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Autore: Pervinca95    20/04/2020    0 recensioni
Nora Gigli frequenta l'ultimo anno del liceo quando decide di trovarsi un piccolo impiego come babysitter per aiutare sua mamma con le spese.
Peccato che, troppo tardi, si renderà conto che i bambini di cui dovrà prendersi cura sono i fratelli di Riccardo Sodini, il ragazzo per cui la maggior parte del genere femminile della sua scuola ha un debole.
*
Dalla storia:
Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere.
"Come hai detto che ti chiami?"
Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata?
Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans.
Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. "Nora", risposi guardinga.
Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. "Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata" affermò con un sottile tono schernente. "Prendilo come un consiglio" aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina.
Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Condanna 









Sorpassai il cancello del mio liceo e tirai dritto in direzione del portone d'ingresso. 

La traversata, come ogni mattina da cinque anni, la si poteva definire un incontro di football americano. Rimanere vittima di qualche spallata, gomitata e, sporadicamente, calcio non era poi così difficile.

Ricordavo ancora gli sguardi di superiorità che durante il primo anno mi ero dovuta sorbire dai ragazzi di quarta e quinta. 

C'era da dire, però, che al momento mi sentivo io quella superiore ai cosiddetti primini

Probabilmente era un meccanismo che si attivava spontaneamente nel cervello di ogni studente che, avanzando di anno in anno, vedeva coloro che dovevano ancora affrontare quelle classi come delle piccole vittime ignare. 

Mentre superavo un gruppetto di fumatori, spostai distrattamente lo sguardo sulla sinistra. Ed eccolo lì, il maleducato. 

Riccardo Sodini se ne stava in compagnia del suo branco di amici con una cuffietta in un orecchio e lo zaino mollemente appoggiato su una spalla. I suoi capelli biondo scuro sembravano assorbire i raggi del sole, rendendo più vivo il loro colore. 

Distolsi lo sguardo e continuai a camminare verso la mia meta. 

Avevo già sprecato fin troppi secondi per concedergli quell'occhiata. 

Quando salii in classe tirai un sospiro di sollievo. Per mia fortuna la professoressa non era ancora arrivata, o avrei dovuto giustificare l'ennesimo ritardo. 

Io e la puntualità avevamo vite parallele, non ci saremmo mai incontrate. Era matematicamente impossibile. 

Per di più la professoressa Brodoli era particolarmente severa sui ritardi dei propri alunni, ma estremamente indulgente con i suoi. Più volte era capitato che arrivasse dieci o persino quindici minuti dopo il suono della campanella. 

Era odiosa da quel punto di vista, ma estremamente brava a spiegare la sua materia: letteratura italiana. 

Probabilmente era il rispetto che nutrivo nei suoi confronti a spingermi ad accettare ogni rimprovero per i ritardi. 

In fondo, dovevo ammetterlo, provavo del sano affetto per quella sessantenne ligia al dovere e dal pugno d'acciaio. 

Mi accomodai al mio banco in prima fila, accanto alla finestra, e mi girai verso i due dietro. << Buongiorno tipe losche >> salutai le mie amiche, piegate sul banco a copiare gli esercizi d'inglese. << Da chi lo avete preso? >> domandai indicando col mento il libro in mezzo a loro. 

Francesca alzò la testa e mi rivolse un sorriso furbo. << Da Giacomo. >> 

Giacomo Grandi, il secchione della classe, aveva una cotta clamorosa per lei. Lo avevamo scoperto in seconda superiore, durante una lezione di ginnastica. 

Ruggero Urri, il classico tipo chiassoso della classe, lo aveva urlato ai quattro venti. 

Subito dopo avevamo assistito ad un inseguimento epico, al termine del quale Giacomo era letteralmente saltato addosso all'amico per metterlo KO. 

Da quel momento Giacomo non aveva potuto che farsi avanti e chiedere a Francesca di uscire. 

La loro era una relazione strana. Continuavano ad uscire, ma non li si poteva definire una coppia fatta e finita. Ero sicura che se fosse stato per Giacomo a quell'ora sarebbero stati fidanzati a tutti gli effetti, era la mia amica a tenerlo sulla corda. 

Oltretutto Giacomo non era nemmeno brutto. Capelli castani, occhi di una calda sfumatura marrone, lineamenti fini da angioletto ed un corpo asciutto, anche se non muscoloso. Ma, soprattutto, era garbato ed educato, due qualità erroneamente sottovalutate. 

Inarcai un sopracciglio. << Lo stai sfruttando, ne sei consapevole? >> 

Francesca sbuffò piano e sollevò lo sguardo dal libro. << Non è così, e poi sono solo tre esercizi. >> 

Non ero molto d'accordo. Da quando aveva scoperto che Giacomo teneva a lei, aveva cominciato a copiargli i compiti che non aveva avuto tempo o voglia di fare. 

E lui glieli aveva sempre ceduti senza problemi, probabilmente scambiando quelle richieste come dimostrazioni d'interesse. 

Non mi piaceva quando la mia amica si comportava così. Trovavo ingiusto il modo in cui sfruttava i sentimenti di Giacomo per trarne un vantaggio. 

Contrassi le labbra e lasciai dondolare i piedi. 

<< Ci devi raccontare com'è andato il primo giorno di lavoro >> cambiò discorso Linda, chiudendo il suo libro. I suoi piccoli occhi verdi mi incastrarono in uno sguardo curioso. 

Avevo conosciuto Linda durante il terzo anno, quando si era trasferita dal classico. 

La prima volta che mi ero avvicinata al suo banco per rivolgerle la parola ero inciampata in uno zaino abbandonato a terra ed avevo compiuto una sorta di volo d'angelo, per poi planare con poca grazia sul pavimento. 

Lei si era subito precipitata a risollevarmi e ad aiutarmi a pulire i vestiti. 

Da quel momento avevamo iniziato a conoscerci, e fra noi si era instaurato un rapporto più stretto rispetto a quello che avevo con Vanessa e Francesca. 

Con Linda sapevo di potermi confidare, possedeva una maturità rara per la sua età. Era sincera ed obiettiva, quando sbagliavo non si faceva problemi a riprendermi, e molto spesso era capace di capire cosa non andava con una sola occhiata. 

Mi sentivo fortunata ad averla nella mia vita. 

Le rivolsi un sorriso e mi strinsi nelle spalle. << È andata bene, la signora che mi ha accolto è gentile. I bambini sono carini... be', la piccola lo è, il maschio è un demonio. >> 

<< Ti ha già dato del filo da torcere? >>

La guardai truce. << Eccome. È un bambino... maligno. >> Mi spuntò una smorfia al ricordo dei biscotti sparsi sul tavolo. 

<< Allora diventerà il mio protetto, lo adoro già >> commentò Francesca, le iridi castane pervase da una luce entusiasta.

<< Sì, certo, prova a passarci un'ora. Sono sicura che dopo non lo chiamerai più protetto. Saranno altri gli epiteti che vorrai affibbiargli, fidati. >> 

Lei scoppiò a ridere. 

<< Forse vuole solo attirare l'attenzione >> ipotizzò Linda, sorridendo. 

La faccenda divertiva anche lei, lo intuivo dall'espressione spensierata del suo bel viso tondo. 

Risposi con una smorfia. 

Attenzione o non attenzione, avrei stroncato il piccolo Tommaso. Fra noi si era instaurata una muta sfida volta all'annientamento dell'altro. Non sarei stata io quella a finire KO, no di certo. 

<< Ma non è questo il peggio >> borbottai tra i denti con riluttanza. Passai lo sguardo da una all'altra. << I bambini sono i fratelli di Riccardo Sodini. >> Avevo sganciato la bomba a sangue freddo, speravo solo che a nessuna delle due prendesse un colpo.

Francesca spalancò gli occhi, si schiacciò una mano contro il petto e sbatté la schiena al sedile della sedia con un tonfo poderoso. << No >> disse incredula. 

<< Sì >> dichiarai seccata. 

<< No >> ripeté ancora. Probabilmente per riprendersi avrebbe avuto bisogno di qualche minuto di profonda meditazione durante la quale avrebbe fantasticato sulle coincidenze volute dal destino. Ne era a dir poco fissata, per lei anche una penna caduta a terra era opera del destino. 

Linda sorrise maliziosa e si sfregò le mani. << Lo sai, vero, che dovrai spiarlo per conto nostro? Vogliamo essere informate su ogni dettaglio. >> 

Risi beffarda e sbuffai con un'espressione falsamente complice. << Ma certo, non preoccupatevi. Rinchiuderò i bambini nello sgabuzzino e m'insinuerò nella camera di Sodini per scattare qualche foto. >> 

Francesca annuì con vigore. << Mi sembra un'ottima idea, e nel caso lui ti scoprisse dirai che la porta era aperta e che pensavi fosse il bagno. >> 

<< Sicuro >> sentenziai con un'alzata di spalle. << Logico. >> Mi feci seria tutto d'un tratto. << Ma dico, state scherzando? Non m'interessa minimamente la sua vita, perché dovrei spiarlo? Devo solo fare il mio lavoro. >> 

Francesca si portò una mano sul cuore con fare tragico, così distolse gli occhi da me e diede una pacca sul braccio di Linda. << Ti prego, spiegaglielo tu. Ho quasi rischiato il collasso coronario ad ascoltarla. >> 

Alzai gli occhi al cielo con un sorriso. 

Linda si strinse il mento fra le dita, la bocca stesa in un sorriso furbo. << Potresti estendere il tuo ruolo di baby sitter. Fai conto di dover supervisionare anche lui per nostra richiesta in quanto datrici di lavoro. Mamma Sodini ti ha chiesto di controllare i bambini, e noi ti chiediamo di controllare lui. >> La sua espressione si fece teatralmente preoccupata. << Non vorremmo mai che si mettesse nei guai. >> 

Il mio volto era indifferenza pura, al che Francesca sbuffò energicamente e si protese verso di me a mani congiunte. << Non capisci che è destino? >> 

Inarcai le sopracciglia. << Devo rispondere? >> 

Scosse il capo. << No, mi daresti solo un'altra pugnalata al petto. >> 

Ridacchiai del suo atteggiamento melodrammatico. 

Sia Francesca che Linda e Vanessa erano ammiratrici segrete di Riccardo Sodini da tempi diversi. Francesca se ne era invaghita già dal primo anno, Vanessa dal secondo. Da quel momento era nata una disputa dalla quale ne era uscita vittoriosa Francesca col rivendicare la sua supremazia in quanto la prima ad infatuarsi di Sodini. 

All'arrivo di Linda, il terzo anno, si era aperto un nuovo conflitto di cotte poi dissoltosi con la stipulazione di un accordo che prevedeva la libertà di cotta e la libertà di pettegolezzo condiviso sul loro pupillo. 

L'accordo era stato scritto e firmato davvero, con me come giudice supremo dotato dell'immenso privilegio di porre un timbro a stella, rubato da una rivista per bambini della sorella di Linda, sul contratto. 

Da quel fatidico giorno era regnata la pace tra le platoniche infatuate. 

Linda congiunse le mani e sfoderò uno sguardo supplichevole. << Ti prego, ti prego. Fallo per noi, in nome della nostra amicizia. >> 

Francesca imitò la sua espressione e sbatté violentemente le ciglia. << Sì, in nome della nostra amicizia. Se Vanessa fosse qui ti chiederebbe la stessa cosa. Su, non vorrai davvero arrecare un dispiacere ad una povera ragazza che al momento è costretta a letto febbricitante? Non voglio credere che tu sia così crudele. >> 

Sorrisi divertita. Era quasi comico il modo in cui erano ossessionate da Sodini. 

Ogni giorno mi chiedevo che cosa ci trovassero in lui. Certo, possedeva un bell'aspetto, un bel portamento, era un asso negli sport, aveva l'aria di uno abituato a parlare poco e a mettere a nudo con lo sguardo, ma volevamo dimenticare la sua maleducazione? A mio avviso era menefreghista, altezzoso e, neanche a dirlo, un cafone con tutte le carte in regola. 

Alla fine sospirai rassegnata. << Va bene, gli darò un'occhiata. Ma non vi prometto di entrare nella sua camera, verrei licenziata in tronco. >> 

Le due infatuate si entusiasmarono così tanto da liberare urletti di giubilo che calamitarono l'attenzione di tutta la classe su di noi. E non solo. 

La professoressa Brodoli fece il suo ingresso in aula proprio in quel momento, i suoi occhietti neri protetti da un paio di strette lenti rettangolari rimasero incagliati sulle nostre figure per tutta la traversata fino alla cattedra. Poi sorrise, o meglio, ghignò come ogni volta che la scintilla dell'interrogazione le scoppiettava in testa. 

La classe piombò in un silenzio tombale, come se muovere un solo muscolo avesse decretato il proprio destino. 

<< C'è qualche volontario? >> chiese squadrando la classe con sottile goduria. 

Mi voltai per osservare gli altri: gli unici a testa alta erano quelli che erano già stati interrogati. Io invece me ne stavo quasi rincarcagnata su me stessa con il battito cardiaco fuori controllo per l'ansia. E c'era da dire che ero preparata, avevo studiato il pomeriggio prima di andare a lavoro. 

Non volevo immaginare come si stesse sentendo Francesca in quel momento, dato che in un messaggio aveva scritto che non avrebbe studiato letteratura perché era sicura che la professoressa avrebbe spiegato. 

<< Mosconi, Ricciardini venite voi. >>

Mi si gelò il sangue nelle vene nel sentir pronunciare i cognomi delle mie amiche, in particolare quello di Francesca. 

Ruotai la testa e la vidi con gli occhi spalancati. 

Ero sicura che stesse scavando in ogni angolo della sua mente per mettere insieme una scusa che risultasse plausibile. 

Francesca era una ragazza che, malgrado le apparenze, teneva molto alla scuola. Più volte l'avevo vista disperarsi per un voto basso che non avrebbe dato soddisfazione ai suoi genitori, come tante erano state le volte in cui aveva messo anima e corpo nello studio pur di risollevare la media e inorgoglire i suoi. 

Non era giusto che per una supposizione sbagliata tutti i suoi sforzi venissero vanificati. 

Alzai la mano ancor prima di essermi accordata col cervello. << Potrei venire io al posto di Mosconi? Credo di essere tra gli ultimi a non avere il secondo voto. >> Deglutii in ansia mentre la professoressa si accertava della veridicità di quanto detto attraverso un esame scrupoloso del registro. 

<< Sì, si può fare. Vieni Gigli. >> 

Issai la mia sedia per trasportarla fino alla cattedra, anche nota come patibolo. 

Quando passai davanti al banco di Francesca mi sentii afferrare un polso in una stretta calorosa. I suoi occhi castani erano lucidi e profondamente riconoscenti, così tanto che in quel momento mi sembrò che mi stesse promettendo aiuto eterno. 

Le sorrisi mentre mimava un grazie con le labbra, dopodiché alzò i pollici per incoraggiarmi. Annuii e ricambiai il suo gesto per farle capire che ero carica. 

E poi, con un sospiro, ma il cuore gonfio per aver aiutato Francesca, mi preparai ad affrontare un'intera ora di inquisizione. 

 

 

 

 

                                                                      *  *  *

 

 

 

 

Ero di nuovo davanti al campanello di casa Sodini. 

Speravo con tutto il cuore, l'anima e il corpo che il maleducato non ci fosse, così non avrei dovuto dare un'occhiata alla sua persona, concedendogli così un'importanza che non meritava. 

Avevo pregato il cosmo intero perché lui fosse fuori casa e, invece, fu sua la voce che uscì dal citofono. Purtroppo le mie preghiere non erano state ascoltate. 

Giunsi davanti al portone dell'incubo con più ansia del necessario. La verità era che il pensiero di dover spiare il maleducato mi metteva in agitazione per il timore di essere beccata. Avrei dovuto fare un lavoro pulito: un'occhiata qui, un'occhiata là con l'indifferenza più assoluta. 

Non era difficile, che ci voleva a muovere gli occhi? Nulla, solo che la mia espressione mutava irrimediabilmente in quella di una criminale della peggior specie. 

Liberai uno sbuffo per calmarmi e sistemai la mia coda di cavallo. 

C'era solo una nota stonata: la porta era chiusa. Me ne stavo lì come una demente a fissare il legno scuro senza che nessuno venisse ad aprirmi. 

Battei dei colpi ed allungai l'orecchio per carpire dei passi nella mia direzione. 

La porta venne spalancata di colpo, spaventandomi per giunta. 

Gli occhi azzurri della vittima del mio spionaggio mi sondarono come se fossi stata un marziano... oppure una cretina. Non riuscivo a decidermi. 

<< Era aperta >> disse senza tante cerimonie. 

Ma sì, in fondo salutare con un "ciao" era roba da femminucce. Lui invece era maschio, maschio fino all'ultimo neurone privo di scopo che gli bazzicava nella testa. Se voleva poteva esordire con un laconico "era aperta" e guardarmi come una deficiente capitata lì per caso. 

Mi morsi la lingua e provai a tirare fuori un sorriso amichevole. << Quando sono salita era chiusa, magari è stato un colpo di vento >> ipotizzai sotto il suo sguardo palesemente scettico. 

Non mi credeva, pareva piuttosto sicuro che io fossi scema. Probabilmente si stava chiedendo dove sua madre avesse trovato il coraggio di affidarmi due bambini, dalla sua espressione trapelava che non avrebbe consegnato nelle mie mani neanche una noce. 

Fortunatamente si fece di lato per farmi passare, mettendo così fine a quel momento terribilmente scomodo. 

<< Seguimi >> disse incamminandosi per lo stesso corridoio tetro del giorno precedente. 

Aprì la porta in vetro con la sagoma colorata del pavone, nella mia mente nota come il varco, e non si premurò di farmi spazio per permettermi di entrare prima di lui. Figuriamoci, lui era maschio. 

I bambini si voltarono a guardarci. Irene era seduta sul tappeto a giocare con la sua bambola Ambrogina, ad una prima occhiata ancora più spelacchiata, mentre il nano malefico era seduto sul divano con una pistola giocattolo tra le mani. Dalla sua espressione compiaciuta sembrava che mi stesse aspettando. 

Si era armato, il piccolo Tom Riddle. Avrei tanto voluto estrarre dal mio zaino un bazooka giocattolo e farlo scappare con la coda tra le gambe. 

<< Sono tutti tuoi fino alle sette >> annunciò il maggiore, dal cui tono trapelava una sottile presa in giro.

Irene mutò la sua espressione in una afflitta. << Non resti con noi, Ricki? >> 

<< No, ho gli allenamenti di calcio. Vado via tra poco >> rispose estraendo il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Allungai innocentemente l'occhio e scorsi che gli era arrivato un messaggio da un certo "Orso". 

La piccola Irene sgambettò fino a noi e prese un lembo della maglietta del fratello in mano. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli più intensi del maleducato. << Stasera giochi con me? Facciamo il giochino del volo? >> 

Lui le appoggiò una mano sulla testa per scarmigliarle i boccoli castani. << Sì, stasera sì >> le promise con un sorriso. 

Se non altro sapeva sorridere, era umano. 

Immaginai come le mie amiche si sarebbero sciolte di fronte a quella fila di denti bianchi. 

Poi allungò lo sguardo verso il demonio di suo fratello. << Tommi, fai il bravo. >> Alla fine si degnò di concedermi un'occhiata priva d'interesse. << I soldi sono sul tavolo in cucina. Ci si vede >> concluse spiccio, prima di defilarsi senza darmi il tempo di salutarlo. 

Ero quasi certa che non sapesse che frequentavo il suo stesso liceo. Durante il contatto ravvicinato del pomeriggio precedente, in cucina, non avevo scorto nessuna sorpresa nei suoi occhi, mi aveva semplicemente guardata come un'intrusa.

Non importava, me ne sarei fatta una ragione. La vita andava avanti. 

Al momento a preoccuparmi era il piccolo Tom Riddle con la pistola in mano e le labbra stirate in un ghigno che prometteva guai. 

Appoggiai lo zaino al muro e presi un grosso respiro, successivamente mi sforzai di sorridere e mi accucciai sui talloni per apparire più amichevole. << C'è qualcosa che vorreste fare? Vi andrebbe di disegnare? >> proposi con entusiasmo, concentrando la mia attenzione soprattutto su Irene. 

La piccola mi regalò la prima soddisfazione del pomeriggio, annuendo e saltando di contentezza. 

<< Disegnare è da bambini >> affermò il bastion contrario con tono di disprezzo. 

Il mio sopracciglio scattò da solo. << Perché tu cosa sei? >> 

La sua occhiata fu così truce che pensai che la mia testa avrebbe potuto prendere fuoco. << Ho sette anni, sono un uomo ormai. >> 

Ci mancò poco che gli scoppiassi a ridere in faccia. 

Forse credeva che il trampolino di lancio per diventare uomini fatti e finiti fosse lo svezzamento. Più ci pensavo e più faticavo a trattenere le risate. 

Mi schiarii la voce per ritrovare il contegno. << Quali sono i giochi adatti ad un piccolo uomo? >> 

<< La guerra >> rispose con un certo grado di compiacimento. I suoi occhietti scintillarono pericolosamente mentre si passava la pistola giocattolo da una mano all'altra. 

<< Ma Irene non vorrà giocarci >> cercai di mediare, per salvarmi la pelle. 

Ero piuttosto sicura che per il nano da giardino la guerra non fosse soltanto un gioco, ma il modo più efficace e veloce per annientarmi. 

Contro ogni mia previsione, Irene sembrò eccitarsi per la proposta del fratello. Corse a mettere comoda la bambola Ambrogina mentre il mio mento toccava terra per lo sgomento. 

Dovevo trovare un'arma, e in fretta. 

<< Ho vinto >> mi scoccò il piccolo diavolo, saltando giù dal divano. 

Fui vicina a fargli una linguaccia mostruosa, ma mi trattenni per non perdere il lavoro. 

<< Bambini siete sicuri della vostra scelta? Potremmo sciupare il salotto o romp... >> Mi saltarono addosso. Letteralmente addosso. 

Irene si schiantò contro una mia gamba per stritolarla tra le deboli braccia, Tom Riddle mi montò sulla schiena e mi sparò dell'acqua in faccia con la sua pistola. Non abbastanza soddisfatto, mi strattonò pure i capelli come se fossi stata un cavallo imbizzarrito. 

Per un attimo mi balenò per la mente l'idea di lanciarmi sulla schiena e schiacciarlo come un moscerino, ma anche in quel caso avrei perso il lavoro. 

<< Bambini, aspettate... Tommaso mi stai strozzando >> gli feci presente, dal momento che le sue braccia non facevano che stringersi più forte intorno alla mia gola. 

<< Voglio vedere se svieni >> disse divertito. 

La tentazione di schiacciarlo fu quasi impossibile da scacciare. Mi trascinai piano fino al divano e mi sedetti per bloccare la pustola contro i cuscini, poi gli strappai la pistola di mano e spruzzai in testa a Irene. 

Adoravo quella bambina, ma, cavolo, dovevo pur staccarmela dalla gamba. 

La piccola mi guardò un attimo, poi si lasciò cadere all'indietro e rise sguaiatamente. Capii poco dopo il perché del suo scoppio improvviso. 

Sulla mia faccia piombò un cuscino che aveva tutta l'aria di voler essere usato per soffocarmi. 

Decisi di stare al gioco, così da liberarmi del malefico brufolo che altri non era che Tom Riddle. 

Feci finta di perdere le forze e mi accasciai lentamente su un fianco per dare l'idea di essere svenuta. 

Il nano mi tolse il cuscino dal viso e saltò giù dal divano. << L'ho fatta secca finalmente >> annunciò con orgoglio. 

Irene smise subito di ridere. << È morta? >> 

<< Che t'importa? Adesso possiamo fare tutto quello che ci va. >> 

<< Ma a me stava simpatica. >> La sua voce tremò di dispiacere. << Non volevo che morisse. >> 

<< In guerra succede >> fu tutto ciò che il demonio disse per consolarla. 

Un bambino davvero simpatico e dotato di grandi sentimenti. 

Ci avrei pensato io a sistemarlo. 

Mi alzai di scatto, facendoli strillare di paura, e mi lanciai addosso a loro ridendo. Non potevo non scompisciarmi dopo aver visto le loro facce sconvolte, con tanto di bocche spalancate e occhi fuori dalle orbite. 

<< Sei viva! >> gridò Irene abbracciandomi stretta. 

Il nano cercò di sfuggire dalla mia presa, disgustato. << Stammi lontana, strega. >> 

<< Eri tu quello che ha lanciato quell'urlo stridulo di terrore? >> lo presi in giro, cercando i suoi occhietti innervositi. 

Si fermò per linciarmi con un'occhiata gelida. << Certo che no, io non ho mai paura. >> 

Mi strinsi nelle spalle. << Devo essermi sbagliata, allora. >> 

<< Sei tu la scema, non io >> ribatté prima di ficcarmi due dita negli occhi. Per poco non mi accecò, quel piccolo sacco di fetida immondizia. 

Il dolore era atroce, così ricaddi a sedere sul tappeto e mi coprii gli occhi umidi. 

Non ebbi neanche il tempo di riflettere su come ucciderlo che venni attaccata di nuovo. 

La pustola mi si scagliò contro avvolgendomi il collo con un braccio e gettandomi distesa. Irene, non comprendendo la seria intenzione del fratello di eliminarmi dalla faccia della Terra, cercò di arrampicarsi sulle mie gambe piegate. 

Mi strappai le mani dal viso e riaprii gli occhi che mi bruciavano come tizzoni. 

La prima cosa che rividi, dopo aver creduto di essere diventata cieca, furono gli occhietti malefici del nano ed il suo sorriso da delinquente. 

Avevo sempre sentito dire che nei rari casi in cui le persone riacquistavano la vista descrivevano tutto ciò su cui si posava il loro sguardo come bellissimo. 

A me non successe. 

Quella faccia tonda incorniciata da degli scomposti capelli castani rappresentava il mio incubo peggiore, non una meravigliosa gioia. 

<< Tommaso? >> lo chiamai mentre lui s'impegnava a strozzarmi come una gallina. 

<< Che vuoi? >> rispose brusco. Poverino, lui stava mettendo anima e corpo per uccidermi ed io osavo distrarlo. 

Mi costrinsi a sfoderare un sorriso plastico. << Perdonami, non vorrei disturbarti, ma sai che mi stai facendo male? >> 

La sua bocca si distese in un ghigno dal quale mancava un dente. << Tra poco non sentirai più nulla. >> 

<< Oh, confortante, grazie mille. >> Sorrisi con condiscendenza e lanciai un'occhiata ad Irene che si era posizionata al mio fianco. 

Non capivo cosa stesse facendo. Spostava i grandi occhi dalla mia faccia alla mia pancia con aria innocente, quasi combattuta. 

Poi si lanciò, e fu così che venne messa la parola fine alla mia vita. Perché la piccola che avevo creduto essere un angioletto era della stessa pasta del fratello. 

Si buttò a corpo morto sulla mia pancia tra una serie di urla e risate solo ovattate dal mio fiato spezzato di colpo. 

Mi rovesciai su un fianco con gli occhi fuori dalle orbite e la pancia ridotta ad una Simmental. 

Per un attimo credetti di essere morta, anche perché quel marmocchio che mi attanagliava la gola non aveva ancora mollato l'osso. 

Fui costretta ad acchiapparlo per la maglietta e a gettarmelo addosso, poi lo feci rotolare come un involtino e gli sferrai un pizzicotto su una coscia. 

Ne approfittai per issarmi in piedi ed ammirare la pustola sulla quale si era gettata la sorellina. Godetti nel vederlo schiacciato come il moscerino quale era. 

Mi pulii le mani e puntellai i fianchi con fare autoritario. << Abbiamo giocato abbastanza, che ne dite di fare merenda? >> domandai sfoggiando un sorriso di vittoria al marmocchio contro il quale avevo vinto. 

In tutta risposta, lui mi trucidò con un'occhiata, ma se non altro ebbe la decenza di non contraddirmi. Speravo che avesse capito con chi aveva a che fare e che riconsiderasse i suoi propositi di guerra. 

In caso contrario, aveva trovato pane per i suoi denti. 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

Erano cinque minuti alle sette quando udii la porta di casa Sodini aprirsi. Nel momento in cui, dalla cucina, allungai la testa per appurare chi avesse fatto il suo ingresso, mi arrivò un colpo di quaderno sulla nuca. 

Mi voltai di scatto verso Tommaso, il quale, come se fossi stata una cretina e non fossi consapevole della sua colpevolezza, stava guardando il soffitto con aria innocente. Decisi di lasciar correre e mi girai insieme ai bambini a guardare il simpatico fratello maggiore che faceva capolino in cucina. 

Ci osservò per un momento, poi si soffermò su di me. 

Esaminò la mia testa come avrebbe fatto con la carcassa di un topo da laboratorio, subito dopo gli spuntò un sorriso che covava una risata sapientemente trattenuta. 

Un mio sopracciglio spiccò il volo fin quasi all'attaccatura dei capelli. 

Cos'aveva quel maleducato da ridermi in faccia? 

Ogni nostro incontro aveva fatto acqua da tutte le parti, mai una volta che avesse esordito con un semplice "ciao" e si fosse tolto dai piedi. 

Il mostro più piccolo, giustamente, ne approfittò per ricolpirmi sulla nuca. E così le mie figure di cacca aumentavano esponenzialmente. 

Ciò che fece sprofondare il mio mento per terra, fu che il maggiore dei Sodini non rimbrottò il suo degno seguace per il gesto violento, ma vide bene di farsi scappare la risata che conteneva da un po'. 

Avevo l'imbarazzo della scelta su chi eliminare per primo. 

La rabbia mi esplodeva in scintille dietro le palpebre e le mani mi formicolavano pericolosamente, tant'era la voglia di accapigliarmi con Voldemort. 

Mi sentivo umiliata e ridotta ad un fenomeno da baraccone. 

Così la mia lingua si mosse prima che, ancora una volta in quella giornata, il mio cervello avesse dato il consenso. Quando qualcosa mi stava a cuore o mi imbestialivo non riuscivo ad essere riflessiva, l'istinto prevaleva su tutto. 

<< Non è un gran bell'esempio quello che stai dando ai tuoi fratelli >> mi uscì di bocca in tono acido. << Dovrebbero imparare che non è corretto ridere di un gesto violento. >> 

Ottimo, il maleducato aveva smesso di sghignazzare. Me ne compiacevo. Eppure un sorrisetto era sempre lì, su quella faccia che reclamava schiaffi a gran voce, mentre gli occhi di un azzurro intenso mi fissavano con curiosità. 

<< Mi stai dicendo come devo comportarmi? >> chiese quasi divertito. 

Perché continuavo a sentirmi presa in giro? Che cos'aveva quel ragazzo che non andava? 

Piantai i palmi sui fianchi e cercai di darmi tono con una scrollata di spalle. << Dico che dovresti mostrarti più maturo di fronte ai tuoi fratelli >> azzardai senza slacciare il nostro contatto visivo. << Prendilo come un consiglio >> aggiunsi secca.

Dato che c'ero, tanto valeva dirgli esattamente quello che pensavo. Se avesse voluto licenziarmi me ne sarei fatta una ragione, non ci tenevo a rivedere la sua faccia. 

La sua risata mi corrodeva ancora le orecchie. 

I suoi occhi mi superarono e corsero al piccolo demonio seduto alle mie spalle. << Chiedi scusa, Tommi >> disse con un cenno del capo, il solito sorriso stampato sulle labbra. 

Ero piuttosto sorpresa dalla piega assunta dalla situazione, ma c'era ancora qualcosa che non riusciva a farmi fidare delle buone intenzioni di Voldemort. 

Sentivo puzza di beffa. 

Socchiusi gli occhi sospettosa e lentamente scivolai con lo sguardo sul gangster in miniatura che pareva più disponibile a farsi amputare un braccio che a chiedere scusa.  

Mi guardò con riluttanza, come se fossi stata una cacca di piccione a cui dover dare un bacio, e sbuffò sonoramente. Alla fine, insieme ad una smorfia, pronunciò la fatidica parola. 

Sorrisi compiaciuta dello smacco che aveva subito e gli diedi una pacca sulla testa. << Perdonato. >> 

Due a zero per me, marmocchio. 

<< Il tuo orario è finito >> dichiarò il maggiore, indicandomi l'orologio sopra il tavolo. << Puoi andare. >> 

Annuii e, dopo aver salutato i bambini, sfuggii in salotto a recuperare lo zaino. 

Alla porta d'ingresso trovai Voldemort che mi aspettava con i soldi in mano. 

Li sventolò mollemente, come se gli costasse fatica tenerli in mano. << Li stavi dimenticando. >> Per qualche inspiegabile motivo, appena mi guardò, gli scappò di nuovo da ridere. 

Avevo una faccia tanto ridicola? E pensare che possedevo dei normali occhi castani e degli altrettanto normali capelli castani mossi. Che cosa c'era di così fuori dal comune in me? 

<< Grazie >> dissi incolore, prendendoli e riponendoli in una tasca dello zaino.  

Quei dannati occhi azzurri non mi mollarono neanche un attimo, tale e quale al suo sorrisetto sghembo che già odiavo visceralmente. << Ci si vede >> fu tutto ciò che disse, prima di ruotare le suole per andarsene. 

Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere. 

<< Come hai detto che ti chiami? >> 

Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata? 

Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans. 

Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. << Nora >> risposi guardinga. 

Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. << Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata >> affermò con un sottile tono schernente. << Prendilo come un consiglio >> aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina. 

Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani. Aveva anche osato lanciarmi una frecciatina rifilandomi la stessa frase che gli avevo detto poco prima. 

Che razza di idiota immaturo. 

Trafficai furiosamente nello zaino ed acciuffai il cellulare, aprii la fotocamera interna e mi diedi un'occhiata. 

Sgranai gli occhi di colpo. 

Avevo tutta la coda sfatta e una miriade di capelli avevano deciso di farmi da aureola sopra la fronte, forse come simbolo della mia santità. 

Come facevano a non risentire della forza di gravità? Erano tutti ritti come soldatini ad una parata. 

Ora mi spiegavo la voglia di ridere del caro Sodini. Come il fratello minore, era dotato di simpatia e grandi sentimenti, un vero gentiluomo. 

Mi chiedevo che cosa ci trovassero in lui le mie amiche. 

Se fosse stato muto forse avrei potuto comprendere che cosa le affascinava tanto. Forse, perché già solo il suo sorriso mi dava sui nervi. 

Ed il peggio era che avrei dovuto vederlo anche a scuola. Sorbirmelo quasi tutti i giorni finché morte non ci avesse separato. 

Suonava tanto come una condanna.

  
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