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Autore: Dalybook04    27/04/2020    2 recensioni
Napoli, 1712
Antonio Fernandez Carriedo aveva scoperto con non poca sorpresa quanto si potesse comunicare attraverso un pomodoro.
***
-bastardo?
-dimmi Lovi
-ho fatto davvero bene a lanciarti quel pomodoro.
-già- lo baciò -hai fatto davvero bene
***
Gli piaceva pensare fossero un regalo da parte sua, come se ogni pomodoro che cresceva gli volesse ricordare quanto lo avesse e avrebbe amato, e quanto lo amasse ancora.
***
-ve, mi dispiace fratellone. Stai tranquillo, l'amore troverà un modo
-non darmi false speranze, Feliciano. Per favore.
***
-a quanto pare abbiamo entrambi il cuore spezzato, eh?
***
_principalmente Spamano e Gerita, con accenni molto lievi alla PruAus_
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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Il nonno di Lovino amava raccontare storie.
Aveva circa una cinquantina d'anni ed era ancora un gran bell'uomo. Aveva molte donne, ma non solo, che gli ronzavano intorno, cercando le sue attenzioni, ma rifiutava tutti, dicendo ai nipotini che l'amore lui l'aveva già trovato e perso da tempo e che non avrebbe mai potuto sostituirlo. Romolo amava i suoi nipoti, era affettuoso e teneva molto a loro. Lovino ricordava che Feliciano, quando era molto piccolo, non riuscendo a pronunciare il nome Romolo, lo aveva iniziato a chiamare Nonno Roma; soprannome molto azzeccato, visto che il nonno aveva vissuto per anni e anni a Roma, dove lo andavano a trovare prima della morte dei genitori, e amava la cultura classica e tutto ciò che riguardasse l'Antica Roma: aveva una biblioteca enorme piena di tutti i testi latini che fosse riuscito ad accaparrarsi e la sera, si sedeva sull'ampia poltrona della biblioteca, che profumava di vino e dell'acqua di colonia del nonno, li faceva sedere sulle ginocchia o ai piedi della poltrona e leggeva loro i testi di Cesare, Livio, Cicerone, Virgilio: leggeva i racconti, le credenze, anche le battaglie e le guerre, prima in latino e poi le traduceva, in modo che capissero meglio. Era stato proprio Romolo a insistere perché il secondo nome di Lovino fosse Romano. Era colto il nonno, e aveva persino iniziato a insegnare loro a leggere e a scrivere e il latino: Feliciano non lo ricordava bene, ma probabilmente era per questo che, quando il piccolo crucco gli aveva insegnato, aveva imparato così in fretta; si vede che, sepolto nella memoria, in qualche modo ciò che la voce calda e profonda del nonno gli aveva insegnato era rimasto. Lovino sapeva ancora leggere, anche se ci metteva il suo tempo.
Ma soprattutto, Nonno Roma amava raccontare loro storie, prima di andare a dormire, durante i pasti, davanti al fuoco: ogni qualvolta avessero una qualche domanda, Romolo raccontava loro una storia che vi rispondesse. Le sue storie preferite erano quelle d'amore.
In gioventù era stato un Don Giovanni, e da lì era nata la loro mamma. Aveva poi trovato l'amore, ma ai due bambini ne parlava poco. Spesso raccontava le sue vecchie conquiste, senza scendere troppo nel dettaglio per preservare l'innocenza del piccolo Feliciano, ma raccontava anche altre storie d'amore, di dei o guerrieri antichi: Giove e Giunone, Giove e... be', molta gente, Apollo e Dafne, Apollo e Giacinto, Plutone e Proserpina, Achille e Patroclo, Teseo e Arianna, Ulisse e Penelope, Giasone e Medea, Alessandro Magno ed Efestione, Perseo e Andromaca, ma anche storie non provenienti dal mondo classico, anche storie bibliche, come la storia di Abramo e Sarah, Dalila e Sansone, o la storia scritta da un inglese, la preferita di Feliciano perché ambientata a Verona, la storia di Romeo e Giulietta, o ancora una storia proveniente dall'Oriente, la storia delle Mille e una Notte... insomma, storie provenienti un po' da tutto il mondo, Lovino si chiedeva sempre come facesse a conoscerne tante, provenienti da posti di cui aveva sentito appena il nome. Avrebbe avuto la risposta anni dopo, alla morte del Nonno. Storie che non sempre finivano bene, anzi; storie che avevano tanto fatto pensare Lovino, che pure di amore ne sapeva poco, e ne voleva sapere di più; lo incuriosiva quel sentimento, perché se davvero rendeva tristi e faceva soffrire, un esempio era stato suo padre, allora per quale motivo la gente continuava ad innamorarsi? Il nonno gliene aveva parlato a lungo, rispondendo a ogni sua domanda con un'altra storia, che non faceva altro che crearne altre.
Una volta, Romolo gli aveva accennato a quello a cui si riferiva sempre come il suo grande Amore, con la A maiuscola, specificava. Gli disse che aveva amato un uomo così tanto, che aveva creato un rapporto così stretto e intenso con lui, che era in grado di capire cosa stesse per dire prima che lo dicesse. Lovino non ci aveva creduto, e il nonno aveva riso della sua espressione corrucciata, sedendosi accanto a lui, mentre Feliciano già dormiva nel letto affianco.
"Il legame tra due innamorati è molto speciale, Lovinus" lo chiamava sempre così, latinizzando il suo nome, e faceva lo stesso con Feliciano "è qualcosa di strano. Non te lo saprei spiegare, ma spero che un giorno lo capirai e troverai qualcuno che te lo faccia capire" gli fece un buffetto sulla guancia, facendolo ridere "certo, non tutti ne hanno bisogno per vivere: prendi Diana, per esempio. Rinunciò per sempre all'amore e visse contenta così. Ricordati che non tutti lo trovano, o ne hanno bisogno, e non sempre si tratta di una sola persona. Ma se lo trovassi, Lovinus, non fartelo scappare, per nessun motivo, capito? Certo, magari avrai tanti amanti, come me, e non ne dubito, visto il bel faccino che ti ritrovi" ridacchiò "preso da me, ovviamente. Ma l'amore, quello vero, lo riconoscerai subito. Si crea una simbiosi perfetta, è quella che ti fa capire di essere con la persona giusta. Succede in un attimo, Lovinus. Magari pensate la stessa cosa, o vi terminate una frase a vicenda, o ti accorgi che l'altro è entrato nella stessa stanza senza neanche bisogno di guardare, o ancora ti rendi conto di sapere esattamente cosa sta per dire; insomma, c'è un legame, qualcosa di forte, come le vostre anime si fossero legate e comunicassero tra loro. Ed è lì che ti accorgi che provi qualcosa di davvero forte, che è amore vero" Lovino aveva annuito, anche se non aveva capito davvero.
Le parole del nonno gli ritornarono in mente la mattina successiva a dove li abbiamo lasciati, quando si risvegliò nello stesso istante di Antonio.
La sera prima era tornato a dormire da lui, e quando era sgattaiolato nella sua camera aveva trovato davanti a sé lo spagnolo, inginocchiato ai piedi del letto a pregare, il crocifisso in argento che portava sempre al collo tra le mani. Imbarazzato per aver trovato l'altro in un momento così intimo, stava per uscire, quando Antonio si era voltato a guardarlo, e gli aveva sorriso, facendogli cenno di affiancarlo. Allora Lovino si era inginocchiato affianco a lui, aveva preso la sua croce in legno e si erano presi per mano, mentre con l'altra reggevano la croce. Avevano pregato insieme, in silenzio, e per qualche motivo Lovino ebbe la sensazione che stessero pensando le stesse cose. Avevano riaperto gli occhi nello stesso istante e si erano guardati, e Antonio gli aveva sorriso prima di sporgersi a baciarlo. C'era stato qualcosa in quel bacio, una sorta di dolce sacralità, quasi che avessero giurato il loro amore davanti a Dio stesso. Un bacio benedetto in un mondo che non lo considerava tale.
Erano andati a letto e lì, sotto le coperte, si erano baciati, tanto, si erano coccolati, si erano stretti, con una dolcezza unica; praticamente non avevano parlato, sembrava che sapessero ciò che l'altro pensasse o volesse senza bisogno di dirselo. Si erano addormentati così, abbracciati, insieme, e il giorno dopo si erano svegliati nel medesimo istante. La prima cosa che Lovino vide furono gli occhi verdi di Antonio, e, ancora troppo assonnato per indossare il solito broncio, sorrise, incontrando poi le sue labbra a metà strada per un bacio di buongiorno.
Fu mentre si vestiva, dopo che l'altro se n'era già andato, che Lovino ricordò le parole del nonno, e realizzò di essere fottuto.

Decise quindi di sfogare la sua rabbia e la sua ansia contro le foglie secche del giardino, rastrellandole via con forza.
-dannato spagnolo- brontolava -dannato vecchiaccio, dannato crucco e...- emise un gemito frustrato, lanciando il rastrello e sedendosi a terra, accanto a un vecchio Cupido di marmo, che sottoforma di bambino stava per scoccare una freccia; lo guardò male -è tutta colpa tua, maledetto- sbuffò, stringendosi le ginocchia al petto e seppellendoci il viso -sono nella merda. Siamo nella merda. Adesso è solo questione di tempo prima che qualcuno ci scopra e ci denunci, così finiremo in galera e Feliciano morirà di fame, o peggio, e visto che pure il bastardo finirà in galera, tutti quanti qui rimarranno per strada, e tutto per colpa mia e di questo bimbo di merda che ha lanciato le sue cazzo di frecce!- sospirò, buttando la testa all'indietro e distendendo le gambe lunghe e ossute nell'erba secca. Negli ultimi mesi sia lui che Feliciano avevano ripreso peso, ma erano sempre stati mingherlini; Antonio lo prendeva in giro per la sua magrezza, dicendo che sarebbe bastato un soffio di vento a farlo volare via. Lo spagnolo invece era perfetto: il fisico asciutto, il petto, le braccia, le gambe muscolose e abbronzate, e poi aveva quei riccioli mori e quegli occhi verdi, per non parlare del sorriso, che gli facevano perdere la testa. Aveva poi un orecchino dorato all'orecchio, che di solito i ricci coprivano- Lovino pensava dovesse darci un taglio, per quanto amasse passarci le dita in mezzo erano ingestibili- ma che aveva notato mentre si facevano le coccole. Quando gli aveva chiesto da dove venisse, quello era arrossito e aveva ammesso di esserselo fatto una sera, da ubriaco, insieme a Gilbert e Francis (il francese, a quanto gli aveva detto, si era fatto un tatuaggio sulla schiena, mentre il tedesco reggeva l'alcool così bene da non essersi fatto nulla, ma non abbastanza da bloccare gli amici. Secondo Lovino, e mi sento di concordare, lo aveva fatto a posta per farsi due risate); Lovino aveva scosso la testa divertito, e poi si era sporto a baciarlo, dandogli dell'idiota.
Pensando allo spagnolo, un sorriso dolce gli spuntò a forza sulle labbra, ma Lovino lo fece morire non appena se ne fu accorto. Con un sospiro stanco, si alzò e riprese a rastrellare.
Quel giardino era veramente bello. Piuttosto grande, circondava tutta la villetta fino al cancello. Intorno ad esso c'erano una fitta serie di alberelli, con sotto delle aiuole piene di fiori secchi e morti. Lungo il vialetto d'ingresso, c'erano dei cespugli morti e secchi, e tutto intorno alla casa e dietro si formava una fitta foresta di alberi, ora senza foglie. Tra la casa e il cancello c'era un grande prato, era lì che Lovino stava rastrellando. C'erano statue di marmo sparse in giro e persino una fontana, che però non funzionava più e Lovino si era ripromesso di provare ad aggiustarla. Un tempo quello spazio doveva essere stato un orgoglio per i padroni di casa, ma dagli altri servitori Lovino era venuto a sapere che, in seguito alla morte dei proprietari, la villa era stata donata allo stato, che dopo qualche anno l'aveva messa a disposizione del generale Carriedo per il suo periodo a Napoli. Anni senza cure avevano rovinato il giardino, e nessuno si era preoccupato di rimetterlo a posto, ma Lovino aveva tutta intenzione di rimediare; voleva rendersi utile, e poi gli dispiaceva che un luogo così bello versasse in uno stato così pietoso. E poi, dietro alla casa gli alberi si facevano più fitti e alti, e quello sarebbe potuto essere un bellissimo nascondiglio per lui e Antonio, magari in estate...
Scosse la testa. Non doveva pensare al bastardo. Doveva concentrarsi sul suo lavoro, prima che i loro sentimenti diventassero troppo evidenti. Doveva...
-veee, fratellone!- esclamò Feliciano, correndogli incontro e facendogli venire un infarto.
-Feli! Non si arriva alle spalle della gente così, per la miseria!- si costrinse a non dire qualcosa di più forte, solo perché quello davanti a lui era il suo piccolo e innocente fratellino, con il cucciolo di crucco alle spalle.
-veeeee, scusa fratellone, ma visto che è una bella giornata io e Luddi abbiamo pensato di venire a giocare fuori, possiamo? Eh? Ti prego, fratellone, ti prego!
-e va bene- sbuffò -ma non fate casino e non andate nel boschetto, potreste perdervi.
-ve, grazie fratellone!- si mise in punta di piedi e gli lasciò un bacio sulla guancia, per poi correre dall'amichetto.
Lovino sospirò e tornò al suo lavoro, fin quando non alzò lo sguardo sul vialetto di uscita e lì, sul punto di salire su una carrozza, c'era Antonio. Sentendo il gelo invadergli lo stomaco, Lovino realizzò che lui sapeva che l'altro era lì. Antonio sollevò lo sguardo verso di lui e gli sorrise, facendogli un occhiolino. Lovino distolse lo sguardo e non vide il sorriso dell'altro morirgli sulle labbra, prima che salisse sulla carrozza.

Lovino sapeva dove l'avrebbe portato quella carrozza. A sedare qualche rivolta, o a punire qualche ribelle, o ancora a controllare le prigioni. A sedare le rivolte a cui lui aveva partecipato, a punire qualcuno ribelle come lui era stato, a controllare le prigioni dove lui aveva rischiato di finire.
L'italiano serrò le dita sul manico del rastrello, e trattenne un singhiozzo. Si era innamorato dell'ultima persona sulla terra per cui avrebbe dovuto provare qualcosa di diverso dall'odio, e non sapeva come porci rimedio. Un amore impossibile o un sogno irrealizzabile? Una vita nascosto, ad amare in silenzio, o una morte da ribelle, per un'Italia libera? Come avrebbe potuto scegliere?
Se fosse morto, Feliciano sarebbe rimasto solo. Eppure... eppure il dubbio lo logorava, e lo logorò per giorni, settimane, fino a diventare ingestibile. Antonio l'aveva notato, ma non aveva fiatato, perché sapeva che non gli avrebbe detto nulla. Anche Feliciano lo sapeva, ma lui, a differenza dello spagnolo, conosceva bene i demoni che tormentavano il fratello: erano gli stessi che gli facevano tremare le ginocchia ogni volta che vedeva la bandiera spagnola, ogni volta che Antonio usciva per andare a lavorare, ogni volta che vedeva la carrozza venire a prenderlo.
Una sera, i demoni presero il controllo e rovinarono tutto.
-Lovino...- erano sdraiati sul letto, accoccolati, quando lo spagnolo lo chiamò. Senza usare nomignoli idioti o diminutivi, solo con il suo nome, e questo bastò a farlo allarmare -sei inquieto in questi giorni, più scontroso, più chiuso. Che hai?- gli accarezzò il viso, gli sfiorò le labbra con il pollice -è successo qualcosa?
Lovino fece un sorriso amaro.
-davvero non lo capisci?- lo baciò, a lungo e lentamente, perché sapeva che la discussione che stava per arrivare sarebbe stata dolorosa, e aveva bisogno di farsi forza; e poi aveva un brutto presentimento, un nodo nello stomaco che sembrava dirgli di farlo finché ne avesse avuto la possibilità -Antonio, ti sei dimenticato una cosa importante. Io sono italiano. Sono un ribelle, uno di quelli che tu arresti e uccidi ogni giorno, uno di quelli che sognano un'Italia libera. Come pensi che mi possa sentire qui, nel letto di uno degli oppressori? Come pensi che mi senta a farmi toccare dalle stesse mani che hanno ucciso i miei connazionali, i miei fratelli?
-ma tu mi ami- replicò Antonio, come se quello risolvesse tutto.
-è questo il problema!- esclamò Lovino, alzandosi dal letto e camminando avanti e indietro per il nervosismo -sono cresciuto sentendo parlare della mia Italia, del mio paese, come una dama rapita da spagnoli e crucchi. Sono cresciuto con le storie di quando eravamo noi, di quando era Roma a essere al centro del mondo. Sono cresciuto sognando il giorno in cui avrei visto l'Italia unita sotto un'unica corona, una corona nostra, una corona italiana. Per tutta la vita, tutta la mia cazzo di vita, sono sempre stato pronto a morire per il mio dannato paese, per liberarlo dagli invasori, per... per liberarlo da voi. Pensi che non abbia mai partecipato a qualche rivolta?- fece una risatina amara -Antonio, ho perso notti insonni nei bar a organizzarle le dannate rivolte, ma sono riuscito sempre a svignarmela. Pensi che ti abbia tirato quel pomodoro così, per sfizio? No, cazzo, l'ho tirato perché in te vedevo l'ennesimo spagnolo imbecille venuto a cercare di sbattermi in galera, e lo sei. Tu sei l'ennesimo spagnolo imbecille venuto a cercare di sbattermi in galera, solo che sei stato così idiota da assumermi e ora siamo finiti qui! E io ti amo, ti amo tantissimo, ogni giorno di più, ma amo anche il mio paese. Sento le voci, so quanta gente hai sbattuto in carcere o ucciso, so che le tue cazzo di mani sono sporche del sangue del mio paese, lo so benissimo, dannazione, eppure continuo ad amarti e a cercare di convincermi che vada tutto bene, quando non va tutto bene! Non va tutto bene, non è così: il letto su cui dormo, il cibo che mangio, questo tetto: tutto è stato pagato con il sangue dei miei connazionali! E io sono bloccato qui con te, e mi sento così in colpa ogni volta che sorrido, ogni volta che mangio, ogni volta che mi sento felice, perché so che per la mia felicità è morta della gente che chiamavo fratelli- fece una pausa per riprendere fiato. Stava venendo tutto fuori, era un fiume in piena; aveva il volto arrossato per la rabbia, la gola secca, e le mani che gesticolavano furiosamente. Antonio lo guardava confuso, e Lovino sapeva che non poteva capire, non avrebbe mai potuto farlo -Antonio scusami, ma non ce la faccio.
-aspetta!- Antonio corse giù dal letto e si mise davanti a lui, afferrandogli le mani -ti prego, rimani.
-non hai capito proprio nulla di quello che ho detto?
-hai detto che mi ami, e anche io ti amo. Dov'è il problema?- gli sorrise, sporgendosi a baciarlo, ma Lovino lo bloccò.
-il problema è che ci sono cose più grandi dell'amore. La vita non è una fottuta fiaba, non basta un ti amo per risolvere tutto. Ci sono cose che vanno oltre. Come ti sentiresti al mio posto, eh? Come ti sentiresti se io, per vivere, uccidessi o sbattessi in carcere spagnoli come te? Prova a metterti nei miei panni, per favore- sentiva gli occhi bruciare, con le lacrime sul punto di cadere -riusciresti davvero ad anteporre la tua felicità a quella di coloro che chiami fratelli?
Quello non rispose, ma Lovino vide che aveva gli occhi lucidi. Antonio serrò la presa sulle sue mani, poi la allentò -la scelta è tua- disse infine, e una lacrima gli cadde lungo la guancia.
-non è una scelta- gli asciugò la lacrima, si portò le loro mani intrecciate alla bocca e baciò il dorso di Antonio -mi dispiace- lo sussurrò, la voce rotta -mi dispiace tantissimo.
Poi si allontanò.
Si rivestì in fretta, senza guardare l'altro, che era ancora fermo lì, a pensare e a trattenere le lacrime. Avrebbe voluto dirgli di restare, pregarlo, implorarlo, stringerlo, baciarlo, urlare che tutto quello non era giusto, che non aveva scelto lui di nascere spagnolo, che non aveva scelto lui di unirsi all'esercito.
Ma tutto quello che gli uscì fu un -non ho mai ucciso nessuno- detto proprio quando l'italiano era sulla porta.
-questo non cambia le cose.
-lo so. Ma volevo che lo sapessi- Lovino si voltò un'ultima volta a guardarlo, e i loro sguardi si incontrarono nel buio, abbracciandosi come i due amanti non avrebbero più potuto fare.
-io...- all'italiano, non di nome ma di fatto, mancò la voce. Tossì -io me la caverò. Posso lasciarti Feliciano? Almeno per un po', finché non trovo un posto sicuro?
Antonio annuì.
-grazie. Di... tutto quanto- era imbarazzato, Antonio lo sapeva, ma non se ne curò. Dentro di sé sentiva solo il vuoto, un vuoto così enorme e devastante che non avrebbe saputo spiegarlo. Solo quando la porta si fu chiusa, entrambi si concessero di piangere.


Angolo autrice:
Ed è con questa nota felice (notare il sarcasmo) che vi annuncio che il prossimo sarà l'ultimo capitolo e, fidatevi, se ne vedranno delle belle ;)
Ringrazio di cuore coloro che recensiscono e in generale chi segue questa storia.
Preparatevi al finale, ci sarà da piangere.
A lunedì prossimo
Daly

   
 
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