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Autore: eli_mination    30/04/2020    1 recensioni
A Nuova Domino regna di nuovo la pace e i nostri eroi finalmente si concedono una pausa. Crow va a trovare i vecchi amici al Satellite, ma sulla via del ritorno incontra una ragazza che faceva parte del suo passato e che credeva di aver perso per sempre… Come, prego? La trama vi ricorda qualcosa? Significa che siete veterani di questa sezione!
(REMAKE DI “My love, My life”, FANFICTION SCRITTA DA ME E PUBBLICATA PER LA PRIMA VOLTA IL 28/06/2013)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aki/Akiza, Crow Hogan, Jack Atlas, Nuovo personaggio, Yusei Fudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Beline

"Allora, ragazzi, come penso sappiate, non vi ho convocato qui solo per il censimento di Belinda..."

Crow e Belinda si trovavano al commissariato di Nuova Domino, dopo essere stati convocati da Trudge e Mina in merito alle indagini svolte pochi giorni fa.

"Avete trovato qualcosa di interessante?" domandò Crow, poggiando una mano sul tavolo dell'ufficio. 

"Dunque, abbiamo setacciato l'edificio in lungo e in largo, ma non abbiamo trovato assolutamente nulla che potesse ricollegarsi a quanto raccontato dalla signorina Ragisa." disse Mina, seria e quasi dispiaciuta. Beline si sentì una stretta al cuore e voleva quasi piangere. Si chiedeva se avrebbe mai scoperto la verità su quello che le era successo in passato. Visti gli ultimi sviluppi, però, sembrava un capitolo della sua vita che non si sarebbe mai chiuso.

"Nemmeno materiale medico?" chiese il suo accompagnatore. "Beline si ricorda che le facevano iniezioni..."

"Abbiamo trovato delle siringhe, che però erano appartenute a dei tossicodipendenti. C'erano tracce di DNA di quelle sostanze..." disse Trudge.

"Accidenti..." commentò il rosso, palesemente deluso.

"Tuttavia abbiamo controllato i nostri archivi del Satellite, in particolare quelli corrispondenti agli anni della scomparsa di Beline e indovinate un po'? Beline non era l'unica persona del Satellite di cui si erano perse le tracce!" esordì Trudge.

Beline sollevò lo sguardo, un barlume di speranza le illuminò gli occhi. Forse c'era un modo...

"Dove sono adesso queste persone?" domandò timidamente Beline. "Cioè... sono state ritrovate?"

Mina incrociò le braccia.

"Alcune di loro sì, altre invece sono ancora disperse... Purtroppo però sembra che chi si è ripresentato non abbia alcuna intenzione di parlare di ciò che è successo durante la loro assenza." disse poi. "La cosa strana è che quasi tutti utilizzano la stessa scusa: l'amnesia. Nessuno ricorda gli avvenimenti dei precedenti anni. Un blackout di massa!" 

"Noi abbiamo il sospetto che alcuni di loro mentano... Eppure nelle loro sezioni c'è scritto chiaramente che hanno un'amnesia clinicamente diagnosticata. Alcuni sono stati persino sottoposti alla macchina della verità, ma nemmeno ciò non ha portato a dei risultati positivi..." continuò il poliziotto. "Ci tengo a dire che le persone in questione non sono un paio, ma almeno una decina!"

"Insomma, la faccenda puzza..." esordì anche Crow. "Voglio dire, il periodo di sparizione è pressoché lo stesso, nessuno si ricorda nulla... Non ha senso!"

"Per questo abbiamo deciso di avviare un'indagine più approfondita, cercando di strappare qualche indizio da parte di queste persone. Ovviamente, Belinda..." disse Mina, attirando l'attenzione della ragazza, immersa nei suoi pensieri ma senza perdersi il discorso. "Dovremo interrogare anche te e tu dovrai dirci tutto quello che ti ricordi. Ti è chiaro?"

Beline annuì decisa. 

“Bene! Crow, puoi aspettare fuori.” disse poi Mina, conducendo il giovane fuori dall’ufficio.

“Ehi, aspettate!” protestò lui. “Vorrei un attimo-”

Non fece in tempo a terminare la frase che subito la porta gli si chiuse davanti, lasciandolo ammutolito e anche un po’ nervoso. Avrebbe voluto rassicurare Belinda, sapeva che lei fosse una ragazza particolarmente fragile, specie dopo tutto quello che aveva passato. Diede un lieve pugno al muro.

“Crow, allora?”

Una voce familiare attirò la sua attenzione, facendolo voltare. Nulla di cui preoccuparsi, era solo Yusei. Mano nella mano con Akiza, i due avevano accompagnato i loro amici alla stazione di polizia, aspettando nella sala d’attesa. L’ambiente era particolarmente spoglio e deprimente: solo mura bianche, che di tanto in tanto erano decorate con dei poster che inneggiavano a denunciare crimini e a non commetterli, e delle sedie di metallo attaccate tra loro. 

“Adesso dovrebbero interrogarla. Spero che non siano troppo duri con lei…” rispose il ragazzo dai capelli arancioni, mettendosi una mano nei capelli. Era evidente la sua preoccupazione, non solo nelle parole ma anche nei gesti. Non riusciva a stare fermo con le gambe e questa cosa diede fastidio alla rossa.

“Crow, calmati!” esclamò, con un tono passivo-aggressivo. “Se la caverà, è una ragazza coraggiosa.”

“Ha ragione!” aggiunse Yusei. “Non preoccuparti, conosciamo Trudge e Mina, faranno molto bene il loro lavoro!”

Le parole confortarono un po’ Crow, anche se ancora si sentiva in ansia per Beline. Decise, quindi di sedersi e raccontare quel dialogo che si era scambiato con i due agenti e la sua metà.

“Uhm… Chissà che legame avevano tutti quei ragazzi per essere scomparsi insieme…” commentò Yusei, grattandosi il mento.

“L’unica cosa che diamo per certa è che vengono tutti dal Satellite. Neanche uno degli scomparsi, invece, era residente nella grande città…” sospirò Crow. “Ancora una volta, il Satellite preso di mira…”

Notò che Akiza aveva cambiato espressione quando si era menzionato il Satellite, dettaglio a cui non diede importanza poiché la sua mente era un subbuglio di pensieri.

I ragazzi attesero più o meno in silenzio che l’interrogatorio finisse, mentre udivano conversazioni tra il personale e alcuni cittadini che venivano a costituirsi o a denunciare. L’attesa era frustrante, quanto tempo era passato? Mezz’ora? Un’ora? Due ore? Crow era sempre più irritato.

“Quanto hanno intenzione di tenerla chiusa lì?!” si spazientì poi, alzandosi di scatto e dirigendosi verso la porta di quell’ufficio. Akiza si alzò con lui e lo prese per un braccio, trattenendolo dal fare una sciocchezza.

“Ogni cosa ha il suo tempo, stupido!” disse, rabbiosa. “Stai tranquillo, cavolo! Ringrazia che non abbiano deciso di lasciarla andare dopo solo un quarto d’ora di domande!” 

“Si, ma-”

“Niente ‘ma’! Ora come ora è meglio ricavare quante più informazioni possibili…” lo interruppe, trascinandolo e riportandolo al punto di partenza. “Quindi, per l’amor del cielo, stai fermo e zitto!”

Crow balbettò qualcosa, palesemente arrabbiato, e incrociò le braccia. Akiza però aveva ragione, quindi si rassegnò e attese ulteriormente.

Dopo quella che per il giovane fu un’infinità di tempo, finalmente la porta dell’ufficio si aprì e ne uscirono tutti e tre. 

“Eccomi qui!” esclamò Belinda, avvicinandosi ai ragazzi.

“Ehi, tutto bene?” le domandò premuroso Crow, abbracciandola. “Ti hanno fatto domande strane?”

“No, mi hanno chiesto di raccontare tutto quello che vedevo nelle mie allucinazioni e di descrivere ogni singolo dettaglio.” rispose, ricambiando l’abbraccio. 

“Belinda, ti ringraziamo tantissimo per esserti aperta a noi. Se dovessi ricordarti qualcos’altro, per favore non esitare a contattarci…” disse Mina, con un mezzo sorriso.

“Lo farò! Grazie a voi, piuttosto!” esclamò raggiante, staccandosi da Crow. “Speriamo di risolvere subito la faccenda!”

I ragazzi salutarono gli agenti.

“Ragazzi, aspettatemi fuori, vengo subito!” esclamò Akiza, girandosi e richiamando i poliziotti.

“Va bene, ma cosa devi fare?” domandò Yusei, effettivamente un po’ stranito da quella richiesta. 

“Devo… ehm, parlare un attimo con Trudge…” rispose distrattamente, prima che potessero sottoporla ad ulteriori questioni. 

 

Sheila

“Jack, esco un attimo!”

Sheila e il biondo, intanto, erano rimasti a Poppo Time. 

“Cosa vai a fare, di preciso?” la interrogò Jack, scrutandola da lontano. I capelli ribelli erano stati raccolti in una crocchia, mentre indossava un jeans chiaro e una maglietta grigia. Ai piedi, scarpe da ginnastica nere. Insomma, un abbigliamento semplice.

“Vado a fare un po’ di spesa, voglio cucinare qualcosa di buono oggi!” sorrise, aprendo la porta di casa.

“Ok, ma se farà schifo poi mi senti!” la prese in giro il ragazzo. 

“Tu farai schifo, semmai!” rispose lei a tono, ridacchiando. 

“Ah, puoi comprare anche dieci confezioni di spaghetti istantanei?” le domandò. “Però che siano di questa marca!”

“Va ben- EH?! Dieci confezioni?!” domandò lei stupita, mentre il ragazzo le fece vedere una coppetta di ramen vuota, che indicava la marca. 

“Proprio così! Sto a dieta, quindi solo dieci andranno benissimo!” esclamò lui.

“Tu sei fuori.” sibilò, chiudendo la porta e facendo un sospiro.

“Ecco perché mio fratello mi diceva di non assecondare mai il Re dei Duelli…” pensò esasperata, mentre si incamminava verso il supermercato più vicino.

Mentre passeggiava, si godette l’aria estiva e l’atmosfera della città. Trovandosi in periferia e non in pieno centro, trovò quasi familiare l’ambiente. Vedeva un sacco di famiglie per strada che camminavano allegramente.

“Fanno bene a godersi questa bella giornata!” pensò spensierata. “Allora, sono quasi arrivata, devo solo-”

Proprio in quel momento non vide più nulla. Si sentiva stringere il collo da una specie di tessuto, che le chiudeva la gola facendola respirare a fatica. Non riuscì nemmeno ad urlare, provò a divincolarsi e a tirare calci al suo possibile aggressore, ma ben presto fu bloccata da altre mani, che legarono i suoi polsi e la trascinarono chissà dove. 

“Lasciatemi!” urlò, ma la sua voce rimbalzò sulle pareti di quello che doveva essere un vicolo. “Aiuto!”

Nessuno la sentì. Nessuno accorse. Sentiva che sarebbe arrivata la fine. Chi mai avrebbe voluto rapirla?

  
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