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Autore: ShanaStoryteller    27/04/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ade, Un interludio

 

Ade si massaggiò le tempie. In quanto essere quasi onnipotente, avrebbe dovuto essere immune alle emicranie, eppure ne soffriva costantemente. Se Ermes non fosse stato così irritante l’avrebbe imprigionato per trovare una cura, ma avere a che fare con suo nipote gli causava sempre più dolore che sollievo.

“Non sapevo che fosse una dea,” disse una voce leggera, petulante e dispiaciuta allo stesso tempo, “se l’avessi saputo non avrei cercato di ucciderla.”

Abbassò lo sguardo. La dea bambina del fiume, Stige, ricambiò il suo sguardo con grandi occhi liquidi e il labbro inferiore tremolante. “Non sono adirato con te,” le disse, “hai fatto quello che dovevi fare.”

“Lo so.” Disse con fare imperioso, ma non gli sfuggì il modo in cui le spalle della bambina si rilassarono. Si avvicinò fino ad arrivare a pochi centimetri da lui e chiuse le mani a pugno sulla sua veste. “È bella.”

Kore giaceva nel suo letto, accoccolata sotto le coperte, e dormiva profondamente. L’aveva lavata nella cascata che scorreva dai confini del mondo fin nel suo regno, cancellando ogni traccia della corrosiva acqua di Stige. La sua pelle era scura quanto la terra più intensa e i capelli erano stati sbiancati dal fiume. Il leggero rumore del suo russare lo fece sorridere e ammise: “Lo è.”

Stige gli tirò la veste, mordendosi il labbro. Non aveva tempo di assecondarla, ma la bambina credeva ancora che fosse adirato con lei. Si abbassò quanto bastava perché le sue braccia si potessero avvolgere intorno al suo collo e la sollevò, tenendola in equilibrio con facilità sul fianco. “Accompagnami mentre controllo i confini del regno. Non sarebbe dovuta giungere negli inferi, tanto per cominciare.”

Stige poggiò il capo sulla sua spalla e si mise un pollice in bocca. Fortunatamente, Ade non dava molto peso alla dignità. “Se proprio devo.”

“Devi.” Le ordinò, e sorrise dato che lei non poteva vederlo.

Si addormentò a metà ronda. “Ecate.” Sospirò.

“Poverina.” Chiocciò la voce incorporea della dea della magia e delle materie inspiegabili. Scivolò fuori dall’oscurità e prese Stige dal fianco di Ade tra le sue braccia. “Era talmente preoccupata che ti saresti adirato con lei da sfinirsi.”

“Perché mai dovrei essere adirato con lei,” chiese Ade, “quando sei stata tu a erodere la barriera in modo che una folle dea potesse passare?”

Ecate sogghignò, perfida e impudente. “La figlia di Demetra è bella, non è vero?”

“La figlia di Demetra.” Ripeté, lo stomaco denso come piombo. “Devo riportarla indietro prima che mia sorella mi uccida.”

“Non essere sciocco,” lo riprese Ecate, spostando Stige, ancora assopita, in una posizione più comoda tra le sue braccia, “quella ragazza è venuta da te per cercare rifugio, come puoi rifiutarla? Non hai mai reclamato la crudeltà come una delle tue caratteristiche. Sarà meglio che non inizi ora.”

Ade si fece scuro in volto. “Forse tu dovresti smetterla di intrometterti in questioni che non ti riguardano prima che ti bandisca dal mio regno per lasciarti alla mercé della tenera pietà dei miei fratelli.”

Il ghigno di Ecate si addolcì e si alzò sulle punte per posargli un bacio sulla guancia. “Non hai mai reclamato la crudeltà come una delle tue caratteristiche, mio signore Ade. Sarà meglio che non inizi ora.”

Svanì di nuovo nell’ombra. Ade si costrinse a indossare una maschera di serietà nel caso in cui lo stesse ancora guardando, ma sapeva che non avrebbe ingannato nessuno, men che meno se stesso.
 

 
Il tessuto della realtà che divideva il suo regno da quello dei mortali si era consumato nel punto in cui Ecate ci aveva messo le mani. Ade avrebbe potuto ripararlo da sé, ma non rientrava nelle sue specialità. “Sorella,” disse, moderando la sua voce in modo che giungesse solo alle orecchie di colei a cui voleva parlare, “se non sei troppo impegnata, avrei bisogno del tuo aiuto.”

Sentì una pressione nell’aria al suo fianco e allungò una mano, spingendola attraverso gli strati della sua stessa magia per afferrare la sua mano e guidarla dall’Olimpo a lui.

“Mi piace come hai arredato questo luogo,” disse sua sorella dagli occhi grigi, “è così caldo e accogliente.”

Il fuoco di Estia crepitava allegro nel suo regno, ma le torce nei corridoi e le rocce bioluminescenti potevano fino a un certo punto. Al centro, dove risiedeva il suo palazzo e dove le case e la gente si snodavano intorno a lui come una rosa, il fuoco era sufficiente; era sommesso e stabile nelle sue città.

Ma lì, ai confini vuoti e dimenticati del suo regno, era tuttalpiù macabro.

“Non hai ancora permesso ad Apollo di guidare il suo carro attraverso il tuo regno?” Atena non gli domandò perché l’avesse chiamata, e fece apparire un telaio di fronte a lei, strappandogli di dosso la veste con mosse brusche e impersonali.

“Apollo non guiderebbe il suo carro attraverso il mio regno nemmeno dietro mio personale invito, dunque rimaniamo senza sole. Ce la caviamo anche così.” Vestiva solo un chitone che gli arrivava alle ginocchia, e sedeva a terra vicino al telaio. Atena si rilassò, un cambiamento così impercettibile che Ade dubitava che qualcuno avrebbe potuto notarlo. Non le piacevano le persone che la guardavano dall’alto in basso, e Ade la superava almeno con tutta la testa, anche quando si ingobbiva. Sedersi era più semplice. “Mi piaceva quella veste.”

L’aveva quasi disfatta per metà, il filo bianco nonostante la veste fosse nera. “Lo so. È pregna della tua magia, della tua aura, del tuo odore. È proprio quello che mi serve per riparare il tessuto del tuo regno, Ade.” Tesseva a una velocità insostenibile per qualunque essere umano. Poteva già vedere il tessuto bianco e luccicante che prendeva forma. “Dovresti punire Ecate severamente per la sua disobbedienza.”

Non si curò di nasconderle il suo ghigno. Atena conosceva il sapore di tutte le loro magie e non lo sorprese che sapesse che fosse stata opera di un’altra dea. “Sono sicuro che avesse buone intenzioni.”

Atena sbuffò, spingendo il telaio in basso e in alto per rivelare nuovi centimetri di tessuto. “È arrogante e impicciona e crea più problemi che altro. Ha già adirato Zeus e Poseidone; un giorno la tua bontà si esaurirà e lei non avrà più a chi chiedere aiuto.”

“Forse.” Disse, appoggiando il mento sulla mano. “Molti dei sigilli che proteggono la mia casa sono di sua invenzione, sai. La magia nera e ingannatrice è la sua specialità.”

“Motivo per il quale è stata capace di creare un punto debole.” Scattò. “Dovresti stare più attento.”

A Ade piaceva Ecate. Una volta aveva passato una settimana intera a posizionare migliaia di libellule congelate come costellazioni sospese nell’aria, in modo che gli abitanti degli inferi potessero fingere di vivere sotto un cielo mortale. Poteva anche essere capace di cose orribili, ma così anche lui. “Lo farò, sorella.”

Atena gli rivolse uno sguardo cupo, come se avesse capito che le stava mentendo. “Ecco,” disse, porgendogli un pezzo di stoffa improbabilmente grande, “il resto dovrai farlo da solo, non posso fare altro per te.”

“Hai fatto abbastanza.” La complimentò, e tracciò un netto portale per farla andare via. “Ti ringrazio, Pallade Atena.”
I suoi occhi grigi come il ferro sembrarono addolcirsi, ma non ne era sicuro dato che poteva a malapena vederla in quella luce fioca. “Fai attenzione, Ade. Sono seria.”

Se ne andò prima che potesse risponderle, il che forse fu per il meglio perché non era sicuro di cosa dire. Iniziò il meticoloso lavoro di cucire la stoffa al tessuto che separava il suo mondo da quello dei mortali. Ogni punto doveva essere piccolo e perfetto, e cucire non rientrava nei suoi punti di forza. Ci avrebbe messo la notte intera per completarlo.




Stava cucendo l’ultimo punto quando sentì un frullare d’ali e una presenza al suo fianco. C’era un solo dio che poteva entrare nel suo regno senza permesso. “Ermes,” lo accolse, già rassegnato a un’emicrania, “hai un messaggio per me?”

“Demetra è sul piede di guerra.” Disse. “Domanda che sua figlia le venga restituita.”

Ade fece un passo indietro per ammirare il suo lavoro. Non era carino, ma funzionale. “Come sempre, se Demetra desidera parlare con me sarò più che felice di accoglierla nel mio regno e accontentarla.”

“È impotente nel tuo regno,” Disse Ermes, incrociando le braccia, “non si esporrà mai a quel modo. Non verrà.”

“E allora non c’è nulla che io possa fare per lei.” Rispose, e si incamminò verso il suo palazzo.

Ermes atterrò al suo fianco. “È una dea pericolosa da inimicarsi, zio.”

“Ma non mi dire.” Borbottò. “Ogni volta che si adira contro di me c’è una città che patisce la fame e mi arrivano ondate di nuove persone che devono attraversare il mio fiume ed entrare nel mio regno.”

“Kore non appartiene a questo luogo.” Argomentò. “Lascia che Demetra la riabbia con sé.”

Ade non osò chiedere il perché Ermes tenesse così tanto a quella questione quando si curava ben poco di tutto il resto. Dubitava che la risposta gli sarebbe piaciuta. “Kore ha attraversato lo Stige.” Disse, e maledisse Ecate per avergli messo quei pensieri in testa. Avrebbe dovuto restituire Kore a sua madre, ma Ecate aveva ragione. Chiunque fosse talmente disperato da venire da lui per cercare protezione era fin troppo disperato per poterlo rifiutare. “Potrà rimanere fino a quando lo vorrà.”

Ermes lo fissò. I suoi occhi erano scuri come quelli di Ade, ma così incredibilmente diversi sotto ogni aspetto. “Ti pentirai di averla sfidata.” Lo avvertì per l’ultima volta prima di librarsi in volo, uscendo dal suo regno.

Ade si massaggiò il ponte del naso. Poteva già sentire l’emicrania.
 
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