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Autore: steffirah    02/05/2020    1 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La chiave



 
Non avevo idea di come dovessi comportarmi. Non avevo idea di come reagire. Non sapevo cosa fare.
In preda al panico, mi guardai frettolosamente attorno, sperando di vedere qualcuno all’orizzonte. Andava bene chiunque, purché potesse avere la forza necessaria per affrontarlo. Forza che a me certamente mancava.
«Se aspetti rinforzi sappi che è del tutto vano.»
Lo fissai terrorizzata, colta da un terribile presentimento.
«Cosa -»
«Non preoccuparti, non li ho rapiti, legati, torturati o cose simili. Non è proprio nel mio stile» ridacchiò divertito. «Sono solo impegnati in una battaglia.»
«Una… battaglia…?» ripetei in ansia, chiedendomi se non avessi sentito male. Com’era possibile che non ne sapessi niente? Che non avessi avuto alcun presagio, che i miei sogni non mi avessero messa in guardia…
“Perché i tuoi sogni sono controllati da lui”, mi risposi da sola.
«Distante da qui, naturalmente, così non potranno interromperci» garantì con fin troppa sicurezza.
Mi sentii mancare, ma dovevo restare cosciente. E, soprattutto, abbastanza sveglia da tenere gli occhi ben aperti. Per questo pregai soltanto per la loro incolumità, sperando che nessuno di loro si ferisse – al peggio non osavo neppure pensarci.
«Ho approfittato della fortuita assenza di Akiho-san per crearmi un piccolo esercito» mi informò, mentre adagiava con delicatezza Akiho-chan sul suolo. «Non potevo farlo con lei nei paraggi. Avevo già mandato qualcuno in avanscoperta per scoprire qualcosa di più sul tuo conto, ma come avevo supposto sei circondata da angeli guardiani. Dovevo pur tenerteli lontani in qualche modo, no?»
Ignorai i brividi che mi attraversarono, spostando invece l’attenzione sulla mia amica ai suoi piedi. Sembrava morta, priva di vita.
«Che cosa le hai fatto?» Mi sforzavo di celare il timore dietro ad un’impavida corazza, per non mostrarmi impaurita, eppure quella nota gracile nella mia voce mi tradiva.
«Nulla. Sta solo dormendo.»
Le spostò delicatamente i capelli dal viso e io all’improvviso ricordai i sogni in cui la sua voce mi parlava. Lì aveva fatto riferimento ad una persona che doveva salvare… e se questa persona fosse stata Akiho-chan, dubitavo volesse ferirla. Ciononostante era pur sempre un D., ed Eriol-kun aveva detto che essi erano senza scrupoli. Facevano del male, indiscriminatamente.
«Come posso esserne sicura? Come potrei fidarmi di te?» domandai allora, con la rabbia che mi faceva tremolare la voce.
«Non puoi, in effetti» riconobbe, stringendosi nelle spalle. «Ne abbiamo già discorso in queste notti, ma alla fine sta a te decidere» concesse.
“C’è una persona che devo salvare e, per fare questo, mi serve il tuo sangue.”
Le sue parole mi riecheggiarono nella mente, ripetutamente, come un disco rotto su un grammofono, stridenti e spezzate, penetranti, dolenti.
Guardai nuovamente Akiho-chan stesa a terra. All’apparenza, sembrava davvero che stesse semplicemente dormendo. Mi morsi il labbro, indecisa. Osservai per un attimo quell’uomo che le carezzava i capelli con dolcezza. Forse anche lui la amava. Forse ricambiava il suo sentimento, e almeno Akiho-chan avrebbe potuto essere felice. Forse qualunque cosa avesse dovuto fare con me sarebbe stata a fin di bene. Forse quella non era una menzogna.
In tal caso, non potevo portargliela via – e anche volendo, non ne avrei mai avuto la forza. Non avevo poteri, non potevo affrontare un vampiro da sola nella mia debolezza umana. Se almeno fossi riuscita a raggiungere gli altri, ovunque si trovassero, pur sempre augurandomi di non essere d’intralcio… Se fossi riuscita ad avvisarli, se almeno uno di loro mi avesse sentita, forse c’era possibilità di salvezza per tutti.
Mia madre mi aveva consigliato di parlare col nemico, ma figuriamoci se fosse stato disposto ad ascoltarmi – e in effetti, non sapevo neppure cosa dovessi dirgli. Di certo, nella sua saggezza Eriol-kun doveva saperne di più.
Per questa ragione feci l’unica azione che mi sentivo in grado di compiere, per quanto mi facesse apparire codarda: cominciai a correre con tutte le mie energie, allontanandomi di lì alla massima velocità concessami dalle mie gambe, e mi guardai disperatamente intorno, tentando di capire come uscire da quel labirinto di ciliegi, diretta verso un luogo senza nome. Un posto indefinito, guidata unicamente dal mio urlante pensiero.
“Eriol-kun, ascoltami! Ascoltami, ti prego!”
Una parte di me sperava che gli spiriti potessero aiutarmi, potessero indicarmi la strada per trovarli e salvarmi… Invece, mi sembrava che essi provassero a trattenermi, a riportarmi dov’ero. Li sentivo ghermire le mie braccia con le loro invisibili, forti, dita, e tirarmi indietro, verso il luogo da cui stavo tentando di scappare. Perché? Perché volevano che io lo assecondassi?
Provai a ribellarmi, ma in ogni caso non riuscii ad andare molto lontano; nel giro di un battito di ciglia mi ritrovai con la schiena a terra, bloccata da quell’uomo.
«Se tenti di scappare, Sakura-san, mi vedrò costretto a spezzarti le gambe» minacciò in tono melenso, con quel perenne sorriso artificioso in viso.
Mi si strinse lo stomaco per la paura. Cosa dovevo fare? Quali altre possibilità avevo? Mi parve di sentirmi il cuore rimbombare in testa; i suoi battiti accelerarono quando mi sfiorò una guancia con le sue gelide dita, con una tenerezza simile a quella usata con Akiho-chan. Dov’era lei? L’aveva lasciata indietro? L’aveva abbandonata? O l’aveva portata con sé?
Spostai lo sguardo attorno a noi, vedendola a breve distanza: continuava a dormire all’ombra di un ciliegio. Mi si formarono le lacrime agli occhi. Cosa le era successo? Perché all’improvviso era mutata così tanto? Perché aveva perso i sensi? Che stregoneria aveva attuato su di lei? E quando lo aveva fatto, se io ero rimasta sempre al suo fianco?
«Sakura-san.»
Al suo richiamare la mia attenzione tornai a guardarlo, guardinga. Qual era il suo potere?
Quasi capisse quel che stavo provando i suoi tratti si ammorbidirono, tanto da fargli assumere un’espressione rassicurante. Fui angosciata dalla mia stessa calma.
«Sai cosa è meglio fare in questa situazione. Ricorderai anche tu cosa accadrebbe se dovessi provare a ribellarti. L’hai sognato tu stessa. Sai bene che non saresti l’unica a pagarne le conseguenze. Devo forse rinfrescarti la memoria?»
Sgranai gli occhi, visualizzando quella stessa scena: Syaoran-kun disteso a terra a pochi passi da me, pieno di ferite, privo di vita.
«Non fargli del male!» gridai, allungando la mano verso la sua immagine. Il terrore mi si rampicava addosso, pungendomi con le sue spine.
«In effetti, questo non posso promettertelo. Facciamo così: se collabori, ammettendo che lui dovesse sopravvivere ai miei soldati, non oserò neppure sfiorarlo» sussurrò accanto al mio orecchio, entrandomi nella mente.
«Nemmeno gli altri! Nessuno deve morire!» insistei disperata, angosciata, ponendo tutte le mie speranze in quel patto.
«Nemmeno gli altri» promise. «Hai la mia parola.»
Avvertii le lacrime scivolarmi lungo le tempie e, a quel punto, mi arresi. Se fosse stato per salvare tutti lo avrei assecondato. Dovevo soltanto avere fiducia in loro e credere che ce l’avrebbero fatta: sarebbero sopravvissuti, tutti.
Mi voltai docile verso quel viso angelico e gli feci capire che avevo preso la mia decisione.
«Perfetto! D’altronde, non dimenticare che anche tu ne gioverai: dopo che mi avrai aiutato esaudirò il tuo desiderio. Non dovrai più soffrire.»
Sorrise incoraggiante, prima di alzarsi e prendermi in braccio, portandomi accanto alla mia nuova amica.
Che stranezza… Mi sentivo debole e intorpidita, fiacca, come se avessi corso per tutto il Giappone. Non percepivo più le gambe, le braccia, la mia testa, il mio busto… Era come se trascendessi dal mio corpo, come se mi trovassi oltre esso. Come se la mia anima vagasse in uno spazio incerto, indefinito, avvolto dal buio, rendendomi incapace di qualunque cosa. E allora capii quali fossero le sue abilità: lui bloccava la mia volontà. Lui entrava nel mio subconscio e la spegneva, quasi ci fosse un interruttore, cancellandola totalmente. Mi sentivo incapace in tutto. Compreso nel pensare.
Per cui rimasi a guardare quel che accadeva completamente estraniata, spenta, come una bambola senza vita. Proprio come Akiho-chan.
Stranamente non mi posò accanto a lei, sul suolo, bensì saltò su un albero maestoso, dalla chioma immensa. Era il ciliegio più grande che avessi mai visto in vita mia, doveva essere ultracentenario. Mi chiesi come avessi fatto a non notarlo prima, grande com’era. Doveva essere largo quanto tutto l’edificio scolastico.
Giunse su un ramo abbastanza ampio con ramificazioni a ventaglio e qui mi adagiò. Era assurdo come ogni sua singola azione fosse totalmente priva di violenza, sebbene il suo intento fosse ovviamente cattivo. Quale fosse, tuttavia, ancora non lo avevo capito.
Stava per allontanarsi da lì per tornare da lei quando riuscii finalmente a far uscire di nuovo la mia voce, seppure risultasse fioca persino alle mie orecchie. Riecheggiava soffusa nella mia mente, ma speravo che a lui potesse suonare più nitida.
«Mi trasformerai in una vampira?»
Si voltò di poco, e attraverso l’offuscamento lo vidi sorridere con indulgenza, come se stesse avendo a che fare con un’ingenua bambina. Probabilmente era così, non era impossibile che fosse molto più vecchio di me. E io, nelle sue mani, in sua presenza, mi sentivo come un’infante.
«Sarà Akiho-san a farlo. Io non posso.»
Lui non poteva? Akiho-chan, invece, sì?
Seguii i suoi movimenti eleganti rintronata, vedendolo posare il suo corpo ciondolante affianco al mio. Accostò insieme l’indice e il medio della mano destra, posandone le punte verso il tronco; da esso apparvero nuovi rami, i quali mi si avvolsero intorno e mi strinsero, quasi fossero delle corde.
«Per essere sicuro che non tenterai la fuga» spiegò carezzevole.
Chiusi per un attimo gli occhi, sospirando per quanto fosse insopportabile. Aveva un’apparenza troppo gentile, non riuscivo a resistervi. Non volevo neppure farlo.
«Non scapperò più» garantii, guardandolo apatica, inespressiva, del tutto svuotata. Che il ciliegio mi stesse risucchiando le poche energie che mi rimanevano? O lo stavano facendo quei fantasmi che ancora mi toccavano, ancora mi sfioravano, bisognosi di conforto?
«Lo spero per te.»
«Akiho-chan… lei… non è una vampira…» riflettei ad alta voce, ripensando alla sua promessa.
Perché mi mentiva su una cosa simile? Cosa ci guadagnava? La mia fiducia? Anche volendo, non sarei mai riuscita a negargliela.
«Non ancora» confermò, prendendo gentilmente il mio polso. «Ma grazie a te potrà diventarlo.»
«Grazie a me?» ripetei affannata e nauseata, sentendomi sottosopra.
Che senso di pesantezza… Non capivo se fossero i ruvidi rami che mi stringevano il petto a soffocarmi o ci fosse davvero qualcosa sui miei polmoni, ad appesantirli, rendendo difficile persino respirare.
«Grazie al tuo sangue.»
Detto ciò si portò il mio polso alla bocca, mordendomi senza alcun preavviso. Qualcosa scattò in me, una forza che davo perduta mi permise di ritrarre immediatamente il braccio mentre gli gridavo di fermarsi, nel panico. Ma ormai era già troppo tardi: osservai sconvolta il sangue che già scorreva giù dal mio polso tremante, i rivoletti che scivolavano lungo la mia pelle, impregnandomi la manica.
No… Non così… Aveva detto che non poteva!
Lo fissai sconcertata, portandomi quello stesso braccio accanto al corpo, sperando di fermarne il flusso in qualche modo; lui intanto valutava, leccandosi le pallide labbra: «È delizioso, proprio come lascia intendere il tuo odore. Il tuo ragazzo ha già avuto modo di saggiarti?»
Sbiancai dinanzi a quel quesito, sentendomi precipitare negli abissi della disperazione. Della solitudine. Dell’abbandono. Mi sentivo così sola, sola con me stessa, una me stessa così fragile e arrendevole…
Lo vidi avvicinarsi al collo di Akiho-chan prima di fermarsi, guardandomi con aria riflessiva.
«Che spreco» sospirò, riafferrandomi il braccio. Provai di nuovo a ritirarlo, con tutte le mie energie, ma stavolta la sua presa era ferrea. «Non dissiparlo macchiandoti i vestiti. Non immagini neppure quanto sia prezioso il tuo sangue. Non solo per me.»
In seguito a quest’ultima affermazione, mi accorsi di qualcosa che fino ad allora avevo parzialmente ignorato: mi sentivo il corpo più leggero e, al contempo, era come se tante mani mi stessero agguantando quell’arto ferito. Decine di mani di diverse dimensioni, di anziani, adulti e bambini, impalpabili, invisibili, ma raggelanti. Mi si raggrupparono le lacrime negli occhi, visualizzandole, dandovi una forma trasparente, dal contorno vetroso. Era come se si stessero arrampicando su per il mio arto, disperatamente alla ricerca del mio sangue, quasi fosse la loro linfa vitale.
Ricordai quello che mi aveva detto mamma: il mio sangue era una porta per i due mondi. E mio fratello lo aveva sempre ripetuto, che le anime vaganti erano attratte da me perché ero un conforto. Ma allora, anche esse lo bramavano?
Scoppiai a piangere, percependo una sofferenza atroce. Mi accorsi, tuttavia, che non ne era una sola, piuttosto era un’unione di molteplici sofferenze. E non provenivano da me, bensì da fuori di me. Mi impregnavano la pelle, scavandomi le ossa, insinuandosi nelle mie vene, riempiendomi di dolore. Erano le loro pene.
«Basta» lo implorai con un fil di voce, incapace di sostenerle. Erano troppe, erano intense.
Cosa potevo fare per loro? Come potevo risollevarli? Come potevo aiutarli a passare oltre?
«Non abbiamo neppure cominciato e già non ce la fai più?» domandò con una punta di scherno. «Visto che sei la chiave che unisce i due mondi, ti ritenevo più aitante.»
Mi morsi il labbro, trattenendo i singhiozzi. Desiderio di sparire, abbandono e solitudine, due sentimenti che mi erano così familiari. Tradimento e disillusioni. Abusi e violenza. Sofferenze fisiche e morali.
«Basta!» ripetei con maggiore impeto, in un grido roco e dilaniato.
Tentai nuovamente di liberarmi, sebbene quanto più mi muovessi tanto più i rami mi si stringessero attorno, soffocandomi, e le incorporee mani dei miseri mi strisciavano addosso…
“Syaoran-kun… Syaoran-kun…”
Gli rivolsi ogni mio pensiero ancora cosciente, usando quel poco di consapevolezza che mi restava per pregare che lui stesse bene. Che a lui non succedesse niente. Che sopravvivesse. Che non sapesse nulla di quello che stavo passando. Eppure, egoisticamente, in parte volevo che fosse qui con me, al mio fianco. Non per combattere, non per sostituirsi a me e farsi male al mio posto, ma per supportarmi e assicurarmi che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Mi sarebbe bastato quel poco. La sua mera presenza. Un tacito incoraggiamento a non arrendermi e lasciarmi sopraffare.
«Non ribellarti, Sakura-san. Così non fai che peggiorare le cose. Se dovessi morire il tuo sangue non potrebbe aiutare più nessuno» mi rimbrottò affabilmente Kaito-san, allentandomi di poco dei rami che mi stringevano la gola e il petto, rendendomi un po’ più leggeri i polmoni.
Dalla mia bocca uscirono soltanto rantoli spezzati, raschianti.
Riaprii faticosamente gli occhi e attraverso un velo lo vidi rivolgermi un sorriso confortante.
«D’altronde è tutto vano. Ormai non si può più tornare indietro.»
Fu allora che vidi altro sangue impregnare le sue labbra: non il mio, ma quello di Akiho-chan.
Tornai repentinamente in me e mi voltai verso di lei, terrorizzata, vedendo un morso anche all’altezza della sua giugulare. La stava trasformando?
Afferrò il mio polso per portarlo accanto al suo collo, pose le dita attorno alla ferita aperta e premette contro essa per far sì che ve ne uscisse più sangue; tuttavia, neppure una goccia riuscì a cadere oltre la mia pelle, perché proprio quando stava per succedere io e Akiho-chan ci ritrovammo improvvisamente sole.
Sbattei le ciglia per qualche secondo, la mia coscienza tornava lentamente a rispondermi. Tolsi rapidamente il braccio, sentendomelo tutto indolenzito e mi voltai freneticamente a destra e sinistra, tentando di capire cosa stesse accadendo. Ora che stavo riprendendo possesso di tutte le mie facoltà la paura mi stava attanagliando, mostrandomi tutto appannato, come se mi trovassi al di sotto del mare, nelle più scure profondità dell’oceano; eppure il terrore che avevo provato dalla comparsa di quell’uomo non era nulla se comparato a quello che germogliò in quel momento. Misi a fuoco la persona che era corsa in nostro aiuto, sentendomi ghiacciare fin dentro al cuore.
Syaoran-kun era lì.
  
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