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Autore: Saruwatari_Asuka    03/05/2020    0 recensioni
{Spoiler dei capitoli dal 195 al 211 circa}
{ShinOji of course}
{Angst a palate perché fa sempre bene}
--
“Buongiorno, Shinsou.”
Sgranò gli occhi, a quel saluto, fermandosi come una statua di sale all’ingresso dell’aula.
Lo aveva salutato. Davvero? Anche adesso che era libero di muoversi, di saltargli addosso ed ucciderlo?
Dio, che aveva fatto?
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hitoshi Shinso, Kaminari Denki, Mashirao Ojiro, Shōta Aizawa
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 18

 

 

 

“Mi canti di nuovo la canzoncina, mammina?”

La donna sorrise, dolce, si stese con il piccolo Mashirao sul suo lettino, rimboccandogli per bene la coperta, “Va bene tesoro. Ma mettiti buono, perché è ora della nanna.”

Mashirao si accoccolò subito per bene accanto a lei, la coda passava sul fianco e lui si strinse il pennacchio al petto con una manina mentre l’altra teneva quella della donna, che prese a cantare dolcemente, la voce bassa e melodiosa.

Quanto gli piaceva la voce della sua mamma.

Lo rendeva felice.

Anche quella sera si addormentò subito, lei gli diede un bacio sulla fronte e chiuse piano la porta della stanza, tornando al piano di sotto.

 

Gli occhi neri come i suoi che lo osservavano dal nero oltre la porta brillavano nel buio.

Non sbattevano le palpebre.

Poi la porta sbatté.

 

Mashirao si tirò a sedere di soprassalto, l’urlo bloccato in gola lo mandò giù a fatica, nel silenzio della stanza.

Almeno non aveva fatto alcun rumore.

Asciugò il sudore freddo con il palmo della mano, poi andò al bagno a farsi una doccia calda. Probabilmente non sarebbe più riuscito a dormire.

Non capiva il perché di quel sogno assurdo, in verità.

Era un incubo che faceva spesso, a dover essere onesto, soprattutto i primi tempi. E che era tornato dopo il Festival Scolastico.

A volte durava di più, vedeva...altro, prima di riuscire a svegliarsi, per sfuggire a tutto quello per tornare nella realtà.

Una realtà che per quanto complicata, a tratti dolorosi, e confusa in quel momento, era migliore di quei sogni, di quei ricordi, di quel passato.

Anche se lui la ricordava comunque con gioia, la sua famiglia.

Fino a quella notte.

Prima che giungesse l’inferno.

Sospirò, poi decide di scendere di sotto. Aveva bisogno di qualcosa di caldo da bere. E...per qualche motivo, prese il cellulare.

 

--

 

Il rumore al piano di sotto lo svegliò. Non era notte fonda, così decise di andare al bagno. Sgattaiolò fuori dal letto, i piedini nudi sul pavimento gelido per un attimo lo fecero tremare, ma non trovava le sue ciabattine e doveva davvero andare.

Era a metà corridoio quando sentì qualcosa.

Erano le voci del suoi genitori, però c’era anche qualcun altro. Lì per lì non gli disse nulla, quella voce, ma era sicuro di conoscere quella voce. Così, tranquillo, andò al bagno e poi, invece di tornare nel suo lettino caldo, iniziò a scendere le scale.

“Sai bene quali sono le regole nelle Arti Marziali. La mia è una palestra seria,” la voce di suo padre era furiosa. Con lui non aveva mai parlato così.

Forse lo stava sgridando.

“Non prendermi in giro! Sai bene che non è stata colpa mia!”

“Non è la prima volta che fai a botte al di fuori delle lezioni. Sai come la penso. Non sei più il benvenuto nella mia palestra!”

“Non puoi scacciarmi così! Non hai alcun diritto di farlo!”

“Ne ho eccome! Cercati un'altra palestra e, se sei così interessato a diventare un campione di Arti Marziali, cerca di darti una calmata! Comportandoti come ti comporti non sei molto meglio di alcuni Villan.”

“Come osi!”

“Per favore, smettetela!”

Mashirao spiò meglio dal corrimano delle scale, infilandoci quasi la testa in mezzo, cercando la madre che aveva appena parlato. Aveva una faccia preoccupata, e non gli piaceva vedere così sua madre. Così, anche se forse non avrebbe dovuto, si prese la codina fra le mani e scese gli ultimi gradini.

La porta d’ingresso di casa era ancora aperta, come se quell’uomo non fosse davvero il benvenuto e volessero farlo andare via il prima possibile.

Ma quell’uomo, che lui aveva visto tante volte in palestra, era ancora lì.

“Mamma?”

“Mashirao torna subito di sopra!” ordinò suo padre.

Perentorio.

“Ma...”

“Niente ma. Torna di sopra.”

Mashirao mise il broncio, “Mamma, vieni anche tu con me?”

“Certo, tesoro.”

L’uomo della palestra fece un movimento strano di braccia, poi si voltò verso suo madre, afferrandole il polso “Mi permette, signora Ojiro?”

“Non permette proprio nulla! Vattene via e sta lontano da me e dalla mia famiglia!” ululò suo padre. A Mashirao per un attimo salirono le lacrime agli occhi. Suo padre così arrabbiato era spaventoso.
Fortuna che non ce l’aveva con lui.

“Ma certo, maestro. Solo, volevo salutare la signora. E dirle che, forse, dovrebbe fare attenzione. Ha una bellissima famiglia. Sarebbe un peccato se qualcuno volesse uccidere il bambino. O lei.”

“Fuori!”

Mashirao lo guardò andarsene, mano nella mano con la madre. Eppure, la stretta che gli stava dando per una volta non era carezzevole.

Stringeva davvero. E tanto.

“Non posso credere che sia venuto qui a litigare e minacciarmi! Coraggio, torna a letto adesso, Mashirao.”

“Sì, ma...la mamma sta bene?”

L’uomo inarcò un sopracciglio. “Perché?” Alzò gli occhi sulla moglie, ma lì per lì non notò nulla di strano. Sembrava solo stanca.

Sapeva bene che il potere del suo ex allievo era quello dell’ipnosi, e che per farlo doveva riuscire a fissarti negli occhi per almeno dieci secondi.

E sì, in effetti aveva guardato Mitsuna ma...non capiva cosa intendesse Mashirao.

“Non ti preoccupare. Vai a letto adesso.”

“Sì. Va bene papà.”

 

In camera, Mashirao si arrampicò di nuovo sul letto, in trepitante attesa che la madre gli rimboccasse le coperte come faceva sempre.

“Mamma, mamma, vieni! Visto che ci siamo svegliati mi racconti una storia stavolta? Per favore!”

Ma lei non disse niente e non sorrise, stavolta. Le sue belle mani delicate che ogni volta gli carezzavano i capelli non afferrarono la trapunta ma si avvicinarono al suo volto, e Mashirao chiuse gli occhi, in attesa di una carezza o di un bacio sulla fronte.

Invece, le dita esili si strinsero intorno al suo collo sottile. E strinsero.

Forte.

Gli mancò il fiato, tanto da non riuscire a chiedere aiuto. Non ce la faceva.

Non respirava.

Faceva male.

“Ma...mamma...”

Non voleva farle male, ma lei ne stava facendo a lui. Per questo, iniziò a scalciare e a muovere la coda per cercare di allontanarla da lui.

“Mamma...mi fai...male...”

Probabilmente riuscì a colpirla, anche se solo una volta, per bene. Per un attimo la presa si allentò appena quanto sufficiente perché Mashirao le mordesse una mano e riuscisse poi a sgusciare via.

Scalzo, in lacrime e spaventato scese dal letto, cadendo malamente sulle ginocchia, ma riuscì ad aiutarsi con la coda a ritirarsi su in fretta e a correre via.

“Papà!” urlò, arrivando quasi alle scale. Qualcosa gli calpestò la coda, facendolo cadere in avanti.

Mashirao urlò, ma la voce gli si fermò in gola quando lei tornò a stringere. A soffocarlo.

Perché gli stava facendo quello?

La sua mammina.

“Che succede?” la voce del padre gli arrivò ovattata.

Gli occhi stavano per chiudersi, ma la figura di suo padre lo sovrastò, spinse via la donna e lo prese in braccio, stringendolo e massaggiandogli la schiena mentre lui tossiva e cercava di recuperare fiato.

“Che stai facendo, Mitsuna?” gli domandò, quasi urlando.

Poi sgranò gli occhi.

Era stato quell’uomo. Quando aveva parlato. Aveva calcato sulla minaccia perché era un ordine.

Come faceva a farla tornare in sé?

Come?

Che doveva fare?

Mitsuna, ti prego, torna in te! E’ tuo figlio!”

“Papà...papà, che succede alla mamma?”

Ayashi strinse i denti, costringendolo con una carezza gentile ma ferma a girare il capo per guardare alle sue spalle. Ma così Mashirao non riusciva a vedere la sua mamma.

Che stava male, no?

Altrimenti perché faceva quelle cose?

“La mamma sta male?”

L’uomo scosse il capo, poi lo mise a terra, “Ci riesci ad andare dai vicini, Mashirao?”

“E la mamma?”

Ayashi gli si mise davanti, come se sapesse che sarebbe stato necessario farlo. Quando Mitsuna scatta verso di lui, infatti, l’uomo riuscì subito a fermarla prima che raggiungesse Mashirao, che urlò e fece un salto indietro.

“Che ho fatto, mamma? Perché sei arrabbiata?!”

“Va dai vicini, Mashirao! Vai e digli di chiamare la polizia!” sbottò l’uomo, “Corri!”

Mashirao si sfregò gli occhi, asciugandosi anche il naso con la manica del pigiamino.

Avrebbe chiamato gli eroi, sì. Loro avrebbero salvato la sua mamma.

Gli eroi salvano sempre tutti.

Era a metà scalinata quando sentì un botto, poi la voce di suo padre che urlava il nome di sua madre.

Quando  si girò, qualcosa gli passò velocemente davanti agli occhi.

Non capì subito cos’era.

Sentì però la voce disperata di suo padre, ancora in cima alle scale.

E quando guardò stavolta in basso, c’era sua madre.

Però a terra. Ferma.

Non si muoveva più.

“Mamma...?”

Scese le scale di corsa, inginocchiandosi accanto a lei.

“Papà, la mamma...”

Ma l’uomo era ancora in cima alle scale, in ginocchio. Le mani fra i capelli. Gli occhi persi nel vuoto.

Mashirao strinse i pugni, “Adesso vado a chiamare gli eroi!”

 

 

Erano quasi le due di notte quando Shinsou scese in sala comune.

E Ojiro era proprio lì dove gli aveva detto che l’avrebbe aspettato. Gli era sembrato più che strano ricevere quel messaggio, ma non aveva davvero potuto ignorarlo.

E poi, in realtà gli faceva piacere sapere che, in una serata così strana per lui, Ojiro avesse deciso di chiedere la sua compagnia.

Non avrebbe avuto diritto di farlo, ma glielo aveva chiesto Ojiro, quindi era felice.

Anche se gli dispiaceva vederlo così.

Almeno quella volta non era colpa sua.

“Ojiro?”

Ojiro si girò verso di lui, sorridendogli appena, tirato, “Scusa se ti ho mandato un messaggio a quest’ora.”

“Tranquillo. Ma...va tutto bene?”

“Sì, solo...raccontarti di quella notte mi ha fatto tornare in mente tante cose. E non riuscivo a dormire. Ti ho svegliato?”

“No. Non dormo molto già di mio. Hai...ricordato qualcosa?”

“In realtà ricordo tutto. Non i dettagli, tipo com’è iniziato. Ero al piano di sopra, quindi non ho visto. Ma il resto...lo ricordo. A volte, specie vicino all’anniversario, gli occhi di mia madre mi perseguitano. Quando mi hai usato contro il Brainwash lo scorso anno...E’ stato orribile. Per un sacco di settimane non sono riuscito a dormire bene, la vedevo in continuazione.”

Shinsou stirò le labbra, “Non mi scuserò di nuovo. Non lo sapevo e...di certo non volevo torturarti. Di questo mi dispiace.”

Ojiro sorrise. Non si aspettava niente di diverso ma in fondo era giusto così.

Aveva capito da tempo che Shinsou non aveva sbagliato e che forse il suo ritiro era stata una scelta avventata –di cui, però, non si pentiva di certo. Ne valeva del tuo orgoglio, e non solo.

L’idea di aver subito il lavaggio del cervello lo aveva sempre ripugnato. Forse, proprio per quello che era successo quella notte.

Sua madre, che era così buona, dolce, si era trasformata completamente a causa di quel potere. O di qualcosa che gli somigliava molto, comunque.

“Hai detto...che rivedi continuamente gli occhi di tua madre. Ieri non te l’ho chiesto, mi sembrava poco...delicato. Ma...”

“Se ho visto tutto, vuoi chiedermi?”

Shinsou stirò le labbra, “Beh...”

“Ha cercato di uccidermi. Sotto l’ipnosi di quell’uomo, sia chiaro. Mio padre l’ha fermata, questo te l’ho già detto, no? Quello che non ti ho detto è che...beh, si è rotta l’osso del collo cadendo dalle scale. Voleva venire a prendere me. Penso che nella furia di fermarla papà l’abbia spinta, o comunque afferrata in malo modo. E lei ha perso l’equilibrio ed è caduta dalle scale.”

“Cazzo...”

“Parlando con mio padre, quando ero un po’ più grande, ho capito che forse quell’uomo voleva che mamma uccidesse me, per fargliela pagare e rovinarlo. Ma fermandola dopo un po’ siamo riusciti a trovare abbastanza prove e testimoni che confermassero che quell’uomo ce l’avesse con noi e il suo quirk, che confutava la possibilità dei fatti, l’ha incastrato.”

“Quanti...anni avevi, Ojiro?”

“Sei.”

“Eri...un bambino...”

“Già. Ma ho vissuto con mio padre fino ai dodici anni.”

“E poi cos’è successo?”

Ojiro sospirò, la coda, che ondeggiava un po’ a destra e a sinistra, si arrotolò intorno alla vita, “Mio padre è stato forte finché non hanno condannato quell’uomo. Era desideroso di avere giustizia a tutti i costi e non ha ceduto finché non gli sono stati dati quindici anni al tartaro per omicidio più sei mesi di domiciliari per l’utilizzo di un quirk pericoloso contro terzi. Quando ha ottenuto quello che voleva, e io ero abbastanza grande da badare a me stesso, si è...lasciato andare.”

“Ma tu eri ancora un ragazzino. Facevi solo le medie...”

“Lo so. Ma credo fosse depresso. Io...non l’ho capito. Era sempre triste, beveva molto, penso si sentisse schiacciato dai sensi di colpa. Quelli non lo hanno mai lasciato.”

Shinsou abbassò gli occhi sulle ginocchia, prima che la sua attenzione fosse catturata dai movimenti delle mani di Ojiro, che giocava spasmodicamente con l’orlo della manica della felpa che indossava.

Doveva essere difficile parlarne.

Doveva essere stato un incubo viverlo.

Ed era solo un bambino. Così piccolo.

Non poteva che stimarlo ancora di più, adesso che sapeva la verità.

Capiva perché fosse restio a parlargli, ad avere a che fare con lui. E apprezzava il fatto che fosse comunque riuscito a superarlo.
Questo...e quello che gli aveva fatto lui, che doveva avergli confermato inizialmente che quel potere fosse solo il male.

Eppure, alla fine l’aveva perdonato.

Parlava con lui, per lo meno. Si stava confidando.

Era buono, nonostante tutto quello che gli era successo. Così...gentile.

Anche se non se lo meritava.

“Lo hai...trovato tu?”
“Sì.”

 

“Papà, sono tornato!” urlò, buttando lo zaino in un angolo accanto alla porta d’ingresso. Con la coda appese la giacca all’appendiabiti e tornò poi a girare per casa.

Era stanco morto dopo la giornata a scuola, e non vedeva l’ora di mangiare. Ma non sentiva il solito odorino in casa, segno che il padre stavolta non aveva preparato niente.

“Papà, ma ci sei? Ho una fame da lupo, per caso c’è qualcosa in frigo? Vuoi che prepari anche per te?”

Ancora nessuna risposta.

Sbuffando, Mashirao si diresse verso lo studio del padre. Di solito se ne stava lì, da solo. Adesso che non avevano più la palestra –venduta insieme alla casa per trasferirsi in un bilocale in centro- passava molto tempo lì a lavorare.

O almeno così gli diceva.

Lavorava a casa, lo preferiva.

Così gli aveva sempre detto.

Ma quando aprì la porta, si accorse in fretta che era una bugia.

Non era per lavorare in casa che lo faceva.

Adesso che gli penzolava davanti, appeso al soffitto, capiva che c’era una cosa di cui non si era accorto mai: che aveva bisogno di aiuto.

E lui, suo figlio, non era stato in grado di capire e darglielo.

“Papà!”

 

 “Il tuo è un potere tremendo,” mormorò Ojiro dopo un po’, come pensieroso. Fissava il vuoto davanti a sé invece che Shinsou e sembrava estremamente malinconico.

“Non più di altri, Ojiro.”

“Invece sì. Uccidere, ferire, mutilare, trasformare, è una cosa che tu fai agli altri. E’ brutto ma accettabile. Ma costringere una persona a farlo a qualcun altro, a qualcuno che ama...è peggio. E’ molto peggio.”

Shinsou abbassò di nuovo gli occhi.

Forse era vero. Dopotutto, era stato lui il primo ad essere sempre messo da parte proprio per questo motivo.

Proprio perché la gente poteva accettare un potere che portava il rischio di farti saltare in aria, ma uno che poteva costringerti a perdere contatto con se stessi...quello no. Era inaccettabile.

E per quanto fosse il suo potere, Shinsou lì capiva.

Poteva controllare gli altri ma era lui stesso il primo che non avrebbe mai voluto che qualcosa lo muovesse contro la sua volontà.

“Mi dispiace per quello che ti è successo.”

“Non importa. Alla fine, i miei zii si sono presi cura di me. In fondo, avrei dovuto farlo prima.”

“Che cosa?”

“Parlarti. Perdonarti per lo scorso anno. Ci saremmo risparmiati un sacco di problemi, non trovi?”

Shinsou si limitò ad annuire. Considerare quello che aveva fatto solo un problema, magari da poco, era decisamente restrittivo.

Ancora adesso, se ci pensava, non poteva che maledirsi.

E ringraziava di potergli di nuovo parlare in quel modo.

“A prescindere da questo io non avrei...-”

“Dovuto. Sì, lo so. Ma ormai lo hai fatto,” lo interruppe. Poi si alzò, allungandosi per stirare la schiena e muovendo piano la coda in maniera circolare. “E’ quasi l’alba ormai. Grazie per avermi fatto compagnia anche se ti ho scritto a tarda notte.”

“Non ho fatto niente,” mormorò Shinsou, alzandosi a sua volta, “Fai ancora in tempo a riposare un po’, prima delle lezioni.”

“Sì. Anche se...mh...”

“Cosa c’è?”

“Ecco...” Ojiro stirò le labbra. Non era il tipo di persona che riusciva a dire e fare facilmente certe cose. Con Shinsou, poi, ancora di meno. “In realtà non credo che riuscirei a dormire. Oggi è...strana per me.”

“Immagino. Ma non hai dormito neanche ieri suppongo, vero?”

“E come avrei potuto.”

“Allora dovresti davvero oggi.”

“Sì, immagino. Non che possa decidere io,” ridacchiò, “Però...ecco, mi piacerebbe avere compagnia, in realtà. Tu hai sonno?”

Shinsou sgranò gli occhi, “Non particolarmente...” mormorò.

Non pensava l’avrebbe mai più invitato nella sua stanza, dopo quello che era successo l’ultima volta.

E invece era proprio lì che stavano andando.

Ojiro doveva stare davvero male, per chiederlo a lui.

“Gli altri lo sanno?”

“No. L’ho accennato a Shoji, ma non sa tutti i dettagli. Ma tu...hai il suo stesso potere, o comunque simile.”

“Già. E non solo quello...”

“Non dire sciocchezze. Sei stato uno stronzo, avrei dovuto picchiarti, ma c’è un oceano di differenze fra te e lui. Te lo posso assicurare.”

E chissà se era per questo che adesso era lì con lui, in piena notte, nella sua stanza dopo tutto quello che era successo fra loro lì dentro.

Shinsou era una brava persona, che aveva sbagliato a suo danno. Ma era il primo che si stava punendo per quello.

Aveva odiato Shinsou per un passato in cui non c’entrava nulla, e questo aveva solo portato problemi e guai. E l’errore iniziale era stato il suo, perché non era stato in grado di distinguere due persone totalmente diverse accomunate da un quirk che non si erano certo scelte.

E forse per questo lo aveva perdonato così velocemente.

Ne aveva bisogno. Era giusto così.

Shinsou non era come quell’uomo. Era migliore. Nettamente migliore.

E lo stava capendo pian piano.

“Onestamente mi chiedo ancora che cosa ti sia saltato in mente quel pomeriggio.”

Shinsou sgranò gli occhi, poi li abbassò sulle caviglie intrecciate. “Te l’ho...detto, mi pare.”

“Mi viene difficile credere di poter...” scosse il capo, Ojiro. No, non doveva mettersi a pensare a quelle cose, era controproducente.

Ormai era passato.

Shinsou aveva ceduto ad istinto e rabbia e forse avrebbe dovuto essere onorato di scatenare certe pulsioni in qualcuno, lui che era così normale. Anche se bisognava essere in grado di reprimerle, e Shinsou non lo era stato.

Eppure non riusciva più ad avercela con lui.

Gli faceva tenerezza.

“Non ho molte cose da fare in stanza, in realtà,” ammise dopo un po’, “Potremmo vedere un film, abbiamo giusto il tempo.”

“Va benissimo, Ojiro.”

 

--

 

Il cielo era torbido.

Gli ricordava gli occhi di suo padre, grigi. Di un grigio che negli ultimi anni era diventato particolarmente scuro e freddo.

Carico di nubi colme di pioggia che non era stato mai in grado di vedere, e che gli avevano impedito di salvarlo.

“Mashirao? Hai compilato la domanda per la scuola superiore, tesoro?”

Ojiro abbassò appena gli occhi, guardando sua zia. Ora era la sua tutrice.

Si occupava lei di lui, adesso.

Era tutta la famiglia che gli era rimasta.

“Andrò alla Yuuei,” affermò, “Entrerò alla Yuuei e diventerò un eroe.”

Sua zia per poco non svenne. Ce l’aveva scritto in faccia.

“Ne sei sicuro, tesoro? E’...è pericoloso...”

“Lo farò. Farò capire a papà che non avrebbe dovuto arrendersi. Non avrebbe dovuto arrendersi quando non è riuscito ad entrare alla Yuuei e non avrebbe dovuto arrendersi alla vita un anno fa. Metterò in pratica tutto quello che mi ha insegnato sulle arti marziali. Anche con solo la mia coda, anche se da solo. Ce la farò. Lui è stato...egoista, e mi ha lasciato solo. Si è arreso, ha smesso di combattere. Io non lo farò mai. Io non mi arrendo.”

 

 

 

Angolino Autrice:
Buondì carissimi! Innanzitutto scusate per l’attesa un po’ più lunga di questo capitolo, ma ultimamente sto fusissima.
Ad ogni modo, spero che la storia fino a qui sia stata ancora di vostro gusto, e vi sia piaciuta.
Il prossimo capitolo è l’ultimo, siamo in dirittura d’arrivo.
Ma vi ringrazio già da adesso per avermi seguito fin qui anche in questo e non preoccupati, ho in servo tanti altri problemi e tante altre storie per il mio povero Mashirao Ojiro.
Un grazie particolare a Bluebb e MeryHope e ai loro meravigliosi commenti!
Un bacione grande, fatemi sapere cosa ne pensate mi raccomando!
Asu

   
 
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