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Autore: Sophie_Wendigo    27/04/2020    2 recensioni
- Lei, da bambina, di nascosto, leggeva storie di mare, di assalti, di tesori, di pirati, e si sentiva più viva che mai. -
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Una elaborazione del personaggio di Elizabeth Swann, con il pretesto dei vuoti fra film e fra scene originali, ma con un (grosso) pizzico di Sparrabeth :D
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Jack Sparrow
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Port Royal, agosto 1708
 
La luce flebile di una lanterna, coperta con una leggera sottogonna ricamata, illuminava appena la stanza buia della bambina. L’aria calda del giorno iniziava a barattare il suo posto fra le quattro mura con quella frizzante della notte, che si faceva strada all’interno attraverso la grande finestra spalancata, facendo frusciare le tende bianche.
Sedeva alla sua scrivania, le gambette che dondolavano dall’alta sedia intarsiata, di fronte a sé un libro dalle pagine ingiallite che riempiva gran parte del piano in ebano. 
Indossava un grosso cappello tricorno, con due lunghe e folte piume a lato, che aveva rubato molto tempo fa a suo padre, tanto grosso che ogni istante doveva tirarlo all’indietro perché non le finisse sugli occhi.
Non mancava sera in cui, una volta sistemata per la notte dalla balia, sgattaiolasse fuori dalle coperte ben rimboccate, una veloce rovistata nel baule dei giochi sotto al letto, e subito inforcava il suo amato cappello, poi provvedeva ad issare il suo libro preferito sulla scrivania, accendeva la lanterna e svelta svelta la copriva con la prima stoffa che trovava vicino a sé, così che nessuno si accorgesse che era ancora sveglia.
In quella calda estate era riuscita a scovare molti libri interessanti nella libreria di casa, leggendo aveva imparato che non tutto ciò che le raccontava suo padre era vero, soprattutto riguardo ai pirati: aveva scoperto che non sempre erano sporchi e ineducati, e di certo gambe di legno, uncini e bende nere non erano così comuni come si potesse pensare, al contrario, spesso vestivano alla moda per sfoggiare le loro ricchezze, e ogni Capitano che si rispetti portava un grosso cappello. Certo, magari erano crudeli e spietati come le diceva suo padre, ma cionondimeno vivevano tantissime avventure entusiasmanti, e agli occhi di Elizabeth, ancora piccola e innocente, certi dettagli perdevano di importanza in confronto a tutto quel mondo affascinante e misterioso raccontato nei suoi libri.
Chiuse la pesante copertina del suo libro, il titolo impresso nella pelle risaltò alla luce della lanterna: My Lyfe Amonge The Pyrates, by Capt. J. Ward.
Se c’era un’altra cosa che aveva imparato da quelle pagine, era che i pirati non se ne stavano sempre in alto mare, come insisteva nel sostenere suo padre, anzi spesso sbarcavano nei porti per spendere gli averi conquistati in rum o in donne, e da quando l’aveva scoperto, era diventata una sfida personale riuscire ad incontrarne finalmente uno. 
Quindi anche quella notte, come molte altre prima, continuò a leggere finché tutti i rumori della casa non cessarono, e quando le ultime luci si spensero e finalmente la chiave nella serratura della camera patronale scattò, segnale che il Governatore Swann si stava coricando, scivolò giù dalla sua sedia, infilò sopra la vestaglia da notte il suo sdrucito vestitino marrone con cui era solita giocare in giardino, indossò le scarpette più vecchie che aveva, si arrampicò sul bordo della finestra e si calò giù, dove sapeva esserci i rami di un solido albero ad attenderla.
Forse era proprio per quello che suo padre cercava in ogni modo di mitigare la sua eccessiva curiosità con bugie e storie spaventose, ma evidentemente, senza successo.
Benché la giovanissima età la rendesse avventata, non era certo una sciocca, da sempre si era dimostrata molto più intelligente di quanto ci si potesse aspettare. Sapeva bene che la sua città, la sua Port Royal, che conosceva a menadito, poteva sempre celare brutte sorprese per una bambina da sola, soprattutto per la figlia del Governatore, quindi prendeva tutte le precauzioni che una ragazzina di 8 anni potesse pensare: indossava i vestiti più lisi che avesse a disposizione, nascondeva i capelli lunghi sotto al grosso cappello di suo padre, e si premurava di non percorrere mai le strade principali.
Era la sua grande avventura, ogni notte in cui sgattaiolava fuori si sentiva come i personaggi dei suoi libri, come una pericolosissima ricercata che si nascondeva dalle guardie in una mirabolante evasione.
Scesa dall’albero si ritrovò nel giardino laterale, era la notte più buia che avesse mai visto, il cielo sopra di lei si era barricato dietro una fitta coltre di nuvole, ma il suo itinerario era lo stesso da molte notti e avrebbe potuto ripercorrerlo ad occhi chiusi ormai. 
Si fece spazio in un punto preciso nelle fitte siepi che correvano lungo le mura perimetrali della proprietà del Governatore, proprio in quella zona la parte alta del muro in pietra si era sgretolata, fornendole l’appiglio giusto per issarvisi sopra e scivolare dall’altro lato, verso la libertà.
Proseguì sul declivio che scendeva verso la città, rimanendo ben nascosta nell’erba alta finché non incontrò le prime abitazioni, e ancora avanti, scivolando nelle intercapedini fra le varie costruzioni, evitando vicoli e strade principali e tenendosi ben lontana da chiunque.
Continuò a destreggiarsi nella selva di edifici fin quando non raggiunse il suo obbiettivo: la vecchia taverna del porto. 
Se aveva una chance di incontrare un pirata, quello sarebbe stato il posto, che sembrava uscito direttamente dalle descrizioni dei suoi libri.
Raggiunto il retro della taverna già poteva sentire le voci concitate di marinai e cortigiane, quindi si sistemò sopra il cassone di legno in cui i proprietari gettavano i rifiuti dopo la chiusura del locale, da lì, senza essere notata, poteva avere una buona visuale sull’interno attraverso le fessure fra le vecchie assi della parete. 
Le bastarono pochi istanti per capire che quella sera un argomento ben preciso era sulla bocca di tutti.
Intravide da subito un tavolo attorno a cui si erano riuniti gran parte degli avventori: da un lato sedeva un omone rubicondo, le labbra nascoste da folti baffi giallastri, in una mano un boccale e nell’altra una penna d’oca, con cui scribacchiava svogliatamente su un taccuino; dall’altro lato del tavolo, in piedi, c’erano un marinaio e quella che sembrava la sua giovane consorte, visibilmente turbata.
Racimolando stralci di frasi nel clamore della taverna, intuì che doveva trattarsi di un capitano di qualche nave mercantile alla ricerca di nuovi membri per la sua ciurma, il giovane pareva essersi appena arruolato, e la sua compagna sembrava averlo colto sul fatto e non esserne troppo felice.
“Vi prego signore, fatemi partire con voi. So stare su una nave, mio padre era marinaio, pulirò e cucinerò per voi, vi prego!” Cantilenava la ragazza, prima sbattendo le mani sul tavolo, poi aggrappandosi al fidanzato. “Non puoi lasciarmi qui da sola, non di nuovo! Diglielo anche tu, sarà come non avermi a bordo, so come comportarmi.” Lui di tutta risposta distoglieva lo sguardo, rosso in viso, ma non per l’alcol. 
“Non se ne parla.” Sbottò infine l’uomo baffuto, dopo essersi concesso un ultimo sorso di quello che con tutta probabilità doveva essere rum. “Ve l’ho già detto, non voglio donne sulla mia nave.”
Tutt’attorno si levarono molti commenti d’assenso: porta sventura, diceva qualcuno, non avrete giorno senza tempeste con una donna a bordo, faceva eco qualcun altro. La ragazza iniziò a singhiozzare, ma rimase inascoltata fra i mille strambi aneddoti sull’argomento che si accavallavano fra loro.
Fra tutte, si levò una voce, che per qualche ragione sembrò catturare l’attenzione di tutta la taverna.
“Sapete la vera ragione per cui non si accettano donne a bordo?” Seduto ad un tavolo sul fondo della sala, poco più di vent’anni a giudicare dal tono e da quel poco che Elizabeth riuscì a intravedere, era vicinissimo a lei ma le dava le spalle, aveva i capelli piuttosto lunghi, scurissimi, legati sulla nuca da un nastro rosso, sul tavolo un tricorno di pelle.
“E tu che ne sai, ragazzo?” Biascicò qualcuno che aveva bevuto un bicchiere di troppo.
“E’ una storia antica, in pochissimi ne conservano memoria. Me l’ha raccontata una strega cui ho visto fare magie inspiegabili, ben più incredibili di questa storia. È una fonte certa.” Sapeva destreggiarsi bene con le parole, notò divertita la bambina, che sempre più curiosa cercava di rubare quanto più possibile dalle fessure da cui sbirciava. Il ragazzo buttò giù una sorsata dal suo boccale, giocando sapientemente con l’aspettativa che aveva creato, mai quella taverna era stata così silenziosa e attenta.
“Immagino che non molti di voi conoscano Teuta, Regina d’Illiria. Che non sia d’offesa a nessuno di voi gentiluomini, sia chiaro. Colpa del tempo, che non è stato clemente con questa storia che ha il sapore della leggenda.” Si sistemò meglio sulla sedia, poggiandosi allo schienale con un fare spavaldo che Elizabeth non aveva mai visto prima.
“L’Illiria è una regione sulle coste della Grecia, e ai tempi di questo racconto era popolata da tante piccole tribù di pescatori, Teuta finì in sposa al re di quelle terre, che morì poco dopo lasciandole in mano un regno povero e affamato. La giovane donna non era una sprovveduta, figlia di marinai, era scaltra e di carattere forte, e si concentrò sull’unica forza che aveva a disposizione: il mare. Fu la prima a promuovere la pirateria, e così facendo il suo popolo si arricchì a dismisura, fino ad essere notato dall’Impero Romano.” Tutta la taverna pendeva dalle labbra di quel ragazzo, anche Elizabeth ascoltava meravigliata, e quando quella storia iniziò a parlare di pirati, si aggrappò alle travi entusiasta e incredula.
“Inviarono una prima flotta per spodestarla e rubarle le sue ricchezze, ma fu accolta da venti sfavorevoli e tempeste spaventose, tanto che valse alla Regina Pirata anche il nome di strega fra i Romani, i cui sacerdoti ritennero che questa avesse assoggettato il mare stesso al suo servizio. Nonostante le difficoltà, le grandi e potenti flotte romane riuscirono comunque a circondare le sue coste, e la superba Regina Teuta, consapevole dell’imminente sconfitta, si giocò l’ultima carta che aveva. Ordinò ai suoi uomini di preparare la sua nave, e di fondere quanto più oro e metalli preziosi riuscissero a trovare nel suo palazzo. Una volta sulla sua imbarcazione, senza il minimo ripensamento e senza neppure un lamento, si fece colare addosso i metalli fusi, che la cristallizzarono per sempre sul ponte. Infine, come ordinato, i suoi uomini avviarono la nave verso la flotta romana. Si immolò per il suo popolo: face leva sulla superstizione dei suoi avversari, che vedendo arrivare quella nave vuota, capitanata dalla spaventosa statua della sua superba regina suicida, pirata e strega, la interpretarono come un cattivo presagio, e per non aizzare ancora il mare suo servo, si allontanarono per giorni, dando il tempo al popolo d’Illiria per mettersi in salvo.” Terminata la storia, il ragazzo inforcò il cappello di pelle e si alzò, il boccale sempre stretto in una mano. Attraversò la taverna ancora avvolta in quel silenzio vigile, e con un passo dondolante e al tempo stesso irriverente raggiunse il tavolo dove la giovane fidanzata aveva finalmente smesso di singhiozzare. 
“Teuta era forse una strega? No di certo, la verità è che quelle acque sono tutt’oggi odiose da navigare, imprevedibili come i venti che scendono da nord portando continuamente tempesta. Da quegli eventi nacque la tradizione di tenere sempre ben lontane le donne dalle navi, quando in verità, la loro unica colpa è che sono più scaltre di noi, e sanno sempre il modo migliore per fregarci. Ma conviene di certo dire che portano sventura e che causano l’ira dei mari. Dovete ammetterlo, suona molto meglio così.” Commentò con leggerezza, e non curante del malcontento che iniziò a serpeggiare fra gli uomini, si posizionò al fianco della ragazza, i cui occhi si erano illuminati per la prima volta da un sorriso.
“Ciò detto, mia cara, potete scordarvi che vi facciano imbarcare. Oltretutto, visto come non vi ha difesa, temo che il vostro innamorato non desideri poi molto la vostra compagnia. Non piangete, troverete di certo un modo per fargliela pagare.” Le mise fra le mani di nuovo tremanti di rabbia il suo calice ancora pieno, fece una breve reverenza a lei e al suo compagno calandosi un po’ di più sugli occhi il cappello, e tornò indietro verso il suo tavolo, mentre la taverna esplodeva nel consueto clamore assordante.
Elizabeth era rimasta a bocca aperta per tutto il tempo, affascinata da quel ragazzo misterioso, che poteva sembrare come uno dei soliti frequentatori del posto, ma che invece si era dimostrato una nota stonata nella sgraziata sinfonia di quella bettola, con modi di fare insoliti, capace di fare discorsi carismatici con parole che non si addicono ad un semplice marinaio, e che per giunta parla con disinvoltura di pirati… un pensiero iniziò a farsi strada nella testa della bambina.
Adesso il giovane era ad un passo dal suo tavolo, il volto basso coperto dal bordo del grosso cappello, Elizabeth premé il naso contro le assi di legno cercando di migliorare la sua visuale attraverso la fessura più grossa che riuscì a trovare, sperando di potergli strappare altri dettagli che avvalorassero il suo pensiero. 
All’improvviso, poco prima che raggiungesse la sua sedia, il ragazzo cambiò direzione di scatto. 
La piccola ci mise un istante a capire, e incredula, si tappò la bocca con entrambe le mani.
Gli occhi di lui, iridi scure come quella notte nuvolosa, si puntarono in quelli di lei, attraverso la fessura nel legno che fino ad allora l’aveva celata. 
“Piaciuta la storia?” Come diavolo avesse fatto a scovarla, Elizabeth non se lo spiegò mai. Non si mosse, gli occhi spalancati in un misto di paura ed eccitazione, la mente che correva veloce, che si dibatteva sul da farsi. Era un occasione più unica che rara, lo sapeva, e non riuscì a trattenersi oltre.
“Sei un pirata?” Quella domanda le uscì come un soffio dalle labbra. 
Poté giurare che l’altro sorrise.
“Secondo te?”
  
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