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Autore: Manu_00    29/04/2020    6 recensioni
Il mondo è un luogo molto grande, e in un luogo molto grande sono presenti tanti, tantissimi individui, alcuni comuni, alcuni singolari, e alcuni estremamente particolari.
E poi ci sono io, che non saprei dire con certezza in quale di queste categorie inserirmi.
Se me lo avessero chiesto all'inizio di questa storia, avrei risposto senza esitare di appartenere alla prima, ma il tempo ti cambia, e anche se adesso dubito di potermi definire una persona particolare, di certo, quel che è successo, la mia storia, di “particolare” ne ha da vendere, o almeno così mi piace pensare.
Forse la risposta è che sono una persona comune a cui sono successe cose particolari, ma lascerò a voi che leggete il compito di giudicare, io, d'altro canto, mi limiterò a raccontare.
[Storia presente anche su Wattpad: https://www.wattpad.com/590152446-jiid-story-of-a-thief-prologo]
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XLIX


Hai presente quando non puoi fare a meno di ricordare qualcosa, anche se ti fa malissimo ricordarla?
Ecco, questo non è il caso, ho vissuto benissimo fino a una settimana fa facendo a meno di ricordarlo, ma no, sei dovuto entrare in casa mia e tirare fuori questa informazione dalla mia mente, non hai un minimo di pietà?
Cosa? È stata una mia idea? Ovvio! Ma quale assistente che non si rispetti sa quando è il momento di guardare in faccia il suo datore di lavoro e dire “No, non sei pronto per questo”?
Ah è così adesso non sei nemmeno il mio dottore?
Beh su questo non avevo dubbi visto il tuo continuo attentare al mio benessere psicofisico, coniglio nero del malaugurio!
Dovresti ringraziarmi che non ti decurto lo stipendio! Sì Deryck, lo so che zero meno qualsiasi cifra fa sempre zero, so contare anch'io sai?
Uff... ok perdonami, credo che tutto questo riportare alla mente cose dolorose, cose terrificanti, o cose dolorose e terrificanti assieme non mi stia facendo bene.
Voglio dire, da quando abbiamo iniziato questo racconto ho rivissuto parecchi ricordi spiacevoli... ma questo li batte tutti, mai in tutta la mia breve e insignificante esistenza mi ero sentito così oppresso da un mostruoso, ineluttabile, schiacciante senso di terrore, di inutilità, di... tutto.
Ho detto di aver vissuto bene per anni senza pensarci, ma mentirei se non dicessi che credo di risentire ancora in qualche modo degli effetti di quell'incontro terribile... o di tutti quanti messi assieme.
Ci sono momenti, in cui quando sono da solo con me stesso, non posso fare a meno di sentirmi come se tutto quello che ho sia destinato a sfuggirmi di mano, forse per mano di uno strafottuto mostro lupo gigante che vola e caga fulmini dalla bocca, forse per un banale incidente d'auto.
Eh, certe ferite nemmeno il tempo sa guarirle, ed io non mi sono mai voluto prendere la briga di quanto fosse grave la loro entità, posso definirmi una persona normale Deryck?
No? Grazie di nulla amico mio.
Ma non hai tutti i torti, questa paranoia mai sopita e che ogni tanto torna a tormentarmi non è qualcosa che dovrebbe essere lì... sai che credo di avere una lieve fobia dei temporali?
No, nulla di spassoso, non urlo quando sento i tuoni, né mi nascondo sotto le coperte a sperare che finisca... ma non manco mai di portarmi un ombrello dietro quando esco, dovesse anche essere il giorno più soleggiato del mondo io terrò sempre quell'ombrello dietro il sedile dell'auto, e quando capiterà di piovere, e ci sarà un po' di vento, e si possono avvistare dei flash biancastri all'orizzonte, non posso fare a meno di stringere a me quel fottuto ombrello come se fosse uno scudo neanche fossi una vecchietta che ha paura di tirare le cuoia una volta per tutte.
Ogni. Singolo. Giorno.
Ma considerando quanto ho passato direi che tutto sommato una lieve e forse nemmeno fobia dei temporali ed un occasionale senso di inquietudine sono ben poca roba rispetto a tutto quello che poteva capitarmi fra il perdere la vita o il rimanere orribilmente mutilato.
Insomma, per certi versi potrei dire di essermela cavata a buon mercato, certo, meglio sarebbe stato se non avessi avuto niente da cui cavarmela a buon mercato o meno.
Ma qui... sto divagando, e comunque di queste cose più che con te dovrei discuterne con il mio analista.
Veniamo a ciò che tutti si stanno chiedendo... cosa è successo dopo? Come fece Ion a sopravvivere al drako, una delle creature di morte più rare (e menomale) e pericolose che ci siano?
Questo nemmeno Ion lo sa, sinceramente.
E con altrettanta sincerità devo confessare che ancora oggi faccio fatica a mettere ordine negli eventi, quello che accadde su quella collina fu così veloce e così devastante che se i miei occhi sono riusciti a registrare qualcosa di più di quanto mi sto accingendo a descrivervi, probabilmente il mio cervello ha avuto il buon senso di cancellare il tutto.
Grazie cervello, allora mi vuoi bene almeno te.
Scusate, scusate, cerco di stemperare il nervosismo.
Il punto è che è... molto fatico pensarci.
La morte, mai come allora l'avevo avvertita così vicina, così vivida, avevo superato vari scontri e varie situazioni più che mortali, ma lì potevo sempre contare su qualcosa, la mia semblance, i miei amici, le forze dell'ordine che tanto ero abituato a insultare, una via di fuga la trovavo sempre.
Ma con Beacon avevo imparato che per quanto fossi bravo a scappare, ciò non sarebbe contato nulla in un mondo dove non c'erano più luoghi sicuri per nascondersi.
Dopo la caduta dell'accademia avevo vissuto con il terrore che come allora, sarebbe arrivato qualcosa che avrebbe abbattuto qualsiasi muro dietro il quale potessi nascondermi, che avrebbe annientato qualsiasi esercito in cui mi sarei rifugiato.
Prima chiamavo questo terrore paranoia, ma quando vidi il drako, dovetti chiamarlo realtà.
Drako.
Questo è il nome di quel grimm, di quella personificazione della morte che aveva deciso di punirmi per i miei peccati, inseguendomi in testa ad un'armata di nuvole nere, cavalcando la tempesta e scuotendo la terra con il suo ruggito.
Ricorderò per il resto della mia vita l'orrore che provai nell'averlo davanti agli occhi, nella consapevolezza di aver trovato quel mostro a cui non sarebbe importato dove mi sarei nascosto e quanti uomini ci avrebbero diviso: lui avrebbe abbattuto ogni ostacolo e mi avrebbe trovato, avrebbe privato questa piccola pulce di ogni nascondiglio e l'avrebbe schiacciata, se non lui, gli altri grimm che popolavano una Remnant sempre meno sicura.
E questa consapevolezza, signori miei, era più terrificante di qualsiasi zanna affilata, occhio senza pupilla e innaturale accoppiamento fra lupo e serpe.
Se dopo Beacon la gente era convinta che il mondo fosse prossimo alla fine, che presto sarebbe giunta l'apocalisse, lui doveva esserne l'araldo.
Un araldo grande come un titano, e la tempesta era il suo esercito.
I momenti che seguirono permangono ancora nella mia mente, confusi, ridotti a immagini distorte, irregolari e non consequenziali.
Vorrei tanto poter dire che riuscimmo ad ammazzarlo, che salvammo Remnant da quell'essere mostruoso, ma successe tutt'altro che quello.
Vorrei anche poter dire che riuscimmo ad opporre resistenza, a farci valere, a tenere alta la speranza del genere umano ed altre stronzate lì, ma così non fu.
Il drako agì come il dio della morte che era, spalancò le immense fauci, e il suono che fece non lo scorderò mai: grave come un ululato, ma fischiante come un sibilo, più forte del vento e dei tuoni, mi tenni le orecchie come se stessero per esplodere, pregando gli dei che tanto rinnegavo e rinnego tutt'ora di porre fine all'incubo.
Ovviamente, se li rinnego ancora, un motivo c'è, cioè che da loro non venne nessuna risposta, non che ne fosse mai giunta una prima di allora, non che io credessi in loro, eppure, supplicai a mente il loro aiuto, aggrappandomi a quell'unica e patetica speranza che mi rimaneva.
Ma cos'è una patetica fantasia da bambino di fronte alla mostruosità del mondo reale?
Perché certamente le mie preghiere o quelle di chiunque altro non servirono a niente contro il grimm, non servirono a niente quando il drako calò su di noi come un castigo celeste.
Non servirono a molto nemmeno i proiettili di polvere che gli spararono contro come dei disperati, e non servì l'eroismo di chi gli si lanciò addosso provando ad infilzarlo, non che abbia la certezza che sia successo, visto che mi trovai presto a dargli le spalle.
Ma farlo non mi salvò dall'orrore, il drako era più veloce di me e più veloce dei miei stessi occhi.
Si lanciò sul piccolo esercito, senza però fare nulla di particolarmente eclatante.
Non sparò un raggio fulminante dalla bocca, non fece spuntare delle zampe dalla sua coda per metà di squame e per metà di peli, non avvolse l'intera base fra le sue spire per poi stritolarla e demolirla.
No, si limitò a volarci sopra, come se fossimo poco più che scarafaggi.
Non aveva bisogno di impegnarsi ad uccidere: la tempesta fece tutto per lui.
Come un mantello di tenebra e morte, le nubi scesero su di noi assieme al drako, avvolgendone il corpo come un'armatura e da esse violentissime scariche elettriche si riversavano sulle file della Compagnia, fulminando, incendiando, carbonizzando qualsiasi cosa sul loro cammino.
Erano fulmini, fottuti fulmini, un'immensa rete elettrica che avvolgeva il corpo del mostro e sterminava ogni forma di vita in sua prossimità.
Io gli avevo dato le spalle, e non vidi il drako calare sulla base abbandonata come uno tsunami, non vidi il suo percorso né se si fermò a divorare qualcosa, ma nella mia corsa, ovviamente con la semblance rigorosamente attiva, vidi quello che bastava.
Sentii le urla di chi moriva fulminato e veniva lasciato a terra con la pelle annerita e il corpo agonizzante, vedevo gente dalle braccia, la faccia, il torso e qualsiasi altra parte del corpo elencabile coperta di nero e spaccata in più punti volarmi davanti come un burattino dai fili tagliati.
Non si sfuggiva ai suoi fulmini, ma per persone come me la morte sarebbe stata istantanea, il colpo avrebbe distrutto la nostra aura all'istante e la nostra vita subito dopo, ma chi era veramente forte, non moriva subito, la sua aurea ammortizzava un po' il colpo, abbastanza da non farlo morire, ma troppo poco per permettergli di vivere.
Mai prima di allora provai così tanta pena per i combattenti.
Nella mia forma intangibile, correvo in mezzo all'abisso di morte, mentre corpi dai volti noti e meno noti mi vorticavano attorno prima di cadere esanimi a terra.
Scavalcai, anche se potevo tranquillamente passarci attraverso, un corpo che ricordava molto quello di Florent, con la coda dell'occhio vidi la famigliare veste scura di Bercen volarmi sopra con il fianco sinistro disintegrato dal fulmine, e da qualche parte udii lo sbraitare autoritario di Crox e il latrare di decine di lupi, prima che le nubi avvolgessero l'intera zona e facessero calare un oceano di nebbia e silenzio su tutti noi.
Beh, silenzio relativamente parlando, sentivo ancora le voci, le urla, il suono della pioggia e delle pozzanghere, ma il tutto era come ovattato, come se stesse succedendo in una camera chiusa alla cui porta avevo appoggiato l'orecchio.
Pensai a Beacon, quante discussioni origliate nei corridoi, passando da una stanza all'altra?
Ma ora non ero a Beacon, ora ero nel reame della nebbia e della morte, della tempesta e della paura.
Ma io ero Ion, Ion lo l'Intangibile, Ion lo Spettro, Ion il Ladro.
Chiusi gli occhi, li chiusi come solo un bambino terrorizzato dal mostro nell'armadio saprebbe chiuderli, o come un orfano di Mantle che rovista nella sporcizia cercando di non pensare a cosa sia quell'oggetto dalla consistenza umida e scomposta su cui ha poggiato la mano destra.
E corsi, corsi lasciandomi alle spalle il reame della nebbia e della morte, e della tempesta e della paura, le mie orecchie divennero sorde ai fulmini, alle urla, a quel verso a metà strada fra l'ululato e il sibilo.
Li riaprì nel buio totale, no, non erano le mie orecchie ad essere diventate sorde, era il mio corpo ad essere entrato nella viva roccia che componeva la grotta di cui avevamo attraversato il passaggio segreto.
Avrei dovuto preoccuparmi del fatto che se avessi esaurito la mia aura, già non al top, al suo interno sarei potuto morire in maniera veramente patetica, intrappolato in mezzo a strati e strati di roccia fino al soffocamento.
Ma al momento la mia mente terrorizzata pensava solo ad allontanarsi dalla morte fatta grimm, allontanarsi il più possibile, il più rapidamente possibile ed il più efficacemente possibile.
Quindi richiusi gli occhi e continuai a correre, a correre fino a quando non tornai a sentire i suoni.
Quando tornai a sentire, rimpiansi di non essere rimasto a sicuro in quell'utero di roccia, protetto dal male del mondo e da quel grimm così ansioso di mietere vite, ma la mia sanità mentale non era così compromessa dal concepire seriamente un simile approccio, così come non avrebbe concepito di tornare nel passaggio segreto, perché anche ammesso che quel grimm non potesse per ovvie ragioni entrare al suo interno, non era detto che non avrebbe trovato il modo di farmi del male in altri modi... o che non avesse un'armata infernale di grimm alle sue spalle.
No, non feci nulla di tutto questo quando uscii dalla roccia, mi limitai a riaprire gli occhi e a godermi la caduta.
Schizzai fuori dalla parete rocciosa della collina, e da lì precipitai nella foresta.
Atterrai, non fu un atterraggio scomodo, non mi rotolai fra le foglie e nel fango, grazie alla mia semblance era come se la gravità influisse sul mio corpo in maniera molto relativa.
La disattivai, lo feci inconsciamente, perché qualche piccola parte di me, quella che non aveva dormito durante le lezioni, aveva appreso bene quanto fosse importante non sperperare la propria aura e tenere la semblance per le emergenze, ed io l'avevo usata per quasi tutta la battaglia senza alcun criterio.
Guardai in avanti, e non mi feci domande sugli alberi piegati, anzi sradicati dal vento, o sui fulmini che bombardavano la collina come una batteria di artiglieria.
Non ne avevo bisogno, tutto era così orrendamente chiaro: la morte, in testa alla sua schiera di nubi nere era arrivata per noi.
Udii rumori di passi ed urla, i mercenari della compagnia dovevano essere fuggiti di fretta e furia dal passaggio segreto, ed a giudicare dalla frequenza e dall'intensità dei fulmini, il drako stava approfittando di quella sciocca concentrazione di esseri umani per bombardarli con maggior efficienza.
Non volli vedere, e di certo non corsi indietro ad aiutarli.
La luce dei tuoni illuminava la notte, ammesso che fosse veramente notte e che non fossero le nubi del nostro mostruoso inseguitore ad essere così fitte da aver oscurato il sole e soffocato i suoi raggi.
Con la coda dell'occhio terrorizzato catturai delle fiamme in lontananza, se i fulmini non avessero ucciso i fuggitivi ci avrebbe pensato l'incendio, o il fumo, o l'inevitabile branco di grimm che quella massa di persone disperate avrebbe presto attirato.
Compresi che unirmi agli altri mercenari avrebbe solo incrementato le possibilità di un mio decesso, ancora una volta dovevo fare da solo, la morte fatta grimm mi aveva privato del mio nascondiglio.
Ma ero comunque saltato fuori dallo stesso lato dove era presente il passaggio, e le voci di altri esseri umani si facevano sempre più vicine.
Mi sforzai di non ascoltare i lamenti e le imprecazioni e proseguii in mezzo agli alberi, i cui rami secchi sembravano indicarmi con dita ossute e accusatorie.
Ion il fuggitivo.
Ion il codardo.
Ion lo spacciato.
Vedevo i loro volti di legno marcio contorcersi e ghignare, vedevo le loro bocche spalancarsi quando la luce dei lampi proiettava un ombra terrificante sui loro visi.
Le foglie secche che calpestavo sembravano ridere di me con i loro scricchiolii simili a risa, e sentivo come se tutti i rumori della foresta appartenessero a spettrali creature intenzionate ad annichilirmi.
I passi degli uomini in fuga suonavano come il galoppo di una battuta di caccia, i tuoni come la punizione celeste che voleva abbattersi su di me.
Mi sembrò di essere passato al regno dei morti, solo che non me ne ero ancora accorto.
Sfrecciai in avanti inciampando su un tronco abbattuto, che un tronco abbattuto non era affatto.
Caddi di faccia, immergendo il viso nel fango, mi rialzai, e pulii lo sporco con una manica.
Poi mi girai verso il tronco per punirlo, lo avrei infilzato e percosso con Mizerie finché non mi sarei sentito soddisfatto.
Ma un tronco non era.
Era un corpo, un corpo con la divisa della compagnia.
Com'era possibile?
Si erano allontanati così rapidamente anche senza passare in mezzo alla roccia come me, la paura aveva messo le ali ai loro piedi a tal punto?
Ritrovai la lucidità e mi assicurai che fosse morto.
Lo era, la schiena annerita evidenziava l'operato del drako contro cui non aveva potuto fare nulla, per non parlare della sua faccia.
<< Sfido a non avere un'espressione simile dopo essersi beccati un fulmine sulla schiena, ahah! >>
Mi tirai uno schiaffo da solo per soffocare quella risata nevrotica salita su da chissà quale profondità oscura del mio essere: mettersi a ridere in situazioni in cui non c'è nulla da ridere sono il primo passo verso la pazzia.
Ahah!
Mi guardai attorno, e notai che quel corpo non era l'unico a giacere nel fango, no, almeno cinque poveracci erano passati di lì prima che il fulmine calasse su di loro, e se dal cielo di pece non era emerso nessun drako a finirmi era solo perché dovevano esserci gruppi più corposi a cui dare la caccia.
Tirai un calcio al tronco e iniziai a camminare rapidamente nel fango, e notai di essere passato dalla foresta alla palude, non avevo idea di quanto dovevo aver corso, ma di certo non ero stato l'unico.
<< Beh, a chi verrebbe in mente di fermarsi con un grimm sparaful- >>
Mi morsi il labbro, anche parlare da solo era indice di scarsa sanità mentale, giurai di non parlare più.
Il fuoco e i fulmini illuminavano la notte, ma la loro frequenza era diminuita... ormai ne rimanevano pochi vivi.
Mi addentrai nell'odiata palude con Mizerie alla mano, e subito la mia lama incontrò il collo di un beowolf che aveva avuto la pessima idea di provare a sorprendermi nell'ombra, ed io non me ne accorsi fino a quando la mano non saettò da sola verso il suo collo.
Per poco Mizerie non mi scivolò di mano, tanto ero fradicio dalla testa ai piedi, la pioggia non mi dava tregua.
Mi girai verso la carcassa, non era un beowolf, era un white fang in fuga, e dal momento che il cadavere mi stava dando la schiena, forse nemmeno mi stava attaccando.
Poco male, ahah!
Il silenzio, eccetto lo sfrigolare delle fiamme e il martellare seppur attenuato dei fulmini, sembrò calare su tutta la palude.
E Oum, era quasi peggio che non di quando c'erano le urla e i tuoni.
Ma non era destinato a durare.
Un urlo squarciò la quiete notturna, seguito da un altro.
E un altra ancora.
Provenivano dalla palude, la stessa dove avevo avuto la pessima idea di proseguire.
I tuoni illuminavano per brevi lassi il paesaggio, consentendomi di vedere la massa di fanghiglia e acqua sudicia dove mi ero di nuovo immerso fino alle caviglie.
Un altro urlo.
Puoi il suono di un tonfo.
Strinsi forte Mizerie, e intinsi la sua lama nell'acqua sudicia.
Non sapevo se i grimm fossero in grado o meno di percepire l'odore del sangue, come al solito il dubbio derivante dal mio non essere stato questo grande studente mi spingeva ad un approccio più cauto.
Lavai via il sangue, del tutto dimentico che dei grimm potevano benissimo annidarsi sotto l'acqua sporca proprio dove avevo appena immerso la lama cosparsa del liquido rosso.
Altro errore da parte di Ion.
Ormai ogni forma di buon senso da parte mia era evaporata nell'orrore di quella notte.
Avanzai con Mizerie in pugno, pronto a tempestare di fendenti ogni tratto d'acqua sudicia che non mi fosse andato a genio.
Non ce ne fu bisogno, un altro tronco abbattuto emerse davanti a me.
Un tronco abbattuto dall'aria familiare.
<< Ion... >>
Rinsaldai la presa sull'impugnatura.
<< Laszlo? >>
Maledii il buio avvolgente che ci circondava, finché non mi ricordai di avere uno scroll nella tasca.
Lo sfilai ed attivai la funzione torcia, sì, era Laszlo, e non versava in buone condizioni.
Il volto ripiegato verso il basso e la schiena appoggiata su un tronco marcio che emergeva orizzontale dalla superficie dell'acqua, i suoi occhi fissavano l'acqua sporca mentre un filo di saliva rossastra scendeva dalle sue labbra rotte.
A parte quello non mostrava altre ferite, certo, seduto com'era, potevo vedere il suo corpo solamente dal busto in su.
Chiamò il mio nome solo una volta, poi dalle sue labbra emerse un sibilo scomposto.
E nient'altro.
<< Laszlo...? >>
Respirava, prova ne era quel fischio misto a saliva che continuava a fuggirgli dalla bocca.
Ma per il resto era inerte.
Ero terrorizzato.
Come era arrivato lì prima di me?
Che avessi sbagliato qualcosa io? Che fosse semplicemente vicino al passaggio quando il grimm aveva attaccato e che avesse deciso di tagliare la corda il prima possibile?
E sopratutto, dal momento che non avevo visto nessun fulmine piombare sulla palude, cosa lo aveva ridotto così?
I miei occhi si sbarrarono dall'orrore.
Fulmini.
Mai stare in mezzo all'acqua durante un cazzo di temporale, specie se pilotato da un drako!
Il mio cuore mise a battere forte come mai prima di allora, e feci per correre verso Laszlo e salire su quel tronco, al riparo dall'acqua.
Ed il vero orrore venne fuori all'ora.
Iniziò tutto con uno sciabordio fra me e Laszlo, poi un risucchio.
E inspiegabilmente, il corpo di Laszlo venne giù.
Di colpo.
Un piccolo vortice prese il suo posto, e poi una testa nerastra emerse dall'acqua.
Urlai, urlai con tutta la mia anima quando un enorme corpo allungato reso lucido dall'acqua emerse dal sudicio stagno, dei lunghi arti palmati presero posizione davanti a me mentre il viso tumefatto di Laszlo spariva in fondo alla gola nerastra del mostro, fino a quando una fila di piccoli denti scuri e di enormi labbra nerastre non chiuse il sipario su quell'orribile scena.
Ero talmente impegnato a perdermi in quei rotondi occhi da rospo che venni preso di sorpresa quando il terribile fischio che il choker emette quando strangola le sue vittime uscì fuori dallo stretto imbuto della sua gola.
Era acuto, e assordante, ricordo di essermi portato le mani alle orecchie e di essere saltato all'indietro per sfuggire a quel suono infernale.
Il fischio si attenuò, presto sostituito dal suono di ossa fracassate.
Alzai lo sguardo troppo terrorizzato per crederci, osservando il lungo ed esile collo del choker trasformarsi in una grossa sacca nerastra che faceva aderenza con il corpo della sua vittima.
Ed il peggio non fu vedere la sagoma di Laszlo perfettamente ricalcata dalla pelle sudicia del grimm, ma notare il movimento del petto e della bocca, stava respirando ancora, e il fatto che tenesse le labbra così distanziate suggeriva che avesse la bocca aperta.
Non usciva alcun suono, e non avevo idea se stesse urlando, piangendo o cercando di respirare fino alla fine.
Poi un suono viscoso, gli anelli smisero di stringere la vittima e il corpo venne spinto nell'ampio petto del choker, che come se fosse fatto di gomma, si gonfiò all'istante, mentre le varie costole invertite iniziavano a fare pressione per immobilizzare la preda.
Vomitai, come mio solito non resistetti alla tentazione di svuotare lo stomaco davanti ai miei nemici.
Il volto perfettamente rotondo del choker mi fissava con i suoi occhi a biglia, la sua fila di piccoli e appuntiti sembrava un ghigno crudele rivolto a quella creatura patetica che aveva davanti agli occhi.
E aveva ragione.
Mi voltai e corsi via, per nulla intenzionato a tirare un vecchio amico fuori dalla sua prigione di carne sudicia e morte, per nulla intenzionato a vedermela contro un grimm pur essendo un cacciatore.
Non feci nemmeno dieci passi che il choker scattò in avanti come un siluro, in un attimo mi trovai a gambe all'aria e caddi nell'acqua marcia.
Finii a mollo nell'acqua, prima che una codata mi prendesse in pieno mandandomi a schiantare contro lo stesso tronco marcio dove prima era appoggiato Laszlo.
Sentii l'impugnatura di Mizerie scivolarmi di mano mentre un dolore acuto si propagava lungo la mia schiena, ringraziai di aver imparato almeno ad usare l'aura per attutire il colpo, o come minimo mi sarei ritrovato paralizzato o spezzato in due come il ramo di un albero.
Avvertii uno spostamento alla mia destra, e attivai la semblance prima che succedesse il peggio, venni attraversato da una grassa massa nera mentre un violento tonfo faceva saltare via il relitto d'albero qualche metro più avanti.
Affondai nella melma alla ricerca di Mizerie, fortunatamente la mia semblance mi permetteva di vedere chiaramente sott'acqua, malgrado il sudicio, o almeno così sarebbe stato se non fosse per il fatto che era buio pesto.
Ci impiegai qualche secondo di troppo, fino a quando un lampo illuminò il cielo e la terra, rendendo visibile anche ciò che si celava sotto la superficie dell'acqua, trovai Mizerie e ridiventai tangibile per raccoglierla.
L'attimo subito successivo a quello in cui strinsi l'impugnatura fra le mani, una seconda violenta codata mi colpì sullo stomaco spingendomi in avanti, ma sta volta evitai lo schianto attivando in tempo la mia semblance.
Mi fermai accanto ad un grosso albero che affiorava dalle acque paludose e salii sulle sue radici, schiena contro il tronco e Mizerie rivolta in avanti.
Il choker non si fece attendere, in un istante la sua ingombrante sagoma grassoccia emerse dall'acqua, con il corpo ancora gonfio del pasto, che aveva ormai smesso di dimenarsi.
Fissai il grimm negli occhi, che di rimandò fece uscire la lunga lingua pallida per sibilarmi contro, per poi tornare ad immergersi parzialmente e girarmi attorno.
Doveva essere vecchio, e abbastanza intelligente.
Se prima era certo di avere davanti una preda facile doveva essersi ricreduto, o almeno questo avrebbe spiegato il perché avesse smesso di lanciarmisi addosso come un siluro.
Adesso pareva più interessato a studiarmi con i suoi enormi occhi a biglia, ed io feci altrettanto.
Non sia mai che un grimm mi batta per intelligenza.
Fedele alla mia indole cercai subito una via di fuga.
Palude, palude, ancora palude.
Se avessi attivato la semblance avrei potuto correre via, ma per quanto?
Sarei arrivato a destinazione in tempo o mi sarei accasciato senza forze nella palude?
Da solo, al buio, senza forze.
Una prospettiva talmente terrificante che neanche osavo scappare.
Focalizzai lo sguardo sull'ambiente.
Era buio pesto, e l'unica illuminazione era fornita dai lampi che a cadenza irregolare illuminavano il cielo.
Lo scroll era andato quando il choker mi aveva mandato a schiantare, e di certo non avevo il tempo di mettermi a cercarlo adesso.
Però, i fulmini avevano scaricato un piccolo incendio in lontananza, e se si fosse espanso abbastanza avrei potuto vedere arrivare gli attacchi del mio orrendo aggressore.
Certo, a sopravviverci per così tanto tempo...
Rinsaldai la presa sull'impugnatura e la puntai verso il mio nemico, prima le vie di fuga, poi l'ambiente, adesso rivolsi li sguardo al choker.
Era enorme, ma la presenza di Laszlo al suo interno doveva rallentarlo, appesantirlo, ipotizzai che il grimm non avrebbe potuto ingoiarmi fintanto che il cadavere del mio vecchio amico era al suo interno, e non sembrava proprio che lo avrebbe digerito tanto presto, o almeno era quello che speravo.
Se i grimm fossero animali come tutti gli altri, il choker si sarebbe ritenuto soddisfatto della caccia e si sarebbe messo comodo da qualche parte a digerire.
Ma i grimm non sono animali più brutti della media, sono mostri con il solo scopo di portale dolore, rovina e morte al genere umano.
E fintanto che il choker avrebbe creduto di essere in vantaggio, anche se non poteva ingoiarmi, non si sarebbe fermato senza lottare con le unghie e con i denti.
Avvolgermi la lingua al collo per strozzarmi, percuotermi con la coda e le zampacce palmate, schiacciarmi le costole prendendomi a testate con il suo capo ossuto, cose che ipotizzai avesse fatto con il povero Laszlo prima di mangiarlo vivo.
E che adesso avrebbe fatto con me.
Respirai e presi posizione.
Non potevo abbandonare il mio rifugio, farlo sarebbe significato entrare nel regno del choker, e nel suo regno potevo soltanto morire.
Cosa che non necessariamente valeva per lui se avesse deciso di attaccarmi, io lo sapevo e il grimm pure, per questo scattò contro di me.
Divenni intangibile, talmente sconvolto dalla sua velocità da non provare nemmeno a contrattaccare, la sua testata fece scricchiolare il legno e incurvare l'albero, la ritirò, ed io ne approfittai per tornare normale e contrattaccare.
Pessima idea, la sua coda saettò come una frusta e mi ritrovai in aria, poi in acqua.
Divenni intangibile prima di beccarmi un'altra codata e nuotai via.
Raggiunsi un altro isolotto, sta volta un pezzo di terra fangosa che emergeva dal fondale paludoso, solo per ritrovarmi il choker intento a nuotarmi attorno.
E sta volta non avevo le spalle coperte, l'attacco poteva avvenire da ogni parte.
Continuai a girarmi su me stesso nel patetico tentativo di seguire il percorso del grimm, fino a quando non decise di scomparire sotto le acque.
Tremavo, ero consapevole che questa volta potevo solo o lottare o morire.
E a lottare facevo abbastanza pena.
L'acqua gelida faceva battere i denti, mentre la luce andava e veniva impedendomi di individuare l'avversario.
Mi concentrai sull'udito, e appena udii lo sciabordio dell'acqua mi resi intangibile.
Senza nemmeno guardare, aspettai di sentire un secondo suono d'acqua che si increspava, e così individuai dove il grimm era caduto, ovviamente dopo essermi passato in mezzo.
Appesantito un par di coglioni.
Aspettai che ripetesse l'azione, e nel momento esatto in cui saltò per passarmi attraverso di nuovo, io scattai dal lato opposto e raggiunsi l'albero più vicino.
Tornai tangibile e ci saltai sopra, lasciando che la corteccia mi graffiasse le mani e che il sangue macchiasse l'albero.
Nuovo sciabordio.
Il grimm si lanciò fuori per prendermi, ed allo stesso tempo io mi lascia cadere.
Lo oltrepassai ed atterrai in piedi grazie all'intangibilità, tornai tangibile e feci scattare Mizerie in un attacco diagonale dall'alto verso il basso.
Il grimm, spinto all'indietro dal contraccolpo contro l'albero ebbe appena il tempo di girarsi che la mia lama gli finì addosso.
Scattò all'indietro, non senza che un lieve squarcio si aprisse lungo il suo petto, spezzando a metà una delle costole che usava per comprimere la preda.
L'albero già mezzo sradicato crollò all'indietro, mentre il choker sibilò iroso, la sua lingua saettò fuori dalla bocca riversando un misto fra saliva e acqua sudicia nello stagno, mentre il sangue cominciò a fuoriuscire dalla ferita.
Non era il suo, lo sapevo bene.
I grimm non sanguinano.
Scattai indietro prima che sollevasse la coda per colpirmi, ma il grimm anticipò la mia idea, si tuffò in avanti e mi centrò al petto con una testata più forte di un colpo di cannone.
Sta volta fui io a schiantarmi contro un albero, la mia schiena fu attraversata da una nuova scarica di sofferenza, mentre Mizerie scivolava di nuovo via dalle mie dita.
Sputai sangue, ma ebbi la prontezza di attivare la semblance prima di essere preso in pieno da quella frusta viscida che chiamano coda, facendola scontrare contro l'albero.
Corteccia marcia venne sparata in aria come le schegge di una granata, mentre approfittai di quel momento di distrazione per allontanarmi di nuovo.
Ripescai subito Mizerie e mi misi in posizione difensiva, pronto a contrastare il grimm.
Ancora una volta ero in quella situazione dove terrore e adrenalina agivano assieme sulla mia psiche, portandomi a compiere scelte al limite del razionale.
Ma in realtà sapevo che il mio unico vantaggio consisteva nella momentanea lentezza del mostro dovuto al pasto, e se non lo avessi affrontato e ucciso adesso, sarei morto poco più tardi.
Ancora dolorante per la botta al petto e alla schiena, aspettavo soltanto un occasione per chiudere lo scontro in fretta.
Il mio attacco di prima mi aveva provato che ero in grado di ferirlo, il problema era come avvicinarmi senza farmi massacrare.
Mi lasciai di nuovo attraversare dal suo attacco, e tornai tangibile prima che potesse ritrarsi, ma la sua coda fu più veloce e Mizerie si ritrovò ad affettare l'aria.
Salta indietro, sfuggendo al suo contrattacco prima ancora che potesse concepirlo, e atterrai in mezzo a una macchia erbosa che emergeva dal liquido sporco.
I miei piedi non toccavano più il fondo, ero nei guai.
E questo il choker lo sapeva, schizzò in avanti muovendo il suo grasso corpo ondeggiante appena sotto la superficie dell'acqua, non feci in tempo a tornare intangibile che una frustata scagliata con la sua enorme coda mi fece finire sotto sopra, poi l'immensa appendice si avvolse attorno ai miei piedi, sollevandomi dall'acqua e schiantandomi più volte contro gli alberi vicini.
Attivai al meglio quel poco di aura che mi restava, sta volta senza mollare la presa su Mizerie, mentre il mio corpo veniva usato come palla demolitrice per distruggere piante e arbusti a volontà.
Un colpo sulla testa e iniziai a vedere bianco, a perdere sangue dal naso, a sentirmi come un unico ammasso di lividi.
Poi mi lasciò cadere in aria, roteai fra i rami scheletrici dei grossi alberi che come fari emergevano dai flutti, graffiandomi e ferendomi, per poi ricadere in acqua.
Mi ritrovai a galleggiare senza essere certo di appartenere più al mondo dei vivi o a quello dei morti.
Se ero vivo, era solo perché il mio avversario aveva ritenuto che sarebbe stato più divertente giocare con la sua preda.
Ma non lo avrebbe fatto per molto, non con un avversario che lo aveva ferito...
Iniziò a nuotarmi attorno, per poi avvolgermi fra le sue spire sudicie, non so con quale forza della mente mantenni salda l'impugnatura di Mizerie, unico segno della mia morente resistenza.
Cominciai a sentirmi sollevare, ma erano solo le spire del choker che si stringevano attorno a me, aprii gli occhi, accecato dal buio e dal sangue, il temporale era cessato, interrompendo la visione ad intermittenza della battaglia.
La mano palmata del mostro si sollevò su di me, imbrattandomi il viso di sporcizia mentre mi sollevava la testa.
In quell'inferno di oscurità solo la luce dei suoi occhi da grimm illuminava lo scenario.
Tirò la testa all'indietro, aprendo la bocca e scoprendo i denti, capii che mi avrebbe morso.
Questa sarebbe stata la fine di Ion Ascuns, massacrato a morsi da un grimm che era pure troppo sazio per lui, un dessert da consumare dopo la vera preda.
Ma si sa, è nei momenti in cui siamo ad un passo dalla morte che il meglio od il peggio di noi viene fuori.
Oppure restiamo semplicemente inerti ad aspettare la fine, ma questo non fu il mio caso.
Decisi che volevo vivere, che volevo vivere a qualsiasi costo, anche a costo di seppellire un'intera città io avrei continuato a vivere.
Un'intera città offerta in sacrificio agli dei, cos'era un singolo grimm per me?
Forse ero pazzo, forse solo spaventato, e credo più la seconda.
Anzi, la seconda, ero spaventato, troppo, pateticamente, inesorabilmente terrorizzato dalla prospettiva di morire per accettare di farmi sbranare.
Facendo appello a quei brandelli d'aura che mi restavano, attivai la semblance un attimo prima che la testa rotonda del choker scattasse in avanti.
Mi lanciai verso di lui, sorpassandolo, mentre un verso bestiale mi fece intendere che i suoi denti avessero trovato la sua stessa carne.
Strinsi Mizerie, la compagna che non avrei più abbandonato, e mi rivolsi verso il grimm.
Ma non avevo più forze, ero solo un patetico umano che lottava per vivere, non un'eroe che da un momento all'altro aveva trovato il potere di sconfiggere il male e salvare il mondo.
Nessun colpo finale o scoperta del potere dell'amicizia, ero talmente debole e intontito che prima ancora che la mia lama cadesse sulla testa liscia e ossuta del grimm, questi mi caricò con la forza di un toro.
Mi ritrovai la sua spalla nella bocca dello stomaco, e la mia schiena bestemmiò per la terza volta quando il grimm mi fece schiantare contro l'ennesimo albero da palude, un grosso tronco pallido che cresceva accanto ad un altro, tanto che a forza di competere per la terra le radici avevano finito per intrecciarsi, formando una curiosa biforcazione.
In un attimo il suo corpo, o più che altro la sua coda si avvolse attorno a me, mentre due occhi carichi di odio entravano nei miei.
Sta volta non voleva giocare.
Sta volta voleva solamente farmi male.
La coda non intrappolò i miei arti, ma intrappolò Mizerie contro il mio corpo, rendendomi inoffensivo.
Prima mi schiaffeggiò il viso con la mano palmata, poi aprì la sua enorme bocca rotonda e la attaccò al mio braccio.
Urlai, urlai come mai avevo urlato di dolore quando i suoi minuscoli denti aguzzi si chiusero sul mio esile arto.
Usai tutta la mia aura per resistere ma era appena sufficiente per salvarmi il braccio, non lo era invece per impedire ai suoi denti di entrare nella mia carne e alla pressione di frantumarmi l'osso.
Ero ceco, ceco per il buio, per il sangue, per il dolore e la paura.
Urlai, bestemmiai gli dei e scalciai contro il mostro che mi stava dando così tanto dolore, piangendo e sputando come un moccioso.
Mentre il grimm si divertiva a cercare di staccarmi il braccio destro dal resto del corpo però, ancora una volta il mio disperato attaccamento alla vita agì da solo.
La mia semblance non rispondeva, Mizerie era irraggiungibile, il braccio destro bloccato.
Fu in quel momento in cui ero certo di essere spacciato, mentre frugavo disperatamente nelle mie tasche per tirare fuori un'arma segreta per salvarmi da quell'inferno, che provai il vero odio.
Odio verso me stesso per essere così codardo, così debole, così inetto, odio verso il grimm che si sarebbe portato via il mio braccio, odio verso Drake, Caesar e Ozpin per essere entrati nella mia vita ed averla trasformata in un puttanaio.
Odio verso il mostro che quella sera era comparso portandomi a lottare contro un cazzo di choker, odio contro l'umanità così incapace di fare qualcosa a riguardo.
Odio irrazionale verso Brienne e i miei amici per non essere lì a salvarmi il culo, ma tutto sommato me lo meritavo, e quindi di nuovo odio verso me stesso perché ero in fondo l'unico vero artefice del mio destino, e non dovevo aver fatto questo gran lavoro visto dov'ero finito.
Rabbia, odio e paura, tre sentimenti molto forti, specie il secondo, sentimenti con cui spesso conviviamo o crediamo di convivere, ma che solo in momenti più unici che rari riusciamo ad avvertire in tutto il loro impeto.
E quel momento per me era arrivato, quel giorno quando fradicio, sanguinante e stremato stavo venendo mangiato vivo da un choker.
Non sarei mai stato un eroe della televisione, non sarebbero state le buone intenzioni, la speranza o un cuore puro a salvarmi di lì.
No, a farlo furono la paura, la rabbia e la disperazione.
Furono loro a guidare la mia mano sinistra a sfidare la stretta del choker, a lasciar perdere le tasche ed a frugare nella cintura.
Strinsi una piccola impugnatura a me familiare, quella di una lama liscia e fine.
Noapte, che assieme a Ghinion nel fodero vicino erano state le mie prime armi da combattimento, fino a quando l'arrivo di Mizerie non mi convinse a mettere da parte il loro utilizzo.
Ma non a buttarle, e fu questo piccolo accorgimento a salvarmi la vita.
Senza esitare, senza badare al dolore e senza preoccuparmi dello sguardo accecato dal sangue e dalle lacrime, sfilai la lama dal fodero, e con un movimento rapido e mirato, la infilai appena sotto la tempia del choker.
Fu un attimo, e mi trovai presto a cadere col culo sopra le radici mentre la testa di choker scattava all'indietro con un coltello conficcato nella mandibola.
Lanciò un verso disgustoso e prese ad agitarsi come in preda ad un attacco epilettico, schizzando sangue, saliva e liquido scuro sugli alberi, sull'acqua e sul sottoscritto.
Noapte rimase al suo posto, mentre un rumore di ossa scricchiolanti unite agli spasmi della mascella del choker mi suggeriva che avevo centrato il punto giusto dove infilzarlo.
Non persi tempo, con la collega praticamente morta, fu il braccio sinistro a fare il lavoro.
Afferrò Ghinion, la lama seghettata, e la immerse nella coda del grimm.
Liquido nero misto a sangue umano schizzò fuori a fiotti bagnandomi il viso e il petto, mentre il grimm urlò talmente forte che la mascella si aprì a novanta gradi, liquido scuro colò sui denti e potei intravedere la lama di Noapte all'interno del buco nero che era la sua bocca.
Non mi lasciai intimidire e continuai a tagliuzzare, fino a quando un manrovescio isterico non mi prese in pieno, mandandomi a cadere dall'altra parte della biforcazione.
Con un forte movimento del braccio nuotai all'indietro, notando che Mizerie aveva scelto di seguirmi, rimanendo appoggiata al mio petto.
Afferrai una radice e mi rialzai, appena in tempo per vedere la faccia del grimm piombarmi addosso.
Chiusi gli occhi temendo il morso finale, ma la mia faccia rimase illesa.
Li riaprii, venendo accolto dalla visione di un grimm furioso dal corpo troppo tozzo per passare fra i due alberi così vicini e dal rumore di corteccia che si sgretola.
Il foro che aveva aperto Noapte sul suo viso si era allargato, rendendo la sua bocca ancora più ampia e mostruosa di prima, cosa che fino al secondo prima avrei ritenuto fosse impossibile.
Continuava a urlare e caricare contro di me, devastando la corteccia degli alberi nel tentativo di liberare le sue lunghe braccia ed usarle per afferrarmi.
Non gliene diedi il tempo.
Sollevai Mizerie con il braccio buono mentre il grimm si dimenava e urlava tutto il suo odio davanti a me.
Poi calai l'arma, la calai una, due, tre volte, schizzando materia scura e sangue di uomo fino a quando il collo non fu per almeno tre quarti distaccato dal resto del corpo, e allora continuai a tormentare il suo tronco immobile.
A tormentarlo per più tempo di quanto fosse necessario, fino a quando non mi resi conto che almeno da mezzo minuto stavo affondando la lama di Mizerie nella carcassa di Laszlo, ormai irriconoscibile fra le ferite e l'effetto dei succhi gastrici del grimm.
Fissai il suo corpo steso di schiena in mezzo alla grossa V storta formata dai due alberi, immobile e freddo.
Notai qualche insetto di palude posarsi su di lui e iniziare a nutrirsene, non feci niente per scacciarli e lasciai il mio vecchio amico lì, morto, nella palude.
Raccolsi Noapte e Ghinion, infilandomeli delicatamente nei rispettivi foderi dopo aver cercato di ripulirsi sul tronco dell'albero, a cui avevo lasciata appesa Mizerie per tutto il processo, visto che il braccio destro pareva aver smesso di rispondermi.
Rimesse a posto le due lame, raccattai Mizerie e mi incamminai in mezzo all'acqua sudicia, trascinando la lama sulla superficie del fondale con quell'unico braccio buono che mi restava.
Rinunciai a cercare lo scroll, e continuai a camminare in avanti senza sapere dove stessi andando, aveva smesso di piovere, e lo stormo di nubi nere si era allontanato a nord, sebbene dentro di me fossi convinto che quello non sarebbe stato l'ultimo giorno in cui avrei visto quel grimm.
Quando le nuvole se ne andarono lasciando spazio alla luna e alle stelle, potei finalmente godere di un po' di tenue luce nel mio cammino.
Ricordo che ero appena emerso dalla palude quando una presenza eterea calò davanti a me, filtrando dalla parete di rami per andarsi a riflettere su un vecchio tronco segnato dai tarli, in particolare da tre grosse fosse che sembravano riprodurre un sorriso umano.
A differenza degli altri alberi, non stava ghignando delle mie sventure o sussurrando parole di morte alle mie orecchie, il suo sorriso era molto... affabile, troppo affabile.
Non so perché, ma guardarlo mi fece scoppiare a ridere.
<< Oh, ma che carino da parte tua farti vedere dopo tutto questo tempo! Che ne dici, maestro, sono stato bravo? >>
Caesar annuì con la sua testa legnosa.
<< Certo che potevi lasciarmi qualcosa in più... maestro... ho combinato un bel casino, lo sapete? >>
<< No, non mi riferisco ai fiori maestro... quelli li ho annaffiati, a modo mio... parlo di tutto il resto... >>
Comprensivo come sempre, Caesar mi sorrise.
<< Cosa devo fare, maestro? Perché mi avete fatto questo? Giusto, perché siete un bastardo! Siete? Sei! Schifoso ammasso di letame di Vacuo! Tu e quel mezzo robot lì! >>
Ascoltai la risposta del mio maledetto mentore, ma la trovai solo più enigmatica di prima.
Gli chiesi la strada, ma come al solito Caesar godeva nel farmi brancolare nel buio.
Quindi lo salutai dicendogli che avrei pisciato sui suoi stramaledetti fiori per la quarta volta se mai mi fosse capitato un giorno di passare per il suo piccolo magazzino, fra una lezione e l'altra.
Congedatomi, continuai a camminare in direzione della luce, trascinandomi dietro la mia lama di fiducia e un braccio destro ormai più morto che vivo.
Viaggiai a lungo, con il corpo dolorante in ogni suo punto, chiedendo indicazioni agli uccelli, ai girini e ai rospi della palude, che gracchiando con le loro boccacce mi ricordavano il grimm che avevo ucciso.
Però le ringraziai, e seguii le loro indicazioni.
Perdendo sangue e energia per tutto il tragitto, con la mente ridotta a una lattina vuota a caccia di luce da riflettere, camminai, camminai per ore ascoltando il chiasso degli animali, i sibili del vento, e cercando con la coda dell'occhio la sagoma del maestro in mezzo agli alberi.
Non ricordo per quanto tempo viaggiai, ma di sicuro ci misi così tanto che quando ero uscito le mie vesti si erano asciugate da un pezzo e varie macchie di sangue secco macchiavano il mio essere.
Ricordo di essere stato sfiorato dalla luce incerta di un'alba che non voleva saperne di sorgere quel giorno, ricordo di aver intravisto un campo coltivato e un gruppo di case.
Ricordo anche di aver sorriso con l'angolo della bocca, alla faccia di Caesar e del suo sorriso da faina!
Poi non c'è altro che ricordo, se non di essere caduto a terra, di aver visto il mondo sottosopra, e di aver cercato pateticamente di afferrare i fili d'erba che, viscidi come anguille, mi scivolavano tra le dita.
   
 
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