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Autore: btshadows    25/04/2020    0 recensioni
"Lo guardavo sempre, in silenzio, come si guarda un quadro, lo veneravo come un quadro, l'amavo e non lo capivo come un quadro"
Iniziata il 25 gennaio 2019.
Conclusa il 12 aprile 2020.
La storia è presente anche su Wattpad.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
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Con tutto questo chiasso, mi chiedo: "Quando sarà il momento giusto? Quando potrò finalmente scrivere il mio libro?". 
Le giornate passavano, passavano i mesi, gli anni, eppure il mio libro non veniva mai concluso, a dirla tutta, neanche mai iniziato. È da quando ho dodici anni che mi chiedo quando arriverà il momento giusto. All'inizio,  scrivevo piccole bozze, su alcuni dei miei cantanti preferiti, così l'immaginazione vagava, vagava fino ad arrivare alle cose più improbabili che ci possano essere al mondo. Ci sono stati alcuni momenti in cui l'ispirazione sembrava non lasciarmi mai, alcuni momenti in cui dicevo "Questa è la volta giusta, posso farcela adesso". In altri momenti, mi guardavo attorno e ridevo di me stessa, leggendo tra le varie bozze di vari libri mai realmente iniziati di cui immaginavo solo la trama, una trama per niente originale, ripetuta in tutti i libri d'oggi. Quelle bozze erano, per me, motivo di vergogna. Mi chiedevo come fosse possibile che, con il mio amore verso i libri e la scrittura, uscissero tali sgorbi con alcuni errori (anzi chiamiamoli orrori) di ortografia, che manco una bambina di sette anni, con tutta la sua volontà, li avrebbe fatti.
Ora, dopo quasi un anno, che non scrivo più niente, ho aperto questa pagina per puro caso ed ho iniziato a scrivere, non mi aspetto manco di concluderla questa storia, perché probabilmente non arriverò manco ad un quinto capitolo. Non ho idea se sarà una storia d'amore, un libro fantasy o thriller, ma almeno spero di evitare gli orrori ortografici.
 
 
Capitolo Uno. 
 
 
La sigaretta si appoggiava delicatamente alle sue labbra rosee, ogni volta che fumava, sembrava baciarle, come se fossero le labbra di chi, un giorno, avrebbe venerato. Ogni volta che fumava, desideravo essere io quella sigaretta. Lo guardavo sempre, in silenzio, come si guarda un quadro, lo veneravo come un quadro, lo amavo e non lo capivo come un quadro. Osservavo ogni suo piccolo gesto, anche quelli fatti di sfuggita, che neanche lui sapeva di fare. Fumare la sigaretta, almeno una volta al giorno, era uno dei suoi vizi peggiori ed io gli consigliavo sempre di smetterla, gli dicevo che non avrebbe fatto del bene ai suoi polmoni, neanche ai suoi denti e alle sue dita, ma lui continuava a baciarle una dopo l'altra, assaporandone ogni piccolo secondo, senza mai distogliere il suo sguardo dalla finestra. Mi faceva venire voglia di fumarle fino a farmi del male, mi faceva venire voglia di essere incoerente con me stessa, solo per sapere che gusto c'era nel baciare una sigaretta. Erano sottili, le sue labbra, ma sembravano così morbide da farmi venire voglia di avvicinarmi e morderle delicatamente, volevo conoscere il loro sapore, volevo essere la cura del suo vizio. Pensavo che invece di fumare, poteva baciarmi nello stesso modo, invece di stringere quella sigaretta con tanta possessione, poteva stringere i miei fianchi e, se voleva, lasciarci il segno, se solo lui avesse voluto, mi sarei fatta consumare lentamente, come lui consumava quella sigaretta. 
 
"Come inizieresti un tuo libro?" sputai improvvisamente quelle parole, non volevo davvero rompere il silenzio che si creava sempre tra me e lui, non era per nulla imbarazzante. Ogni volta che cadeva nella stanza dove c'eravamo io e lui, io mi perdevo nell'osservarlo e lui nel perdersi nei suoi pensieri.
 
"Non inizierei mai a scrivere un libro." rispose, dovevo aspettarmelo. Amava leggere, ma aveva sempre ripetuto che gli scrittori di oggi, non sono altro che un branco di 'vendi anime', vendevano le loro anime al diavolo, pur di guadagnare.
 
Avevo sempre sospettato che, in realtà, lui avesse una specie di diario, dove scrivere i suoi pensieri. Con me, non parlava molto di ciò che gli passava per la testa, preferiva tenerselo per sé. Affermava che ogni qualvolta nella quale voleva raccontarmi anche di un piccolo pensiero, quest'ultimo spariva dalla sua mente, così com'era venuto. Bugia. Questo mi faceva irritare, molto a dire la verità, io volevo davvero sapere cosa passasse per la sua mente, ma lui sembrava volerlo evitare, come se i suoi pensieri non fossero altro che segreti da tenere all'oscuro, come se fossero la chiave per un tesoro nascosto. Li nascondeva in ogni modo.
 
"Sono seria, sto ancora cercando di scrivere un libro nella mia vita, ma come sempre: non so iniziare, non so che trama originale scegliere, non so che fine diversa dalle altre, dare." girò la sua testa, lentamente, verso di me e sorrise nel suo solito modo, come se la risposta fosse davanti a me, ma l'unico a vederla, era proprio lui. Anche quel suo sguardo mi irritava, perché doveva farlo ogni volta?
 
"Allora non scrivere nessun libro, così non devi farti tutte queste domande." tornò a guardare la finestra, fumando gli ultimi secondi di essa, prima che si spengesse. La gettò via, buttandola fuori in modo maldestro, come se quei piccoli baci, morbidi e lenti, che gli aveva dato prima, non contassero niente. E io, un po', mi sentii come quella sigaretta. Lui amava usarmi nel modo più puro e casto possibile, mi usava rendendomi schiava dei suoi sguardi mai veramente soffermati su di me, dei suoi pensieri non detti, dei suoi gesti che non erano mai indirizzati verso di me. Mi rendeva inutile davanti alla sua figura, mi trattava come qualcosa da prendere in giro, da allontanare, ma io sapevo che non ci riusciva, sentiva anche lui la stretta nel cuore, quando non ci vedevamo per molto tempo. Non poteva allontanarmi, non aveva abbastanza forza per lasciarmi andare. Ed io, da umile schiava, non volendo essere buttata via e sostituita, esponevo la mia felicità, quando nei momenti in cui rimanevo sola, pensavo a lui. 
 
"Dovresti davvero aiutarmi, lo sai che è il mio sogno scrivere almeno un libro." mi lamentai, lui si alzò da vicino la finestra per raggiungermi a passo lento e, per me, straziante.
 
Mi si avvicinò, portando il suo viso all'altezza del mio, i nostri menti quasi si sfioravano, si scontravano. Portò una sua mano nei miei capelli, prese dolcemente una ciocca e la strinse, non forte come stringeva le sigarette, la stringeva quasi come se stesse toccando i capelli di una bambina, quel tocco mi faceva formicolare le dita, ma allo stesso tempo mi stava dando fastidio. 
 
"Se è un tuo sogno, dovresti fare tu il possibile per realizzarlo." sospirò a pochi centimetri dalle mie labbra, aveva la voce così rauca e così lenta, ogni volta che parlava, per scandire una parola, ci metteva tutta la calma del mondo. Io, ero completamente il suo contrario. Tutti i miei amici, compresi i miei parenti, si lamentavano della velocità con cui parlavo ogni volta, nei discorsi lunghi, mi seguivo solo io, gli altri erano sempre bloccati nel capire la prima frase.
 
"Ho solo bisogno di una piccola ispirazione... Ti prego" sussurrai, tutto quello che stava succedendo, lui lo stava facendo accadere di proposito. Era un bastardo e sapeva fin troppo bene che effetto aveva su di me, sapeva tutto, per lui, non ero altro che un libro aperto. Anche questo mi dava incredibilmente fastidio. 
 
"Allora vediamo..." si allontanò, finalmente riuscii a far arrivare dell'aria ai miei polmoni senza problemi. Si alzò e iniziò a camminare verso il suo cappotto, messo in modo perfettamente ordinato sul letto ancora non fatto. 
 
"Come inizierei un libro..." sembrò pensarci sopra, mentre si metteva con una certa eleganza quel cappotto nero, subito seguito dalla sua sciarpa. Si avvicinò alla porta, toccando la maniglia con attenzione, picchiettò sopra due volte, arricciò il naso, socchiudendo i suoi occhi.
 
Era così dannatamente bello, in quel momento capii, capii che qualunque sarebbe stato il genere, la trama, qualunque sarebbe stato il libro, io avrei scritto di lui. Avrei provato a descrivere ogni piccolo gesto, sorriso, espressione, ogni sua parola. Lui era la mia più grande musa, lui era il mio più grande desiderio. Infatti, mi dissi, ciò che rende un libro speciale è quanta passione ci mette l'autore nel metterci dentro i suoi desideri. Ed io, di passione repressa, a causa sua, ne avevo fin troppa. 
 
"Inizierei con 'se avete di meglio da fare, fatelo, perché qui stanno scritte solo un mucchio di stronzate.' " dopo aver detto questo, aprì la porta e sparì dietro di essa. 
 
Avrei dovuto immaginarlo, mi sembrava fin troppo strano che davvero ci stesse pensando.
 
 
Capitolo Due.
 
 
Erano passati tre giorni da quando non ci vedevamo, poteva sembrare poco tempo agli occhi del mondo, ma ai miei, sembrava una lunga tortura.
 
Lui era impegnato nel dare un esame all'università, stava studiando per un esame piuttosto difficile, mi aveva detto. Io, d'altro canto, ero impegnata a studiare per le interrogazioni. 
 
La scuola era iniziata da qualche mese e mi sembrava già difficile stare al passo con i professori e i miei compagni di classe. Rispetto alla mia classe, io avevo la media più bassa in assoluto, ero colei che nessuno chiamava o veniva invitata a casa per studiare. "Cosa me ne faccio di una che di filosofia non ha mai capito niente?" probabilmente pensavano o "Quattro anni di liceo linguistico e neanche sa cosa sia il francese." dicevano, mentre mi ridevano alle spalle. Ogni anno, ero colei che si portava almeno un debito, perché non riusciva mai a recuperare del tutto. Effettivamente, essere arrivata al quarto anno, mi sembrava molto irreale. A causa di questo, mi sentivo anche inferiore a lui. Era un genio in tutto ciò che faceva, agli esami prendeva tutti trenta e molte volte anche la lode. Sembrava uno di quei ragazzi americani perfetti, usciti dai migliori film d'amore. 
 
A volte, mi sembrava così surreale la sua esistenza, che mi pizzicavo il braccio e scuotevo la testa più volte. 
 
"Ti sei persa di nuovo nei tuoi pensieri?" la voce della mia amica si fece spazio tra essi e mi girai velocemente per salutarla con un grande abbraccio.
 
"Mi sei mancata davvero tanto." le dissi, era vero.
 
Solo con lei, io, potevo essere me stessa. Quando stavo con i miei parenti, cercavo di essere la figlia perfetta. Quando stavo con i miei amici, cercavo di essere l'amica perfetta. Quando stavo con lui, cercavo di sembrare più grande, di fare veri e propri ragionamenti, cercavo di stupirlo.
 
"Anche tu. Cos'hai fatto in questi mesi?" iniziammo a parlare e così decidemmo di fermarci in un bar, chiacchierammo su tutto, anche su di lui. Lei sembrò veramente sorpresa, ma cercò di non darlo a vedere. 
 
"I tuoi genitori lo sanno?" mi domandò ed io, iniziai a guardarla. Era una di quelle domande a cui non avevo la più pallida idea di cosa rispondere. 
 
"No." mi fermai. "E poi, non c'è niente da raccontare. Io e lui siamo solo amici." continuai.
 
Cosa potevo mai dire ai miei genitori? 
 
Avevo un padre molto severo ed una mamma con una mentalità molto ristretta, lei affermava il contrario, ma, molte volte, dai tuoi discorsi traspariva ignoranza e raccapriccianti ragionamenti, d'altronde come quelli di mio padre. Se solo avessi accennato una cosa del genere, si sarebbero sentiti male e sarebbero subito passati ad una denuncia.
 
"Ma, per te, non è solo amicizia." sottolineò "Da come ne parli, sembra che lui sia diventato qualcosa di davvero troppo importante per il tuo cuore. Stai attenta. Gli adulti hanno un mondo tutto loro, dimenticano di essere stati adolescenti anche loro e feriscono. E quando feriscono fanno male, soprattutto se uno di loro ha il tuo cuore fra le sue forti dita. Senza neanche accorgersene, con un gesto involontario, potrebbe spezzartelo e non chiederti neanche scusa. Loro hanno un orgoglio molto alto e sono anche tanto impegnati, se invece di spezzartelo, si dimentica di averlo e prende quello di qualcun altro? Oppure da' il suo a qualcun altro? Cambiano idea facilmente, sembrano dei bambini, prima amano il rosso e poi finiscono per odiarlo senza ragione. Sembrano quasi noi, veri adolescenti, quando fanno delle scelte e poi non sanno neanche il perché. Stai attenta. Non voglio vederti stare male."  sorrisi al suo piccolo discorso preoccupato. Non c'era davvero bisogno di preoccuparsi, lui era completamente diverso da tutti gli adulti.
 
"Grazie mille, anche per la tua preoccupazione, ma tranquilla, lui non è così." 
 
Io ci voglio credere che lui non sia davvero così. Ma non l'aggiunsi. Non volevo farla preoccupare ancora di più. 
 
 
 
 
 
Il suo colore preferito era il nero, vestiva sempre di nero, lo smalto che utilizzava era nero, anche la sua macchina e il suo pupazzo vicino il portachiavi era nero. Tutto di lui urlava il colore nero. Ma se avessi dovuto associarlo ad un colore, io avrei usato il verde, non un verde qualunque, ma quello dei suoi occhi. 
 
Un verde limpido, un verde che mi affascinava. Il verde dei suoi occhi poteva essere paragonato al verde dei boschi, quando la luce del sole li illumina in ogni piccolo spazio, facendoli sembrare qualcosa di onirico. 
 
Lui rispecchiava quel colore alla perfezione. In psicologia, il verde, significava una personalità tranquilla, stabile, una persona che preferiva lavorare in completa solitudine. Nell'aura umana rappresentava quell'energia in più, che portava alla tendenza di voler controllare anche gli altri, incuranti del loro reale volere. 
 
"Non ho iniziato ancora il mio libro." pronunciai queste parole mentre lui, con tutta la calma del mondo, leggeva Cent'anni di Solitudine di Gabriel García Márquez. Quel giorno sembrava che qualche pensiero di troppo girasse per la sua testa, sembrava infastidito da qualcosa, ma come sempre, non sembrava volerne parlare con me.
 
"Hai tutta la vita davanti per scriverne uno, perché volerlo fare proprio adesso?" rispose lui, sembrava quasi stanco, eppure, mi aveva detto che l'esame era andato più che bene. Aveva forse avuto qualche problema in famiglia? C'era qualcuno che gli dava particolarmente fastidio? O, forse, ero io? 
 
"Perché ho fatto un sogno. C'ero io, che pubblicavo questo libro e piaceva a tutti. Così ho deciso di volerlo realizzare." spiegai, lui, nel frattempo, girò una pagina e si morse, senza volerlo, il labbro. Conoscevo quel gesto, ogni qualvolta che lo faceva era, perché, perso nei suoi pensieri, non riusciva a concentrarsi su quello che davvero voleva fare.
 
"A te piaceva?" non alzò lo sguardo neanche una volta mentre ne parlavamo, non che la cosa mi stupisse, era da lui, non guardarmi minimamente. 
 
"Cosa?" chiesi stupidamente. Quel giorno vestiva con dei pantaloni di tuta e indossava una maglia con lo scollo a 'v', si riuscivano ad intravedere i suoi numerosi tatuaggi, ai piedi portava dei calzini neri e la cavigliera era visibile. 
 
"Il libro a te piaceva?" non capii bene quella domanda, se era un mio libro, come faceva a non piacermi?
 
"Sembri voler scrivere questo libro solo per avere attenzioni positive su di te,
 
non perché vuoi farlo davvero. Un libro non si scrive per compiacere gli altri, ma per un piacere personale. Se scrivi questo libro per accontentare,
 
allora scrivi ciò che scrivono tutti, ciò che tutti vogliono leggere. Così piace a loro,
 ma non penso che avrai una soddisfazione personale." girò una seconda volta la pagina di quel libro, quasi senza voglia, come se lo facesse giusto per.
 
"Cosa vuoi saperne tu?" domandai irritata. Aveva rifiutato di aiutarmi, di consigliarmi ed adesso metteva voce su ciò che veramente volevo oppure no. Da quando ci eravamo salutati qualche ora prima sembrava distratto, mi prestava meno attenzione del solito. Non mi stava bene, per niente.
 
"È una mia opinione, non sei matura da poterla prendere seriamente." quelle parole mi fecero male,
 
sentii il mio cuore stringersi in una morsa amara. 
 
"L'età non fa la maturità. Tu sei molto più grande di me, ma sembri avere la maturità di un ragazzo molto più piccolo." affermai arrabbiata. Perché doveva ferirmi sempre? Perché sfogava la sua rabbia su di me?
 
"Stiamo parlando di te, non di me. Non dire cose che non dovresti dire. Vuoi scrivere un libro?
 
Fallo. Non ti sto fermando." mi alzai di scatto dal pavimento e misi in cartella tutti i quaderni che avevo cacciato fuori per studiare. 
 
Odiavo seriamente litigare con lui, ma la cosa che mi infastidiva ancora di più, era il fatto che l'ultima parola riusciva ad averla sempre lui. 
 
"Non puoi andare a casa da sola, è buio." spostò finalmente il suo sguardo su di me, mi girai per guardarlo e fissai attentamente i suoi occhi. Mi venne quasi da perdonarlo, quasi da chiedere io stessa scusa.
 
"E invece guarda come ci sto andando." mi rigirai velocemente ed uscii velocemente da quella casa. 
 
Iniziai a piangere, sentivo le lacrime bagnarmi tutto il volto e arrivarmi alla maglia. 
 
Me le asciugai velocemente e iniziai a camminare, senza guardami indietro.
 
Non si preoccupò neanche di richiamare, per chiedere se fossi arrivata sana e salva a casa.
 
Non gli importava di me.
 
 
Capitolo Tre. 
 
 
"Ti sei calmata adesso?" quel giorno indossava una camicia elegante e stava molto attento a non sporcarsi. Non si era seduto vicino la finestra, come suo solito, ma si era appoggiato al divano con molta attenzione.
 
Non aveva neanche cacciato la solita sigaretta, anzi sembrava non averle proprio con sé.
 
Volevo sapere il perché di quel cambiamento improvviso, ma sapevo che seppure avessi chiesto, non avrei ricevuto una risposta vera o non avrei proprio ricevuto nessuna risposta.
 
"Si." non avrei mai ammesso di aver esagerata la volta prima, la cosa che mi dava più fastidio era perché conoscevo il motivo di quei miei scatti improvvisi. A volte, mi dimenticavo di avere solo diciassette anni, quando ero al suo fianco. Cercavo sempre di mostrarmi più matura e così dimenticavo qual era la vera me. Ma quando quest'ultima usciva fuori, senza che io davvero volessi, incasinavo le cose.
 
"Hai capito di cosa dovrà parlare il tuo libro?" poggiò le mani sul divano, sembrava non trovarsi al suo agio con l'ambiente circostante e ciò mi faceva capire che c'era qualcosa che non andava. Aveva visto parecchie volte il divano di casa mia, quindi non mi spiegavo come potesse trovarsi a disagio.
 
"Si." risposi, l'avevo capito da un pezzo di cosa il mio libro dovesse parlare, il problema era sempre
 
stato come iniziarlo.
 
"E di cosa?" mi chiese, per la prima volta quel giorno, mi rivolse lo sguardo, uno sguardo curioso,
 
di chi vuole sapere veramente e lì mi trattenni, dovevo tenerlo sulle spine come lui teneva me? Non penso che ci sarei mai riuscita, in realtà. Avere il suo sguardo curioso addosso, mi faceva sentire bene. Il fatto che non mi guardasse come al solito, che non mi stesse ridicolizzando ai suoi occhi, mi fece sentire una certa soddisfazione ed il fatto che per la prima volta lui fosse curioso di qualcosa che sapevo solo io, mi nutriva un senso di appagamento.
 
"Di te." i suoi occhi sembrarono spalancarsi alle mie parole e quasi sembrò diventare più nervoso. Pensavo che gli potesse fare solo piacere il fatto che qualcuno volesse scrivere di lui, ma non sembrò essere così.
 
"Un libro che parla di me." la sua espressione cambiò in un sorriso sarcastico, quasi si dimenticò della cortezza che stava tenendo fino a pochi attimi prima e si appoggiò con la schiena al divano, appoggiandosi con le mani sulle ginocchia e poi rise di me.
 
"Perché mai dovresti scrivere un libro su di me?" domandò dopo un po'. Non avevo voglia di rispondergli, ma solo di andarmene, se non fosse che già stavo a casa mia. Quel suo modo di fare mi dava suoi nervi. 
 
"Perché ho deciso così, se non ti sta bene, non ti sto mica chiedendo il permesso. Ho deciso di farlo e quindi lo farò." dissi acida, lui continuò a sorridermi e si alzò di schiena, appoggiò una delle sue mani, sul mio capo e inizio ad accarezzarlo dolcemente. Sentivo i battiti del mio cuore, andare troppo velocemente rispetto al normale. Il coraggio di guardarlo negli occhi e iniziai a vedere le mie ginocchia in modo più interessante. Non ricordavo di essermi messa in ginocchio, era stato uno scatto involontario dopo aver visto la sua mano avvicinarsi al mio volto.  
 
Da vicino, lui sembrava essere eterno. Tutto di lui, sembrava dire 'eterno'. Partendo dalla sua enorme bellezza, nelle persone normali, svanisce con il tempo, ma la sua sarebbe restata anche quando lui avrebbe avuto le rughe, qualche centimetro in meno di altezza, quando avrebbe iniziato a non curarsi più. 
 
Le sue labbra rosee urlavano eterno, sarebbero sempre state di quel colore così simile alle fragole, con la stessa morbidezza.
 
Ero sicura che, il suo sorriso, non sarebbe mai cambiato. Quelle poche volte che mi sorrideva come
 
piaceva a me, sbucava fuori un sorriso a trentadue denti, che mi faceva perdere alcuni battiti del cuore. 
 
Le sue fossette, desideravo metterci il dito dentro e spingerlo solo per sfizio per sapere quanto profonde erano.
 
I suoi occhi, quelli ero sicura che non sarebbero mai cambiati. Sarebbero stati sempre pieni di luce, pieni di vita. Mi davano sempre più voglia di respirare, di guardare il mondo con speranza. 
 
Lui era la mia speranza.
 
"Sei sempre così determinata." alzò gli occhi al cielo, allontanandosi di qualche centimetro.
 
"Tu mi tratti sempre come una bambina." sbuffai, mi allontanai del tutto e mi alzai dalle ginocchia, sedendomi sul divano, lontano da lui.
 
"Forse è perché quello che sei." sembrava fin troppo serio in quel momento, il disagio di prima era completamente eliminato, anche il sarcasmo, al suo posto c'era solo tanta serietà.
 
"Vorrei che tu mi guardassi con altri occhi." sputai fuori senza accorgermene, diventai rossa appena mi accorsi di ciò che avevo detto.
 
"Non è ciò che tu davvero vuoi, fidati di me." si alzò, prese la sua giacca rigorosamente nera e la indossò con un sorriso amaro sulle labbra.
 
"Ti mando un messaggio appena so che possiamo vederci, buonanotte piccola." e così sparì dietro la porta.
 
 
 
 
 
 
 
Avevo la testa da un'altra parte, completamente. A scuola, non ero riuscita a seguire nessuna lezione e neanche durante la ricreazione avevo partecipato alle conversazioni con le mie amiche. 
 
Non riuscivo a smettere di pensare al discorso affrontato il giorno prima, con lui.
 
Cosa intendeva con "'Non è ciò che davvero vuoi"? Cosa ne poteva mai sapere lui di ciò che veramente volevo io? 
 
Io, senza ombra di dubbio, volevo lui, volevo passare ogni piccolo secondo con lui, volevo stringerlo a me e guardare un film insieme, volevo tenerlo per mano e condividere un gelato, andare a cena fuori e dividerci una pizza. Volevo averlo solo per me. Lui doveva essere unicamente mio.
 
"Pronto? Terra chiama..." ritornai nel mondo reale al richiamo di mio fratello e gli lanciai un'occhiataccia.
 
"A cosa stavi pensando?" mi chiese. Mio fratello aveva molti anni in più a me, era un suo coetaneo. La prima volta, infatti, che lo vidi, fu grazie a mio fratello che lo portò a casa per un progetto, qualche anno prima. Erano amici e, qualche volta, uscivano insieme per andare a bere qualcosa.
 
"Ed ecco che si è ripersa." notò divertito, mia madre lo spinse, giocando.
 
"Lasciala stare, finalmente qualche bel ragazzo starà nei suoi pensieri." ridacchiò e mio padre la raggiunse da dietro, abbracciandola. 
 
"È un tuo coetaneo oppure è più piccolo?" e se fosse più grande?
 
"Studierà medicina? Legge?" e si stesse per laureare in musica e letteratura?
 
"Vuole fare il medico? L'avvocato? O perché no, il giudice?" e se volesse fare il cantante?
 
Risposi alle domande di mio padre con un leggero lamento e finsi di star pensando ai risultati del compito di spagnolo, sotto lo sguardo amareggiato di mia madre e quello felice di mio fratello.
 
Dopodiché ci sedemmo a tavola e dopo aver iniziato a mangiare, mio fratello parlò.
 
"Stasera esco, vado con dei miei amici fuori." i miei annuirono, erano molto fieri di mio fratello e si fidavano molto di lui. Era il mio completo opposto. Aveva sempre avuto voti alti e tanti amici con cui parlare.
 
Volevo chiedergli se ci fosse stato anche lui all'uscita, ma mia mamma mi precedette.
 
"Non penso, a quanto pare ieri sera è uscito con una ragazza con cui si sentiva da settimane,
 
ha saltato anche qualche esame per vederla, quindi non lo so." rispose e la forchetta, senza che neanche lo volessi, cadde a terra, facendo un rumore fastidioso. Lo stesso rumore, è quello che fece il mio cuore, mentre si divideva in tanti piccoli pezzi, facendomi sentire un dolore atroce. 
 
 
Capitolo Quattro. 
 
 
Il cielo, quel giorno, era il completo opposto del mio umore. Il sole brillava in alto e non c'era nessuna nuvola che copriva l'azzurro. Sul volto delle persone c'era quel sorriso allegro che solo il sole caldo di quella  giornata poteva dare, mi sentivo infastidita anche solo nel vederlo di sfuggita. Perché tutti sorridevano e nessuno notava il mio dolore? Perché nessuno vedeva il sorriso mancante sul mio volto? Perché nessuno mi guardava negli occhi e mi diceva 'ti innamorerai di qualcuno di migliore'? Perché nessuno mi abbracciava? 
 
"Sembri devastata." quel giorno, avevo indeciso di incontrare la mia amica. Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, avevo bisogno di sfogarmi, ma anche il solo sentire qualcuno rivolgermi la parola, avvertivo gli occhi diventare lucidi e iniziavo a vedere sfocato. Sapendo di potermi fidare, lasciai scendere dai miei occhi ogni piccola lacrima che mi ero tenuta dentro negli ultimi giorni. 
 
Il mio cuore aveva subito la sua prima ferita e faceva così male che mi sentivo di soffocare, mi sembrava difficile respirare, guardare in faccia qualcuno.
 
Perché tutto faceva così tremendamente male?
 
Lei, sembrò capire, mise  le sue mani sulle mie spalle e mi tirò verso il suo corpo, abbracciandomi così forte che sembrò volermi spezzare le ossa. In quei pochi secondi, quella specie di dolore, non mi fece sentire il lamento del mio cuore spezzato, che urlava da giorni.
 
Il calore del suo abbraccio, mi fece sentire così bene e piangere fra le sue braccia, senza dovermi nascondere, mi fece sentire protetta e amata. 
 
Avrei preferito restare in quel abbraccio per il resto della mia vita, invece di dover affrontare il mondo e,  peggio ancora, il mio cuore spezzato. 
 
"Andrà tutto bene." quelle parole, mi fecero sorridere. Lei era la mia amica, lei era il mio punto di riferimento. 
 
Alzai leggermente la testa da sopra la sua spalla e le sorrisi, non sapendo com'altro ringraziarla. Aveva fatto più lei, in pochi minuti, che altre persone con molti giorni a disposizione. Sapevo che dirle grazie era il minimo, non era abbastanza. Sapevo che avrei dovuto dirle più di un grazie, ma in quel momento era la cosa giusta. 
 
"Grazie." le sussurrai, come se non volessi che altre persone mi sentissero, nonostante fossimo solo io e lei, in quella stanza.
 
"Per cosa mi ringrazi?" ci scherzò su, io appoggiai la testa sulla sua spalla e lei iniziò ad accarezzarmi con i capelli.
 
"Sai, non so perché io stia reagendo in questo modo." iniziai. Avrei dovuto chiederle almeno come stava, non ci vedevamo da giorni, ma senza neanche volerlo, fui egoista.
 
"Io lo sapevo che per lui non contavo niente, ma il mio cuore non sembra reggerlo questo dolore. Mi sento come se non sapessi più cosa fare. Vorrei andare da lui, urlargli contro e... e sono stupida perché non ci riuscirei mai. A lui basta guardarmi per rendermi docile. Ma quel bastardo mi illude senza volerlo e io, io ci casco e basta." dissi, mi staccai dal suo abbraccio e mi sedetti più comodamente sul letto, appoggiai la schiena contro il muro e lei si mise difronte a me.
 
"Ti direi 'te l'avevo detto', ma, in questo momento, vederti così fa stare male pure me." sospirò, sembrava combattuta, forse non voleva dirmi cosa davvero pensava, forse voleva dirmelo, ma usando le parole giuste o forse non sapeva neanche lei cosa dirmi. 
 
"Questa è la prima volta che il tuo cuore si ferisce per amore, per questo senti dolore. Ma ti dirò, non sarà
 
l'ultima volta. Ci saranno persone che, nella tua vita, entreranno e ci usciranno con dei coltelli in mano. Alcuni sapranno gestire il peso e cercheranno di metterlo da parte, altri invece ti pugnaleranno per toglierselo.
 
La cosa più brutta è che la maggior parte sceglie sempre la seconda opzione. Tu, però, devi fare la tua parte. Non lasciare che queste persone vadano in profondità, ma prendi tu il manico del coltello e tiralo fuori, mentre li guardi negli occhi. Bisogna essere forti e tu sei forte." la guardai, era sempre così matura rispetto alle persone della nostra età. Sembrava essere una donna adulta. 
 
"Preparati per il mondo lì fuori. Questa sarà solo la prima di una serie di ferite, sempre più profonde." continuò. Ma mentre lei parlava, io pensavo solo ad un modo per vendicarmi. Come poteva, un uomo come lui, illudermi e poi uscire e amare un'altra? Come poteva spezzarmi il cuore?
 
Un moto di rabbia mi percosse lungo il corpo. Quella sera, prima che uscisse, gli avevo detto che il libro avrebbe parlato di lui. Come poteva uscire con un'altra, quando avevo affermato che gli avrei dedicato un libro? 
 
 
 
Mi mandò un messaggio, la settimana successiva, scrisse: 'Ti sto aspettando, vieni fuori'.
 
Io che, qualche giorno prima, avevo deciso di ignorarlo, non rispondendo a tutti i suoi messaggi, mi scordai completamente e indossai di fretta il mio cappotto, scendendo velocemente le scale del palazzo.
 
La sua testa era appoggiata contro il muro, le sue gambe dondolavano sul posto, mentre una mano era nella sua tasca, l'altra manteneva la sigaretta vicino la bocca. Era così dannatamente bello che mi soffermai più del dovuto. La camicia, chiusa solo alla fine con un paio di bottoni, si muoveva a causa del vento, scoprendo la sua pelle chiara, senza nessuna imperfezione, coperta da qualche tatuaggio. Mi venne voglia di baciare ogni sua piccola parte, di mordere ogni piccolo centimetro, riempiendolo di piccole macchie. Mi venne voglia di renderlo mio. Era così bello che, paragonarlo ad un angelo, non era abbastanza. Così bello che mi sembrava essere una creatura ultraterrena. 
 
"Avresti dovuto risponderei ai miei messaggi piccola." tutta la rabbia e irritazione sembrarono come sparire nel nulla. Avrei dovuto rispondergli in quei giorni e sfogare tutta la mia rabbia per telefono, mi sentivo infastidita da me stessa. Come potevo farmi passare tutto appena mi rivolgeva la parola? 
 
Decisi almeno di portargli rancore.
 
"Avevi di meglio da fare." risposi spostando lo sguardo su un albero lontano. Avevo deciso di tenergli il punto e di non cadere per nessuna ragione al mondo. Ero forte e potevo farcela. Questa volta avrei vinto io.
 
"Mi sei mancata." il mio cuore perse dei battiti, giocava sporco il bastardo. Ma io ero decisa, non sarei stata abbindolata.
 
"Ma io sono sicura che c'era qualcun altro a scaldare il mio posto." i suoi occhi si spostarono su di me, ma io li tenni puntati sull'albero. Se li avessi guardati, sarebbe stata la fine. 
 
Sentii i suoi passi avvicinarsi sempre di più alla mia figura e le mie gambe diventarono troppo pesanti per poterle spostare. Era da troppo tempo che non sentivo il suo corpo sfiorare, anche se leggermente, il mio.
 
"Guardami." decise di sussurrarmi nell'orecchio. Un brivido mi oltrepassò il corpo, iniziai a sentire le mie guance arrossarsi sempre di più. Mi sentivo andare a fuoco. 
 
"Non mi va." parlai a bassa voce, anche quest'ultima sembrò perdere la propria forza. 
 
"Guardarmi." nella mia vita, ero sicura di aver fatto tutte cose giuste, non capivo perché proprio in quel momento, qualcuno lassù, aveva deciso di torturarmi così, ma io stavo letteralmente morendo. Stavo usando tutte le mie forze per non girarmi, ma, alla fine, decisi di arrendermi. Decisi di aver sopportato abbastanza.
 
Lo guardai e lui sorrise. Sorrise per davvero. Se quello era il paradiso, allora la morte non mi avrebbe più fatto paura. 
 
"Mi sei mancata per davvero." inghiottii un cumulo di saliva che mi si era bloccato dopo averlo visto sorridere ed ebbi un colpo al cuore quando ridisse queste parole.
 
"Anche tu." risposi, sentendo il mio cuore più leggero. Lui sorrise per l'ennesima volta, poi lo vidi avvicinarsi e farsi sempre più vicino a me. Vissi la scena a rallentatore, tutto mi sembrò andare fin troppo piano. 
 
Lui che si avvicinava sempre di più al mio viso, io che osservavo i suoi enormi occhi verdi farsi sempre più vicini ai miei, i suoi lunghi ricci che mi sfioravano la pelle, solleticandomela e le sue labbra diminuivano sempre di più la distanza. Ed eccolo che venne. Sentii le sue labbra poggiarsi delicatamente, quasi come se avesse avuto paura di rompermi. Il mio cuore iniziò a soffrire fortemente di tachicardia mentre quasi svenni nel sentire tanta morbidezza.  Le sue labbra toccarono la mia guancia ed io, anche se delusa da quella decisione, sentii la felicità invadermi il corpo.
 
Se arrendermi con lui, faceva di me una perdente, allora lo sarei stata senza lamentarmi. Se arrendermi con lui, voleva dire sentirmi in quel modo, allora mi sarei arresa senza più cercare di essere forte. Se arrendermi con lui, avesse curato tutte le ferite, come in quel momento, allora decisi di farlo fra le sue braccia e di non lasciarlo andare più. 
 
In quel momento, capii che lui avrebbe avuto il mio cuore per l'eternità, anche se un giorno avesse deciso di non farsene più niente e di buttarlo, io sarei stata ferma e zitta. Perché quel cuore ormai non apparteneva più a me ed io non potevo farci più niente.  
 
 
 
 
Capitolo Cinque. 
 
 
 
 
Era lì, nei suoi skinny neri e nella sua camicia sbottonata fino al terzultimo bottone. Era lì, sul quel davanzale guardando fuori dalla finestra come se il mondo gli appartenesse. Non sapevo esattamente cosa accadesse nei suoi pensieri, ma a volte adoravo immaginarmelo. Immaginai che si vedesse come una di quelle persone con la corona sulla testa, una corona che nessuno avrebbe potuto togliergli. Immaginai che si vedesse come un vero re e che formulasse nella sua testa un'infinità di motivi per salvare il mondo. 
 
"Il mio primo singolo non deve essere una canzone d'amore." oppure pensava al suo futuro da cantante. Alzai gli occhi al cielo. Lui che scriveva canzoni d'amore? Probabilmente sarebbe restato solo nei miei sogni.
 
"La tua prima canzone dovrebbe essere dedicata a me e alla mia pazienza." ci scherzai su, anche se forse la prima parte non era detta proprio scherzando.
 
"Scrivere una canzone su di te vorrebbe dire solo una cosa: dire addio alla mia carriera." quasi mi offesi seriamente. Continuava a guardare fuori, la sigaretta si trovava sempre fra le sue dita e io, ancora una volta, provai invidia. Distolsi lo sguardo per guardare i compiti che ancora non avevo iniziato. Era così faticoso pensare di dovermi concentrare per davvero, ma di certo non potevo permettermi un altro brutto voto.
 
"Di pazienza tu non ne hai proprio, ma una canzone su di te la scriverei." disse poi, mi girai subito di scatto con il collo, facendomi quasi male.
 
"Oddio sul serio?" esclamai come un'adolescente euforica. Possibile che per quanto io cercassi di sembrare adulta, poi mi fregavo con le mie stesse parole? 
 
Lui ridacchiò.
 
"Sai, avrei dovuto registrarti. L'avrei fatto se avessi saputo che avresti reagito cosi." cosa intendeva? Lo guardai confusa.
 
"Io l'ho capito che tu cerchi di mostrare più di quello che sei." si girò e spinse la sigaretta giù dalla finestra senza spegnerla.
 
"Avresti dovuto spegnerla prima, come spieghi se prende fuoco qualcosa?" ridacchiò di nuovo. Avrei voluto stringerle fra le mie mani quelle fossette e giocarci. Era così bello da farmi sentire male.
 
"E c'era questa ragazzina e c'era, c'era questa ragazzina che si prese un pezzo del mio cuore, non mi chiese neanche il permesso. C'era e c'era questa ragazzina che si alternava tra l'essere una bambina e una donna. E c'era, e c'era questa ragazzina che..." lo interruppi. 
 
"Cosa mi sono presa io?" iniziai a sentire le guance prendere fuoco. Perché quel giorno stava facendo uscire fuori tutto quello? E tutto insieme? Ci conoscevamo da anni e non aveva mai detto più di due parole, perché proprio in quel momento se ne usciva con quelle frasi?
 
"Chi ti dice che sto parlando di te?" mi prese in giro e quasi io affondai nel mio imbarazzo. Forse non era troppo tardi per scavarmi una tomba. 
 
"L'hai cantata guardandomi. Cosa avrei dovuto pensare?" ribattei. Non rispose, ma mentre andava a prendere il suo cappotto, aveva un sorrisetto quasi nascosto. Quel sorriso che tanto mi infastidiva.
 
"Dove vai? Avevi detto che saresti stato con me oggi." Non rispose, si mise il cappotto nero e qualcosa suonò nella sua tasca. Cacciò il telefono velocemente, come se non volesse far aspettare neanche un secondo alla persona dall'altro lato.
 
Guardò il nome sul display e i suoi occhi parvero brillare. 
 
La sensazione amara del giorno precedente mi arrivò tutta d'un tratto facendomi dolere il petto. Mi girai dall'altro lato, feci un profondo sospiro. Faceva così male, perché faceva così male? 
 
Come può un essere umano sopportare un dolore del genere? 
 
Feci un altro sospiro.
 
"Si hai fatto bene a metterti il cappotto, devi proprio andare. Anche io ho da fare." annunciai. Lui alzò la testa di scatto dal telefono e i suoi occhi persero il luccichio di pochi attimi prima.
 
Mi guardò quasi con tristezza. Non avevo bisogno della sua compassione.
 
"Vai vai, che devo uscire." 
 
Non mi sarei mostrata debole. Non questa volta. 
 
Se lui non sapeva i miei veri sentimenti in una determinata situazione, non avrebbe potuto fare nulla per farmeli passare.
 
"Sei sicura?" no, ma tanto ci andrai lo stesso.
 
"Si." resta qui con me.
 
"Vorrei restare ma... è urgente." perché mi menti? 
 
"Sul serio devi andartene, ho ricordato di avere un impegno." 
 
 
 
 
 
 
 
"Mamma, cosa mangiamo a cena?" chiesi appena entrata in cucina, lei mi guardò e parvero esserci delle lacrime nei suoi occhi. Ma come sempre mi sorrise. 
 
"Salsicce? Le vuoi con le patatine?" annuii, continuai a guardarla. La mia mamma era una di quelle donne vestite sempre eleganti, mai struccate e sempre piene di profumo. A volte, mentre camminava tra una stanza e l'altra, il suo profumo di rose arrivava anche con la porta socchiusa.
 
Camminava su quei tacchi altissimi come se fosse a piedi scalzi, ci ballava pure. Una volta avevo provato ad usarli, ma i miei piedi ne avevano risentito dopo neanche qualche secondo e i lividi dovuti alla caduta presa a causa di una scivolata, non erano passati per una settimana.
 
Iniziò a tagliare le patate, ma era come se non ci fosse e quasi si tagliò un dito. Mi avvicinai a lei, fermandola.
 
"Mamma, è successo qualcosa?" lei continuò a tenere lo sguardo sulle patate e scosse la testa, quasi come avesse paura di usare la voce. 
 
"Mamma, dai tuoi occhi stanno uscendo delle lacrime, lo sai?" lei non perse tempo e subito le asciugò. 
 
"Beh, non sapevo che le patate fossero le nuove cipolle. Dovrò informarmi." scherzai e lei sorrise. Era bella la mia mamma quando sorrideva, pure dopo aver pianto. Lei era bella sempre. Non ero quel tipo di figlia che faceva sempre i complimenti alla propria mamma. Ma ogni volta che la guardavo, vedevo una donna forte che faceva del suo meglio in ogni occasione e non perdeva mai il suo accessorio migliore: il sorriso. 
 
"Su ma', non fare così. Dimmi cos'è successo." incominciai ad accarezzarle il braccio. La sua pelle era così morbida, mi ricordava una me molto più piccola, quasi neonata, che si appoggiava con la testa sul suo petto e iniziava a toccare ogni parte del suo corpo, amando il calore e la morbidezza della propria mamma. È sempre stata speciale. 
 
"Tranquilla, è solo una mia preoccupazione. Passerà presto. Hai finito di studiare?" io volevo tanto bene alla mia mamma e il mio bene poteva coprire le piccole bugie, vero? 
 
"Certo, cosa avrei fatto nel frattempo altrimenti." Oltre a parlare con lui, stare male perché ama un'altra, guardare una serie tv per non pensarci, mettermi nel letto e pensare a quanto io sia ridicola e poi piangere perché mi manca dopo neanche un'ora. 
 
"Allora perché ti ho sentita urlare e chiedere la salvezza a Dio per tutta la giornata?" ridacchiò, iniziai ad arrossire. Io manco ci credevo in Dio, in tutta onestà, ma a volte quando si è disperati, si fanno cose inimmaginabili. 
 
"Stavo ripetendo religione. Stavo leggendo i passi ad alta voce. Volevo immergermi completamente." lei scoppiò a ridere e io le sorrisi. Si, era proprio bella la mia mamma quando rideva. 
 
"Vai a preparare la tavola solo per me, te e papà. Tuo fratello stasera è uscito." disse poi, iniziando a tagliere di nuovo le patate. 
 
 
 
Verso mezzanotte mandai un messaggio alla mia amica, le chiesi se il giorno seguente volesse uscire con me, lei mi risposte che doveva uscire con un ragazzo. Esaltata, le chiesi chi fosse, ma lei visualizzò senza rispondere. Pensai che si fosse addormentata, così misi Netflix e iniziai la seconda serie tv della giornata.
 
 
Capitolo Sei. 
 
 
Ripassai più volte il testo di spagnolo cercando di farlo entrare nel mio cervello il più presto possibile, ma appena mi arrivò una notifica sul telefono, persi la concentrazione.
 
Scorrevo le news sui miei cantanti preferiti, a breve avrebbero fatto uscire una canzone e questo mi rallegrò la giornata.
 
Prima che potessi accorgermene, passarono due ore. Quando mi accorsi che erano le dieci passate, decisi di posare i libri e mettermi nel letto, era troppo tardi oramai per studiare.
 
Feci per riavviare il video su YouTube, ma arrivò un messaggio da WhatsApp.
 
"Devo parlarti." scrisse. Aspettai che continuasse il messaggio, ma invece finì lì.
 
Che cosa voleva dire 'devo parlarti'? Avevo fatto qualche guaio? Aveva scoperto qualcosa di orribile che avevo fatto? Ma non ricordavo nulla di tutto ciò. Voleva forse mettere fine al nostro rapporto? Aveva trovato un'altra migliore di me? Forse doveva partire, andare lontano e doveva parlarmi di questo. O forse era un alieno che si era impossessato della sua casa, si era nascosto nel bagno con il telefono per chiedere aiuto. Forse aveva sbagliato chat. Oppure la chat era quella giusta, ma mentre continuava una macchina gli era finita contro facendolo morire? Cosa voleva dire esattamente? 
 
L'ansia iniziò a salire sempre di più, mi sedetti sul letto e aspettai con il telefono in mano un continuo, ma non arrivò.
 
Restai a fissare il telefono tutta la notte, cercai su Google, chiesi in incognito, nessuna delle risposte mi soddisfò. Che voleva dire con 'devo parlarti'? 
 
La notte passò così e il mio cervello continuava a formulare ipotesi reali e irreali. 
 
Quando arrivò finalmente in momento in cui lui si trovò dinanzi a me, io chiesi senza esitare.
 
"Cosa volevi dirmi?" ansia, l'unica cosa che riuscivo a percepire era l'ansia.
 
Lui sembrava teso, mi guardò. Non ero del tutto presentabile quel giorno, non avendo dormito, la forza per sembrare viva e non morta, non mi era passata per il cervello.
 
Continuò a guardarmi, dal suo sguardo potevo percepire che l'argomento fosse serio e si sentiva preoccupato.
 
"Perché sembri così teso? Dimmi pure con calma." In realtà, doveva scordasela quella calma del cavolo, i miei neuroni stavano preparando le valigie e avevo più ansia che sangue nel mio corpo. Perché diamine non parlava?
 
Aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo. Notai come nervosamente si leccò il labbro inferiore più volte rendendo le sue labbra ancora più rosee e lucide. Mi fece venire voglia di baciarle. Cercai di alzare lo sguardo verso i suoi occhi, i quali seguivano i miei. Lui sapeva, di questo me ne ero resa conto. Mi schiarii la gola con un finto colpo di tosse.
 
"Allora? Vuoi parlare?" ero impaziente.
 
"Il fatto è che... Me ne sono dimenticato." 
 
"Di cosa?" 
 
"Di quello che dovevo dirti." 
 
Di scatto, mi alzai dalla sedia producendo un rumore stridulo.
 
"Io... Io veramente, non ho parole. Mi fai stare in ansia, mi dici che devi parlarmi, ma non di cosa. Mi fai aspettare un giorno intero e... Ti sei dimenticato?" gesticolai dei gesti a caso mentre mi sentivo impazzire.
 
"Non era una cosa importante." si giustificò 
 
"Allora perché mi hai fatto aspettare per dirla?" Non mi rispose. 
 
Appoggiai le mani sul tavolo e presi dei respiri profondi. L'osservai attentamente. 
 
Era lì seduto, mi guardava dal basso, sembrava così perso. Mi immersi nei suoi occhi verdi, si mostrarono a me senza nessuna barriera.
 
Non aveva bisogno di parlare, riuscivo a capirlo anche così. Non era vero, lui ricordava il motivo per il quale voleva parlarmi, semplicemente non aveva il coraggio per farlo.
 
Ed io decisi di non insistere. Erano stati giorni pieni di ansia e di colpi al cuore, non volevo subirne altri. 
 
Lui spostò i suoi occhi da me, guardò altrove e io mi calmai ritornando seduta.
 
"Va bene, non dirmelo. Quando ti sentirai pronto, me ne parlerai." 
 
Avevo capito una cosa da quando ci conoscevamo, in realtà tante, una di questa era che dovevo lasciargli i suoi spazi.
 
Lui sembrò sorpreso e scosse la testa in un leggero movimento. Sorrise. Mi sentii confusa.
 
"Perché sorridi ora?"
 
"Niente." 
 
Ed io sbuffai. Lui sorrise ancora.
 
"Oh puoi smetterla adesso?" 
 
Continuava a sorridere e io mi sentivo rincoglionire. Quell'uomo per me era la persona più preziosa del mondo. Il mio cuore sembrò dimenticare i colpi presi nei giorni precedenti, iniziai a sorridere anche io. Era proprio un angelo.
 
"Che hai fatto in questi giorni?" 
 
"Ho deciso di voler andare in galera." scherzai
 
"Oh, perché mai dovresti?" stette al gioco, optai per farlo sentire come lui faceva sentire me.
 
"Perché ti ruberò il cuore." lui rimase con uno sguardo serio per un attimo mentre io risi. 
 
Vidi la sua faccia spaesata, sembrava me in qualsiasi situazione con lui.
 
Poi sorrise di nuovo.
 
"Mi spieghi perché sorridi? Sembri un coglione." 
 
Non era per niente vero, sentivo il mio cuore sposarsi pezzo dopo pezzo verso di lui.
 
"Niente." 
 
"Hai deciso che niente sarà la tua parola per i prossimi cinque anni?" 
 
"No, ma oggi sei dannatamente bella e non mi viene da dire nulla." 
 
Sentii il mio cuore esplodere definitivamente e la mia faccia prese fuoco. 
 
"Tu... Tu non puoi dire certe cose improvvisamente! Pensi di essere divertente? Oh, mi manca l'aria, compratemi una bomboletta con l'ossigeno." fui così drammatica in quel momento, ma scoppiò a ridere. 
 
Se per farlo ridere in quel modo bastava il mio essere drammatica, allora lo sarei stata per il resto della mia vita. 
 
I suoi occhi si strinsero in una piega sottile e le sue fossette diventarono le protagoniste di quell'opera d'arte. I lunghi capelli ricci caddero all'indietro di riflesso, con la sua testa. 
 
Il paradiso mi stava garantendo l'entrata.
 
 
 
Optammo di guardare un film insieme, perdemmo del tempo solo nel decidere quale.
 
Si alzò per metterlo e decisi di prendere il telefono per scattargli una foto.
 
Le sue larghe spalle si prendevano tutta l'inquadratura e mi venne voglia di palpagli quel piccolo, ma sodo sedere nascosto dietro lo strato degli skinny. Avevo intenzione anche gli prendergli le gambe, erano troppo lunghe e anche la fotocamera del telefono mi chiese pietà.
 
Scattai la foto, feci per chiudere le applicazioni, però notai che la mia amica ancora mi doveva rispondere, nonostante fossero passati due giorni.
 
Sospirai e mi mordicchiai il labbro, cosa dovevo fare?
 
Intanto, il bellissimo ragazzo dagli occhi color giada si sedette vicino a me. Aveva intenzione di farmi morire quel giorno.
 
"A cosa stai pensando?" mi domandò
 
"Ad una mia amica, non mi risponde da giorni e spero che le vada tutto bene." il ragazzo al mio fianco si irrigidì e quasi mi chiesi se lui sapesse qualcosa, il che era alquanto ridicolo, così cacciai l'idea dalla testa.
 
"Starà affrontando un periodo dove ha bisogno di stare da sola. Tra poco tornerà lei da te, tranquilla."
 
 
 
Il film era davvero interessante, ma il ragazzo al mio fianco di più. 
 
Guardava lo schermo con attenzione e con interesse, passava la sua mano destra nei capelli scuotendoli più volte ogni manciata di minuti, si mordeva il labbro quando cercava di capire e socchiudeva gli occhi quando una scena riusciva a colpirlo più delle altre.
 
Io mi trovavo al suo fianco, avevo la testa completamente girata verso di lui senza riuscire a distogliere lo sguardo.
 
"Sei proprio bello." sussurrai senza volerlo, fortunatamente fece finta di non sentire, non essendo a conoscenza del fatto che sapessi già cosa quelle mani strette improvvisamente volevano dire. 
 
"Perché guardi me? Il film non ti piace?" continuò a tenere lo sguardo fisso sulla televisione.
 
Mi ritrovai a corto di parole, tuttavia volli essere sincera.
 
"Ti trovo più interessante del film." sembrò lasciarlo annichilito, finalmente girò i suoi bellissimi occhi verso di me.
 
"Come mai oggi sei così diretta?" pronunciò quelle parole con fastidio.
 
"In questi giorni ho riflettuto. Penso sia inutile nasconderlo. Ormai tu hai capito, quindi perché fare finta di niente?" 
 
Fece un grande sospiro, cacciando l'aria quasi come se gli stesse dando fastidio anche quella. 
 
"Credo che... Il nostro rapporto debba finire qui." 
 
Continuò a guardarmi, eppure era come se non lo stesse facendo davvero. Sembrava perso.
 
Cosa si aspettava da me? 
 
Quale reazione? 
 
Chi dovevo essere in quel momento?
 
La ragazzina diciassettenne che reagisce irrazionalmente o la donna adulta che fingevo di essere?
 
L'osservai. Non eravamo mai arrivati a quel punto. 
 
"Sai, ci sono due personalità dentro di me che stanno combattendo l'una con l'altra per decidere chi delle due debba sovrastare." iniziai, la sua attenzione era su di me, fissa, come se stesse aspettando una sfuriata da parte mia.
 
"Ma non lascerò parlare nessuna delle due, perché penso che tu abbia ragione." 
 
In quel deciso momento, sentii la forza mancarmi e il cuore arrivarmi in gola. Quando ero cambiata così tanto? 
 
Cosa mi stava succedendo? 
 
Socchiusi gli occhi e strinsi i pugni.
 
"Cosa?" sussurrò lui, era completamente incredulo. 
 
"Ami così tanto avere attenzioni da me, l'avevo capito sai. Sei così egocentrico e io ti appago grazie al mio modo di fare. Ma anche dei quadri più belli del mondo, una persona come me, si potrebbestancare." 
 
I suoi occhi strabuzzarono, quelle pietre verdi erano qualcosa di fin troppo per quello che mi stavo auto infliggendo in quel momento. 
 
Stavo cercando di essere forte, ma tutto di me urlava di buttarmi ai suoi piedi e di chiedergli di rimanere con tutta me stessa.
 
"Perché improvvisamente reagisci così?" 
 
"Perché improvvisamente vuoi interrompere il nostro rapporto?" 
 
"Puoi non rispondere ad una domanda con un'altra?" 
 
"Puoi, per una dannata volta, guardarmi per quello che sono?" 
 
"Smettila cazzo." 
 
"Smettila tu di essere così dannatamente idiota." 
 
"Idiota? Perché non comprendi? La vita non è quella che tu sogni nella tua testa!"
 
"Sei il primo a dirmi che dovrei fare le cose che fanno le ragazze alla mia età. Beh, loro sognano! Perché io non posso?" 
 
"Perché tu sogni, ti illudi di cose completamente irrealizzabili!" 
 
"Beh si chiama 'sogno' per un motivo. Cosa dovrei fare allora?" 
 
"Smettila di guardarmi come se fossi la cosa più bella del mondo e..." 
 
Mi alzai sulle ginocchia, raggiungendo la sua altezza ben nota, nonostante stesse solo seduto, gli presi il viso fra le mani e lo guardai diritto negli occhi.
 
"Tu sei la cosa più bella del mondo." 
 
Quella frase mi uscii dal cuore, il mio respiro si mozzò e glielo sussurrai come se avessi appena finito di fare una maratona. Desiderai rinfacciarglielo, lui doveva saperlo.
 
Avrei voluto così tanto che si guardasse attraverso i miei occhi.
 
In risposta, lui mise la mano sul mio fianco e quando pensai che stesse per spingermi via, in realtà, posò le sue labbra sulle mie.
 
Chiusi gli occhi e mi godetti quel leggero contatto anche se durò pochi secondi.
 
La mia testa e il mio cuore si sentivano più leggeri. Tutti i pensieri, le ansie, i colpi che avevo subito sembrarono trasformarsi nei ricordi più belli. Quei momenti avevano fatto si che ci fosse la cosa che desideravo di più al mondo. 
 
La mia mente viaggiò e invidiai, ancora una volta, le sigarette che portava sempre con sé, avevano la fortuna di poggiarsi su quelle labbra e provare quella sensazione tutte le volte che volevano. Dovevano sentirsi dannatamente fortunate. 
 
Delicatamente, mi respinse all'indietro, con la paura di farmi del male. Ma fu quello che disse dopo a farlo.
 
Poggiò una mano sul mio viso e mi accarezzò dolcemente. 
 
"Non pensare più a me. Sono serio, ti prego. Tra noi due non potrà mai esserci nulla." 
 
Ed eccola
 
Eccola lì, la sensazione di cui tutti parlavano nei libri.
 
Il mondo mi scivolò dalle braccia, rompendosi definitivamente in mille pezzi.
 
In quel bacio, io avevo raggiunto il punto di non ritorno, bramavo quelle labbra ancora una volta. Le volevo mie per sempre, volevo assaporarne ogni centimetro e farle diventare sempre più rosse. Desideravo poterle assaggiare ogni qualvolta ne sentivo il bisogno. Al contrario, lui aveva solo trovato il modo di chiudere il nostro rapporto nel peggiore dei modi.
 
Era stato solo per 'accontentarmi'. 
 
Non aveva provato nulla. 
 
 
 
 
Capitolo Sette. 
 
 
 
 
"I'm a bitch, I'm a boss. I'm a bitch and a boss and I shine like gloss." buttai la testa all'indietro cantando a squarciagola.
 
Presi il telecomando e continuai a cantare
 
"Said bitch, I'm the after, you been the before." Iniziai a movere il bacino, con la testa buttavo i capelli avanti e indietro sentendomi una rockstar, il cuscino era la mia chitarra.
 
"I been the stallion, you been the seahorse.
 
Salii sul divano, con tutta la forza nelle gambe iniziai a saltare come una forsennata. 
 
Mi sentivo dannatamente bene.
 
"Don't need a report, don't need a press run.
 
strillai indicando la televisione, come se fosse colpevole di tutti i miei problemi.
 
"Cosa... cosa sta succedendo qui?" 
 
Alla voce improvvisa di mio fratello alle mie spalle, urlai spaventata cadendo giù dal divano.
 
Mi era preso un colpo assurdo.
 
"Cavolo! Ma ti sembra normale spuntare in questo modo?" 
 
Alzai lo sguardo infuriata, ma ritornai subito seria appena mi accorsi che con lui c'era l'innominabile.
 
Non dovevo, ovviamente non dovevo, eppure l'osservai. Era proprio bello, cazzo. Quel sabato, indossava una camicia di raso sbottonata fino al terzultimo bottone, nera e aveva tirato i capelli in un codino elegante. Una visione celestiale.
 
"Non è colpa mia, ho dimenticato il telefono. Ma se avessi saputo che mi sarei ritrovato una scimmia al posto di mia sorella, avrei lasciato perdere." 
 
Lo guardai sconvolta, come poteva prendersi gioco di me davanti quel belliss- tizio.
 
"Beh, allora muoviti. Dovevo ancora arrivare al mio pezzo forte. Quindi vai via velocemente." mi sistemai i capelli con una mano e mi ricordai che poco prima mi ero sporcata con la panna. 
 
Nascosi la mano dietro la schiena e indietreggiai.
 
"Come mai non vi salutate voi due?" 
 
"Ci siamo visti oggi." rispose lui 
 
"Mamma dice di non parlare con gli sconosciuti." risposi contemporaneamente.
 
Ci guardammo.
 
Tsk. Si era messo contro la diciassettenne sbagliata.
 
Dopodiché, non mi guardò più. Si rivolse a mio fratello con uno sguardo e i due sparirono dalla mia vista.
 
 
 
Iniziai a sentire le lacrime uscire fuori dai miei occhi, stavo bene, ma uscivano una volta ogni tanto senza il mio permesso e questa cosa mi faceva stare male. Come si permettevano delle stupide lacrime ad uscire così? A nessuno più interessava cosa pensava o provava un'altra persona. Non c'era più rispetto.
 
Ed essendo che le lacrime erano state così irrispettose, da ragazza pietosa e arrabbiata stabilii che le prossime canzoni sarebbero dovute essere tristi. 
 
 
 
 
 
Il giorno dopo, mia madre mi obbligò ad andare al supermercato per fare la spesa. 
 
Iniziai a spingere il carrello velocemente poiché ero annoiata, finché non mi scontrai con una ragazza di spalle.
 
Rimasi sorpresa.
 
"Cosa ci fai qui?" mi rivolsi alla ragazza dai lunghi capelli che non rispondeva al telefono da una settimana.
 
"Cosa- cosa? Secondo te, cosa posso mai fare qui?" scherzò, mi era mancata.
 
"Oh- oh certo. Ehm, hai da fare? Vuoi venire a pranzo da me?" 
 
Sembrò pensarci attentamente, era indecisa.
 
"Non ti fai sentire da tanto e... mi sei mancata." 
 
"Va bene." 
 
 
 
 
 
La mamma cucinava al piano inferiore, noi avevamo deciso di metterci sul letto. 
 
Mi appoggiai alla tastiera mettendo il cuscino tra le mie gambe, lei usò l'altro per metterci la testa e poggiò le gambe al muro.
 
"Perché non ti sei fatta sentire? Ho fatto qualcosa?" 
 
"No, penso. Ho solo avuto molto da fare." Io annuii.
 
"Tutto bene? Sembri... diversa." 
 
Lei decise di rivolgermi la sua completa attenzione guardandomi. 
 
"Perché sembra che tu debba dirmi qualcosa?" lei sorrise iniziando a mangiucchiarsi le unghia.
 
"Mi domando sempre come tu possa riuscire ad essere così diretta." mi rispose lei invece.
 
"In che senso?" ero confusa.
 
"Involontariamente, dici tutto ciò che pensi. È incredibile, sembri non avere nessun timore di come gli altri possano risponderti." 
 
La guardai stranita, quell'affermazione non era per nulla vera. 
 
"Ti ricordo che mi piace un ragazzo, quest'ultimo fino a qualche giorno fa non sapeva nulla. Non credo sia vero." 
 
"Io penso che lui già sapesse tutto da tempo, era solo bravo a far finta di niente. Sei una delle ragazze più vere che io abbia mai conosciuto." 
 
"Non dire così, l'ultima volta che mi hanno fatto un complimento, poche ore dopo sono stata rifiutata." lei rise.
 
Era confortante averla al mio fianco.
 
"Perché non mi hai più risposto?" 
 
"Ti ho detto-"
 
"Per favore, sì sincera anche tu." 
 
"Sto uscendo con una persona." 
 
"Lo so, parlamene. Non lasciarmi sulle spine." 
 
Iniziò a raccontarmi di come si erano conosciuti, di come si sentiva inizialmente, come era felice al suo fianco. Io l'ascoltai tutto il tempo, commentando ogni qualvolta avevo qualcosa da dire.
 
Mi raccontò che quando quella persona aveva ricambiato i suoi sentimenti, si era sentita così felice da non riuscire a smettere di sorridere.
 
Provavo un senso di serenità così profondo per lei in quel momento, si meritava di incontrare una persona del genere, una che le facesse brillare gli occhi. 
 
Continuammo a parlare per molto tempo, finché la mamma non ci intimò di scendere a mangiare.
 
 
 
Rimanere da sola, in quei giorni, mi faceva sentire come se non avessi più voglia di vivere, così le chiesi di rimanere con me e di passare qualche altro giorno insieme. Lei non esitò a dirmi di sì.
 
In quel momento, l'avevo accompagnata a casa per farle prendere alcuni ricambi soprattutto per l'intimo e optai per aspettare giù al palazzo.
 
Conoscevo bene quella strada, lui abitava lì.
 
Era piena di alberi, in quel momento le foglie stavano cadendo a causa del vento e dovevo aggiustarmi i capelli ogni secondo. 
 
"Cosa... cosa ci fai qui?" 
 
Non sentivo la sua voce per troppo tempo e l'effetto che ebbe su di me fu qualcosa che non dimenticherò mai. I lunghi brividi corsero come onde lungo la mia schiena e le mie gambe tremarono per brevi secondi.
 
Non ebbi il coraggio di guardarlo, così restai a fissare i miei piedi.
 
"Non mi rispondi?" 
 
Cosa pensava? Era vero, il pensiero di correre da lui c'era stato, ma avevo anche io una dignità.
 
"Puoi smetterla di fare la bambina?" 
 
Alzai finalmente lo sguardo su di lui, sentendomi quasi rinata. I suoi capelli erano leggermente più corti rispetto le altre volte e aveva delle grandi occhiaie sotto quegli occhi verdi da far paura.
 
"Ma chi ti ha dato due pugni?" scherzai, alzò gli occhi al cielo.
 
"Noto che nessuno ti ha mangiato la lingua." 
 
"Sto aspettando te per quello." 
 
Mi fulminò con lo sguardo. Dio, era proprio sexy.
 
"Non ti è bastato l'ultima volta?" 
 
"Non sono qui per te, puoi far stare il tuo cuore in pace." 
 
"Allora perché sei qui?" 
 
"Top secret." 
 
"Da quando hai dei segreti con me?" 
 
"Da quando ti ricordi che esisto? Ti prego di tornare a far finta di niente." ritornai fredda, se continuava a stare lì, non avrei retto ancora per molto.
 
"Dobbiamo parlare." 
 
"Io non credo. L'ultima volta che mi hai scritto queste parole, non è finita bene." 
 
"Sono serio." 
 
Mi girai irritata
 
"Pensi che io stia scherzando? Smettila di fare tutto quello che vuoi." 
 
Era abbastanza per quel giorno. Entrai nel palazzo che precedentemente avevo socchiuso e chiusi il portone alle mie spalle.
 
Se pensava di avere a che fare con la me di qualche settimana prima, sbagliava.
 
 
Capitolo Otto. 
 
 
 
Era la prima volta che mi succedeva, forse perché ero davvero troppo giovane per saperne di più, nonostante fossi riuscita a prenderli bene, i giorni dopo la separazione, la settimana  successiva non fu così.
 
Non sapevo esattamente come funzionassero i sentimenti, ma soprattutto, non sapevo come comportarmi e gestire la situazione. Quando mi ritrovavo con lui provavo ad essere una donna adulta, quando passavo del tempo con la mia famiglia cercavo di essere un'adolescente cercando di non essere mai scomposta, però, nell'ultimo periodo, quando mi ritrovavo da sola, iniziavo ad avere dei dubbi su me stessa. Alcune volte, le emozioni sembravano intrappolarmi in una stanza senza via d'uscita e iniziavo a sentire i primi sintomi di claustrofobia. Ciò che provavo dentro, si manifestava anche fuori, così trascorrevo le notti fredde inverno, fuori al balcone. 
 
Iniziavo a stare così male che il freddo non mi faceva neanche più rabbrividire la pelle e potevo anche indossare il costume, avrei continuato a sudare.
 
La cosa peggiore era quando cercavo di mettere in chiaro i miei pensieri: nella mia testa non c'era nient'altro che dolore.
 
Come poteva un ragazzo ridurmi in quel modo?
 
Volevo urlare al mondo, volevo liberarmene, ma nessuno era disposto ad ascoltarmi sul serio.
 
 
 
A distogliermi dai miei pensieri, fu l'entrata di mia madre nella stanza.
 
"La cena è pronta, ti sto chiamando da minuti, ma tu non scendi." 
 
"Oh, non me ne ero accorta." risposi.
 
"Posso sapere cosa sta succedendo? È da giorni che sei strana." 
 
E ora chi le diceva come stavano le cose? Chi provava a spiegarle il dolore che stavo cercando di sopportare? Come avrei dovuto dirle che stavo così male da non riuscire a distinguere il caldo dal freddo? 
 
"Niente, lasciami stare." 
 
"Smettila di essere scontrosa, sei così da quando la tua amica è andata via. Avete litigato?" 
 
No, semplicemente voleva stare con il suo ragazzo. Era più che giusto che fosse così, ma dopo aver passato giorni interi ad ascoltarla, l'avrei voluta al mio fianco per cadere ancora di più a pezzi. 
 
Ma, per come stavano le cose, era troppo tardi.
 
"No." 
 
 
 
Decisi che uscire fuori per fare una passeggiata fosse la cosa migliore, tuttavia quando ero ormai entrata nel parco, la pioggia scese dalle nuvole improvvisamente. Quasi bestemmiai, il tempo non era mai dalla mia parte.
 
 C'era il sole, quando avrei voluto che la pioggia coprisse le mie lacrime. C'era la pioggia quando avrei voluto che il sole mi tirasse su di morale.
 
E proprio quando si pensa che non possa andare peggio di così eppure ti sbagli.
 
 
 
Davanti ai miei occhi ci fu una scena che mi fece fermare di scatto, nonostante fossi completamente bagnata dalla testa ai piedi.
 
Le due persone davanti ai miei occhi si staccarono l'una dall'altra spaventate. 
 
"Io... Io posso spiegare."
 
Feci un passo indietro, quando cercò di avvicinarsi a me.
 
"Cosa?" 
 
"Per favore, andiamo da qualche parte e ti spiegherò tutto." 
 
 
 
 
 
Davanti a me, sedevano la mia migliore amica e la mia compagna di banco. Tutte e tre eravamo fradice dalla testa ai piedi, tuttavia, la cioccolata calda portata dal cameriere, fu una soluzione momentanea perfetta.
 
"Chi mi spiega cosa sta succedendo qui?" 
 
"Ti ricordi quella persona di cui ti ho parlato... Quella che mi rendeva felice." Io annuii, ovvio che mi ricordavo, era successo qualche giorno fa. Capivo che potevo sembrare un po' stordita agli occhi della gente eppure non credevo che mi considerassero anche scema.
 
Mi stavo iniziando ad innervosire.
 
"Fino a qui ci sono arrivata, ma perché non mi hai detto che era una lei? Non ti fidi di me?" sbottai, le avevo sempre mostrato, anche davanti a dei semplici video, di avere una mentalità aperta e il fatto che lei me l'avesse nascosto, mi faceva sentire una stretta al cuore.
 
Lei non rispose.
 
"Perché non mi rispondi? Davvero non ti fidi di me?" abbassò il capo, quasi come se si sentisse in colpa.
 
"Il fatto è che nessuno dei nostri genitori sa ancora... questo. Quindi non volevamo che chiunque altro venisse a saperlo." parlò la mia compagna di banco ed io quasi le lanciai la cioccolata calda su per la testa.
 
"Per caso ti sembro chiunque?" era vero, a scuola non parlavo mai, perché non sentivo il bisogno di farlo, ma lei era la mia migliore amica... Come poteva nascondermi certe cose?
 
"Non risponderle male." 
 
"Scusate, non ho capito. Adesso sono io nel torto?" 
 
"Penso che tu stia esagerando." 
 
"È tanto chiedere che la tua migliore amica si fidi di te? Da quanto state insieme? Un mese? Due? E subito hai messo in secondo piano la nostra amicizia!" 
 
"Sono due anni." 
 
La risposta mi fece venire quasi un coniato di vomito, tuttavia lo respinsi subito. 
 
"Cosa?" 
 
"Puoi smetterla di fingere? Vuoi solo stare al centro delle attenzioni. Smettila, cazzo. Non volevo dirtelo, qual è il tuo problema?" 
 
"L'altro giorno avevi detto che ero una delle persone più sincere per te! Perché diavolo sei così incoerente in questo dannato momento?" 
 
"Pensi solo a te stessa! Mentre ti raccontavo di lei, tu eri persa nei tuoi pensieri e non mi ascoltavi minimamente!" 
 
"Ma sei diventata scema in questi giorni o ti ho sopravvalutata? È ovvio che ti stavo ascoltando! Ero solo così felice per te che mi veniva da sorridere!" 
 
"In ogni caso, vorrei chiudere la nostra amicizia qui. Sento il bisogno di circondarmi di persone che mi trasmettono positività, tu non sei una di quelle. Sei solo un'ossessionata del cazzo e io mi sono stancata di te." 
 
Aprii la bocca per ribattere, sentivo la mia faccia ancora più bagnata di prima. Stavo piangendo, ero debole ai loro occhi in quel momento. Sentivo come se la terra non fosse più sotto i miei piedi. Volevo solo sparire.
 
E, come se non fosse stato abbastanza annientarmi in quel modo, decise di farla finita definitivamente:
 
"E apri i tuoi cazzo di occhi, il ragazzo per il quale hai un'ossessione, si porta a letto tuo fratello." 
 
 
 
 
 
Camminavo lentamente verso casa, passo dopo passo, ridevo sempre di più e, nel frattempo, non riuscivo a distinguere la pioggia dalle mie lacrime. 
 
Tutta quella situazione mi sembrava irreale, mi sentivo impazzire. Forse nella mia vita precedente avevo sostenuto Hitler, altrimenti non si spiegava come ogni giorno il mondo mi odiasse sempre di più.
 
Sentivo il mio cervello non connettere più, forse stavo davvero diventando pazza. 
 
Mentre continuavo a camminare, sentii una forte fitta nel cuore che mi fece piegare in due. Un passante mi vide e si piegò sulle ginocchia preoccupato. Aveva i capelli biondi e occhi castani, sembrava avere qualche anno in più a me. 
 
"Signorina? Signorina ha bisogno di aiuto?" 
 
"No, mi lasci soffrire. Forse è quello che mi merito." 
 
Il ragazzo mi sorrise.
 
"Solo perché sta piovendo, non vuol dire non smetterà mai. Aspetti con molta pazienza il suo arcobaleno." 
 
Scoppiai a ridere, mi guardò confuso.
 
"Per la sfortuna che ho io, dopo l'arcobaleno, viene a piovere di nuovo." 
 
Il ragazzo mi sorrise facendo spallucce.
 
"Beh, se volessimo sempre vivere durante l'arcobaleno, penso che la vita inizierebbe ad essere noiosa." 
 
"Meglio noiosa che sofferente." 
 
"La noia porta alla pazzia." 
 
"Allora voglio essere pazza. Non lo sa che i pazzi sono quelli più felici?"
 
"Sa..." disse lo sconosciuto 
 
"Trovo che sia molto interessante il tuo modo di pensare. Posso chiederti cosa ti porta ad essere così triste?" 
 
"La fiducia." 
 
"Cosa?" 
 
"Io... Adesso devo andare." il mio telefono squillava e se non fossi tornata al più presto, mia madre mi avrebbe riempito ancora di più la testa.
 
"Va bene, spero di incontrarla di nuovo." 
 
"Non ci speri troppo." 
 
 
 
 
 
Aprii la porta di casa con molto lentamente e la figura di mia madre subito mi fu davanti.
 
"Mi spieghi perché sei tutta bagnata? Appena ha incominciato a piovere dovevi tornare!" mi venne da ribadire, da dirle tutto quello che mi passava per testa e incolparla per avermi messo al mondo, come diavolo si era permessa? 
 
Ma era meglio andare nella mia stanza e aspettare che quel dannato arcobaleno facesse il suo lavoro.
 
"Puoi rispondermi? Ti ho pure cucinato! Io, tuo padre e tuo fratello stiamo aspettando te." 
 
Quando pronunciò quelle parole, mi venne da piangere ancora di più. Mio fratello? Parlavamo dello stesso ragazzo che si era fidanzato con il ragazzo che amavo?
 
Quasi mi fece ridere di nuovo quella situazione.
 
"Tra poco vi raggiungo a tavola, vado ad indossare dei vestiti puliti." 
 
Mia madre non interferì oltre. 
 
 
 
Quando mi avvicinai alla tavola in salotto, mio padre mi sorrise salutandomi e mio fratello pure. Non ricambiai, a stento riuscivo a sopportare la sua faccia.
 
Iniziai a girare gli spaghetti con la forchetta e sottocchio notai come mio fratello effettivamente controllava il telefono ogni due secondi. Ero così presa da me stessa da non notarlo?
 
Poi collegai tutte le volte in cui entrambi mi messaggiavano nelle stesse ore per dirmi che erano occupati e non potevano raggiungermi, tutte le volte in cui erano entrambi vestiti eleganti e tutte le volte in cui lui preferiva venire a casa piuttosto che stare a casa sua. Tutte le dannate volte in cui mi diceva di dover studiare e, in realtà, passavano del tempo insieme alle mie spalle. Tutte quelle volte in cui gli avevo dimostrato il mio amore, rendendomi ridicola davanti ai suoi occhi. 
 
Senza accorgermene, iniziai a piangere di nuovo, silenziosamente. 
 
Il primo a notarlo fu mio padre.
 
"Cosa... Perché stai piangendo?" dopodiché si girarono anche mia madre e mio fratello.
 
Io mi toccai le guance e quando sentii la mia pelle bagnata, subito le asciugai con il dorso della mano.
 
"Io... Ho solo pensato alla scena di un film triste e non sono riuscita a trattenermi." 
 
"Sei uguale a tua madre, come si può piangere per un film? È solo finzione." scherzò mio padre.
 
Considerai che forse anche la mia vita era tutta una finzione. Com'era che nessuno dicesse 'Stop, andiamo avanti con la prossima scena'?
 
 
 
 
 
Quando entrai nella mia stanza, mi soffermai davanti lo specchio. Mi spaventai.
 
Ero davvero io? 
 
Avevo solo diciassette anni, ma sembravo una donna distrutta. Toccai il mio riflesso e osservai come i miei capelli non fossero più curati, come la mia faccia era diventata più bianca e infossata. Dovevo essere dimagrita davvero molto. Con l'altra mano mi sfiorai i capelli, poi il viso e scesi toccando il seno e poi lo stomaco. Sotto il mio tocco, sembravo un manichino di plastica eppure il mio riflesso allo specchio mi ricordava che ero umana, ma mentalmente e fisicamente distrutta. 
 
Buttai il capo all'indietro e quasi non caddi, continuai a sfiorarmi lungo le anche, per poi arrivare alle cosce e sentii la forma delle mie ossa che man mano cambiavano. 
 
Sentivo di essere morta. 
 
 
 
Esausta, mi gettai sul letto, letteralmente e chiusi gli occhi.
 
La mia mente era un flusso di pensieri interrotti e troppo intersecati tra di loro per provare a capirne qualcosa. Se provavo a seguirne uno, mi sentivo spaesata.
 
Quando capii che neanche nella mia mente potevo trovare la pace, mi misi seduta e guardai fuori la finestra.
 
La luna e le stelle non si vedevano, il cielo era vuoto come me quella sera. 
 
Eravamo entrambi soli e persi.
 
Sorrisi.
 
 
 
 
 
 
 
Mio fratello, quel giorno, aveva deciso di uscire di casa, non aveva detto a mamma dove doveva andare, solo che dormiva fuori.
 
Mia madre non fece domande, ciò mi fece corrugare la fronte. Perché ero l'unica a dare delle spiegazioni in quella casa?
 
Poi collegai quando neanche un mese prima avevo visto mia madre piangere in cucina, che avesse scoperto il segreto di mio fratello?
 
 
 
Indossai velocemente il cappotto e dopo essermi accertata che mia madre stesse dormendo, uscii fuori di casa e raggiunsi mio fratello. Quest'ultimo stava girando l'angolo del palazzo in quell'esatto momento.
 
Attraversammo la strada ed entrammo nel viale dove c'erano i negozi più noti del momento.
 
Vidi mio fratello raggiungere il ragazzo che mi aveva spezzato in cuore, si diedero un abbraccio e poi, prima di separarsi si stamparono un bacio sulle labbra semplice. 
 
Mi sentii collassare, avevo toccato anche io quelle labbra. Erano le sue labbra. 
 
Chiusi gli occhi e mi feci coraggio. Andava tutto bene. Andava tutto bene.
 
 
 
Trascorsero la giornata ridendo, guardandosi come se fossero state le uniche persone al mondo. Mangiarono in un pub, probabilmente era stato scelto da mio fratello, poiché lui non amava del tutto mangiare certe cose, sopratutto durante la settimana. 
 
Condivisero un gelato al cioccolato, mi venne da ridere, il suo preferito era quello al pistacchio. Ma sembravano felici. 
 
 
 
La sera, raggiunsero la sua casa e entrarono chiudendosi il portone con foga dietro di loro, impazienti.
 
Io rimasi appoggiata ad un palo della luce, mentre da giù vedevo attraverso la finestra le loro sagome unite raggiungere la stanza da letto. 
 
Guardai le mie vans e giocai con i miei piedi per molto tempo. 
 
Ad un certo punto, non sapevo esattamente che ore fossero, liberai la mia mente e entrai in quel palazzo. 
 
Salii gradino dopo gradino con molta calma, in quel momento non capii più niente, non ero cosciente delle mie azioni. 
 
Sembravo uno zombie che si muoveva senza nessun criterio eppure la mia testa aveva un obiettivo: se non avessi avuto io quel ragazzo, allora nessun altro l'avrebbe avuto.
 
 
 
 
 
 
 
Sotto il tappetino, prima della porta d'ingresso, c'era una chiave.
 
Una volta entrata, socchiusi la porta e mi tolsi le scarpe. La casa aveva un'atmosfera tranquilla, io la distrussi completamente quando entrai nella stanza da letto, dove i due corpi dormivano nudi uno stretto all'altro.
 
Per il mio cuore, quella, era una scena insopportabile. Mi venne da infilarmi un coltello nel cuore, tuttavia l’idea che mi attraverso dopo fu migliore.
 
 
 
Sorridendo, mi avvicinai al ragazzo che sembrava un angelo. Quest'ultimo sentendo il mio respiro sulle sue labbra, aprì lentamente gli occhi e prima che potesse aprire la bocca, poggiai un dito sopra, chiedendogli di fare silenzio. 
 
Era ancora mezzo addormentato, aveva gli occhi socchiusi, ma nonostante tutto, quel paio di smeraldi pieni di vita brillavano e in quel momento erano confusi, mi era mancato dannatamente tanto. 
 
Prima che prendesse completamente conoscenza, poggiai con violenza le mie labbra sulle sue, sentendone la morbidezza mi sembrò di volare sulle ali di un angelo, nel frattempo alzai la mano destra e con un gesto veloce gli infilai, con tutta la forza che possedevo, un coltello nel cuore. 
 
All'inizio non centrai il punto giusto, così lo mossi più volte, facendo sprofondare la lama sempre più a fondo. 
 
Le mie labbra erano ancora poggiate sulle sue e quando provò ad urlare dal dolore e dalla paura, gliele morsi. 
 
Le sue braccia, si trovavano sotto le coperte poiché quella sera faceva abbastanza freddo, con il mio corpo appoggiato sopra e le forze che gli mancavano sempre di più, non riuscì a ribellarsi. 
 
Nel contempo, i miei occhi si aprirono e incontrai i suoi. 
 
Non avrei mai pensato, neanche in una cinquantina d'anni, di vedere quegli occhi perdere la luce che tanto amavo. 
Eppure successe. 
 
L'ultima persona a vedere quell'angelo con gli occhi pieni di vita, fui io. 
 
Man mano diventarono sempre più scuri e sentivo il respiro farsi sempre più affannoso, prima che si bloccasse del tutto. 
 
Baciai un'ultima volta le sue labbra e mi allontanai, lasciai il coltello dentro il suo cuore e mentre mi alzai, gli chiusi gli occhi con l'altra mano. 
 
"Adesso puoi volare in Paradiso come un vero angelo." sussurrai.
 
Poi andai dalla parte di mio fratello, il quale aveva il sonno pesante come sempre, gli afferrai la mano con delicatezza e la strinsi intorno al manico del coltello. 
 
 
 
Mi spostai in fondo alla stanza e sorrisi soddisfatta. Quella volta ero stata io a rubargli il cuore della persona che amava, lui poteva solo aggrapparsi ad esso.
 
 
 
Mi sedetti sul comodino, osservai la mia opera d'arte fino alle prime luci del mattino. 
 
Osservai come i raggi del sole illuminassero la ferita e di come il sangue brillava fresco mentre scendeva. 
 
Osservai come il colore della pelle ormai più bianca del dovuto facesse contrasto con il rosso scuro del sangue e con la mano di mio fratello, ancora aggrappato al pugnale.
 
Osservai come il corpo di mio fratello saliva e scendeva con calma, mentre sul viso c'era un piccolo sorriso, come se stesse sognando la cosa più bella del mondo, non sapendo che si ritrovava dentro proprio in quel momento.
 
Osservai il suo corpo ormai morto, fermo. Come i ricci gli incorniciavano la faccia inerme, come se stessero richiamando il proprio padrone, come se lo stessero salutando un'ultima volta. 
 
 
 
Sospirando tristemente, decisi che era arrivato il momento di andarmene. 
 
 
 
 
 
Quando mi chiusi la porta del palazzo dietro di me, notai che quel giorno c'era un sole che spaccava le pietre. 
 
Ricordai del passante di qualche giorno prima e delle sue parole, aveva proprio ragione. 
 
Solo che prima di aspettare l'arrivo dell'arcobaleno, ero stata stessa io a prendermi il sole. 
 
 
 
 
 
Epilogo.
 
 
 
 
Molti anni dopo, esattamente quindici, la porta della stazione di polizia si aprì davanti ai miei occhi. 
 
Entrai, respirando l'aria viziata del ventilatore, era piena estate e si sudavano molto più di sette camice.
 
"Come posso aiutarla signorina?" 
 
Mi appoggiai al bancone e sorrisi.
 
 
 
In quei anni, erano cambiate fin troppe cose. 
 
Quando chiusi il palazzo dietro di me, quel giorno, ero solo una ragazzina, la quale aveva perso la testa. Le cose che seguirono subito dopo furono come un uragano violento, il quale travolse sia me che la mia famiglia. 
 
Mio fratello fu incolpato di omicidio e i miei genitori caddero nella più completa disperazione, increduli. 
 
Mio padre, dopo che mia madre era uscita fuori di senno, decise di divorziare. Così, la donna che mi aveva messo al mondo finì in un centro per i malati di mente e mio padre iniziò ad entrare e uscire dal carcere ogni volta che causava  varie risse nei bar.
 
Mio fratello fu mandato in carcere con la condanna a trent'anni di prigione. 
 
Io, intanto, mi ero diplomata e laureata. Avevo finito il mio libro ed era diventato un best seller. Quel libro fu la mia prima dichiarazione al pubblico: avevo ucciso il ragazzo di mio fratello. Avevo parlato di lui e di come avevo osservato ogni suo piccolo dettaglio, anche il più futile, di come avevo sofferto e la strada che mi aveva portato alla pazzia. 
 
Fu così che, dopo aver raggiunto i miei obbiettivi, decisi di far uscire mio fratello di prigione, poiché aveva scontato anche la sua pena nei miei confronti: l'avevo fatto soffrire come lui aveva fatto soffrire me. Lui mi aveva rubato l'unica persona che desideravo con tutta me stessa e io gli avevo portato via tutta la sua vita. 
 
 
 
 
 
"Signorina? Posso aiutarla?" alzai il viso e rimasi sorpresa: davanti a me, c'era il passante di quindici anni fa.
 
"Oh, sei tu! L'avevo detto che ci saremmo incontrati di nuovo." sembrava felice.
 
"Beh, immagino non avessi torto." dissi facendo spallucce.
 
"Mm... Come mai sei qui? Devi denunciare un furto?" 
 
"Ricordi quando ti feci intuire che era meglio non incontrarci di nuovo?" lui annuì confuso.
 
"Certo che si." 
 
"Beh, neanche io avevo torto."
 
Portai la sigaretta alle mie labbra e ispirai senza fretta. 
 
"In... In che senso?" 
 
"Dieci anni fa, ho ucciso il ragazzo di mio fratello e beh..."
 
Sorrisi. 
 
 
Fine. 
 
 
 
 
 
Onestamente, non pensavo che davvero sarei riuscita a finire la prima prima storia. 
Come affermavo nella premessa, non ero per niente convinta di riuscirci, infatti ci ho messo molti mesi nel portarla al termine.
Ma comunque mi ritengo soddisfatta di aver raggiunto questo obbiettivo, nonostante non sia stata scritta nel migliore dei modi, poiché ho il vizio di partire bene, continuare in una maniera accettabile e finire in modi oltraggiosi.
Tuttavia, revisionerò tra qualche mese, in modo da poter notare meglio gli errori. 
Ci tengo, inoltre, a ringraziare in modo speciale mia sorella, che è stata sempre lì a sostenermi, nonostante i lunghi mesi trascorsi tra un capitolo e l'altro.
Ringrazio voi, infine, per averla letta, sebbene sia un completo disastro.
Buonanotte.
   
 
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