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Autore: Ladydevilexo16    03/05/2020    1 recensioni
TRATTO DAL PRIMO CAPITOLO:
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La scena si ripete, la stessa scena da giorni, settimane ormai. Io solo in casa, seduto sulla mia poltrona, che tossisco, tossisco e mi fiondo in bagno a vomitare sangue e quei dannatissimi petali viola che amo ed odio allo stesso tempo.
Quei petali che mi fanno pensare a John...
L'uomo che amo.
Quegli stessi petali che saranno la causa della mia fine, la fine di tutti quei momenti che ho vissuto e sto vivendo con il mio coinquilino...
La fine della mia vita...
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buon pomeriggio, eccomi con il 5º capitolo di questa storia. Buona lettura! 😉

 

Sono passati quattro giorni da quando mi sono lanciato nel vuoto e dovrei essere morto. Quattro giorni che ho trascorso nascosto tra la rete di senzatetto di Londra. Quattro giorni da quando non vedo John. I peggiori della mia vita. “Gli ho mentito…” “è stato per salvargli la vita.” “È per questo che ho inscenato il mio suicidio.” Me lo sono ripetuto più volte. Eppure, mi manca. Mi manca da morire. Davvero questa volta, perché non so quando lo potrò rivedere, riascoltare la sua voce, sentire il suo profumo… Ma almeno lui è salvo; continuo a ripetermelo ininterrottamente, mi ripeto che non ho fatto questo sacrificio inutilmente. Mi aggrappo a questa unica certezza per non impazzire. Nella speranza di risolvere al meglio la situazione e poterlo rivedere… presto, spero.

 

Ed eccolo lì, accanto alla signora Hudson, entrambi vestiti di nero, come il grosso e vecchio ombrello che li ripara. Il cielo è grigio, piange, come la signora Hudson e come John, piange per me… Lo sguardo mi si vela di malinconia. Una fitta di dolore al petto, un colpo di tosse che faccio uscire silenziosamente. Petali, petali viola. Ancora. “Perdonami, perdonami John.” Resto ancora ad osservarlo. Il mio funerale è appena finito. Lui è lì in mezzo a quel prato, davanti alla mia lapide. Freddo marmo nero inanimato,  morto… Una lacrima sfugge al mio controllo, per l'ennesima volta. Quand’è che ho cominciato ad essere così sentimentale!?Già, quel giorno, quel giorno di ormai quasi un anno fa. Il giorno in cui mi sono innamorato di John Watson. Li sto ancora osservando, nascosto tra gli alberi in mezzo al cimitero. Già, ho assistito al mio stesso funerale, nascosto nell’ombra, come un'ombraun fantasma.

 

John e la signora Hudson guardano la lapide e parlano. Non riesco a capire completamente il discorso, ma solo qualche stralcio. “Sono arrabbiato!” “...sparare alla una e mezza del mattino, i campioni insanguinati nel mio frigo… assurdo. Era così irritante!” un piccolo sorriso mi incurva le labbra a quelle parole. Dopo poco la signora Hudson si allontana lasciando John da solo. Ricomincia a parlare. “una volta mi hai detto…” “…eri l'uomo migliore,l'essere umano più umano che io abbia conosciuto...” Una stretta al cuore. Fa così male vedere quanto lo stia facendo soffrire ma,dovevo. Ho dovuto farlo. Vedere John così, sentirlo parlare con lavoce spezzata. Mi ritorna in mente il nostro addio, il dolore e la disperazione che ho sentito nella sua voce mentre mi guardava gettarmi dal tetto del edificio in cui ci siamo conosciuti. Mi sento precipitare nel vuoto, senza possibilità di aggrapparmi a qualcosa. Di nuovo.

 

Nel frattempo lui continua il suo monologo verso la mia lapide. Una frase in particolare mi dà il colpo di grazia, sento il cuore spezzarsi. “un’ultima cosa, ti prego fallo per me!” “un ultimo miracolo, potresti farlo per me?!” “…Non essere morto!” poi si lascia scivolare in ginocchio, lì a terra, tra le lacrime e i singhiozzi. E se fino a quel momento avevo il cuore spezzato, adesso ne sono certo, è andato in un milione di pezzi ed è stato spazzato via, quando ho visto dei minuscoli petali bianchi uscirgli dalla bocca. Sono distante ma, sono certo di ciò che ho visto. Sono petali. Quei dannatissimi petali che stanno uccidendo anche me... Mi si forma un nodo in gola a quel pensiero. Ne Morirei. Morireidavvero, se dovesse capitargli qualcosa.

 

È anche lui nella mia stessa situazione, quindi?! Sta soffrendo anche lui per un amore non corrisposto… “per chi?” Eccola la domanda che subito mi ronza in testa. “Chi è? Chi lo sta facendo soffrire così?” E mentre queste domande mi affollano la mente un paio di colpi di tosse più violenti di quelli precedenti, seguiti poi da tanti petali di Viola insanguinati mi tolgono il respiro. “Possibile che abbia sbagliato una deduzione? Quando Irene era tornata...” “Ma, tutti i segnali…” li ho interpretati male, mi sono solamente illuso. In effetti i fiori, i petali non hanno mai smesso di risalirmi la gola. Ed è proprio quello che fanno in quel momento. Sputo gli ennesimi petali insanguinati, che mi lasciano la gola in fiamme e in bocca il sapore ferroso e ben noto del mio stesso sangue, con un retrogusto acido di bile. Disgustoso. 

 

Troppi pensieri, non riesco a pensare lucidamente. La testa mi scoppia, mi fischiano le orecchie. Sto perdendo il controllo. Pensieri, ricordi e intuizioni si accavallano nel mio cervello creando un groviglio indefinito. “ho sbagliato…” “lui non è mai stato innamorato di me.” “…non mi ama…” più cerco di cacciare via questi pensieri, più questi ultimi mi si imprimono a fuoco nel cervello.

 

Con la vista ormai offuscata dalle lacrime, “quando ho cominciato a piangere?”, che però non scendono, anzi, rimangono lì statiche e bruciano; vedo John rialzarsi da terra e voltando le spalle alla mia lapide se ne va. Nuove lacrime, continuano ad offuscarmi la vista, ma nemmeno stavolta mi solcano il viso. Lacrime, come quelle versate da John per me poco fa. Già, per me il suo migliore amico... Gli lanciò un ultimo sguardo, poi seguendo il suo esempio mi allontano, nascosto, nell’ombra, solo. Mi allontano anche io da lì, da lui e da quella vita, dalla mi vecchia vita

 

“Ti avevo avvisato…” mi dice Mycroft. “te lo avevo detto di non farti coinvolgere…” aggiunge; evidentemente interpretando la mia espressione, quando entro nel suo appartamento, nel centro di Londra. Starò qui per un po’, un paio di giorni forse. Non rispondo, non subito almeno. Mi dirigo al tavolino, in salotto, sul quale si trova una bottiglia di scotch. Me ne verso un bicchiere prima di sprofondare nella poltrona lì accanto. Butto giù un lungo sorso della bevanda ambrata, la sento bruciarmi in gola e per un attimo la testa è più leggera. Per un attimo, ma solo per un attimo, non ho più tutti quei pensieri ad affollarmi la mente, grazie al alcol. “Io non mi sono fatto coinvolgere” cerco di ribattere con il tono più distaccato che mi viene in quel momento, per non dargliela vinta, e non volendo mostrarmi così distrutto davanti a lui. Ma finisco solamente per risultare patetico e confermare maggiormente la sua intuizione. Perché ci ha preso. Odio ammetterlo, odio dover dare ragione a Mycroft. Ma ha ragione, mi sono lasciato coinvolgere, troppo. Davvero troppo. Mi sono innamorato. Mi sono innamorato di un uomo che non ricambia i miei sentimenti e che non lo farà mai. Mi sono innamorato del mio migliore amico.

 

“Sherlock…” È praticamente un sussurro quello che esce dalle labbra di mio fratello. Accompagnato da un miscuglio di emozioni che non riesco a definire. Esasperazione, preoccupazione, compassione, dispiacere. Forse. Amarezza… “Non fare quella faccia! Come se ti preoccuparsi per me…” rispondo flebilmente, quasi esasperato, al suo sguardo. Versandomi un secondo bicchiere di scotch. Poi risprofonda nel tessuto morbido della poltrona e non emetto più alcun suono. “Sherlock.” Mi riprende ancora Mycroft esasperato, Sbuffando. Continua a guardarmi. La sua espressione cambia, è contrariato. “Ovvio che mi preoccupo per te, fratellino.” Non lo dice. Rimane in silenzio. Ma lo so che ho ha pensato, che lo sta pensando. È Mycroft, è fatto così. Ha paura che ricada nelle vecchie abitudini. Che ricominci ad assumere sostanze dalla dubbia legalità. Faccio finta di niente e abbasso lo sguardo. Lo ripunto sul bicchiere che ho in mano e alla sostanza dolce e alcolica, color ambra al suo interno. Mi porto il bicchiere alle labbra e faccio un altro lungo sorso. L'alcol mi brucia in gola. Per pochi attimi mi aiuta a non pensare a tutto quello che mi sta succedendo. A tutta questa situazione incasinata. 

 

 

Non glielo ho detto a Mycroft di tutta questa cosa, dei fiori, dei petali viola che continuo da mesi a vomitare. Del fatto che negli ultimi giorni la situazione è peggiorata. Del sangue. Non gli ho detto nulla, e non lo farò ora. Ma come ha capito, quasi, prima di me i miei sentimenti per John, non mi è particolarmente difficile pensare che abbia capito pure questo. Che abbia già capito tutto da solo. Che sappia, tutto.

 

   
 
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