Segretezza
«Lo Statuto Internazionale di Segretezza della
Magia è una legge del Mondo Magico formulata nel 1689 e approvata dalla
Confederazione Internazionale dei Maghi nel 1692, che si poneva il fine di celare
ai Babbani l’esistenza della comunità magica. Fino al
XVII secolo i maghi…»
Un brusio riempì l’Aula di Storia della
Magia, mentre il professor Rüf cominciava la sua
lezione e l’attenzione della classe si rivolgeva, come di consueto, altrove.
Un
raggio della tiepida luce del sole di inizio primavera che entrava dalla
finestra, alcuni tomi impolverati impilati confusamente sulla cattedra, file di
banchi occupati da studenti annoiati; un paio di occhi grigi concentrati sulla
sua uniforme ordinata, sul suo sguardo interessato. Hermione
vi intuì ciò che stava attraversando anche la sua mente.
La segretezza di incontri incasellati
nella routine scolastica, la discrezione di parole private sussurrate sulla
pelle, il calore di baci rubati scambiati nell’illegalità, l’intimità di
braccia protese verso corpi conosciuti. Non c’era mai abbastanza tempo, mai sufficiente
spazio ad accoglierli.
Lui era l’enigma che si era disvelato a lei soltanto, il mistero che lei aveva
risolto alacremente, cogliendo gli indizi in un’occhiata più lunga del
necessario, più curiosa del dovuto, più bramosa del consentito. Ma restava
oscuro e inaccessibile a chi l’avrebbe carpito per colpirlo, sfruttando una
dolce fragilità per intenti malvagi.
«La
Sezione 13 impone ai maghi il divieto di usare la magia in presenza di Babbani, a meno che tale incantesimo non serva a salvare la
vita stessa del mago.»
Draco non riusciva a spiegarsi la magia
che lei compiva ogni volta su di lui. Senza l’impiego di una bacchetta, raggiungeva
la sua essenza con formule composte da vocaboli appassionati e brillanti e con
incantesimi non verbali fatti di mormorii, bisbigli, gemiti. Lui li prendeva da
lei e vi si aggrappava e le donava i suoi.
Lei
era pozione salvifica e incanto singolare. Era l’eccezione alle sue tradizioni
da proteggere tacendo. Combatteva i demoni nei suoi pensieri mostrandogli i
propri, più puliti e probi.
Aveva rischiarato la sua oscurità con
la fiamma di una candela accesa per non nascondersi alla sua vista, affinato le
sue spigolosità offrendogli le curve del suo corpo, riempito il suo silenzio
con i versi sconnessi che le strappava dalle labbra dischiuse, schiaffeggiato
la sua vigliaccheria suggerendogli almeno il coraggio di amarla.
«La
clausola sull’abbigliamento prescrive a maghi e streghe, quando in presenza di Babbani, di indossare vestiti completamente babbani, adeguati alla moda del tempo, al clima, alla
regione geografica e all’occasione. Non è permesso…»
Gli
indumenti che portava fieramente con lo stemma di Grifondoro
erano audacemente scostati, strattonati, sollevati, stretti tra le mani pallide
che si dilettavano su di lei. Si muovevano intrepide in pubblico, pur in un
angolo debolmente illuminato di un corridoio scarsamente frequentato del terzo
piano del Castello di Hogwarts. Le proprie, invece,
si intrufolavano tra i suoi capelli biondi, scivolavano sul suo collo, gli
cingevano la mandibola. Non poteva guardarlo negli occhi, chiusi mentre
rispondeva al suo bacio irruente, ma sapeva che le proprie mani contornavano un
viso animato dalla tenerezza di averla e dal desiderio di amarla.
«È
una tale fortuna che i miei doveri di Prefetto mi abbiano condotto qui, da te.»
Draco si distaccò di quel poco che bastava per
permetterle di leggere quei sentimenti anche nel suo sorriso ardito. «Oppure
no, perché ti avrei cercata, e trovata, comunque», pronunciò riportandosi sulle
sue labbra.
Sapevano
che, se solo fossero stati in circostanze più adatte, i loro mantelli sarebbero
caduti disordinatamente sul pavimento, le inutili uniformi tolte di mezzo, in
una trama di nero rosso verde che dipingevano ispirati dalla frenesia di
perdersi l’uno nell’altra. Lei l’avrebbe toccato dapprima guardinga, poi spronata
dai suoi sospiri arrendevoli, e lui l’avrebbe lasciata fare deliziato, prima di
portarla contro di sé, più vicina, più sua. Sarebbero finiti distesi, in piedi,
seduti, e lui sarebbe finito in lei, con calma struggente.
Ma
non c’era pacatezza nel modo in cui lui aveva approfittato dell’essersi imbattuto
in lei, quel pomeriggio; c’era l’urgenza di avvantaggiarsi dell’averla scorta
sola, nella bocca che seguiva famelica la sua clavicola, nel palmo che si
avventurava avido sotto il maglione.
«Puoi
dirmi anche più apertamente che sentivi la mia mancanza», parlò con voce
affannosa lei, con tono basso per non lasciarsi sfuggire ansiti più chiassosi,
mentre se lo tirava addosso, accorciando la distanza che la divideva dal suo
bacino irrequieto.
«Mi
sei mancata», concesse lui, regalandole un attimo perfetto di idilliaca
soddisfazione, rotto improvvisamente da passi affrettati uditi in lontananza, che
li spinsero a separarsi.
«Per
la prossima lezione, dovrete scrivere un rotolo di pergamena riassumendo i
concetti fondamentali contenuti nello Statuto Internazionale di Segretezza
della Magia e le loro conseguenze nella quotidianità dei Maghi.»
Hermione si congedò da Draco
con una promessa.
«La
prossima volta sarò io a venire da te.»