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Autore: Tati Saetre    03/05/2020    10 recensioni
Ricordati che le i taxi a Londra sono neri, Bells. Non gialli. Neri. La raccomandazione di Charlie fa scattare una lampadina nel mio cervello, mentre porto una mano alla mia bocca.
Non ci posso credere.
Sono entrata in macchina di uno sconosciuto.
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Note finali importantissime!


Settimo capitolo - Consegna a domicilio

Bella


Non so ancora come sono riuscita a metabolizzare del tutto quello che è successo durante questa settimana. In realtà, non penso affatto di esserci riuscita. Le domande che rimbombano nella mia testa sono troppe, da troppi giorni. Dopo che ci hanno dimesso dall’ospedale ognuno è andato per la sua strada, senza aggiungere altro. E’ stata Alice a chiamarmi quella sera stessa, chiedendomi se avevo bisogno di qualcosa. Ma a parte le vertigini quando mi alzo troppo in fretta e quelle due ore che perdo ogni volta che mi devo lavare i capelli, è tutto nella norma. Alice ha anche aggiunto che avrei avuto una settimana libera, per riprendermi da quel piccolo incidente. Chissà se anche Edward ha la settimana libera come me? Chissà se la sua testa gli fa ancora male? Chissà chi è a conoscenza di quella bambina? Chissà…. Ma è proprio l’immagine di quella bambina che mi ha tenuta sveglia queste notti. Niente di più, solo quella folta capigliatura riccia e quegli occhi verdi che assomigliano così tanto a quelli di Edward. Se non fossero così verdi, stenterei a credere che sia sua figlia veramente. Eppure ha quel tratto distintivo… una sorta di marchio prestampato. Non ho mai sentito parlare a Seattle della figlia di Cullen. Mai. Mai una volta Jane l’ha nominata, e nominava Edward così tante volte invece. Che non lo sappia? E’ così diversa da lui che immagino come sia sua madre. Che Edward stia con quella donna tutt’ora? Che Jane fosse la sua amante da una botta e via durante i convegni? Sospiro rassegnata, mentre mi rigiro il telefono tra le mani. Basterebbe solo un messaggio. Nemmeno una chiamata, ma un semplice messaggio. Edward, come stai? Tutto bene? Eppure non trovo il coraggio di scrivere quelle poche parole. Anzi, le scrivo, ma non premo mai invio. Finisco sempre per cancellare tutto. E nemmeno lui si è fatto sentire, per la cronaca. Non che dovesse, eppure… eppure l’ho scaraventato contro una vetrina, facendola ricadere in mille pezzi sulla sua testa. Ho davvero attentato alla sua vita. Addirittura pensi di voler tu un messaggio, Bella? Sobbalzo quando il telefono stretto tra le mie mani inizia a suonare, e il cuore perde un battito. Peccato che…

“Signora Swan?” Signora…

“Sì?”

“Food Delivery, può dirmi dove si trova esattamente il suo palazzo?” Sbuffo, spiegando al ragazzo dove suonare. Nel mentre mi infilo le scarpe, e con il sotto del pigiama una canotta cerco qualcosa da mettermi sopra. Suona al citofono mentre cerco un giacchetto, ma alla fine prendo la prima cosa che mi capita sottomano. La giacca di Edward. La stessa giacca che mi ha prestato per la conferenza con Aro, e che mi sono ritrovata addosso sul mio lettino d’ospedale. Non gli ho chiesto spiegazioni, e lui di certo non me le ha date. Non l’ha nemmeno voluta indietro quando sono entrata nel taxi che mi riportava a casa. Un vero taxi. E io non l’ho di certo restituita, e nemmeno lavata. Sono patetica, lo so. Ma la stoffa è ancora pregna del suo profumo, e ogni volta che la indosso mi fa stendere i nervi tesi.

“Ecco a lei. Sono duecento e trenta centesimi.” Sbarro gli occhi, prima di scuotere la testa.

“No, si sta sbagliando.”

“Messicano per quattro persone. Giusto, no?” Scuoto la testa ancora più energicamente.

“Assolutamente no! Io ho ordinato del sushi per una persona.” Forse due, ma non lo aggiungo.

“Signora, questo è il suo indirizzo giusto?” Gira il palmarino nella mia direzione.

“No. Non è questo. E’ questo.” Indico la voce in basso.

Oh, cazzo.” E’ l’esclamazione che fa lui, alzando gli occhi al cielo. “Mi licenzieranno. Non so come chiederle scusa, signora. Mi farà di certo una recensione negativa. Questi soldi mi servivano solo per portare Ashley…” Farfuglia verso al fine, diventando rosso come un pomodoro.

“Come ti chiami?”

“Fred, signora.”

“Okay Fred, stai tranquillo. Possiamo trovare un modo per sistemare la situazione?”

“Non credo… L’altro ragazzo avrà già consegnato la sua cena. Si sono invertiti gli indirizzi. Sarà un casino enorme, io…”

“Oddio! Fred, ti prego non scoppiare in lacrime. Quanti anni hai?”

“Diciotto, signora.” Diciotto… io a quasi il doppio della sua età faccio molto peggio di lui. Posso arrabbiarmi? No, certo che no.

“Okay, alternative per non farti passare guai?” Domando, dondolandomi su un piede. Fa un freddo boia.

“Pagare questa cena e consegnarla al vero proprietario.”

Un ragazzino di diciotto anni mi sta fottendo?

“Che c’è dentro?”

“Messicano per quattro persone. Anzi, tre adulti e una bambina. Signora, la prego.” Gli occhi di Fred si fanno sempre più lucidi.

“Perché costa dannatamente tanto il messicano?” Sbuffo, tirando fuori la mia carta di credito.

Solo perché ho ricevuto la busta paga ieri. Solo per quello.

“Deve essere consegnato a Richmond, signora.”

Richmond… l’élite dell’élite. Non mi stupisce sapere perché hanno comprato un messicano da duecento dollari. Passo la carta sul pos portatile di Fred, mentre digito il codice velocemente.

“Io non so davvero come ringraziarla, signora.” Ha la testa abbassata mentre si fissa i piedi.

“Dimmi solo che potrò avere la mia cena.” Mi passa la busta stracolma di cibo, sorridendomi.

“La decima casa sulla destra, interno tre. Il cognome è Hale. Non so davvero come ringraziarla signora.” E mi lascia lì, prendendo la sua bicicletta e sfrecciando tra le strade buie di Londra. In piedi, con una busta che contiene una cena per quattro persone e che mi è costata duecento dollari. Le bollette di quel mese. Stringo il manico fino a sentire male.

Quel ragazzino mi ha davvero fottuto.



In preda a un raptus non ho abbozzato al fatto di aver speso appena cinque minuti fa duecento dollari che mi serviranno per cose molto meno futili. Per questo ora sono seduta sul taxi, avvolta nella giacca di Edward mentre stringo sulle gambe la busta con la cena. E’ ancora calda, e spero che ci rimanga a lungo. Sto andando a Richmond, dove all’élite non andrà bene ricevere un pasto freddo.

Che cazzo mi tocca fare…

“Mi dica dove fermarmi, signorina.”

“Vede qualche interno tre?”

“Credo sia quello.” Vedo che il tassista aguzza la vista, prima di mettere la freccia e girare in un vicolo cieco. Quella che si staglia davanti a noi è una villa molto rispettabile. Non eccessiva, una casa dove abiterei senza farmi nessun tipo di problema. Dai lampioni che la circondano noto che è verde acqua, con un grande giardino perfettamente curato.

“E’ questo. La aspetto qui?” Mi lancia un’occhiata di pura pietà dallo specchietto. E’ un signore perbene, sulla sessantina. Appena ha visto che sono entrata nella sua auto nella mia mise mi ha chiesto se andasse tutto bene. Se fossi scappata da un momento all’altro e avessi qualche tipo di problema. Ho negato fino all’ultimo, scuotendo la testa energicamente.

“Non si preoccupi. Ne chiamerò un altro.” So che se resta fermo il tassametro invece continuerà a camminare, e non posso permettermi anche un taxi da cento dollari. Gli lascio una bella mancia, mentre mi dirigo a passo spedito verso la porta in ottone. Hale, è quello che dice la targhetta d’orata sulla porta. Suono lievemente, ma nessuno mi apre. Ci riprovo altre e due volte, finché la maniglia gira. Quando la porta si apre del tutto non vedo nessuno. Devo abbassare lo sguardo di molti centimetri, prima di ritrovarmi davanti a una faccina che sorride divertita.

Io la conosco questa bambina… Non mi dire…

“Hey! Tu sei quella che ha fatto mbale a papà!” Dice, mostrandomi un sorriso perlopiù sdentato. Resto ferma lì, imbambolata a fissarla come un ebete.

“Peste, dove sei? Chi era?” E’ la figura di una bionda quella che si staglia dietro la bambina, che mi fissa con un cipiglio incuriosito in volto.

“Isabella? Isabella Swan?” Non so se lo sta chiedendo a me o a se stessa, per accertarsene. “Che ci fai qui?” Alzo le spalle, mostrandole il la busta stretta su entrambe le mie braccia.

“Ho la vostra cena. Spero che voi abbiate ancora la mia.” Sussurro infine.



“Emmett! Sei un troglodita!” E’ quello che strilla Rosalie mentre mi fa strada. La seguo con la bambina alle calcagne, che mi osserva sempre più divertita.

“Che ho fatto?”

“Ci hanno gentilmente riportato la nostra cena.” Annuncia, prima di dare uno scappellotto in testa al marito.

“Oh. E rivorrebbero la loro indietro?”

“La mia. Sì.” Parlo per la prima volta, mentre McCarty si gira nella mia direzione. Mi guarda allargando gli occhi, di certo non si aspettava di vedermi così.

“Bella? Che è successo? Stai bene?” Sembro davvero una povera disadattata? Sì…

“Mi hanno consegnato la vostra cena. Ho pensato che l’avreste rivoluta indietro…”

“Siediti, Bella. Stai tremando.” Rosalie mi indica uno sgabello intorno al piano cottura, dove i miei piedi non toccano terra una volta seduta.

“Mi dispiace dirti che Emmett si è mangiato il tuo sushi. Chiedi scusa.” La moglie le lancia un’occhiata di fuoco.

“Scusa, Bella. Non pensavo che qualcuno ce l’avrebbe portata indietro.” Vorrei dirgli che sono qui per i duecento dollari che per il mio sushi, ma le parole non escono dalla mia bocca.

“Non ti preoccupare. Io ci ho provato.” Sorrido, scendendo dallo sgabello. “Il messicano non mi piace, potete tenerlo voi.” Dico, sistemandomi meglio la giacca.

“Resta qui, Bella. Avrai fame, se sei venuta fino a qui per la tua cena. Ci siamo arrangiati con qualche cosa anche noi. E’ avanzato del purè di patate, lo vuoi?”

“Purè di zia Rose. Bleah.” E’ la vocetta che si intromette, mentre abbasso di nuovo lo sguardo. La bimba tiene l’indice teso verso di me, facendomi segno di no. Non so se dovrei fidarmi, eppure lo faccio.

“No, ti ringrazio Rosalie. Davvero.” Sussurro di nuovo, avviandomi da sola verso la porta. Stavolta è un’altra voce che mi ferma, però.

Resta.” Il lieve tocco che esercita sulla mia schiena riavvia il cortocircuito nella mia testa. Mi giro lentamente, e quando sono faccia a faccia con lui non ha ancora tolto la mano.

“I c-capelli?” Sussurro appena, allargando gli occhi a dismisura. Edward Cullen è rasato. Non del tutto, ma è rasato. Ingoio il nodo che ho in gola, e quasi potrei scoppiare da un momento all’altro.

“Non pensi che gli dia quel fascino da boss criminale?” E’ Emmett che parla, con il suo tono divertito.

“Resta. Anche perché Emmett e Rosalie se ne stavano giusto andando, vero?” L’occhiata che lancia è rivolta alla bionda, perché lo capisce al volo. Nel giro di pochi secondi prende la sua borsa, varie cianfrusaglie sul ripiano della cucina e il suo uomo per il colletto.

“Hey!” Borbotta lui, mentre lei lo trascina letteralmente via. Non prima di stampare un bacio sulla fronte della bambina.

“Isabella, è stato un piacere rivederti. Ciao ciao.” E ci lasciano, richiudendo la porta dietro di loro con un tonfo. Da fuori riesco ancora a sentire i lamenti di Emmett.

“Non dovevi. Eri a cena con i tuoi amici, non dovevi farlo per forza.”

“Nessuno mi ha forzato, te lo assicuro.” Il suo tono di voce è calmo, lieve. Poi allunga una mano, riportando una ciocca di capelli dietro il mio orecchio. La lascia per qualche secondo lì, ferma. E’ così maschio. E non che prima non lo fosse… ma questa acconciatura gli da davvero l’aria da maschio alfa.

“Hey bambina, vieni qui!” Dice, non prima di staccare la mano dal mio viso. Lo fa quando sento dei passi trotterellare verso di noi, e si abbassa per prenderla in braccio. Ora è alla mia altezza. Edward la tiene stretta tra le sue braccia, e cerco di notare le differenze. Sono molte di più delle somiglianze. Anzi, a parte gli occhi non c’è proprio nulla che possa far pensare che sia sua figlia.

“Bella, mi dispiace non aver fatto le dovute presentazioni l’ultima volta. Lei è Luna. E non vedeva l’ora di conoscerti.” Annuncia lui, posando lo sguardo divertito su sua figlia. L’Edward padre è così diverso. Così bello che potrei liquefarmi come un ghiacciolo al sole.

“Ciao piccola” Dico, tendendo una mano verso di lei. La accarezza piano, e poi fa una cosa che credo entrambi non ci saremmo aspettati. Stacca le manine da collo del padre, per buttarle di slancio su di me. Mi stringe forte, posando la faccia nell’incavo del mio collo. In questo momento Edward le tiene le gambe, e io le spalle. E’ contesa tra noi due.

Stono contenta di conoscerti Belllla.” Sussurra piano, facendomi il solletico con tutti quei capelli. “Stiamo amiche vero?” Dice tutto d’un fiato. Non che possa notare il rossore sulle sue gote visto il suo incarnato già scuro, ma vedo la sua aspettativa. La leggo nei suoi occhioni splendenti.

“Migliori amiche, promesso.” Annuncio, prima che Edward stavolta la lasci andare e che si attacchi del tutto a me. Posa le gambe intorno alla mia vita, e mi sorride sorniona.

“Migliori amiche.” Ripete le mie parole, e mi schiocca un bel bacio sulla guancia senza che le chieda nulla.

Non credo di aver mai provato questa sensazione in vita mia. Quando sembra che tutto sia allineato, e tu abbia trovato il posto giusto al momento giusto. Così mi sento in questa casa.

Al posto giusto.

Con le persone giuste.



“Scusa. E’ inarrestabile.” Un’ora dopo a svariati giochi sul tappeto fatti con Luna - dove non ho mai saputo dire di no -, Edward compare in cucina.

“E’ una bambina. E’ normale.” Sussurro appena, portandomi le gambe al petto. Ho aspettato che la portasse su dopo che si era addormentata con la testa posata sulle mie gambe, mentre le accarezzavo i capelli. Ho aspettato ferma e immobile sul divano, guardandomi di tanto in tanto intorno.

“Sento quel rumore…”

“Che rumore?” Domando, mentre Edward fa roteare l’indice vicino alla sua tempia.

“Le rotelline che girano nella tua testa. Domande che non hanno risposta.” Davvero sa leggermi così bene? Oppure è la mia espressione che parla da sé…

“Non voglio ficcare il naso nella vita altrui.”

“Credo che abbiamo già passato quel punto, tu no?” Annuisco piano, rendendomi conto che ne sono successe fin troppe. Dieci anni a Seattle non sono bastati, no. Poche settimane a Londra e la mia vita sembra quella di un’altra Bella Swan, vista dall’esterno.

“In tutto ciò, non hai mangiato nulla. Cosa posso offrirti?” Vedo che ci pensa su un attimo. “C’è quel purè avanzato che ha fatto Rosalie, se vuoi…”

“No, grazie. Luna non era tanto per la quale, quando Rosalie me l’ha proposto.” Fa un’espressione mezza disgustata, che conferma le parole di sua figlia.

“Ma devi mangiare qualcosa, Bella. Cosa ti preparo?”

“Non ho molta fame. In realtà non mi va niente di salato.” Lo sguardo di Edward si illumina solo per un istante.

“Faccio la cioccolata con marshmallow più buona dell’Inghilterra.”

“Ah sì? Se lo dice tua figlia non vale…” Sorrido divertita, mentre si imbrunisce un po’.

“Provare per credere.”

“Va bene.” Dico rassegnata, mettendomi in piedi. “Il tempo di una cioccolata e torno a casa.”

“A proposito… come sei arrivata fino a qui?” Domanda, prima di armeggiare con pensili e stoviglie.

“Un taxi.”

Oh.

“Che c’è?”

“Non credo che un taxi ti riporterà a casa, Bella.”

“Cosa? Perché?”

“Non hai letto i notiziari? Il telegiornale?”

“Perché, che succede?”

“Sta arrivando una bruttissima tempesta di neve. Anzi, sono più di due giorni che stanno dando l’allerta meteo.” Lo dice come se fosse un nonnulla, mentre gira il cacao nel latte. Io mi alzo di scatto invece, facendo stridere lo sgabello per terra.

“Che stai dicendo? Oh, Dio! Come ho fatto ad essere così stupida?” Come sempre, del resto. Certo che sapevo della tempesta di neve. L’ho letto sui notiziari, e soprattutto sia James che mio padre mi hanno chiamata più volte per ricordarmelo.

Non uscire.

Se vai a lavoro stai attenta.

Barricati dentro casa.

E io sono uscita per consegnare una cena pagata duecento dollari.

“Questa casa ha molte stanze. Puoi restare.” Dal suo tono percepisco che non me lo sta chiedendo.

“Non penso sia il caso. Un taxi ci sarà a quest’ora, no?” Tiro fuori il cellulare dalla tasca della giacca di Edward, ma prima di comporre il numero lui copre la sua mano con la mia.

Resta.” Sono due volte che me lo chiede stasera. Ho accettato la prima, ma ora…

“No. Davvero, non penso sia il caso.” Sbuffa, ma non toglie la mano.

“Non ti lascerò prendere un taxi alle undici di sera, da sola. Se potessi ti accompagnerei io, ma non posso nemmeno lasciare la bambina che dorme. Troviamo un compromesso.”

“Questo non mi sembra un compromesso. Mi sembra dover fare quello che mi stai dicendo tu.” Assottiglio gli occhi.

“Quello che ti sto dicendo io è per il tuo bene. Solo per quello.” Tiene lo sguardo fisso su di me, e dopo vari minuti lo distolgo e lascio cadere il telefono sul piano cottura.

“Domattina me ne andrò. Presto.”

“Se il tempo lo permette…” E’ l’unico sussurro che proviene, ma non ribatto. So che sarebbe inutile, davanti all’avvocato Cullen. Questa è una causa già persa in partenza. Continua a preparare la cioccolata, e dopo un po’ posa una tazza fumante davanti ai miei occhi. In alto galleggiano una manciata di marshmallow colorati.

“Tu non la bevi?” Domando, iniziando a girarla con il cucchiaio facendo affogare le caramelle morbide.

“No. Io qualcosa di più forte.” Annuncia, prendendo un bicchiere di scotch e versandoci un liquido color ambra. Lo manda giù tutto d’un sorso, e lo riempie di nuovo. Stavolta però lo sorseggia con più calma.

“Vai, sono pronto.”

“A cosa?”

“A tutte le tue domande.” Ne ho così tante che girano nella mia testa, che inizio con la più logica.

“Come ti senti?” Chiedo piano, prima di portarmi la tazza alle labbra. Non dirò mai che è la cioccolata calda più buona dell’Inghilterra… ma in realtà lo è.

“Come?” Il suo sguardo sembra sbalordito.

“Come ti senti? Dopo l’incidente. Ti chiedo di nuovo scusa, Edward. Volevo mandarti un messaggio, ma…”

Ma?

“Non avevo il coraggio.” Sbotto tutto d’un fiato, diventando rossa.

“Sei un essere così strano, Isabella Swan.” Dice, scrutandomi attentamente.

“E’ un pregio o un difetto?”

“Per me è un pregio.” Non so bene come classificare le sue parole. Le incanalo dentro di me, mettendole in un posto speciale.

“Allora? Come stai?”

“Bene.” Annuncia, posando il bicchiere sul tavolo. “Ho tolto ieri i punti di sutura. Mi resterà qualche cicatrice, ma i capelli ricresceranno.”

“Stai bene anche così.” Sussurro di nuovo, come una codarda. Indico la sua nuova acconciatura con la mano. Non che i capelli di Edward mi dispiacessero… ramati, non cortissimi. Da tirare. Eppure Emmett non aveva tutti i torti. Da quell’aria da boss criminale dal quale dovresti scappare a gambe levate. Eppure…

“Un’altra domanda?”

“Te l’ho detto, Edward. Non mi piace ficcare il naso nella vita degli altri.”

“Non lo stai ficcando. Ti sto dando il permesso.” Ci penso su, e vista da questa angolazione non ha tutti i torti.

“Dov’è la madre di Luna?” Stavolta butta giù il liquore di nuovo tutto d’un sorso.

“Sua madre è deceduta prima di darla alla luce. Non so chi sia suo padre biologico, invece.” Aggiunge infine, vedendo la mia espressione mortificata.

Non è suo padre. Non quello biologico.

“E l’hai…”

“Cresciuta io, sì.” Da una risposta alla mia domanda muta. “Non da solo. Ho avuto l’aiuto dei miei genitori, quello di Rosalie e Emmett ed anche quello di Alice si è rivelato fondamentale.”

“E Jane?” Non so come, ma quella domanda è letteralmente scappata dalla mia bocca.

“Che vuoi sapere di Jane?”

“In che rapporti siete?” Credo che abbia corretto la mia cioccolata con qualcosa, perché sennò non l’avrei mai chiesto.

“In un rapporto di stallo.” Allora si frequentano ancora…

“E con Luna?”

“Jane non sa di Luna.” Scandisce bene la frase. “In verità sei la prima donna che ha conosciuto che non fa parte della famiglia.” Quelle parole hanno una sorta di effetto afrodisiaco su di me. Cos’è, un messaggio nascosto? Dovrei trovarci dei segnali dentro?

“Perché?”

“Non lo so.” Pronuncia, alzandosi dallo sgabello davanti a me. Poche mosse, ed ora siamo una di fronte all’altro. “Non lo so davvero, Bella. Sto cercando di lavorarci.”

“Lavori su di me?” Sussurro appena, sentendo il suo profumo da ogni parte.

“Lavorerei volentieri su di te.” Arrossisco, dando vita al sorriso più smagliante che gli abbia mai visto. “Sei l’esatto contrario del mio tipo ideale, Bella.” Dice piano, posando la sua fronte sulla mia. La mano è appoggiata dietro al mio collo già da un po’.

“Mi consola saperlo.” Dico sarcastica.

E’ questo.” Annuncia, sempre piano.

“Cosa?”

“Il tuo modo di fare. Dire sempre le cose che pensi, senza renderti conto di chi hai davanti o meno. A me queso mi fa…”

“Ti fa cosa?” Stavolta lo sussurro a pochi centimetri dalle sue labbra. Il suo profumo è entrato in ogni angolo del mio corpo. Le sue mani calde potrebbero incendiarmi da un momento all’altro.

Impazzire. Mi fa impazzire.” Ma spezza la sua frase posando le sue labbra sulle mie. Sento il sapore dell’alcool che ha bevuto pochi minuti fa. Sento scariche elettriche andare dritte al cervello e anche più in basso, quando una delle mani si sposta sotto la giacca, per arpionarmi un fianco. Sento che si avvicina al mio sgabello sempre di più, facendo combaciare i nostri bacini.

E sento che stavolta non ci fermeremo in nessun caso.



Note finali:

Ritardo mostruoso, vi chiedo scusa!

Per chi mi segue su Facebook sa già cosa sto per dire: ho ricominciato a lavorare. Da un giorno all’altro la mia vita è ricambiata, proprio come è successo con l’inizio della quarantena. Abituarmi ad uscire di casa, a restare tutto il giorno con una mascherina, a tornare la sera molto stanca perché negli ultimi mesi la mia attività fisica era pari a zero. Mi sono dovuta riabituare a tutto, e da domani comincerò ufficialmente. Vi ho abituati a dei capitoli con una cadenza di 2/3 giorni, ma non posso più permettermelo. Quindi in queste due settimane ho lavorato su entrambe le storie che ho in corso, decidendo una programmazione settimanale. I capitoli di APTS arriveranno tutti i martedì, quelli di Taxi?! Tutti i giovedì. Lo so che oggi è domenica, ma vi avevo lasciati per troppo tempo senza leggere qualcosa. Il nuovo capitolo arriverà comunque sia giovedì. Ho stilato un bel piano per le storie, e le sto portando avanti mettendoci tutto il mio meglio. Per quanto riguarda lo spin off che avrei regalato a chi avesse indovinato il tatuaggio di Bella, cavolo ragazze, siete state davvero brave! Il tatuaggio di Bella è una Luna. Dopo la pubblicazione del capitolo risponderò alle recensioni dello scorso, ed entro giovedì vi arriverà uno spin off di 500 parole (su per giù). Ve lo invierò io stessa come messaggio privato!

Da domani potremmo ricominciare ad uscire… allora non vi dico più di restare a casa. Ma vi dico di fare attenzione. Se potete evitare delle cose, evitatele. So che molti sono stati lontani da famigliari, fidanzati e amici, ma arriverà il momento in cui saremo di nuovo tutti insieme come prima. Non vi nego che anche io domani andrò a trovare una persona a me carissima, ma lo faccio con la consapevolezza che entrambi siamo stati al sicuro a casa. Se ci fosse stato solo un piccolo dubbio, non ci sarei mai andata. Quindi state attenti. Potremmo ritrovarci col culo piantato sul divano quando meno ce lo aspettiamo, di nuovo.

Intanto vi mando un abbraccio grandissimo, a martedì con APTS.

E grazie per aver letto.

   
 
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