Nei Giardini della Memoria, nel Palazzo dei Sogni
Alice
salì
sulla sua nave con sguardo fiero e trionfante, salutando il popolo
cinese -il
quale non aveva alcuna intenzione di perdersi la partenza di quella
strana
fanciulla europea dai capelli color dell’oro, così
inusuali nella loro terra – con
una mano e ringraziando con un profondo inchino l’imperatore,
con il quale
aveva appena stipulato l’accordo più importante
della sua carriera. Fece
rientrare l’ancora, spiegò le vele e
salpò alla volta dell’Inghilterra, verso
la sua casa.
Quando
il
porto, il popolo e l’imperatore non furono altro che
minuscoli puntini lontani,
Alice si coprì il viso con le mani, ancora incredula per
ciò che aveva fatto,
non riuscendo a trattenere un largo sorriso. Aveva viaggiato in lungo e
in
largo per due anni, da quando sua madre aveva venduto la sua casa e
aveva
fondato la “Kingsleigh & Kingsleigh”,
ricoprendo un ruolo sempre più
importante tra le grandi compagnie commerciali d’Inghilterra
e quell’ultimo
trattato stipulato con l’imperatore stesso della Cina poteva
considerarsi la
ciliegina sulla torta che stava aspettando da anni: grazie a
quell’accordo la
compagnia navale di Hamish Ascot sarebbe finita sul lastrico in meno di
sei
mesi e sarebbe stata costretta a vendere parecchie quote alla
“Kingsleigh
& Kingsleigh” per non fallire
completamente, cosa che avrebbe procurato
a lei un grande piacere. Non le importava granché dei soldi,
era sua madre
quella maggiormente attaccata al denaro, ciò che lei
realmente voleva era una
piccola vendetta nei confronti di quel borioso Ascot che alcuni anni
prima le
aveva quasi rovinato la vita.
Alice
s’immaginò la faccia disgustata e terrorizzata di
Hamish quando avrebbe
scoperto che il trattato siglato con la Cina lo avrebbe tagliato
completamente
fuori dai giochi. Rise sonoramente tra sé e sé,
beandosi di quella sensazione
di benessere. Inspirò profondamente e realizzò
che negli ultimi giorni aveva
dormito veramente poco, a causa della redazione del trattato e dei
molteplici
incontri con Sua Maestà Imperiale.
“Forse
è
ora di riposarmi come si deve” pensò
Alice, stiracchiandosi per bene le
braccia e dirigendosi verso la sua cabina personale. Non appena mise
piede
nell’umido loculo della nave, si gettò sulla sua
branda, coprendosi fino al
naso con una coperta. All’improvviso, con la stessa
imprevedibilità di un
fulmine a ciel sereno, qualcosa smorzò il suo raggiante
sorriso, facendola
sospirare tristemente.
Se
solo
potessi raccontare loro quello che ho fatto…
Alice
realizzò solo in quel momento che, con molta
probabilità, non ci sarebbe stato
nessuno ad accoglierla calorosamente a Londra. Nessuno le sarebbe corso
incontro per abbracciarla, smanioso di sentire ogni singolo dettaglio
delle sue
avventure. I suoi veri amici non sarebbero mai stati in prima fila, al
porto di
Londra, a condividere un momento così importante con lei.
Loro
esistevano solo nella sua testa.
Quel
pensiero non fece altro che rattristare ancora di più Alice,
la quale affondò
il viso nel cuscino, trattenendo a stento le lacrime. Aveva cercato di
mettersi
in contatto con i suoi amici e di tornare a Sottomondo un milione di
volte, per
mezzo dei sogni o cercando di attraversare nuovamente qualche specchio
vecchio
e impolverato (dato che le tane di conigli bianchi scarseggiavano in
mezzo al
mare), eppure tutto era risultato vano. Quel regno meraviglioso, i suoi
abitanti e tutte le stranezze che lo caratterizzavano sembravano
svaniti nel
nulla.
Anche
lui
era svanito nel nulla.
Ciò
che per
Alice risultava più difficile da accettare era il fatto che
non avrebbe mai più
rivisto il Cappellaio. Tarrant Altocilindro, quel buffo e folle
personaggio
dalla mente contorta e dalla risata contagiosa le aveva rubato il cuore
sin dal
primo momento in cui lo aveva visto, quel giorno seduto a prendere il
tè con i
suoi compari matti, il Ghiro e il Leprotto Marzolino. I momenti
più belli a Sottomondo
li aveva trascorsi con lui e due anni prima aveva fatto letteralmente
una corsa
contro il tempo per poterlo salvare da morte certa. Nessuno, nel suo
mondo,
poteva essere come lui. Nessuno sarebbe mai riuscito a guardarla con lo
stesso
sguardo con cui lui la scrutava.
Dio,
quanto
le mancava.
-Affronterei
mille Ciciarampa e correrei cento volte contro il tempo solo per
poterti vedere
di nuovo, Cappellaio– sussurrò Alice, asciugandosi
una lacrima solitaria sfuggita
al suo controllo.
La
ragazza
chiuse gli occhi e si abbandonò ad un sonno profondo, il
primo dopo parecchio
tempo. Sognò una stanza bianca immersa nel nulla, un enorme
pendolo dorato che
rintoccava le ore con un boato assordante e uno stranissimo orologio
color
crema che al posto delle lancette aveva delle posate (un cucchiaino per
le ore,
una forchetta per i minuti e un coltello per i secondi).
L’orologio dondolava
pericolosamente in quella stanza vuota, come se fosse in bilico su un
mobile invisibile
e fosse sul punto di cadere da un momento all’altro.
All’improvviso, l’orologio
iniziò davvero a precipitare e Alice ebbe
l’impressione che le sarebbe finito
dritto in faccia. Tentò di fuggire ma non ci
riuscì, i suoi piedi erano come
immersi nel bianco della stanza circostante, incollati saldamente ad un
pavimento che non esisteva. Certa che l’orologio
l’avrebbe centrata in pieno,
Alice alzò le braccia per proteggersi il viso e chiuse gli
occhi, pregando che
quello fosse solo uno dei suoi incubi. Il grande orologio dalle strambe
lancette
era ormai a pochi centimetri dal suo viso, quando Alice
sentì solo una leggera
pioggerellina di polvere raggiungerle il naso, gli occhi e la bocca.
Terrorizzata
dall’idea che l’orologio potesse piombargli addosso
da un momento all’altro,
Alice impiegò qualche secondo per decidersi ad aprire gli
occhi, ma quando lo
fece, notò immediatamente di non essere più in
quella strana stanza bianca,
circondata da pendoli e orologi. Si trovava in un salone gigantesco,
simile ad
una sala da ballo. Le pareti, interamente occupate da enormi e bizzarri
dipinti
colorati, erano abbellite con imponenti colonne di marmo bianco, a loro
volta
impreziosite da intagli e bassorilievi d’oro. Il soffitto
sembrava inesistente:
le pareti svettavano verso l’altro per parecchi metri, fino a
quando non iniziavano
a diradarsi, come se stessero svanendo, per poi fondersi completamente
in un
ammasso di nuvole bianche e dorate dall’aria celestiale.
-Che
meraviglia! – sussurrò Alice, guardandosi intorno
con aria curiosa. Quello
doveva essere decisamente un sogno: nel suo mondo non poteva esistere
un luogo
così bello.
La
ragazza
rimase impalata a fissare l’enorme salone in cui si trovava
per qualche minuto,
fino a quando un miscuglio di voci concitate non ruppero
l’incantesimo.
-Alice!
Alice è tornata! - gridò
una vocina sottile
ma squillante.
-Oh,
cielo! –
biascicò un’altra voce -Intendi
“quella” Alice? –
-E
chi altri
dovrebbe essere, di grazia? – concluse, retoricamente, una
voce maschile.
Alice
non
ebbe bisogno di voltarsi per sapere a chi appartenessero quelle voci,
le
avrebbe riconosciute tra mille. Il suo cuore perse un battito quando
vide il
Ghiro, il Bianconiglio, la regina Mirana, lo Stregatto, il Leprotto
Marzolino,
Bayard e i gemelli Pinco Panco e Panco Pinco correrle incontro con aria
festosa.
-Amici
miei!
– gridò, fiondandosi a braccia aperte verso
l’improbabile combriccola.
Abbracciò tutti calorosamente, leggendo nei loro sguardi
quanto fossero felici
di rivederla dopo tanto tempo -Dove siamo? Non ricordo nessuna stanza
del
genere a Marmorea –
La
Regina
Bianca volteggiò su sé stessa, tendendole una
mano con un movimento leggiadro:
-Oh no, mia cara. Siamo molto lontani da Marmorea. Questo è
un luogo molto
speciale –
Alice
socchiuse gli occhi, non cogliendo appieno dove volesse andare a parare
Mirana.
Ma, d’altronde, che le importava? Sarebbe tornata anche alla
Rocca Tetra pur di
rivedere i suoi meravigliosi amici.
-Ho
così
tante cose da raccontarvi – riprese Alice, in preda alla foga
– Mi sono
successe tante cose splendide in questi ultimi due anni, ho vissuto
avventure
incredibili! –
-Oh,
ma non
sarà necessario, mia cara. Sappiamo già tutto
– disse la Regina Bianca con un
sorriso, smorzando immediatamente l’entusiasmo di Alice.
-Co-
cosa?
C- come fate a… - balbettò lei, più
confusa che mai.
Lo
Stregatto
le si avvicinò, fluttuando a mezz’aria e le
appoggiò una mano sul petto, all’altezza
del cuore: -Siamo sempre stati con te, Alice. Qui dentro –
-Non
ce ne
siamo mai andati – rincarò il Ghiro,
abbracciandole la caviglia.
Alice
cercò
inutilmente di trattenere le lacrime, ma alla fine si
ritrovò comunque a
singhiozzare come una ragazzina.
-Ora,
dovresti essere tu ad andare – la invitò Mirana,
spingendola verso il portone
della sala – Qualcuno ti aspettando –
Alice
dapprima
non comprese, poi d’un tratto
s’illuminò, realizzando solo in quel momento che
il Cappellaio non era lì con i suoi amici. Era stata
travolta da così tante
emozioni da non accorgersi che la persona a cui teneva di
più al mondo non era
presente.
-Ci
rivedremo ancora, non è vero? – domandò
Alice, voltandosi verso i suoi amici.
Tutti
annuirono, accennando un sorriso.
-Saremo
sempre qui ad aspettarti – biascicò il
Bianconiglio.
La
Regina
Mirana sventolò la mano, in segno di saluto: -Abbi cura di
te –
Alice
li
salutò un’ultima volta, prima di attraversare
l’enorme portone della sala da
ballo e di ritrovarsi – come per magia-
all’ingresso di uno splendido giardino.
Notò che anche i suoi vestiti erano cambiati: la severa
uniforme blu da capitano
della marina britannica era stata sostituita da un meraviglioso abito
leggero del
color del cielo, simile a quelli che aveva indossato durante la sua
prima
avventura a Sottomondo.
Alice
osservò
il paesaggio intorno a sè: davanti ai suoi occhi si
estendeva un enorme
giardino rigoglioso, colmo di fiori e alberi di qualunque specie. Nel
giardino
era collocato uno strambo labirinto, al centro del quale –
dedusse lei – doveva
trovarsi il Cappellaio.
“L’ennesimo
trucco” pensò, sogghignando.
Senza
perdere altro tempo, Alice iniziò a correre
all’impazzata attraverso i cunicoli
del labirinto, pregando di riuscire a trovare il suo centro il
più presto
possibile. Moriva dalla voglia di rivedere il Cappellaio e di gettargli
le
braccia al collo. Corse come una forsennata per un tempo che le parve
infinito,
schizzando da una parte all’altra come una freccia impazzita
e infischiandosene
del fiato corto e del crescente dolore alle gambe.
Quando
scorse
in lontananza una piccola recinzione ricoperta di edera verde e una
porta
dorata, Alice capì di essere ormai prossima alla sua meta.
Raggiunse il cuore
del labirinto con passo tremante e si fermò dinnanzi alla
porta con la mano a
mezz’aria. Il cuore le batteva all’impazzata e non
solo per la stancante corsa appena
fatta. Fece un respiro profondo e, dopo aver raccolto tutto il suo
coraggio,
piegò la maniglia della porta, entrando nel minuscolo
giardino segreto.
Non
appena
varcò la soglia, il suo cuore perse un battito. Il
Cappellaio era in piedi davanti
a lei e le dava le spalle. Indossava, come al solito, il suo bizzarro
cilindro
scuro, dal quale spuntavano gli inconfondibili riccioli arancioni, e un
lungo
soprabito blu cobalto.
-Cappellaio…
- sussurrò Alice, consapevole che sarebbe presto scoppiata a
piangere.
Sentendo
la
sua voce, lui si voltò all’improvviso, scrutandola
con le sue enormi iridi
smeraldine e lasciando che un sorriso raggiante si dipingesse sul suo
volto.
-Alice…
-
La
ragazza
si fiondò verso di lui, gettandosi a capofitto tra le sue
braccia, lasciandosi
stringere e abbandonandosi a quel dolcissimo profumo di vaniglia che lo
caratterizzava. Gli accarezzò la guancia diafana con il
dorso della mano,
fissandolo negli occhi, terrorizzata dall’idea che il
Cappellaio potesse
svanire sotto i suoi occhi.
-Sei
proprio
tu – piagnucolò lei, perdendosi in quelle
meravigliose iridi verde brillante.
Il
Cappellaio raccolse una lacrima solitaria che stava rotolando sulla
guancia di
Alice, stringendola ancora di più a sé: -Certo
che sono io, mia cara. Chi mai
potrebbe essere anche solo vagamente simile al sottoscritto? –
Alice
accennò
un sorriso e si lasciò completamente trasportare dalle
emozioni. Strinse le
braccia attorno al collo del Cappellaio e lo baciò
appassionatamente, sentendosi
felice come non accadeva da tempo. Lui fu colto di sorpresa, ma non si
tirò di
certo indietro, accogliendo la bocca della giovane sulla sua con
voracità e
desiderio.
Quando
si
staccarono, entrambi rimasero immobili a guardarsi negli occhi per
qualche
secondo. Non avevano bisogno di parlare per comunicare ciò
che provavano, i
loro sguardi erano più eloquenti di qualunque parola.
Alice
si
voltò, guardando in direzione del portone da cui era entrata
e notando solo in
quel momento che in lontananza, ai piedi del giardino in cui si era
ritrovata
poco prima, sorgeva un gigantesco castello bianco e dorato, dalle
innumerevoli
torri e guglie, paragonabile solo a quelli delle illustrazioni delle
favole che
suo padre le leggeva quando era bambina.
-Dove
ci
troviamo? – domandò, curiosa.
-Oh,
Alice –
sospirò il Cappellaio, scuotendo la testa -Non ricordi cosa
ti ho detto l’ultima
volta? Dove ci saremmo incontrati di nuovo? –
Alice
corrugò la fronte, cercando di fare mente locale tra i suoi
ricordi. Una
scintilla le attraversò la mente e le esatte parole del
Cappellaio tornarono a
galla: -Nei Giardini della Memoria… -
-Nel
Palazzo
dei Sogni... – aggiunse il Cappellaio.
-E’
lì che
noi due ci rivedremo – conclusero all’unisono.
Alice
fece
una smorfia, sogghignando: -Credevo che fosse una metafora, che non
esistesse
davvero un luogo simile, a Sottomondo –
Tarrant
le
lanciò uno sguardo eloquente: -Mia cara, qui le cose o sono
o non sono. Non
esistono le metafore! Forse in passato esistevano, ma credo si siano
estinte
parecchio tempo fa. E poi, chi può sapere fino a dove si
estende Sottomondo? Un
Paese delle Meraviglie può davvero avere dei confini?
–
Alice
cercò di
seguire il contorto ragionamento del Cappellaio, ma capì che
se le avesse dato
corda sarebbero precipitati entrambi in un folle discorso senza senso,
così
preferì cambiare argomento.
-Mi
sei
mancato immensamente – sussurrò lei, appoggiando
la testa sul suo petto, lasciandosi
cullare dal suo respiro e dal battito del suo cuore.
Il
Cappellaio le accarezzò i lunghi boccoli dorati,
inebriandosi del profumo di
limone che emanavano: -Sono sempre stato con te, mia dolce Alice. Ho
visto
tutte le avventure che hai vissuto, i grandi risultati che hai
ottenuto, i
luoghi meravigliosi che hai visitato. Sono così orgoglioso
di te! Non hai perso
neanche un briciolo della tua moltezza –
Alice
accennò un sorriso poco convinto: -A volte, vorrei che tu
non fossi solo qui –
disse, toccandosi il petto -Vorrei che tu potessi essere al mio fianco,
nel mio
mondo –
Il
Cappellaio sospirò rammaricato e sul suo viso si formarono
delle profonde
occhiaie violacee, in netto contrasto con i suoi occhi verdi luminosi:
-Non
credo che il tuo mondo abbia spazio per uno come me –
-Io
avrò
sempre bisogno di qualcuno come te, di qualcuno matto quanto me
– Alice iniziò
a ridere, realmente divertita -Pensa che cosa succederebbe se mi
presentassi
con te al mio fianco ad uno di quei noiosissimi balli degli Ascot.
Sarebbe uno
spettacolo unico! –
Il
Cappellaio scrollò le spalle, accennando un sorriso: -Forse
non potrò mai presenziare
al tuo fianco al ballo degli Ascot, ma nulla mi impedisce di portarti
comunque
ad un ballo, perciò – fece un profondo inchino e
porse il braccio ad Alice.
Forse in quel modo sarebbe riuscito a scacciare quella tristezza dal
suo cuore
-Signorina Kingsleigh, vorreste concedermi l’onore di un
ballo qui e subito? –
Alice
strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Non si sarebbe mai
aspettata una simile
galanteria da un personaggio strambo come il Cappellaio. Rimanendo al
gioco, la
ragazza annuì e fece una riverenza. Il Cappellaio le fece il
baciamano e la strinse
a sè, mettendosi in posizione per un valzer. Con uno
schiocco di dita dell’uomo,
un’orchestra invisibile iniziò a suonare e una
musica alquanto particolare cominciò
a diffondersi tutt’intorno. Era un trionfo di tamburi, fiati,
violini e
violoncelli, una melodia stranissima, ben lontana da un banale valzer
terrestre,
ma che ad Alice arrivò come la canzone più bella
che avesse mai sentito. Una
volta stretta la mano del Cappellaio, si lasciò
completamente trascinare da
quella melodia ipnotica e insieme al suo uomo iniziò a
danzare serena, creando
ampi cerchi con la gonna vaporosa dell’abito. I suoi occhi e
quelli di Tarrant
erano inchiodati gli uni negli altri, le loro menti connesse e i loro
cuori
battevano all’unisono. Era tutto perfetto.
Danzarono
per qualche minuto, o forse qualche ora, nessuno sarebbe stato in grado
di
dirlo. Si fermarono solamente quando videro un grande specchio apparire
dal
nulla, al centro del piccolo giardino segreto. Alice si
bloccò, osservando terrorizzata
quella lastra di vetro, ben conscia di cosa significasse.
-E’
troppo
presto – biascicò, scuotendo la testa -Non posso
perderti ora, ti ho appena
ritrovato. Non posso andare via. Io non voglio andarmene –
gridò.
Il
Cappellaio
le afferrò il viso e la obbligò a guardarlo
dritto negli occhi: -Tu noi mi perderai
mai, Alice. Io sarò sempre con te: nei tuoi pensieri, nel
tuo cuore, nei tuoi
ricordi e nei tuoi sogni –
Alice
ricominciò
a singhiozzare, appoggiando la sua fronte su quella del Cappellaio: -Ma
non
ricordi? I sogni non possono essere reali… -
-Allora,
ho
qualcosa per te, per dimostrarti che ti sbagli –
Il
Cappellaio infilò una mano nella tasca del lungo soprabito
blu che indossava e
tirò fuori un mucchietto di stoffa bruciacchiata e
spiegazzata che ricordava
vagamente un cappello a cilindro. Era il suo primo capello, quello che
aveva
fabbricato da solo quando era ancora un bambino.
-Voglio
che
tu custodisca questo per me – disse Tarrant, consegnando il
piccolo cappello ad
Alice e coprendolo con le sue mani.
Alice
rimase
senza parole. Il Cappellaio le stava affidando una delle cose a cui
teneva di
più al mondo. Si portò il mucchietto di stoffa al
cuore e disse: -Lo custodirò
gelosamente per sempre –
-Nah,
non
per sempre – la corresse il Cappellaio, facendo una smorfia
– Tienilo fino a
quando non ci incontreremo di nuovo. In questo modo avrò
un’altra occasione per
vederti –
Alice
non
resistette più e si gettò a capofitto tra le
braccia del Cappellaio, baciandolo
di nuovo. Si beò delle sue dolci e morbide labbra per
più tempo possibile, cercando
di imprimere nella sua memoria le sensazioni di quegli attimi e
pregando che quel
maledetto specchio sparisse e la lasciasse per sempre a Sottomondo ma
-ovviamente
– nulla di ciò accadde.
Quando
si
staccò dal Cappellaio, Alice infilò il piccolo
cappello in una tasca dell’abito
e si avvicinò allo specchio. La lastra si increspava ad ogni
singolo tocco,
come se fosse una superficie acquatica, e Alice ebbe il terrore che se
la
avesse attraversata si sarebbe ritrovata in mare aperto.
Deglutì e osservò ancora
una volta il giovane Cappellaio, il quale non riuscì a
nascondere un velo di
tristezza nel vederla andare via.
-Buon
viaggio
a vederci, mia dolce Alice – disse lui, lasciandole un casto
bacio sulla
guancia.
Alice
infilò
un piede nello specchio e in pochi secondi la lastra di vetro la
risucchiò,
reclamandola a sé. Sentì un vuoto opprimente
riempirle lo stomaco, come se
stesse precipitando nel buio, quando all’improvviso
spalancò gli occhi e si
rese conto di essere tornata nel suo mondo.
Intorno
a sé
non c’erano più castelli dorati, giardini
rigogliosi e il Cappellaio, ma
solamente la mobilia malandata della sua buia e umida cabina. Alice si
stropicciò
gli occhi e si rese conto di aver pianto per davvero e che le lacrime
sparpagliate
sul suo viso non erano frutto della sua immaginazione. Tuttavia, non
indossava
più quel magnifico abito azzurro, ma solamente la sua divisa
da capitano.
Non
sapeva a
cosa credere.
Terrorizzata
dall’idea di rimanere delusa, ma comunque curiosa di vedere
fino a che punto i
suoi folli sogni potevano diventare realtà, Alice
infilò una mano nella tasca della
giacca e le lacrime ricominciarono a sgorgare copiose dai suoi occhi
blu non
appena la sua mano afferrò qualcosa di piccolo e morbido al
tatto. Un minuscolo
cappello di stoffa spiegazzata e bruciacchiata le riempì il
palmo tremante.
Rimase a fissarlo per qualche secondo, temendo di non essersi ancora
svegliata
da quel bellissimo sogno.
Ma
quella
era la realtà.
Alice
infilò
il piccolo manufatto in una taschina interna della giacca, vicino al
cuore e vi
appoggiò la mano sopra, senza riuscire a smettere di
piangere.
-Buon viaggio a vederci, Cappellaio -
Spazio Autrice:
Ciao a
tutti!
Dopo quasi un anno di lontananza da questa piattaforma, sono tornata
con una piccola one shot su una delle mie coppie preferite degli ultimi
anni.
Le parole del Cappellaio nel finale di
"Alice through the looking glass" mi hanno sempre colpito
molto, così, dopo svariati ripensamenti ho deciso di
scriverci qualcosina.
Il
sogno con il pendolo e l'orologio a posate che fa Alice nella mia
storia è il
risultato di un mio sogno di qualche sera fa. Probabilmente sto
impazzendo
anche io, colpa della maledetta quarantena...
Alla prossima storia!
Un bacio
Jenny Burton