in tasca, trovandoci un conforto che non si seppe spiegare. Antonio, mentre pregava stringendo la croce che aveva al collo tra le mani, pensò tutto il tempo a Lovino; pregò che l'italiano fosse sempre felice in salute; pregò che il loro amore fosse duraturo e felice; pregò, soprattutto, che Dio lo guidasse per trovare una soluzione che mettesse d'accordo le due metà della sua vita. Lovino, seduto più indietro, pregò per le stesse cose, per suo fratello e per un'Italia unita. Nessuno dei due pregò per qualcosa legato unicamente a sé stesso, non gli venne neanche in mente. In qualche modo, Lovino trovò un po' di conforto, come se, mettendosi in mano a qualcuno, o qualcosa, più grande di lui, si fosse tolto il peso di decidere. Lovino credeva in Dio, e anche se spesso sembrava averlo abbandonato, era convinto che servisse a uno scopo più alto, che tutte le prove che avesse e avrebbe affrontato sarebbero servite a fargli trovare la felicità. In fondo, il mondo non è rose e fiori; la felicità non viene regalata, quella non era una fiaba. Se si voleva ottenere qualcosa bisognava guadagnarselo, e Lovino lo aveva sperimentato sulla sua pelle. Era stato separato da suo fratello e suo padre, aveva perso i genitori, ma infine aveva ritrovato suo nonno e Feliciano; poi aveva perso anche il nonno ed era rimasto solo, nella povertà e con un fratellino da accudire, ma dopo qualche anno aveva trovato Antonio, che gli aveva dato un tetto sopra la testa e un sentimento nuovo e sorprendente, che era costretto a nascondere. Si affidò alla Provvidenza, sperando che ci fosse un senso in quella serie di premi e privazioni.
Gilbert invece non pregava Dio. Lui era un uomo pratico, che preferiva crearsi da sé la propria felicità, piuttosto che affidarsi all'ignoto. Non trovava alcun conforto nella preghiera, per lui quelle erano solo parole. Sapeva che tutti intorno a lui, invece, credevano eccome, e la cosa gli andava bene, ma si rifiutava di pregare un Dio che aveva dettato regole così ferree, che considerava lui, i suoi amici, il suo fratellino e l'uomo che amava uno sbaglio, che li avrebbe mandati all'Inferno. Forse ci sarebbe finito davvero all'Inferno, ma non avrebbe pregato chi ce lo aveva destinato per un qualcosa su cui non aveva il controllo e che non era sbagliata, che non feriva nessuno, che era semplicemente diversa. Forse quel divieto era davvero stato creato dagli uomini, forse era davvero come pensava Antonio, ma per Gilbert il Dio che stavano pregando in quella chiesa era lo stesso al quale era stato fatto dire che lui era sbagliato. In fondo, quei canti, quelle preghiere, non erano state create dalle stesse persone? Gilbert credeva che un Dio forse ci fosse davvero, ma fosse distante, non interferisse nelle vite degli uomini. Se c'era, si faceva gli affari suoi, e alla fine li avrebbe giudicati, per poi mandarli all'Inferno o nel Paradiso, sempre che esistessero. Chi poteva sapere cosa ci sarebbe stato dopo la morte? I morti, e i morti non parlano. Gilbert non si mentiva: lui non aveva idea di cosa ci fosse dopo, e ciò lo terrorizzava, ma gli metteva anche una certa curiosità. Reincarnazione? Paradiso? Inferno? Si diventava stelle? O c'era il niente? Forse c'era una scelta, forse si poteva decidere dove si sarebbe finiti, o forse ci si finiva in base alle proprie credenze. Ma allora lui, che credeva in tutto e in niente, dove sarebbe andato a finire? Non ne aveva la più pallida idea, ma prima voleva godersi la vita. Voleva viaggiare, conoscere il mondo, provare tutto ciò che gli sarebbe stato concesso provare, e amare, amare il più possibile. Gli piaceva l'amore, amare gli altri lo faceva stare bene; l'odio avvelenava le vite, di questo ne era certo. Chi odiava viveva a metà. Certo, c'erano più tipi di odio. Un odio poteva essere giustificato da infiniti motivi, ma si poteva scegliere di vivere nel rancore o lasciare perdere. Lui tendeva a evitare le persone che odiava: le ignorava e basta, peggio per loro, avrebbero vissuto senza il Magnifico. C'erano poi gli odi ingiustificati, quelli che odiavano per il gusto di odiare, o, peggio ancora, quelli che odiavano in nome di Dio. Loro, Gilbert proprio non li sopportava, e gli facevano anche un po' pena. Vivere nell'odio, per lui, era peggiore della morte. Lui amava, amava tantissimo: amava suo fratello e i suoi amici, amava un pianista viennese dagli occhi viola, amava la sua famiglia, amava sé stesso. Cosa c'era di sbagliato?
Ludwig non credeva in Dio: per lui equivaleva a una favola che gli veniva raccontata quando era molto piccolo. Lui credeva nella scienza, nella matematica, nella biologia, nella fisica. La messa per lui era solo una noiosa ricorrenza da rispettare per fare bella figura, equivaleva a un banchetto o a un ballo. Di solito si univa ai canti, ma a voce così bassa che era come se non ci fosse: si sentiva in colpa a turbare con la sua voce di ateo una preghiera a cui tanti credevano. Prendeva l'ostia senza fiatare, ma il segno della croce per lui non significava nulla.
Tuttavia, quel giorno, pensando alla sicurezza di Feliciano, ai suoi dubbi su quello che Dio avrebbe pensato di suo fratello, alla fiducia con cui aveva esclamato che l'amore avrebbe trovato un modo, si sentì invadere dalla confusione. Come faceva ad essere così sicuro di un qualcosa di così incerto? Non c'erano prove, certezze, eppure Feliciano ne parlava come se fosse una cosa ovvia. Ludwig non credeva in Dio, ma Feliciano sì, e il piccolo tedesco si ritrovò a sperare che, se davvero fosse esistito un Dio da qualche parte, avrebbe vegliato su quel piccolo bambino.

Una volta ritornati a casa, Antonio raggiunse Ludwig e Feliciano e si inginocchiò davanti a loro per essere alla stessa altezza, con un sorriso gentile.
-Feli, che ne diresti di fare un altro lavoro per un po'?
-ve, che lavoro?- chiese il piccolo, inclinando la testa curioso.
-potresti fare da accompagnatore a Ludwig. Tenergli compagnia, giocare con lui...- gli si illuminarono gli occhi, e abbracciò lo spagnolo di slancio -ve, davvero, fratellone Antonio? Posso? Posso?
-se Ludwig è d'accordo- Antonio guardò il bambino biondo, che annuì, guardando l'altro con una sorta di malinconia, come se volesse essere lui quello stretto da Feliciano.
-veee, Luddi, per quanto tempo resterete qui?- gli chiese, allontanandosi da Antonio e tornando dall'amico, che sembrò più sereno -non lo so, Feliciano, devo chiedere a mio fratello. Penso un paio di settimane, forse un mese.
-veee, allora dobbiamo approfittarne!- lo prese per mano e lo trascinò nella sua camera a giocare -ve, voglio assolutamente imparare a scrivere! Così potremo mandarci delle lettere anche quando te ne sarai andato, ve, Luddi?
-c-certo, Feliciano- il bambino gli sorrise, facendogli andare a fuoco le guance.
Beata innocenza! Non avevano idea che le cose sarebbero andate in maniera ben diversa, e che si sarebbero voluti anni prima di rincontrarsi, non potevano saperlo.
Non potevano sapere quello che avrebbe riservato loro il futuro: solo Gilbert ne ebbe il sentore, grazie a una lettera arrivata la mattina dopo.
È caratteristica comune di molti fratelli maggiori cercare di proteggere i più piccoli, soprattutto in momenti critici: Lovino si era fatto in quattro, otto, sedici e trentadue pur di far mangiare Feliciano, Antonio si era sempre preso tutte le responsabilità per far avere a suo fratello un'infanzia più o meno tranquilla. Sono quelle attenzioni, quelle carezze, che spesso da piccoli si ignorano o si trovano persino fastidiose, ma che crescendo si apprende e si apprezza; di certo non era il caso di Feliciano, che l'aveva capito in fretta e aveva cercato di aiutare il suo fratellone come meglio avesse potuto. Anche Ludwig l'avrebbe capito, Gilbert lo sapeva. Per quanto fosse responsabile e maturo, era e rimaneva un bambino, e Gilbert non ebbe il cuore, proprio ora che si era trovato un amico, di rovinare tutto. Così, tacque e scrisse ai suoi per prolungare la loro permanenza lì il più possibile, tanto sapeva che Antonio non avrebbe avuto nulla in contrario.
Mentre scriveva la risposta, nella stanza affianco un piccolo italiano si esercitava a scrivere insieme al suo amico tedesco, per poter in futuro scrivere lettere che non sarebbero mai arrivate.


Angolo autrice:
Ciao a tutti, grazie per essere arrivati fin qui
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, in caso vi invito a lasciare una recensione, se vi va, mi farebbe davvero piacere ^^, in caso contrario mi farebbe altrettanto piacere sapere il motivo, ogni critica è ben accetta.
Questa storia ahimé sta giungendo al termine, ancora due capitoli e dovremmo salutarci (chissà, magari solo per un po' ;))
Alla prossima settimana
Un bacio
Daly

 
   
 
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