Lentezza e cecità
Stava sempre ore a rivestirsi, Rose. Sperava che, in quel modo, il tempo si congelasse. Magari non avrebbe dovuto andarsene, se ci avesse messo più tempo Scorpius si sarebbe svegliato e le avrebbe chiesto di restare.
Ma Scorpius, puntualmente, teneva gli occhi serrati.
Eppure, come ogni volta, si svegliava ore prima di lei.
Codardo
Quando lei era girata di schiena, a indugiare un po’ troppo a lungo nella ricerca del reggiseno, le fissava la pelle lattea e il tatuaggio dietro la schiena che si era fatta anni fa come segno di ribellione. Un cuore anatomico, con una porticina in basso a sinistra, leggermente aperta.
Un cuore pronto ad accogliere, ad amare. Che sognava di farlo entrare.
E ad amarsi, si erano amati.
Follemente, senza prudenza o vergogna.
Eppure, non era bastato. Quante volte gli avevano detto che l’amore a volte non basta? Lui aveva alzato gli occhi al cielo decretando che il loro bastava eccome. Ma poi le urla divennero sempre più di rabbia e meno di piacere, la voglia di tenersi sgocciolava nel momento in cui la gelosia regnava sovrana.
E allora era iniziato quel tira e molla incessante, quel prendersi e poi scappare, i “Non ti voglio più” e i conseguenti “No, tu mi vorrai sempre”. Se, per qualche periodo, decidevano di andare avanti non lo facevano davvero. E anzi diventava una gara di ostentazione, un finto mostrare di essere felici con altri, altri che erano invece inadatti, finti, bambocci nelle mani del loro stupido amore.
Quante vittime mieteva, il loro crudele gioco. Il loro graffiarsi, odiarsi, ferirsi.
Ma poi, inevitabilmente, amarsi.
Perché il cuore di Rose era aperto, a ogni suo tocco. E bastava guardarsi negli occhi dopo aver pianto di dolore, per decidere di lasciarsi dolci carezze, baci furiosi, abbracci silenziosi.
Poi però finiva la magia, finiva l’amore, e i loro caratteri difficili tornavo prepotentemente a infilarsi tra loro. Quella relazione tossica, nociva, che li legava al letto senza possibilità di concedersi nuovamente a nuovi, gentili tocchi.
Quante vittime aveva mietuto quel loro folle gioco. Albus aveva smesso di rivolgere loro la parola, non poteva sopportare di vedere il suo migliore amico e sua cugina distruggersi a brandelli. E una scia di solitudine li aveva perseguitati nella loro vita di tutti i giorni. Anche dopo Hogwarts, anche quando fisicamente potevano darsi una tregua e darsi un'altra possibilità, loro non avevano smesso di cercarsi famelicamente.
Tornavano sempre l’una dall’altra, Rose e Scorpius. Lei con quei ricci fiammeggianti, e lui con quel passo molleggiante e dinoccolato. Si nascondevano dalle paure e scappavano dalle responsabilità come ragazzini.
Ma poi la mattina Rose si rivestiva con quella lentezza disarmante, e Scorpius ad occhi chiusi, cieco nella sua ostinazione, non le chiedeva di restare.