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Autore: PapySanzo89    30/04/2020    2 recensioni
Partecipo alla challenge di Fanwrite.it sulle soulmates, 7 prompt per 7 giorni.
1. Dolore
4. Lacrime
6. Eterocromia
7. Filo Rosso
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Lacrime
AU/High School
 
 
 
 
“Watson, tutto bene?”
John alza gli occhi dal libro di matematica per portarli alla prof, che lo sta guardando con aria preoccupata.
Non capisce bene cosa sta succedendo finché non si ritrova la vista appannata e sente lacrime scendergli lungo il viso.
“Ma cosa?”  John si asciuga la faccia con l’orlo della manica del maglione ma nonostante tutto non riesce a smettere di piangere.
“Prof, mi spiace, non sono io” tutta la classe è voltata in sua direzione e John si sente fortemente in imbarazzo mentre la professoressa si avvicina e lo invita ad uscire per prendere una boccata d’aria e fare ritorno quando sarà tutto risolto.
 
John esce sul retro, dove i professori solitamente fumano qualche sigaretta di nascosto e resta lì, a camminare avanti e indietro mentre continua a piangere.
E che sensazione fuori dal mondo è piangere quando non si ha nessun motivo per farlo?
Su una cosa però è certo: la sua anima gemella piange un sacco.
All’inizio, le prime notti in cui si svegliava con il cuscino bagnato, lo trovava seccante; si era perfino ritrovato a pensare che la sua anima gemella fosse una frignona (i suoi migliori amici lo hanno preso in giro per mesi quando si era confidato con loro) finché, a un certo punto, non aveva iniziato a preoccuparsi seriamente e a porsi delle domande.
Perché piange? Cosa sarà successo? Starà bene? Qualcuno la infastidisce? Viene presa di mira? In quale parte del mondo si trova? Quando John si sveglia in lacrime di notte da lei magari è giorno?
È orribile non poter fare niente, ancora non la conosce ma vuole stringerla a sé e dirle che andrà tutto bene, che qualsiasi cosa stia succedendo passerà. Quello che lo spaventa di più al momento è che non ha mai –mai- pianto di giorno e mai così tanto.
John ha perfino smesso di provare a fermare le lacrime perché continuano a scendere copiose, che lui tenti di asciugarle o meno.
Ed è orribile assistere a una cosa del genere e semplicemente rimanere fermi, aspettare che passi, aspettare che l’altra persona si calmi per tornare a farsi i fatti propri. Se almeno condividessero anche le sensazioni oltre che alle lacrime, saprebbe almeno cosa l’affligge e potrebbero condividere quel dolore.
 
Passano altri cinque minuti buoni prima che le lacrime smettano di scendere. La prof va a cercarlo e a sincerarsi che vada tutto bene e John non può far altro che sorriderle con gli occhi completamente arrossati dicendole che gli sembra sia passata.
La professoressa annuisce poggiandogli una mano sulla spalla e si allontana nuovamente, dicendogli che avrebbe avvisato il professore di scienze di un suo eventuale ritardo.
John non sa come ringraziarla.
 
***
 
Sherlock rimane stoicamente in piedi vicino al fratello e alla signora Hudson mentre le bare dei genitori vengono seppellite nel cimitero di famiglia.
Un incidente d’auto se li è portati via entrambi.
L’unica cosa di cui Sherlock può essere grato in quel momento è che il fratello sia maggiorenne e possa prendersi piena custodia di lui o avrebbe dovuto fuggire di casa per sfuggire alle grinfie aguzze dei suoi tanti zii e cugini mai visti che volevano solo mettere le mani sui soldi di suo padre.
 
Sherlock guarda le bare e il suo cervello non riesce a fare a meno di notare determinati dettagli: il legno di cui sono state fatte, le incisioni a mano con un tocco di scalpello in più del necessario, il fatto che le funi con cui stiano scendendo siano consumate dal tempo e tra poco dovranno essere cambiate, i guanti sporchi degli uomini che stanno facendo il lavoro di manovalanza mentre lui e Mycroft non dicono una parola.
 
Anche se non dicono una parola da diversi giorni ormai.
Sherlock non ha niente di cui parlare e Mycroft sembra dello stesso avviso.
 
Quando è tutto concluso fanno ritorno a casa mentre la signora Hudson continua ad asciugarsi gli occhi con il fazzoletto. L’unica cosa a cui riesce a pensare Sherlock è che il marito della loro padrona di casa si ritroverà a piangere senza sapere perché.
Poco male, non c’era sicuramente da preoccuparsi per uno scarto simile dell’umanità. E comunque se ne stava bene rinchiuso in qualche cella in California.
 
Sherlock prende la mano della signora Hudson e la stringe. Quello, a quanto pare, la fa scoppiare veramente in lacrime e Sherlock si ritrova abbracciato senza poter fare niente a riguardo, spinto contro lo sportello dell’auto mentre Mycroft gli lancia un’occhiata come a dire avresti dovuto aspettartelo.
 
Sì, avrebbe dovuto, ma quell’abbraccio non è poi così male.
 
***
 
La verità è che sente un’enorme rabbia crescere dentro di lui e non ne può più.
Non c’è nulla che vada bene nella sua vita, nulla.
L’unica persona che veramente lo capiva –sua madre- ora si trova tre metri sotto terra, l’unica persona con cui poteva parlare senza sentirsi giudicato, l’unica persona con cui poteva fare deduzioni senza ritrovarsi con un sopracciglio inarcato, scettico perché hai tralasciato qualche dettaglio, Sherlock. Suo padre preferiva Mycroft in tutto e per tutto. Non era assolutamente un problema siccome sua madre preferiva lui.
Non è mai stato un problema essere da soli, non gli è mai dispiaciuto essere solo, si divertiva, faceva esperimenti, non aveva persone che lo giudicavano come strambo o consideravano quello che faceva come uno spreco inutile di tempo ed energie.
Idioti.
Ma adesso gli era rimasto solo Mycroft. E anche lui stava per andarsene per far ritorno all’università.
E lui doveva far ritorno a scuola.
A scuola.
A scuo-
Sherlock scaraventa a terra la propria scrivania e tutto il contenuto al di sopra, non gli importa nulla di buttare via giorni di studi e lavoro. Strappa appunti che trova in giro, tira giù tende e quadri e finisce col rompere il vetro della finestra che gli ferisce una mano e il sangue cade copiosamente a terra.
Si ritrova quasi a ridere.
A ridere mentre piange perché non è in grado in nessuna maniera di andare avanti a quel modo.
 
Non ne è in grado.
 
***
 
“Se c’è qualche problema chiamami, Sherlock. Non lasciare tutto in mano alla povera signora Hudson.”
 
Sherlock scende dalla macchina scura e annuisce senza guardarlo davvero.
Mycroft è preoccupato per lui, lo vede dal risvolto sui polsini, ma non ha interesse a placare la sua preoccupazione. Se vuole andare a chilometri e chilometri di distanza per studiare in una delle università più facoltose di tutta la Gran Bretagna, beh, non può sperare davvero che gli renderà il compito facile.
 
Sherlock è dimagrito di diversi chili quella settimana –già non nutre una grande passione per il cibo, figuriamoci in un momento del genere- e nonostante lo abbia fatto anche Mycroft entrambi sanno benissimo che per lui non è una cosa affatto salutare. Non sta nemmeno dormendo e il fatto che lo abbia notato anche la signora Hudson dalle occhiaie fa capire quanto siano effettivamente marcate.
Non gli importa.
 
“Certo.” Si risolve a dire ed entrambi sanno che sta mentendo.
Mycroft sospira platealmente e sembra non ci sia più null’altro da dire, Sherlock chiude la portiera e si allontana senza più degnarlo di uno sguardo. 
 
***
 
Il cortile della scuola sembra stranamente più affollato del solito e John non ha nessuna voglia di stare in mezzo alla gente così va a infrattarsi dietro l’aula di chimica, che è ben lontana dall’essere la classe più seguita ed è ben nascosta da alberi e cespugli.
Sono giorni che si spreme le meningi per cercare una soluzione su come diavolo trovare una persona in mezzo ad altri miliardi di persone con il solo indizio che piange quando lo fai tu.
È inutile dire che è praticamente impossibile.
Dio ma come poteva-?
 
Un rumore di passi lo distoglie dai suoi pensieri. C’è qualcuno nell’aula di chimica.
John alza gli occhi verso la finestra dell’aula ma non riesce a scorgerne l’interno.
Per qualche strano motivo si sente stranamente curioso. Dubita sia un professore e se è un alunno cosa ci fa lì a quell’ora, con la campanella della ricreazione suonata da un pezzo?
John si solleva in punta di piedi e sperando di non farsi notare mentre guarda dentro.
C’è un unico ragazzo –niente di scottante a quanto pare, peccato- che gli dà per metà le spalle. John è sicuro di averlo già visto in giro, dovrebbe chiamarsi Holmes o qualcosa del genere, non circolano belle voci sulla sua persona.
Il ragazzo –Holmes- tira fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e lo poggia con cura su uno dei tavoli, rimanendo lì ad osservarlo.
John non capisce particolarmente bene cosa ci sia di così tanto affascinante in un pacchetto di sigarette.
 
“Se è il tuo primo pacchetto ti sconsiglio di aprirlo, è difficilissimo uscire da quel tunnel una volta entrati.”
 
Non sa perché l’ha detto.
Intanto non sono maledettamente fatti suoi, non ha idea di chi sia questa persona e –per quanto possa dargli fastidio- anche dei suoi amici sono fumatori.
Il ragazzo si volta in sua direzione e John non sa decifrare la sua espressione, sembra un misto tra il fastidio e la sorpresa ma di una cosa John è più che certo: quel ragazzo non sta affatto bene.
Grandi occhiaie viola si fanno strada su un viso che, se non fosse così sciupato, potrebbe risultare attraente; è decisamente, decisamente, troppo magro e ciò che indossa lo fa risaltare ancora di più perché sembra di qualche taglia più grande.
 
Se lo ricorda, Holmes.
Lo ricorda piuttosto bene perché è un tipo che non si fa troppo ben volere e spesso si ritrova con le mani di persone grandi il doppio di lui addosso ma non l’ha mai visto così… così.
 
Holmes continua a non dire niente ma riprende le sigarette e le rimette in tasca, dirigendosi poi a passo spedito verso la porta.
 
“Ehi!” si ritrova a chiamarlo e quello, stranamente, si volta.
John prende dalla borsa uno dei panini che sua madre gli ha fatto quella mattina e glielo lancia, lui lo afferra al volo.
“Ti prego mangia qualcosa, provo quasi del male fisico a vederti così.”  Il trillo della campanella segna la fine della ricreazione e John si ritrova a guardare verso il cortile.
“Beh è il caso che io-”
John non sa bene con chi stia parlando perché l’aula di chimica ormai è vuota.
Perlomeno non ha buttato il panino nella pattumiera.
 
John alza le spalle e s’incammina, deve andare a prendere la roba di ginnastica.
 
Strano tipo, quel Holmes.
 
***
 
A quanto pare dare un panino a un perfetto sconosciuto equivale a diventarne il miglior amico perché John Watson non è mai più stato in grado di lasciare il fianco di Sherlock Holmes dal giorno seguente ai successivi mesi scolastici.
 
***
 
A quanto pare Sherlock vive in una specie di mega reggia tenuta in piedi da una sola donna –certa signora Hudson- e da nessun altro. Viene a scoprire che i genitori di Sherlock non ci sono più e che il fratello è lontano per studi e John finisce col guardarsi intorno meno meravigliato e molto più triste nel vedere una casa grande come quella completamente vuota e al pensarci dentro Sherlock. Sherlock, che ha così tanto bisogno di qualcuno accanto con cui parlare senza sosta, fare esperimenti e deduzioni o anche solo semplicemente stare in silenzio a pensare.
La signora Hudson gli chiede di fermarsi per cena, Sherlock gli chiede di fermarsi per la notte. John chiama a casa e avvisa che starà fuori fino al giorno dopo.
 
C’è un solo letto da condividere ma John non se ne fa un cruccio, si distendono entrambi sotto le coperte e John si ritrova a chiedere informazioni di tutto ciò che vede intorno, grafici sulle pareti, ampolle di strani colori lasciate pericolosamente vicino all’orlo della scrivania, diversi mucchietti di cenere uno di fianco all’altro sul comodino vicino a un libro di botanica.
Sherlock non si fa pregare e si lancia in dettagliate descrizioni di tutti gli esperimenti fatti, di tutti i successi e gli insuccessi (una parte della carta da parati sembra essere completamente bruciata) e di ciò che ancora vuole fare.
John lo ascolta rapito ma a un certo punto inizia a sentire le palpebre pesanti, non sa che ore sono ma fuori sembra che abbia già iniziato a rischiarare.
Sherlock si alza e va a tirare le pesanti tende cosicché non entri altra luce e poi si getta sotto le coperte calde, sbattendo le palpebre un paio di volte, a quanto pare anche lui è stanco.
Si addormentano entrambi in pochi minuti e John si sente contento come non si è sentito per anni.
 
Si sveglia a un certo punto, non sa nemmeno lui come mai, e vede il corpo di Sherlock dall’altra parte del letto che gli dà la schiena, il respiro regolare di chi sta dormendo profondamente e non sa perché lo fa, sa solo che sente come una risonanza nel petto che gli dice di farlo, che Sherlock ne ha bisogno –che lui- ne ha bisogno e allunga un braccio per attirare Sherlock a sé e stringerlo forte. C’è troppa solitudine in quella casa, c’è troppa solitudine nella vita di Sherlock, talmente tanta che John sente il cuore pesante e vuole riuscire ad alleviare in qualche modo tutta quella tristezza.
Sherlock non si sveglia ma si rigira nell’abbraccio e finisce con la testa sotto il mento di John e con le braccia premute sul suo petto, sembra farsi incredibilmente piccolo.
John torna a chiudere gli occhi e si riaddormenta con i capelli di Sherlock che gli solleticano il naso e con uno strano senso di protezione che gli opprime il petto.
 
***
 
Sherlock è famoso per attaccar briga con persone di almeno il doppio della sua stazza per i motivi più futili del mondo, solo che John sperava di non trovarsi in una situazione del genere lontano dai prof e letteralmente circondati.
John non si spreca nemmeno a chiedere cosa sia successo ma prende Sherlock per mano e inizia a correre il più velocemente possibile.
Sherlock non sembra d’accordo su quella linea d’azione (a quanto pare preferirebbe rimanere lì ed essere preso a pugni) ma John gli intima di muovere le chiappe e lui, dopo aver fatto un’espressione seccata, gli corre avanti, trascinandolo lui questa volta per la mano.
Si rifugiano nell’aula di chimica e stanno ben attenti a non farsi sentire mentre sentono i passi degli altri farsi largo nei corridoi.
Si siedono a terra non appena le figure dei ragazzi oltrepassano il vetro opaco della porta e finiscono a ridere come i coglioni che sono.
E poi Sherlock lo bacia e John rimane talmente spiazzato da non riuscire a muovere un muscolo per diversi secondi. È buffo e maldestro e sembra più uno di quei baci che ti dai all’asilo con la fidanzatina ma è tutto ciò che serve per mandare il cervello di John in cortocircuito. Sherlock non lo prende come un buon segnale e si sposta, mordendosi il labbro inferiore e guardando ora il pavimento, ora il soffitto, qualsiasi parte che non sia verso la sua direzione.
“John io-”
Ma John si ridesta e afferra Sherlock per la nuca e lo avvicina di nuovo, mostrandogli com’è un vero bacio.
Quando si separano Sherlock ha gli occhi lucidi e John sa, se lo sente, che li ha lucidi di conseguenza.
“Non ti avrei mai dato per piagnone” si limita a dire prima di baciarlo di nuovo e Sherlock si aggrappa a lui con tutte le sue forze mentre la campanella della terza ora sta suonando.
Per fortuna nessuno ha chimica il sabato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Uuuhm… non doveva… andare così? Cioè verso la fine soprattutto era tutto diverso ma… han fatto tutto loro…?
Questa cosa ha senso in qualche maniera…?
E va beh, grazie di essere arrivati fin qui, ci vediamo alla prossima. X’D
Grazie come sempre a Yoko per il betaggio <3
   
 
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