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Autore: Frieda B    22/04/2020    2 recensioni
Lui, freddo, cinico, spaventato da se stesso.
L'altro lui, bel sorriso, mancino, gran rompiscatole.
Due piloti, un solo aereo.
Aviazione tedesca, ai giorni d'oggi.
Genere: Guerra, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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   CAPITOLO I 
Una nuvola tra le nuvole




 Il suo ex coopilota si chiamava Andreas Schaefer.
Non era un tipo troppo loquace e questo a Karl stava più che bene, perché potevano lavorare senza sforzarsi necessariamente di fare conversazione, il che qualche volta poteva risultare forzato e imbarazzante.Talvolta, uscivano insieme ad altri militari, ma anche in quei casi le chiacchiere non andavano oltre qualche frase di circostanza. Non erano in competizione tra loro e sarebbe stato sbagliato dire che non si piacevano: erano solo molto diversi.
Andreas preferiva un volo tranquillo, aveva sempre paura di sbagliare ed era alquanto insicuro di sé.  Era un tipo basso e iperattivo, con un macabro senso dell'umorismo. Aveva un paio di tatuaggi sulle braccia e dei denti troppo bianchi per essere naturali.
Non avvisò nessuno della sua decisione di lasciare l'aviazione, ma quando se ne andò a Karl venne detto che era una decisione meditata e ragionata. Lui non disse niente, ma gli parve veramente maleducato che se ne fosse andato così, senza neanche un saluto.
    Forse non gli era ancora passata del tutto o forse era il suo grande senso di indipendenza che ogni volta gli faceva sperare di poter volare da solo. Ah, se avesse potuto pilotare da sé un aereo come quello! Non fu affatto felice di sapere che, dopo neppure un mese, gli avevano già trovato un rimpiazzo.
Ma gli ordini venivano sempre dall'alto e non potevano essere discussi o rifiutati.
Fu per questo che quando il comandante Lukas Breyer gli chiese di farsi trovare nell'hangar sei per le quindici, semplicemente annuì e non aggiunse altro.
Subito dopo il rancio, che consumò in fretta con una sorta di nervosismo, si diresse al luogo dell'incontro ed essendo enormemente in anticipo, prese i suoi strumenti e diede una controllata all'aereo. C'erano equipe qualificate che controllavano regolarmente ogni veivolo, e non è che lui non si fidasse, ma gli piaceva farlo anche personalmente, per scaramanzia, forse, o solo per noia.
Per le tre del pomeriggio, lui era ancora sotto il suo Grob G-120, l'aero d'addestramento di fabbricazione tedesca, bianco, come un’altra nuvola nel cielo. Aveva la tuta da pilota, una macchia di grasso sui polpastrelli delle dita ed una più piccola sotto l'occhio destro.
Lukas Breyer avanzò nell'hangar illuminato da luci al neon con un giovane al suo fianco. Karl non se ne accorse, se non quando il comandante attirò la sua attenzione chiamandolo. Allora sbucò fuori dalla pancia dell'aereo e balzò in piedi. Fece il saluto e l'uomo si distese in un sorriso.
«Eisner,» ripeté. «Ti presento il sergente Sebastian Kluge.»
Fu la prima volta che i loro occhi si incrociarono.
A Karl gli occhi verdi avevano sempre fatto impazzire ed i suoi erano di una tonalità particolarmente bella. Naturalmente non disse niente, ma tese la mano verso di lui perché la stringesse. Scoprì che le sue dita erano assurdamente fredde, e mentre pensava ciò, l'altro giudicava le sue incredibilmente calde.
Aveva stretto la sua mano con la destra, sebbene in un primo momento avesse teso la sinistra, perché, in tutta evidenza, era mancino. Karl notò questo dettaglio e se lo appuntò mentalmente, poi gli diede un'occhiata veloce. Più basso di lui di un paio di centimetri, forse più giovane di uno o due anni, un sorriso gradevole ma in modo strano, gli occhiali da sole infilati in una delle tasche della tuta da pilota, sul petto.
Il colonnello osservò entrambi i ragazzi e si complimentò tra sé per la scelta fatta.
«Sono certo che andrete d'accordo,» mormorò. «Adesso scusatemi, ma devo proprio andare.» Decise di lasciarli soli perché potessero conoscersi, i primi momenti erano essenziali in certe circostanze; Bastian lo ringraziò per il giro della caserma che gli aveva fatto fare personalmente, poi lo salutarono entrambi e l’ufficiale si congedò allontanandosi in fretta.
    Lui mise subito a suo agio. Infilò le mani in tasca ed iniziò a fischiettare qualcosa, mentre il suo sguardo chiaro rimbalzava da un angolo ad un altro, da un dettaglio ad un altro, come una pallina di gomma tirata in un momento di noia. Si avvicinò a passo distratto verso il G-120, allungò la mano sinistra e sfiorò delicatamente la carrozzeria. Vi si appoggiò stringendo le braccia sul petto ed incrociò i piedi. Fissò il ragazzo, non sembrava intenzionato a parlare, lui però non ne voleva sapere di stare zitto. Lo vide raccogliere la chiave inglese e lo strofinaccio da terra e riporli in una cassetta, chinato in avanti. Osservò le sue forme e poi, quando lo notò alzarsi anche se era ancora di spalle, scostò gli occhi sulle ruote dell'aereo.
«Allora,» esordì. «Ti chiami Karl, mi pare.»
Quello fece soltanto un cenno positivo col capo, non sembrava minimamente interessato a parlare con lui e questo lo fece rimanere un po' male. Ma non demordeva mai così facilmente.
«Io sono Bastian, invece. Ma puoi chiamarmi Bas.»
«Grazie della concessione,» mugugnò l'altro.
Le sue labbra si tesero in una specie di ghigno. “Fa il difficile” si disse, e proseguì: «Da quanto voli?»
«Da un po'.»
«Io da circa tre anni» spiegò. «Ne ho ventidue, comunque.»
Karl fece un cenno, lo stava guardando, fermo davanti a lui. Non disse altro.
«Dov'è finito il tuo ex?»
Rimase interdetto e si irrigidì di colpo. Non riusciva più neanche a pensare.
«Intendevo il tuo ex coopilota,»- chiarì lui con fare ovvio. Sorrise tra sé, ma cercò di tenere ferme le labbra. Aveva già capito tutto. “La cosa inizia ad essere interessante.”
Lui distolse lo sguardo e deglutì nervoso. «Non ne ho idea.»
«Scherzi?»
«No.»
«Ah...»
Si venne a formare un altro breve silenzio. Di nuovo, fu Bastian a romperlo: «Vuoi aiuto con questa bellezza?» Accennò al veivolo, al quale era ancora appoggiato.
«No» disse lui. «E' apposto.» Puntò gli occhi color scuri sui suoi. «Come mai qui?»
«Mi ha assegnato Breyer, no?»
«Intendevo in questa caserma. Dov'eri prima?»
«Non ad Amburgo.»
«Perché ti hanno cacciato?»
«Chi ti dice che mi abbiano cacciato?»
«Non ti hanno cacciato?»
«No.»
«Sei scappato, allora.»
«Pff. Non mi hanno cacciato. Me ne sono andato io.» Silenzio. Poi: «perché hai pensato una cosa del genere?» Sembrava offeso adesso.
Ad Eisner non importava. Era indifferente, solo un po' infastidito. «Intuito.»
«Riuscirai mai a non guardarmi come un appestato?» Alzò un sopracciglio.
«Forse,» fece lui. Si voltò e si diresse fuori dall'uscita dell'hangar, con le mani in tasca.
L'altro fece roteare gli occhi.
   
 
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