Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    27/04/2020    2 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice: Ringrazio come sempre la mia squisita beta, CrispyGarden, che ha corretto questo capitolo a tempo record <3

Spero che voi e le vostre famiglie stiate bene; vi auguro una buona lettura <3


 

Grazie alla magia dell’abisso quantico, il loro viaggio risultò di soli tre giorni.

Nonostante non avessero dormito da chissà quanti dannati varga da quando erano partiti, a Lance sembrava che tre giorni fossero una stima abbastanza accurata. La sua adrenalina lo tenne in piedi solo fino all’infermeria dove, con il resto dei paladini, adagiarono Krolia e alcuni degli altri membri de La Spada nelle crio-capsule. Poi, Keith raccontò loro nel dettaglio quello che avevano visto e cosa era successo, e Lance si appoggiò al muro, sentendo il peso della fatica.

Ma non distolse lo sguardo da Keith nemmeno una volta, terrorizzato all’idea irrazionale che si sarebbe ripreso per poi trovarsi solo nella cabina di pilotaggio del leone rosso su quella maledetta luna. Continuò a guardarlo con gli occhi semichiusi, le braccia incrociate con forza al petto, contro il pettorale della sua armatura. Dopo ancora, quando Keith terminò il racconto, Allura si schiarì la voce con espressione dura.

“Immagino che ora abbia senso il fatto che sia stato impossibile contattare Lotor in questi ultimi giorni.” Disse. Nella sua voce c’era un che di tagliente che non intendeva nessuna malizia nei confronti di nessuno di loro, e Lance odiò il fatto che stesse soffrendo. “Contatteremo Kolivan immediatamente per riferirgli quanto è accaduto; dobbiamo-” La sua voce ebbe un lieve fremito, e tutti fecero finta di non averlo sentito. “Dobbiamo capire come agire sulla base di questa nuova informazione.”

Senza aggiungere altro, si voltò e lasciò la stanza con Coran che si affrettò dietro di lei, lasciano alle loro spalle un silenzio pesante e pressante. Shiro fu il primo a riprendersi. Si girò prima verso Keith e poi verso Lance con una gentilezza sul volto che fece sentire Lance un po’ in colpa per sentirsi sempre così nervoso vicino a lui.

“Sembra che un po’ di riposo potrebbe farvi bene. Perché non vi date una ripulita e vi rilassate un po’? Il resto di noi farà a turno per controllare che tutte le persone nelle capsule stiano bene.”

Pidge si iscurì. “E Allura?”

“Dovremmo lasciarle un po’ di spazio.” Disse Shiro. “Non… non dev’essere facile per lei.”

Tutti mormorarono il loro assenso.

“Vado a fare qualcosa da mangiare.” Si offrì Hunk.

“Sembra un’ottima idea.” Rispose Shiro.

Lance era troppo stanco per aggiungere qualcosa e gli altri iniziarono a disperdersi, ma i suoi occhi seguirono Keith che si dirigeva verso la porta, sostenendosi al suo lupo e cercando chiaramente di non sforzare la sua caviglia dolorante. Nessuno lo notò tranne Lance, il che aveva senso dato che Keith non l’aveva menzionato quando Coran aveva chiesto in quanti erano rimasti feriti. Aggrottò le sopracciglia e spostò il peso in avanti per seguirlo.

Le spalle di Keith mentre percorrevano il corridoio erano visibilmente tirate, piene di tensione, tenute dritte come da una molla. Lance voleva… okay, la verità era che voleva solo stare con Keith. Stargli vicino e basta. Dopo tutto quello che avevano passato – dopo essersi chiesto per parecchi eterni momenti se avrebbe perso Keith di nuovo – non voleva stargli più distante di quanto non fossero in quel momento. Ripensando a come gli era stato così difficile respirare, a quanto avesse fatto male

Sapeva che era chiedere troppo. Decisamente troppo. Soprattutto visto che Keith aveva evitato con decisione ogni contatto visivo con lui da quando erano tornati. Bruciava un po’, anche se si era detto che non avrebbe dovuto. Keith non gli doveva niente, davvero. Non… non si conoscevano.

Lance scosse la testa, sentendo le labbra storcersi in una smorfia contrariata. Di qualunque memoria si trattasse, qualunque tipo di informazione gli avesse dato sul tipo di relazione che avevano avuto in passato, aveva destabilizzato Keith. Fin troppo. Quel tipo di destabilizzato che si prova quando ci si ritrova catapultati in un’altra galassia. Perfino Lance, che non riusciva a capirlo, era riuscito a notarlo. Gli aveva dato una scossa talmente potente che le sue difese erano crollate, anche se solo per un momento, lasciandolo scoperto. Lance voleva ancora strisciarci dentro. Persuadere Keith a uscire e capire. La forza del suo desiderio di capirlo era accecante. Gli faceva tremare le ginocchia. Gli stritolava il cuore. Era troppo, troppo.

Si costrinse a prendere un respiro profondo.

Dovette prendersi un momento nel corridoio per portarsi una mano al petto e respirare.

La stanchezza avrebbe dovuto rendergli le cose facili; la fame avrebbe dovuto dominare i suoi pensieri. Non avrebbe dovuto pensare a Keith in modo così disperato e impulsivo perfino in quel momento. Non al modo in cui il suo volto aveva espresso così poco, nonostante sentisse molto di più. Quell’aura scura e impenetrabile che aveva intorno si era fatta più insicura quando si era voltato. Terrorizzava anche Lance in un modo che era distintamente non terribile, anche se assomigliava un po’ a quello che si sentiva poco prima che un fulmine si schiantasse. Sul chi vive ed elettrico. Terrificante.

Okay.

Okay.

Doveva respirare. Concentrarsi di nuovo.

Puntò dritto alla doccia. Fece finta di non notare Keith ritirarsi nella sua stanza o Hunk che diceva qualcosa a Pidge mentre entrambi gli lanciavano un’occhiata da dietro la spalla. No, affatto. Si lasciò tutto alle spalle per avere un po’ di raccoglimento. Quando fu solo nella sua stanza, si sfilò l’armatura e sgusciò fuori dalla sua tuta spaziale, lasciando il tutto in una pila disordinata al suolo. La stanchezza gli pesava sul corpo, ma l’acqua della doccia lo aiutò a sentirsi un po’ più umano e più presente.

Diresse nuovamente i suoi pensieri su quel ricordo, questa volta per poterselo godere. Chiuse gli occhi e poté vederlo chiaramente, il modo in cui lui e Keith si sostenevano a vicenda. Pensò che poteva quasi ricordarselo dal suo punto di vista, anche se era un pensiero stupido e impossibile. Il modo in cui la sua fronte premeva contro l’armatura che copriva il collo di Keith, il volto di Keith che accarezzava appena la punta delle sue ciocche ribelli, la forza nelle braccia di Keith mentre lo sosteneva nel corridoio… quando se lo immaginò, gli sembrò quasi più un sogno che qualcosa di effettivamente accaduto nella realtà.

Lo fece sentire caldo. Incredibilmente caldo.

C’era un che di confortante, come se, dopo aver visto quel ricordo, dopo aver visto anche solo un’istantanea di com’era la sua vita prima, Lance avesse potuto capire perché si era innamorato di Keith. Quelle braccia, quella voce… il modo in cui sbottava ma sembrava che ci tenesse comunque. E… non serviva che tenesse Lance così vicino, giusto? Non serviva che lo tenesse a quel modo. Ci aveva visto una forza che non aveva sentito quando Keith l’aveva abbracciato la sera in cui era scoppiato a piangere. Quella volta era stata una stretta gentile e insicura.

Il grande e pauroso vuoto di quei 18 anni sembrava molto meno scoraggiante ora, anche se non conosceva ancora in modo intimo i dettagli della sua vita precedente. A quel tempo conosceva Keith e ora aveva nel suo cuore un posto speciale, e se quello era tutto quello che avrebbe ricavato dal suo passato, gli andava bene.

Che fosse possibile ritornare a quel tipo di intimità? Anche se si era trattato di una circostanza eccezionale, il solo modo in cui si erano parlati in quel ricordo era abbastanza da rendere il suo desiderio ancora più forte e determinato. Lo… voleva così tanto, con Keith. Essere amici, senza quella strana tensione tra loro che sembrava farsi sempre più densa a ogni occhiata che si lanciavano. Amici gli sarebbe andato bene. Anche se avrebbe voluto, tipo, avvolgersi tra le braccia di Keith. E baciarlo. Moltissimo.

Lance gemette per la frustrazione e si sciacquò lo shampoo dai capelli, smettendo di pensare. Perché non lo stava aiutando molto essersi preso lo spazio di cui aveva deciso di avere bisogno, anche se solo per alcuni brevi minuti. Indugiò sotto l’acqua calda e si crogiolò nel pensiero di quanto sarebbe stato morbido il materasso. Era passato molto tempo da quando si era fatto una bella dormita, e anche se aveva l’ansia e un sacco di cose per la testa, non vedeva l’ora di… spegnersi per un po’ e basta.

Ma prima aveva delle cose da fare.

Una volta pulito, uscì dalla doccia e si prese il suo tempo per asciugarsi. Aveva gli occhi pesanti per il sonno, ma il suo stomaco ruggiva per la fame ogni due minuti, e pensò che avrebbe riposato meglio dopo aver mangiato qualcosa. Dopo aver indossato dei vecchi vestiti morbidi e casual, si avviò verso la cucina.

Hunk era lì con Pidge. La ragazza era seduta sul bancone e Hunk aveva qualcosa nel suo piatto dietro di lei; Lance non aveva idea di che cosa fosse, ma sentì una fitta allo stomaco a quel profumo. Quando gli era venuta così tanta fame? Accidenti.

“Ehi, ragazzi.” Li salutò, anche se avevano entrambi smesso di parlare nel momento in cui era entrato. “Hunk, quello è forse-”

Hunk sorrise. “Sì, amico. Fatti sotto. Te ne avrei portato un po’ in camera perché, cioè, sembri un morto. Senza offesa. Non pensavo che saresti uscito dopo esserti chiuso nella tua stanza.”

Lance si appoggiò al bancone e si allungò subito per prendere uno snack. Non era sicuro di cosa fosse, ma poteva anche essere ambrosia visto che aveva un sapore divino. Friabile e secco, con un sapore vagamente dolce. Il fatto che Hunk fosse un vero e proprio dio ai fornelli non era di certo un male. Afferrò una ciotola dalla credenza e se la riempì.

“Avevo mal di testa.” Spiegò – mentì – infine, afferrando un sacchetto con qualcosa di congelato dal freezer e mettendoselo sottobraccio.

Pidge disse: “Dovresti prenderti qualcosa dall’infermeria; Coran ha spartito le nuove dosi, non dobbiamo più andare a caso. E bevi dell’acqua. Potresti essere disidratato.”

Lance annuì, considerandola una buona idea. “Già, lo farò. Grazie.”

Lei annuì a sua volta; Lance raccolse le sue cose, ma si fermò quando vide l’espressione che aveva in volto. Un’espressione che, notò Lance, era riflessa anche nel volto di Hunk. Il sacchetto era talmente freddo da gelarlo attraverso la manica, ma si sentì come colto sul fatto e il suo cuore ebbe un fremito quando Pidge inclinò la testa e si aggiustò gli occhiali sul naso. Strinse forte la presa sulla sacca d’acqua che aveva in mano.

“Quindi, uhm, che succede tra te e Keith?” Gli chiese lei.

Forse, se avesse dissimulato, se non avesse lasciato trapelare niente dalla sua postura, sarebbe riuscito a cavarsela senza soffrire una seconda morte dolorosa. “Che cosa intendi?”

“Lance, eravate terribilmente imbarazzanti quando siete tornati. Non ti ha neanche guardato ed era palese.” Disse lei. “Avete ripreso a litigare?” Lance esalò un inudibile sospiro di sollievo. Il suo cuore rallentò e il calore che minacciava di arrossargli il volto si era fatto più soffuso.

Ripensò a tutto quello che aveva imparato sul suo rapporto con Keith. La strana rivalità che, per quanto ci riflettesse, non combaciava con quello che sentiva. Il ricordo che risaliva a quando Keith era ancora parte della squadra. Avete ripreso a litigare? Non era mai stato così, eppure quella bugia gli scivolò fuori con estrema facilità. “Sì…” Quella parola uscì lenta e bassa, detta con un’espressione neutra. Hunk non sembrava convinto, ma Pidge se la bevve subito. Il suo volto si aprì in un sorriso.

“Proprio come ai vecchi tempi, huh?” Diede una gomitata a Hunk, che rise dandole ragione, anche se chiaramente non ne era convinto. Questo se Lance doveva fidarsi dello scintillio di consapevolezza che gli brillava negli occhi.

“Già.” Lance riuscì chissà come a sorridere. Era strano e lo sentiva terribilmente falso, ma Pidge ridacchiò comunque. Gli venne in mente che forse era proprio per quel motivo che nessuno aveva capito certe cose su di lui prima. Era così facile mentirgli. Fin troppo facile. Avrebbe dovuto smetterla, soprattutto dato che Hunk aveva sicuramente capito qualcosa, ma sentiva che Keith era il primo che avrebbe dovuto sentire la verità. Principalmente perché apparteneva a lui, tanto quanto a Lance.

“Beh, è bello sapere che le cose stanno tornando alla normalità.” Disse lei, ma Hunk rimase in silenzio. “Vai a riposare! Ci vediamo più tardi.”

Lance annuì e indicò imbarazzato la ciotola di snack che si era ficcato sotto l’altro braccio. “G-Già. Grazie ancora, Hunk. Ci vediamo, ragazzi.”

Si voltò e se la filò. Prima di ritornare verso l’ala delle stanze da letto, passò per l’infermeria e prese qualche medicinale come gli aveva suggerito Pidge. Arrivò anche Shiro, che doveva controllare le Spade ancora nelle capsule; ammonì Lance per essere ancora in giro quando invece avrebbe dovuto dormire e Lance gli promise che stava per andare in camera sua. Un’altra bugia, ma almeno quella era abbastanza vicina alla verità. Abbastanza. C’era ancora una cosa che doveva fare.

Ogni passo che lo portava più vicino alla sua camera gli faceva accelerare i battiti sempre più. Il sacchetto ghiacciato gli aveva reso insensibile metà del braccio quindi, anche se una parte di lui avrebbe voluto strascinarsi, fece abbastanza in fretta. Una volta arrivato, passò oltre la sua camera con decisione, dirigendosi verso la porta accanto, e prese un profondo respiro per riprendersi, rimanendo lì in piedi nella penombra.

Era stupido, pensò, sentirsi così nervosi. Perché mai avrebbe dovuto sentirsi nervoso, in ogni caso? Non sarebbe la prima volta che affrontano una conversazione in privato. Annuì a se stesso e raddrizzò la schiena prima di bussare forte alla porta con pugno sicuro.

Sulle prime, non ci fu risposta, e Lance si chiese se Keith non fosse da qualche altra parte. Non era andato in infermeria a trovare sua madre né gli altri de La Spada mentre Lance si trovava lì, ma il Castello era grande. Avrebbe potuto essere ovunque. Al pensiero di Keith zoppicante sulla sua caviglia malandata, Lance si rabbuiò. Oppure, merda, conoscendolo avrebbe potuto essere nella stanza degli allenamenti, no? Ma non era così stupido, vero? Forse si era semplicemente addormentato nella sua stanza…

Per pura coincidenza, a quel pensiero, la porta si aprì.

Lance sbatté le palpebre. Poco prima aveva giurato a se stesso che si era ripigliato. Che solo perché non aveva visto Keith in 10 o 30 dobosh… non significava che avrebbe dato di matto solo a rivederlo. Come aveva quasi sempre fatto. Sapeva che aspetto avesse ora. Conosceva abbastanza bene quei capelli scompigliati e quegli occhi scuri da poterseli immaginare senza problemi. Non avrebbe avuto senso che il rivederlo in quel momento lo lasciasse di nuovo senza fiato, eppure fu così. Gli tolse…

Gli tolse fottutamente il respiro. Di netto, come una boccata d’aria gli avrebbe portato via la voce in un torrente burrascoso. Come un pugno nello stomaco, lasciandolo boccheggiante e a malapena capace di riprendersi. Keith era lì in piedi dall’altra parte della porta, con i capelli bagnati e arricciati lungo la nuca. Delle gocce d’acqua gli costellavano le clavicole nude. Era appena uscito dalla doccia. Lance poteva sentire il profumo del suo sapone che aleggiava nell’aria piena di vapore – lo stesso sapone che usava anche lui – e, per qualche stupido motivo, pensò che su di lui stava ancora meglio. Era così stupido. Era… era la cosa più stupida del mondo, ma non poteva negare l’evidenza. Ne era schiavo a quel punto.

A una prima occhiata, Keith indossava gli stessi vestiti neri – la maglietta che ora era troppo stretta per il suo corpo, i pantaloni troppo aderenti (come se Lance non stesse soffrendo abbastanza) – ma era a piedi scalzi. Una gamba dei pantaloni era arrotolata, mostrando una cavigliera di lividi, neri e pulsanti sulla sua pelle. Aveva dei graffi vicino al mento, talmente superficiali che non sanguinavano neanche più, ma anche solo il fatto che ci fossero fece agitare Lance. Dall’altra parte della stanza, il lupo si era sdraiato su un letto sfatto, come se fosse stato suo.

Keith sembrò sorpreso dalla presenza di Lance. Sollevò le sopracciglia, rilassando il volto in un modo che lo fece sembrare quasi più giovane. “Lance?”

Keith aveva detto il suo nome un centinaio di volte, davvero, da quando Lance l’aveva incontrato quindi, tipo, era anche terribilmente stupido il fatto che ne sentiva il riverbero nel petto. Ogni. Volta. Le sue ginocchia gli sembravano fin troppo come la gelatina che mangiavano, e non avevano neanche iniziato a parlare. “Uh, ehi- ehi, amico.” Riuscì a dire Lance. Alzò le braccia, imbarazzato. “Ti ho portato un po’ di roba.”

Si beccò un’occhiata sospettosa. “Cosa?”

“Non hai detto a nessuno che ti eri fatto male.” Disse Lance, abbassando lo sguardo per evitare di guardare l’acqua sulle sue clavicole. Per evitare di fare un passo avanti e di premere il volto sulla curva del suo collo e annusare il suo sapone o accoccolarsi sulla sua pelle calda per la doccia. I crampi che sentiva allo stomaco minacciarono di incrinargli la voce. “E pensavo che potessi avere fame anche tu. Posso… entrare?”

“Non dovresti dormire?” Gli chiese Keith, e la sua voce si fece un po’ più dura. Ma, con sorpresa di Lance, non più suscettibile.

Lance scrollò le spalle, ormai dimentico della sua stanchezza. “In qualche modo farò.”

Keith si prese un altro momento per squadrarlo, i suoi occhi nuovamente inquisitori. Ma quello che vide dovette bastargli perché si fece da parte, tenendo il peso sulla caviglia buona, e posò una mano sul fianco. Lance sentì un sorriso curvargli le labbra e la soddisfazione accoccolarsi nel suo petto, ed entrò nella stanza, dirigendosi verso la cassettiera in fondo, dove appoggiò prontamente quello che aveva tra le braccia.

Anche se quella stanza era identica alla sua, non ci entrava dal giorno in cui Keith era tornato. Prima ci andava ogni giorno, cercando di immaginarsi come fosse Keith, cercando di vederlo in posti in cui non c’era. Lance passò in rassegna quella stanza vuota con la porta del bagno aperta e, anche se un po’ gli mancava la stanza per quello che significava per lui, non gli mancava credere che Keith fosse morto o a quanto si sentisse solo e infreddolito quando si rannicchiava in quel letto.

Ma Keith non lo avrebbe mai, e dico, mai scoperto, in ogni caso. Terribile.

Merda, teneva ancora la sua giacca in ostaggio nell’armadio.

Si girò e vide che la porta si era richiusa e Keith lo stava guardando con un altro di quei suoi tipici sguardi indecifrabili, tenendo le braccia incrociate al petto. Non riusciva a capire se fosse confuso o se semplicemente non volesse mostrare i suoi pensieri in alcun modo, forma o maniera. Lance pensò brevemente alla familiarità che c’era tra loro in quel ricordo che gli era stato donato dall’abisso quantico e cercò di incanalarla lì, in quel momento.

“Non so quanto ti faccia male la caviglia, ma mi sembrava messa male quindi ti ho portato degli antidolorifici.” Disse Lance, tenendo le piccole pillole nel palmo della mano. Keith si avvicinò a lui e le prese dopo un attimo di esitazione; il sorriso di Lance si fece nuovamente strada sul suo volto, più raggiante di prima. “E…” Prese la sacca d’acqua mettendogliela in mano, “…acqua.”

Keith gli rivolse un’altra occhiata prima di ingoiare le pillole e prendere una lunga sorsata d’acqua. Poi, si sedette sul bordo del letto e guardò Lance dal basso con una strana espressione sulla stessa linea della confusione. “Grazie, Lance. Non dovevi.”

Il calore sul volto di Lance si fece ancora più rovente e palese. Prese il sacchetto di roba congelata e glielo lanciò. “Lo so ma… pensavo che tu non l’avresti fatto.” Ammise, e andò fiero del fatto che la sua voce non fosse incrinata, anche se gli veniva difficile trovare le parole. “Quindi l’ho fatto io.”

La confusione sul volto di Keith si distese un poco e il ragazzo gli rivolse un sorrisino, e tutta quell’aura da eroe oscuro era fin troppo da sopportare. Lance sentì un tremore sottopelle e fece del suo meglio per domarlo ficcandosi le mani nelle tasche logore dei suoi pantaloni. Il modo in cui i capelli di Keith gli ricadevano sul volto, in modo in cui erano angolate le sue sopracciglia…

“Anche quelle sono per me?” Chiese Keith, appoggiando la schiena al muro e sui cuscini, e sistemò una gamba sul letto, poggiando il sacchetto ghiacciato sulla caviglia. Fece scattare il pollice in direzione della ciotola di snack con interesse.

“Avevo detto che avevo portato anche del cibo, no?” Lance afferrò la ciotola e prese uno snack per sé.

Keith si sporse per carezzare il suo lupo, osandogli una mano gentile sul capo, e questi rispose scodinzolando la grande coda sul materasso due volte. “Mm.” Si rilassò contro il muro, sentendosi un po’ più a suo agio, e, dopo un attimo di esitazione, diede un colpetto al bordo del materasso, un muto invito perché Lance rimanesse per un po’.

Lance sorrise sentendo il cuore balzargli in gola e si sedette con delicatezza, porgendogli la ciotola. “Prendine pure.”

Keith prese uno snack e se lo mise in bocca, emettendo un verso soddisfatto. “Grazie.”

Rimasero seduti in silenzio a mangiare per un po’ e, per una volta, i pensieri di Lance non erano rumorosi o inquieti. Si sentiva in pace lì, con Keith, ed era felice che l’avesse fatto rimanere, anche se solo per qualche minuto. Anche le domande che aveva in testa parevano essersi acquietate, lasciando che Lance esistesse in quel momento senza il bisogno di chiedere ulteriori dettagli. Rise quando il lupo si acquattò e strisciò verso di lui e finì col dargli grossi pezzi di biscotto.

Dopo aver finito gli snack, Lance ruppe il silenzio, guardando Keith che spostava il sacchetto gelato sulla sua caviglia. L’atmosfera si fece più sobria, la stanchezza che sentiva nelle ossa si fece sentire di nuovo. Dopo il voler portare qualcosa a Keith per la sua caviglia, quello era uno dei motivi principali per cui era voluto andare lì. Prese un respiro profondo e lo rilasciò con controllo dal naso.

“Mi dispiace per la missione. Per la perdita.”

Forse Keith aveva scrollato le spalle, ma Lance aveva spostato lo sguardo dalla caviglia al lupo, grattandolo dietro le orecchie morbide. “Siamo consapevoli di quello a cui andiamo incontro ogni volta che usciamo.” Disse Keith.

“Lo conoscevi?”

“Non molto. Quando riporteremo indietro le Spade, Kolivan lo onorerà con un paio di belle parole, ma finirà lì. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio, ora potrei dire qualcosa anch’io.”

Lance annuì, passando le dita tra la pelliccia del lupo. Gli suonò… così da Keith. “È brutto dire che… sono felice che non fossi tu?” Quelle parole furono più semplici da dire di quello che si aspettava. Una confessione che non era così grande o spaventosa dopo la vulnerabilità che aveva comportato il vedere quel ricordo. Lo confortò quasi; era un miglioramento.

Keith rimase in silenzio per un momento. Lance sollevò lentamente lo sguardo e lo vide con le braccia mollemente incrociate al petto, la testa reclinata al muro, lo sguardo fisso su Lance, intenso e diretto. Per un breve momento, Lance si chiese se avrebbe mai scoperto di che colore erano i suoi occhi, e se lo chiese perfino quando ammirò la forte e netta curva della sua gola. “Ti avevo detto che sarei tornato, no?”

Gli aveva fatto quella promessa più di una volta, ma non aveva reso comunque le cose facili.

“Ho avuto davvero paura, Keith.” Lance aggrottò le sopracciglia e sentì quelle parole pesanti come piombo lasciargli la lingua e rimanere sospese nell’aria tra loro. Rimasero lì come una nebbia, densa, impenetrabile allo sguardo, ma Lance non voleva rimangiarsele. Voleva darle a Keith… voleva dargli molto più di quello, ma era un buon inizio.

Keith distolse immediatamente lo sguardo e la sua espressione cambiò di nuovo, simile a quanto successo nella cabina di pilotaggio del leone rosso, troppo velocemente per poterne capire il significato. Ma abbastanza per far fare le capriole al cuore di Lance. “Scusami.” Borbottò Keith.

Lance avrebbe voluto sporgersi e toccarlo. Mettergli una mano sul ginocchio o forse sul dorso della sua mano, ma non sapeva se poteva. Quindi si limitò a passare di nuovo le dita sulla pelliccia del lupo, sorridendo appena quando quello reagì scodinzolando con la coda. “Sei fortunato ad esserne uscito solo con una storta.”

Keith si umettò le labbra e lasciò che il silenzio calasse per un momento; poi, iniziò a parlare con una voce bassa che rombò in Lance come un tuono. Aveva un suono così bello che Lance voleva inseguirlo, anche se non sapeva neanche lui che cosa significasse. “Comunque, avevi ragione sulla missione fin dall’inizio. Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai andati. Avrei dovuto darti ascolto.”

“E-ehi, non è stata del tutto inutile.” Gli ricordò Lance con onestà, mentre il timbro della voce di Keith si infilava sotto la sua pelle e gli si incollava addosso come miele, scuro e caldo. “Abbiamo capito chi è davvero Lotor. Ci starebbe ancora menando per il naso se non fossimo partiti. Almeno ora lo sappiamo, no?” Si schiarì la voce. “Mi dispiace anche per tua madre. Sono felice che stia bene.”

Keith prese un lungo respiro ed espirò, e Lance sentì che un po’ della tensione che si era creata nella conversazione si stava sciogliendo. Keith riportò lo sguardo su Lance. Si tirò su dritto a sedere e si sporse leggermente verso di lui, abbastanza da far tremare il cuore di Lance. Il che era stupido, perché si trovavano su due parti opposte del letto.

“Anch’io. Sarebbe stata la mia spalla se non mi avesse spinto via.”

A Lance non piacque come suonò quella frase e il suo rispetto per Krolia crebbe un poco. “Sapevo che facevo bene a non stare tranquillo.”

Keith ridacchiò, un suono rauco, come se non fosse abituato a farlo, ma calmò l’ansia improvvisa che si era stretta attorno al cuore di Lance. “Sì, Sì, hai sempre ragione. Ho capito.” Sospirò e scostò pigramente alcune ciocche di capelli dagli occhi. “Ma dovresti riposare.”

Quell’improvviso cambio di soggetto arrivò come un colpo di frusta. Si era trattenuto troppo a lungo? Aveva detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire? Come poteva rispondere? “G-giusto. Sì.” Lance diede un’ultima e veloce carezza al lupo e si rimise lentamente in piedi, portando la ciotola con sé. Risvolse un sorriso a Keith e si chiese quanto fosse palese che desiderava di poter restare. “A domani. Assicurati di tenere il piede sollevato.”

Keith gli rivolse un sorrisino e alzò gli occhi al cielo, quasi scherzosamente. “Ma certo, dottore.”

Per qualche orribile motivo, Lance si sentì il volto andare a fuoco, a fuoco, a fuoco per il rossore. Keith lo stava stuzzicando? Davvero? Lance non era addestrato per affrontare quella situazione! “S-se non vuoi che mi preoccupi per te, dovresti imparare a prenderti più cura di te.” Il che non avrebbe aiutato, considerato il fatto che Lance era praticamente destinato a preoccuparsi quando Keith si ficcava in qualcosa di pericoloso. Fece per andarsene, ma qualcosa di caldo e viscerale lo bloccò quando si ritrovò improvvisamente la mano di Keith stretta intorno al suo polso.

“Lance.” Disse, e la sua voce era bassa e sincera e la sua mano era così calda che l’aria stessa nella stanza sembrava tesa. Aveva qualcosa in mente, qualcosa che era riluttante a dire, e Lance non riusciva a guardarlo.

“S-sì?”

Pausa. Stava provando le parole nella sua testa prima di dargli voce, con cautela. “Non ti ricordi davvero di me?”

Lance si sentì ricolmo di pentimento e frustrazione per se stesso, le ginocchia nuovamente di gelatina. Strinse forte la ciotola che aveva tra le mani, come se avesse potuto tenerlo in piedi. “Vorrei”, disse piano, e suonò così fragile, “lo vorrei tanto. M-mi… mi dispiace.”

“No, è solo che-” Keith lo studiò con fare solenne per qualche momento. “Non mi piace che ti scusi per questo. Lo odio, Lance. Smettila. Te l’ho chiesto solo perché sembra che ti ricordi di me.”

Il cuore gli si bloccò di colpo. “Ti ho già detto che mi sei mancato.” Sussurrò, e la sua voce era così bassa che era impossibile capire quanto fosse tremula. Quelle parole erano così incriminanti. Così… ovvie. Mi sei mancato. Dicevano tutto quello che c’era da dire. “È tutto quello che so.”

Keith lo osservò per un altro lungo momento, poi lasciò andare lentamente il suo polso. Il modo in cui i suoi polpastrelli sfiorarono appena il dorso della sua mano incendiò la pelle di Lance, e inspirò bruscamente per poi espirare frettolosamente. “Puoi chiedermi qualunque cosa.” Gli disse Keith. “Non ora perché dobbiamo riposare entrambi, ma…” Aggrottò le sopracciglia, attirando l’attenzione di Lance per un momento, e fissò gli occhi in quelli dell’altro. “Ti dirò tutto quello che vuoi sapere.”

“Ho un sacco di domande.” Lo avvertì Lance, ma sentiva il cuore praticamente vibrargli nel petto alla gentilezza di Keith. Assomigliava molto meno a una tempesta con quei capelli quasi asciutti e l’espressione contratta, non così severo come poteva sembrare. Lance avrebbe voluto sedersi nuovamente sul letto e mettersi subito a parlare, chiudere gli occhi e accoccolarsi di fianco a lui, ma era…

“Mi preoccuperei del contrario.” Keith cambiò posizione, facendo una smorfia quando spostò la caviglia, ma il suo volto era gentile e Lance per poco non cadeva in ginocchio ora che sapeva che Keith era disposto a farsi vedere in quello stato da lui. Non era stato per un incidente; non l’aveva colto di sorpresa. Voleva… stava cercando di aprirsi con Lance. “Vai a dormire, Lance. Avremo tempo più tardi, okay?”

“Sì… sì.” Lance annuì e gli rivolse un sorriso, sentendo la mano formicolare ancora per il suo tocco. “Grazie, Keith.”

Keith sventolò una mano, ma sul suo volto c’era qualcosa di simile a un sorriso. Gli sembrò familiare. Non come un ricordo, ma qualcosa di simile. Gli sembrava giusto. Parlare con Keith a quel modo, onestamente e senza temere le conseguenze o la paura di esporsi troppo. Era calmo e rassicuramene. Qualunque tipo di “rivalità” avessero avuto, non era reale. Erano stati amici… erano stati dei veri amici.

Lance gli fece un piccolo cenno di saluto e uscì dalla stanza. Non appena la porta si chiuse alle sue spalle, ci appoggiò pesantemente contro la schiena, un grande sorriso raggiante che gli attraversava il volto, incontenibile. Il cuore gli batteva regolare nel petto. Era la prima conversazione che avesse avuto che non gli era sembrata difficile e che non l’aveva fatto sentire impappinato. Si sentiva bene.

Quando tornò nella sua stanza, ripescò il quaderno e sfogliò le pagine fino a trovare gli ultimi appunti che ci aveva scritto sul ritorno di Keith, sui sentimenti che aveva provato allora, e aggiunse alcune cose. Punti sulle recenti osservazioni che non voleva dimenticare. La missione. L’abisso quantico. Il ricordo. Quella conversazione. Menzionò il fatto che Pidge non sapeva niente e l’intuizione che aveva avuto Hunk. Dedicò qualche melancolico momento ad Allura e si disse che sarebbe andato a trovarla il giorno dopo, ma il sonno lo stava chiamando a sé.

Appoggiò il quaderno, si stese e, con occhi appesantiti dal sonno, sfilò da sotto il cuscino la lettera incompleta e accartocciata. Era morbida al tatto, sgualcita e a lui tanto cara. Si domandò come avrebbe reagito Keith se gliel’avesse mostrata. Se gli avesse consegnato quel pezzo di carta rovinato dalla preoccupazione spiegandogli che cos’era e cosa significava.

Decise che ormai non importava più. La persona che era prima aveva scelto di nascondersi. Di tenersi tutto per sé. Aveva lasciato credere agli altri che avesse sentimenti per Allura. Non aveva scritto la lettera. Come risultato, il suo passato era pieno di buchi e domande a cui nessuno poteva dare una risposta certa e faceva schifo. Doveva rimanere lì seduto a far finta di non essere devoto in tutto e per tutto a un ragazzo con cui non avrebbe dovuto andare d’accordo.

Patetico. Miserabile. Perché si era fatto una cosa simile?

Avrebbe fatto di tutto per Keith senza riserve. Senza condizioni.

Gli avrebbe confessato i suoi sentimenti. Si sarebbe fatto vedere dagli altri per quello che era.

Avrebbe scritto la lettera.

Doveva solo assicurarsi che non sarebbe stato troppo, ma poi era fatta. Era deciso. Aveva solo bisogno di un altro po’ di tempo.


 

Note dell’autrice:

okay!!! Okay!!! Mi dispiace che questo capitolo sia più corto, ma mi sembrava più un capitolo di raccordo per poi potermi lanciare in altro. Avrei potuto aggiungere un’altra parte alla fine, ma mi sembrava troppo scollegata, quindi mi metterò a lavorare sul prossimo capitolo per farlo uscire in fretta :)

Keith si sta finalmente aprendo! Lance continua a innamorarsi sempre di più! Il mio cuore sospira. Vorrei che le cose potessero essere sempre così dolci.

Grazie per aver letto questo capitolo! Spero che vi sia piaciuto <3

   
 
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