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Autore: unsensoaquestonome    04/05/2020    1 recensioni
Grace Barlow ha diciannove anni quando si arruola come infermiera dell'esercito per amore della patria e per, diciamocelo, scappare dalla sua famiglia. Quella che le si prospetta è una vita di servizio semplice e tranquilla, ed è esattamente quello che Grace si aspetta: non ha mai sognato in grande, ma tra i suoi piani ci sono un bel marito e la possibilità di invecchiare insieme a lui. Ma la vita non le ha mai chiesto cosa voleva. Siamo negli anni '40: la guerra in Europa si espande e, presto o tardi, questa piomberà sulla vita di Grace, mettendola davanti ad una realtà più grande di lei, davanti alla morte, alla vita, alla famiglia, all'amore.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quattro

La giornata in casa è iniziata in modo parecchio frenetico: tra i ricordi di ieri sera, le battute e gli imbarazzi si sono sprecati. Ci siamo prese un po' in giro a vicenda facendo commenti poco casti sui bei ragazzi che abbiamo conosciuto ieri. Devo dire che è stato tutto molto divertente e me la stavo ridendo alla grande, finchè non sono stata presa di mira: ho provato a prenderla alla leggera reggendo il gioco, ma il solo pensiero delle cose che soprattutto Barbara non finiva di dire fantasticando associato a Jo, mi faceva infuocare non solo le guance. Al solo ricordo mi viene da mordermi le labbra e sento un calore rovente accendersi nello stomaco fino a propagarsi in tutto il corpo. Lascio andare il labbro inferiore che mi sto mordendo insistentemente e incosciamente non appena me ne rendo conto: di nuovo mi sono persa in questi pensieri poco pudici. Tutta colpa di Jo Myers e dell'effetto che mi fa. Meglio lasciar perdere o andrà finire che anche le ragazze se ne accorgeranno. Ritorno con la testa alla realtà e cerco di seguire la conversazione che si è accesa nella camera di Evelyn. Oggi le nostre attenzioni sono tutte rivolte a lei, è il suo grande giorno: tra poco uscirà per il suo primo appuntamento ufficiale con Miles e non so se siamo più eccitate noi o lei. 
"Che ne dite di questo?" ci chiede sventolandoci davanti un vestito bordeaux.
"E' perfetto... se dovete andare in chiesa" le risponde Rachel facendoci ridere tutte quante.
"No Evy metti il vestito che hai comprato l'ultima volta. Ti stava alla perfezione!" le suggerisco andando a frugare nel suo armadio.
Ha una marea di vestiti, uno più bello dell'altro, e non capisco come faccia a farsi prendere dal panico quando tutto ciò che mette le sta a pennello. Quando trovo quello che stavo cercando glielo mostro con un grande sorriso.
"Con questo sarai uno schianto!" esclama Betty.
Me lo prende dalla mani provandoselo frettolosamente: poverina, è così nervosa.
"Lo adoro" mi dice con un sorriso di ringraziamento.
"Avanti non c'è tempo da perdere, vieni qui che ti sistemo i capelli" le ordina Barbara con il suo solito fare da capo.
"Io ti faccio il trucco" si aggiunge Carrie.
Sentiamo suonare il campanello e in un attimo il panico attraversa le nostre facce: non siamo pronte, cioè, Evy non è pronta dobbiamo ancora finire di renderla impeccabile. Evelyn afferra nervosamente il polso di Barbara controllando l'orologio.
"E' in anticipo" dice soffocando un piccolo urletto di frustrazione.
"Voi finite qui, io gli vado ad aprire" ci dice Kate.
Non appena esce dalla stanza ci rimettiamo a lavoro di fretta e furia, neanche stessimo in ospedale e dovessimo curare una ferita urgente. Dobbiamo ancora finire gli ultimi ritocchi e poi sarà pronta. Sentiamo i passi frettolosi di Kate che sale le scale ritornando da noi: quando spalanca la porta ha un sorriso malizioso in viso.
"Buone notizie non è Miles... è Jo" 
Scatto appena sento il suo nome. La guardo con uno sguardo confuso ed eccitato allo stesso tempo mentre mi spinge verso la porta della stanza. Prima di scendere le scale la guardo sistemandomi velocemente.
"Come sto?"
"Alla grande" mi dice facendomi l'occhiolino.
Arrivo alla porta e lo vedo in piedi di spalle nel portico. Mi fa strano vederlo senza divisa, ma è più bello che mai.
"Joseph, ciao" lo saluto facendolo girare.
"Hey... scusami se mi sono presentato senza invito" mi dice con il suo solito sorriso che mi fa mancare il fiato.
"Ma no, non ti preoccupare. Vuoi entrare?" gli chiedo, spostandomi leggermente e facendogli un cenno.
"Sì grazie" fa un passo verso di me ma poi improvvisamente si fa indietro.
"No, non posso... i ragazzi mi aspettano e so già che se entro non riuscirò più ad andarmene" mi dice grattandosi la testa in modo impacciato.
"Volevo solo passare a salutarti... e sapere come stai?" riprende.
"Ci siamo visti solo ieri Jo" gli rispondo ridendo.
"Lo so, è che... non sono riuscito a dormire stanotte, non riuscivo a smettere di pensarti" 
La vecchia me avrebbe riso a tutta questa sdolcinatezza, e forse le sarebbe anche salito il diabete, ma la nuova me, la me innamorata, per poco non sviene.
"Anche io..." gli confesso, cercando di sembrare il più disinvolta possibile, ma la realtà è che fa sempre un certo effetto confessare queste cose, soprattutto a lui.
"Dovremmo ripeterlo... dico uscire insieme, non il... resto... non che non mi sia piaciuto, anzi, vorrei ripeterlo certo... cosa sto dicendo? Forse dovrei smetterla di parlare" mi dice impacciato.
Mi strappa una risata: mi piace vedere che anche lui non sa bene come comportarsi. E' brutto da dire? Direi di no, lo trovo veramente carino... come fa? Perchè io in una situazione simile sembro una bambina mentre lui è semplicemente perfetto in tutto quello che fa?
"Tranquillo... sì dovremmo ripeterlo" dico abbassando lo sguardo ai miei piedi.
Sì, lo sento, sono arrossita e sicuramente sembrerò un pomodoro.
"Che ne dici di venerdì?" mi chiede piegando la testa di lato e assottigliando leggermente gli occhi.
"Venerdì è perfetto" rispondo guardandolo negli occhi e sorridendogli.
"Bene"
"Sicuro di non voler entrare?" gli richiedo speranzosa, più perchè lo voglio che per cortesia.
"Vorrei, davvero, ma i ragazzi mi uccideranno..." mi dice ridendo.
"Capisco"
"Allora, ci vediamo Grace"
"A presto" 
Tutto qui? Al diavolo: scuoto la testa dandomi il coraggio necessario, prima di avvicinarmi e dargli un piccolo bacio sulla guancia. Jo mi dona un sorriso stupendo e se ne va. Quando rientro in casa faccio un piccolo saltello sul posto, scuotendo le braccia in aria nella mia personale danza della felicità. Per quanto ancora dovrò sentirmi una ragazzina impacciata al suo fianco? Non lo so, ma quasi quasi mi piace ritornare piccola e sentirmi così.

***

Non avrei mai pensato di passare un sabato sera a New York: quando ero a New Orleans la mia casa era fuori città e l'unico svago che avevo, che tutti nel mio piccolo paesino avevano, erano le lunghe passeggiate in riva al fiume. Le serate passate in centro città erano qualcosa di un altro livello: le persone, i locali, ma, soprattutto, la musica. Un tratto distintivo che non dimenticherò mai della mia bellissima città è la musica che si sentiva in qualsiasi angolo tu andassi, persino da casa mia, quando mi affacciavo dalla finestra della mia camera, sentivo in lontananza il suono delle trombe che rimbombavano nell'aria. Persino lungo il fiume ogni tanto venivano organizzate delle serate per i ragazzi a ritmo di blues o accompagnate dalle chitarre di una band di miei coetanei. Ma New York... mi spiego? La Grande Mela dove le sere sono infinite e si può vivere la città. Stando con le ragazze ho scoperto una nuova parte della mia personalità: sono una vera festaiola, adoro stare in mezzo alla gente e divertirmi. Ma stasera sarà qualcosa di più: stasera io e le ragazze non faremo festa tra di noi, avremo una fuga romantica con i nostri piloti. E finalmente potrò rivedere il mio pilota: Jo, dopo quasi tre settimane. Dopo il successone del nostro primo appuntamento le cose sono andate a gonfie vele: non avrei potuto chiedere di meglio. Non me lo aspettavo, ma mi ha portata a fare un picnic, cosa che mi aveva fatto storcere il naso, in cima ad una collina fuori città. Mi bastava solo stare con lui, non avevo molte pretese, non mi importava dove saremmo andati, ma ho sempre odiato i picnic: non sai mai dove appoggiarti e se provi a sistemarti per stare comoda rischi di far scivolare tutto e, non solo sporcare la tovaglia su cui siete seduti, ma anche il tuo vestito. Tratto da una triste storia vera. Alla fine con Jo è andato tutto magnificamente e persino il posto ha fatto colpo su di me: non esagero se dico che Jo era l'unica vista che avrei voluto ammirare, ma, puntuale alle otto, il tramonto ci ha regalato i suoi colori più vivi e caldi e ci ha lasciati entrambi senza fiato. E a quel punto l'ho saputo: mi stavo innamorando perdutamente di Joseph Myers. Abbiamo fatto l'amore, in mezzo al nulla, in mezzo alla natura. Folle, vero? E io rispondo sì, non avrei mai pensato che sarebbe stato così ma quell'uomo mi fa perdere la concezione del tempo, dello spazio, mi fa sentire capace di tutto, mi manda fuori di testa, mi fa sentire sempre tanto lucida quanto totalmente pazza. Quando sono con lui sono pronta a rischiare, a mettermi in discussione, con lui mi sento al sicuro: sento che sarò accettata, rispettata, amata. Quella notte mi sono buttata, tra le sue braccia sentivo di poterlo fare, senza pensare a nient'altro, senza pensare a quella solita vocina nella mia testa che mi frena e mi impedisce di vivere. E effettivamente mi sono sentita viva, per la prima volta dopo tanto tempo. Come direbbe Jo: ne è valsa la pena.
Dopo poco più di tre settimane, quando ormai aveva finito le visite a Washington, Jo è dovuto ritornare a Long Island, nella sua base. Prima che se ne andasse non c'è stato giorno in cui non ci siamo visti, anche solo per poche ore: non avevo intenzione di sprecare il poco tempo che avevamo. Davvero, se qualcuno mi avesse detto qualche mese fa che sarei stata così mi sarei messa a ridere, perchè io non sono mai stata così: ma da quando l'ho conosciuto è tutto diverso. E mi piace. Saranno pure stati pochi, ma sono stati i mesi più emozionanti della mia vita.
"Ragazze c'è posta!" sento gridare Rachel di sotto.
Mi vesto velocemente e con il turbante per asciugare i capelli ancora in testa scendo al piano di sotto, in salotto dove sono tutte riunite.
"Saranno le lettere dall'ospedale..." dice pensierosa Carrie.
"E' già arrivata la fine del mese? Oh sono così nervosa... e se dovessimo separarci?" esclama preoccupata Betty.
Mi avvicino a loro andando dritta al tavolino prendendo la mia lettera, mentre continuo a tamponarmi i capelli.
"Non ci credo... Pearl Harbor" esclama Kate con un piccolo grido di gioia.
"Le Hawaii" dice con un gridolino Rachel abbracciando Kate.
Le guardo sorridendo mentre penso a che cosa sarà scritto nella mia.
"G, cosa dice la tua?" mi chiede Carrie ansiosa.
Perdo un battito leggendo. Non ci credo, non può essere. Non riesco a distogliere lo sguardo dalle parole stampate sul foglio che tengo tra le mani. Deglutisco e mi siedo incredula, quando Barbara mi strappa la lettera dalle mani.
"Grace..."
Cerco di ricompormi, non voglio dare inutili preoccupazione alle mie amiche, non voglio nemmeno che mi compatiscano, non lo sopporterei, anche perchè non ce ne sarebbe motivo.
"E' un programma per volontari creato dall'esercito americano, mi ero offerta mesi fa, prima di conoscervi. E' passato così tanto tempo che non pensavo mi avrebbero più risposto..." dico cercando di spiegare alle altre che non hanno letto la lettera e che mi guardano confuse.
"Sono stata presa anch'io..." mi dice Evy avvicinandosi a me:
Lo sguardo che vedo nel suo viso è sicuramente uguale al mio. In un attimo mi passano davanti tutti gli ultimi mesi: mia madre, i miei fratelli, le ragazze, Jo... l'ennesima prova che l'amore e la felicità sono qualcosa di troppo grande per me. Diamine, era tutto così perfetto, troppo, me lo sarei dovuta apettare... e adesso che farò?

***

"Cara mamma, 
come stai? Mi mancate tanto tu e i ragazzi. Io sto benissimo, qui va tutto così bene. In fondo lo sai che questa è l'unica cosa che ho sempre voluto fare: aiutare, contare qualcosa. 
Non hai di che preoccuparti per me, io e le mie amiche ci guardiamo le spalle a vicenda. Ti ricordi di loro? Te ne ho parlato nell'ultima lettera che ti ho mandato. Come vorrei fartele conoscere, sono delle ottime compagne da avere accanto: mi ricordano te. Vorrei fartele conoscere un giorno, se ci sarà l'occasione. 
C'è una cosa che devo dirti. Non faccio che girarci intorno ma devo dirtelo, solo non so come fare. Quindi andrò dritta al punto: sono stata presa in una squadra composta da personale medico volontario creata dall'esercito per intervenire nelle basi militari in Inghilterra. Dovrei partire presto, se accetto di andare. Non te l'ho detto perchè mi ero offerta molto tempo fa e non avevo più saputo niente, e in più non volevo farti preoccupare inutilmente. Ora è tutto cambiato, deve esserci un disperato bisogno di aiuto in Europa. 
Il punto è che tutto cambiato anche nella mia vita, mamma: ho incontrato una persona... Per questo non so che fare adesso, non ci ho ancora pensato. Hai sempre detto che tu mi conosci meglio di me stessa, quindi adesso sai cosa deciderò di fare? Ti prego dimmelo, perchè io non so come comportarmi. Beh, forse in fondo anch'io lo so già: "segui il tuo cuore", come mi hai sempre detto no?
Ora ti saluto mamma. Ti giuro che ti farò avere mie notizie presto. Prenditi cura di te e salutami David e Nathan. Vi voglio bene immensamente.
Baci, 
Grace"
Finito di scrivere rileggo velocemente le parole ben marcate sul foglio. Ho fatto un casino: sono stata più di un'ora a stropicciare il foglio e a segnare delle righe spesse sopra le frasi che non mi sembravano adatte, pensando e ripensando alle parole giuste da usare e ora il tutto è quasi illeggibile. Comunque non credo che a mia madre disturberà la cosa, abituata com'è alle lettere disordinate che le scrivo di solito. Una volta che l'inchiostro si è asciugato, piego precisamente il foglio e lo metto nella busta, ma prima di chiuderla guardo il piccolo pezzo di carta che ho tenuto sempre sott'occhio mentre scrivevo. E' l'ultimo ricordo che mi è rimasto di mio padre, prima che se ne andasse: me lo ha dato il giorno del mio diciottesimo compleanno, dicendomi che era fiero di me e della donna che stavo diventando. 
"Quale donna?" gli chiesi e gli dissi che sarei sempre stata la sua bambina. 
"Bambina mia, hai diciotto anni, è ora che tu cresca. Non ho mai preteso niente da te, in fondo ho origini umili, non ho potuto permetterti un futuro ragguardevole..."
"Papà ma che dici..." cercai di interromperlo.
"L'unica cosa che mi fa passare il senso di colpa è la consapevolezza che diventerai una donna fantastica: lo vedo da come ti comporti, con me, con tua madre, con i tuoi fratelli, con tutto il vicinato. Grace tu hai avuto il dono più caro che la vita potesse mai farti: un buon cuore, un'anima gentile. E ora so che non ho niente di cui preoccuparmi, perchè già sei quello che speravo di poter vedere in mia figlia. Ricordati sempre di essere premurosa quando possibile, perchè nessun atto di gentilezza, per piccolo che sia, è mai sprecato"
Non capivo perchè mi dicesse tutte quelle cose: mi faceva strano ricevere un discorso tanto serio da mio padre, ma mi faceva altrettanto piacere. L'inconsuetudine della situazione si fece però da parte per far spazio all'orgoglio che sentivo: mio padre doveva davvero amarmi per dirmi certe parole. In qualche modo mio padre se lo sentiva, che se ne sarebbe andato e voleva farmi sapere tutto ciò che non mi aveva mai detto ma che aveva sempre pensato. Infatti non passò nemmeno una settimana: il tutto fu improvviso e solo con il tempo me ne resi conto e cominciai ad elaborare. Il dolore più grande della mia vita, qualcosa di indescrivibile. Quel giorno insieme alle sue parole mi diede anche quel pezzo di carta che non riesco a smettere di leggere.
"Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano. Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido non avrò vissuto invano"
E' lo steso pezzo di carta che guardai quando decisi di lasciare la mia casa e arruolarmi come infermiera. Vorrei dire che fu mio padre a darmi la forza, ma sarebbe una bugia. La verità è che ho usato le parole di mio padre come scusa per abbandonare la situazione di strazio che si era creata in casa mia e fuggire. E mi vergogno molto. Penso di essermi proposta come volontaria per estinguere questa vergogna e questo senso di colpa che mi affliggono. Ma nemmeno qua sarei completamente sincera: io voglio farlo, voglio davvero "aiutare un pettirosso caduto" perchè sento che questo è il mio scopo, al di là di tutto ciò che mi ha detto mio padre. Allo stesso tempo sento un bisogno costante di renderlo orgoglioso di me. Nemmeno io riesco a definire e capire questi sentimenti contrastanti.
"Hai scritto a tua madre?" mi chiede Evelyn entrando nella mia camera.
"Sì, dovevo..." dico alzando le spalle.
"Non so come dirlo a Miles stasera" mi dice sospirando profondamente.
Ci guardiamo malinconicamente e tutte le parole non dette, tutte le emozioni che abbiamo nascosto alle altre riemergono e mi rendo conto che io e Evy siamo nella stessa situazione. Non resisto e prendo la mia amica tra le braccia, cercando di confortare sia me che lei.
"Evy, quello che è successo questi mesi ha cambiato tutto e non devi fartene una colpa se decidi di rivalutare questa cosa. Ricordati che puoi sempre tirarti indietro" le dico cercando di confortarla.
"E tu?" mi chiede prendendomi le mani tra le sue.
"Non si tratta di me, non devi pensarci... devi pensare a te stessa. E io farò lo stesso"
Sospiriamo all'unisono e di nuovo, ci abbracciamo cercando di darci forza. Che situazione tremenda. 
"E' arrivato il taxi" ci dice Rachel affacciandosi dalla porta della camera.
Io e Evy prendiamo le nostre borse e scendiamo al piano di sotto: le ragazze hanno tutte dei musi lunghi e l'allegria di questa mattina sembra essere scomparsa in un batter d'occhi. 
"Ragazze, ragazze... non voglio vedervi così. Che sono queste facce? Questa deve essere una serata indimenticabile, per tutte noi e non non sono ammessi visi tristi" dico facendole sorridere.
"Se questa deve essere l'ultima serata per lungo tempo che passerò insieme a voi voglio passarla felice" dico loro continuando a mantenere il sorriso tirato.
"Grace ha ragione" dice Evy.
Mi avvicino alle mie amiche avvolgendole tutte in un abbraccio di gruppo. Non voglio che vada tutto così: in realtà ancora non ho preso una decisione eppure tutte sembrano pensare alla peggiore delle ipotesi.
Il viaggio in treno lo passiamo scherzando e ridendo, proprio come volevo, ricordando le nostre avventure passate. Quante ne abbiamo passate in così poco tempo. Più parliamo più mi rendo conto che ognuna di queste ragazze occupa un posto incolmabile nel mio cuore. Cosa succederà se deciderò di partire? Continuo a ripetermelo ma in cuor mio so di aver già preso una decisione ed è inutile continuare a fare supposizioni. Forse dovrei ripeterlo anche a me stessa: che senso ha tenere i musi lunghi? Questa sarà una delle serate più belle di sempre.
"Vi ricordate quando ci siamo viste per la prima volta?" 
"Certo! Mi sembravi una bambina, piccola Grace" esclama Barbara
"Betty era furiosa" mi dice Rachel.
La guardo ridendo con gli occhi leggermente spalancati.
"Mi sembra normale: eri una ragazzina e io avrei dovuto farti da supervisora... non mi sembrava più di essere un'infermiera, ma una maestra d'asilo" mi confessa ridendo.
"In effetti era diventato un'asilo: abbiamo fatto comunella io e te" mi ricorda Carrie dandomi il cinque con la mano.
"Solo perchè eravate arrivate nello stesso periodo"
"Betty ammettilo, poi ti sono entrata nel cuore" le dico punzecchiandola.
"Tesoro, non ci è voluta nemmeno metà giornata" mi dice sventolando con la mano davanti al mio viso.
"Avevo paura di non piacervi, di fare qualcosa di sbagliato il primo giorno..." confesso.
"Ma poi ho capito che ero troppo simpatica e che sarebbe stata facile cavarmela" aggiungo pavoneggiandomi un po'.
"Ma sentila" mi dice Evelyn schiaffeggiandomi scherzosamente un braccio.
Continuiamo a parlare dei nostri primi incontri fino ad arrivare alla stazione di New York. Una volta scese troviamo i ragazzi ad aspettarci. Faccio scorrere il mio sguardo su di loro fino a che, non riuscendo a trattenermi, corro tra le braccia di Jo. Mi solleva da terra e mi fa girare, prima di rimettermi giù.
"Piacere di rivederla, tenente" 
"Altrettanto, tenente"
"Mi sei mancata" 
"Tu non sai quanto" gli rispondo staccandomi dall'abbraccio e guardandolo finalmente.
Si avvicina lentamente a me mentre mi prende il viso tra le mani. E così mi bacia, teneramente, dolcemente, un classico bacio alla Jo Myers.

***

A cena è scorre tutto divinamente. Jo mi ha chiesto di ballare ed ora ci troviamo in mezzo alla pista, abbracciati l'uno all'altro, muovendoci lentamente. Stasera le parole mi mancano e forse è meglio così.
"Jo... pensi mai che la guerra verrà a piombarci addosso?" gli chiedo continuando a ballare, sicura del fatto che non può vedermi mentre ho il viso appoggiato alla sua spalla.
"Non lo so... non ci penso, finchè è così tutto lontano da noi"
"Non credi che prima o poi ci troveremo coinvolti?"
"Potrebbe succedere, in fondo è per questo che mi addestrano. Ma non siamo noi a deciderlo, Grace, non siamo noi a scrivere il nostro destino"
Alzo il viso dalla sua spalla confortante e lo guardo.
"Hai ragione" sussurro, ritornando alla posizione di prima.
"Per ora il nostro comando ha deciso di spostarci a Pearl Harbor... spero che anche tu sarai assegnata alla base" mi informa.
"Lo sai che non siamo noi a deciderlo, Jo" gli dico mentre guardo come se fossi assente le altre coppie che ci ballano vicino.
"Già... ma ti immagini le spiagge bianche, i cocktail alla frutta e quanto surf potremmo fare?" mi dice eccitato al solo pensiero.
"Sembra fantastico" dico sorridendo amaramente. 
Fortunatamente lui non mi vede.
"E poi, grazie alle cure di un'amabile infermiera, non ci saranno più addestramenti per me, ma solo tante tante ore di vole... quello che ho sempre sognato" mi dice baciandomi il collo lentamente.
"Non fai altro che pensare agli aerei, e a me quando ci pensi? Scommetto che persino adesso stai pensando a volare" gli dico facendo finta di essere infastidita.
"Ma no... ora sto pensando a come non pestarti i piedi" mi dice abbassando gli occhi ai miei piedi.
Scoppio a ridere stringendolo più forte a me.
Decidiamo poi di pagare il conto e di spostarci in un locale poco lontano e più informale del ristorante in cui abbiamo gustato una cena da cinque stelle. Prima di raggiungere gli altri io e Jo decidiamo di andare, in taxi, fino alla spiaggia più vicina, per staccare dal clima della città e goderci l'aria di mare. Mi sento un po' in soggezione e non mi era mai successo con Jo: è tutta la sera che non riesco a trovare le parole, per qualsiasi cosa. Certe volte non mi capisco, davvero. Jo, invece, sembra tranquillo e non sembra nemmeno essersi accorto della mia stranezza, meglio così. Mi dispiace, ma sta chiacchierando praticamente da solo.
"Ok, Grace ora mi dici che ti prende?" mi chiede improvvisamente interrompendo il suo discorso.
Quindi se ne è accorto. Si ferma e si mette davanti a me.
"Pensavo che ti piacessero le mie storie ma sono dieci minuti che ripeto la stessa e tu non te ne sei nemmeno accorta" mi dice ridendo cercando di sdrammatizzare. 
Non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi. Da quando mi è così difficile? 
"Jo, ti devo dire una cosa..." gli dico finalmente.
"Ti ascolto" mi risponde spronandomi.
Ma non riesco a parlare, è tutto bloccato. Perchè devo essere così? Perchè deve sempre andare a finire così?
"Grace che è successo?" mi chiede questa volta preoccupato.
"Devo partire Jo..." gli dico, continuando a non guardarlo negli occhi.
Sono fissa a guardare la sua camicia e non mi azzardo a spostare lo sguardo.
"Mi avevi detto che ancora non ti avevano assegnato a nessuna base" mi dice confuso.
Sono sicura che stia scuotendo la testa, come fa sempre.
"Parto per l'Inghilterra... sono stata presa in una squadra di medici e infermieri che verranno mandati come supporto medico nelle basi militari" 
"Cosa? Non capisco... non possono comandarti lì" sento che si sta innervosendo.
"Non mi hanno comandata... parto volontaria" e finalmente lo guardo.
Improvvisamente non ricordo più come si respira, riesco solo a trattenere il fiato nell'attesa di una sua reazione. Perchè nei suoi occhi non vedo più la sua solita dolcezza, ma solo un senso di disperazione e dolore? 
"Cosa? Perchè? Grace è il posto più pericoloso sulla terra e tu decidi di andarci?"
"Non è una tua scelta, Jo, sono io che ho deciso di farlo" 
"Perchè, a che scopo?" mi chiede disperatamente.
Non mi capisce: l'uomo che pensavo sapesse tutto di me, non riesce a capirmi. 
"Per aiutare chi, a differenza nostra, sta combattendo una guerra per tutti noi" la faccio semplice.
Se solo sapesse la profondità delle mie ragioni. Cala il silenzio tra di noi. Questa volta è lui a non guardarmi.
"Jo... questi ultimi mesi sono stati i più belli della mia vita e non vorrei mai, per nulla al mondo, rovinarli..." gli confesso.
"Non potresti mai rovinarli" mi dice sospirando e avvicinandosi a me.
"Ma non posso chiederti di aspettarmi... anzi non voglio farlo" la parole che prima cercavo disperatamente ora strabordano come un fiume in piena e io le lascio andare senza pensare.
Mi guardo i piedi capendo il senso di quello che sto dicendo. E' davvero questo che voglio?
"A che scopo?" quasi mi chiedo da sola.
"Questa è l'ennesima prova della mia vita che non sono adatta a tutta questa felicità... non saprei come gestirla e avrei comunque rovinato tutto prima o poi" continuo.
"Grace io t..." lo interrompo.
"Non dirlo... ti prego non rendere tutto più difficile"
"Io sto rendendo tutto difficile? Se tu mi amassi come ti amo io... non te ne andresti" mi dice ferito.
Non posso tirarmi indietro ora, non lo farò. Ho preso una decisione: ho riflettuto ed è meglio che vada così. Come posso chiedergli di aspettarmi quando neanche io so quando tornerò. In questo lasso di tempo potrebbe succedere di tutto: non potrei mai chiedergli di lasciare in sospeso la sua vita per me. Per aspettarmi. Potrebbe cambiare tutto quando ritornerò, potrebbe odiarmi se, dopo tutta l'attesa, si trovasse davanti qualcuno che non vuole. Io mi odierei per questo. Lui forse ora non riesce a capirlo, ma l'ultima cosa che voglio è ferirlo. E se per evitare questo dovrò essere io a riempirmi di dolore, sono disposta a farlo.
"Joseph non è una tua scelta, si tratta di me: il tuo sogno è stato sempre quello di volare? Beh, il mio quello di aiutare quando posso"
"Grace vuoi andare a fare l'eroina? Là c'è la guerra, le persone muoiono sotto i bombardamenti... e tu ti ci vuoi fiondare in picchiata!"
"Jo, ti prego, voglio che tu capisca..." lo imploro.
Non capisce e per questo mi detesta. Non voglio partire se questa deve essere l'ultima immagine che ho di lui.
"Devo farlo perchè voglio farlo. Non sono una stupida, conosco i miei rischi... ma cosa ne sarà di noi? La lontananza logorerebbe il nostro rapporto... per questo voglio ricordarti, così: come l'uomo che mi ha salutata in ospedale, come quello che mi ha portata a vede il giardino più bello che abbia mai visto, come quello che ha reso un tramonto indimenticabile... come quello che mi ha fatto scoprire l'amore" 
Ora ci guardiamo, occhi negli occhi. Non so per quanto tempo restiamo immobili in questa posizione: il tempo perde forma e l'unico suono che mi tiene ancorata alla realtà è quello delle onde del mare che si infrangono violentemente negli scogli. Nemmeno un orologio servirebbe per capire quanto tempo è passato: è uno di quei momenti che non si può misurare con un orologio, ma solo con i battiti del cuore.
"Grace, non farmi questo..." 
I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi, si riempono di lacrime. Non posso sopportarlo. 
"Ti prego non odiarmi..." 
Gli faccio un ultima carezza e lo sento appoggiarsi alla mia mano. E' troppo: prima che mi perda di nuovo a guardarlo, faccio un passo indietro e, dopo un'ultima occhiata che per me valeva più di mille parole, me ne vado dandogli le spalle.

***

Le ragazze hanno deciso di accompagnarmi in stazione: io non volevo, ma loro hanno, ovviamente, insistito. Non credo riuscirò a reggere tutte le emozioni che mi stanno esplodendo dentro, figuriamoci farlo con loro davanti a me. Quando stavo per uscire di casa Barbara mi si è piazzata davanti con le braccia conserte e mi ha minacciato: "Grace tu non uscirai di qui senza di noi" e quando Barbara dice qualcosa, è quella e basta. Non ho resistito e le ho accontentate con un sorriso. Ma d'altra parte continuo a pensare che non voglio che gli ultimi momenti che passo con loro siano pieni di lacrime e singhiozzi... come sta succedendo adesso.
"E' arrivato il momento..." dico alle mia amiche non appena sento chiamare il mio treno.
"Grace, fai attenzione, non..." mi raccomanda Betty, interrompendosi improvvisamente per la voce rotta.
La guardo con un sorriso addolorato. Mi mordo la lingua cercando di trattenere le lacrime che presto, sono sicura, mi bagneranno il viso. Prima che vedano le prime goccioline solcare le mie guance le abbraccio tutte forte, cercando di trasmettere loro tutto il mio amore, tutte le parole che non ho mai detto, tutta la gratitudine che sento nei loro confronti. Quasi mi pento adesso di tutte le volte in cui avrei potuto dimostrare quanto tenessi a loro e non l'ho fatto. Quando ci stacchiamo Evelyn si fa avanti fra tutte e mi riprende tra le sue braccia.
"Non volevo lasciarti da sola Grace, mi dispiace" mi sussurra singhiozzando ad un orecchio.
Come risposta la stringo più forte. Le ho già detto che non mi sento nè tradita nè altro, non potrei mai: ha preso la sua scelta, così come io ho preso la mia. 
"Ragazze..." dico seriamente guardandole una per una negli occhi.
Cerco di immagazzinare i loro sguardi, i loro tratti, i loro colori, così da averle sempre nelle memorie a farmi compagnia. Addolcisco i lineamenti rigidi del mio viso e con un sorriso giocoso le saluto a modo mio.
"Ritornerò ad occupare il bagno di casa per ore per prepararmi, statene certe" dico assottigliando gli occhi a mo' di sfida.
E così saluto le mie amiche con un ultimo abbraccio, questa volta fatto di noi, lacrime e risate. Lancio loro un ultimo sguardo prima di scomparire tra le porte del treno che mi porterà all'aeroporto. Prendo posto nel mio vagone e finalmente mi metto seduta. Mi stiracchio cercando di spazzare via tutta la pressione e lo stress e rilassarmi nel mio sedile. Sarà un viaggio lungo, meglio che mi prepari agli acciacchi che sicuramente avrò una volta giunta a destinazione. Meglio che cominci ad abituarmi al fatto che sto andando via da tutto e tutti, e che sarò in balia del destino, in balia di me stessa. Scuoto la testa cercando di scacciare questi pensieri negativi: perchè devo essere così? Mi sto facendo del male da sola. E' da stamattina che parlo di addii, e perchè mai? Io ritornerò a casa. Non sto andando a fare la guerra, non rischio come i valorosi soldati che ogni giorno devono scendere in campo e mettere a rischio le loro vite. Di nuovo: la sto facendo troppo tragica, sto pensando troppo a me stessa quando è mio dovere assistere a chi ogni giorno combatterà per far sì che io sia al sicuro. Nella lettera non c'erano molte informazioni: una volta arrivata in Inghilterra sarò assegnata ad un campo medico di primo soccorso in una base militare, questo è tutto quello che so. Sono pronta? Devo esserlo... l'unico pericolo che corro è quello di mancare al mio dovere. Io ritornerò e devo far sì che anche gli uomini che curerò ritornino dalle loro famiglie. 
Mentre penso e guardo fuori dal finestrino mi sembra di avere un deja-vù. Il treno comincia a muoversi e un milione di emozioni mi travolge: è come se fossi sulle rotaie, non a bordo, e il treno mi passasse sopra con tutta la sua forza e vagone dopo vagono i turbamenti crescono. Guardo le mie amiche allontanarsi e non ce la faccio. Quando sposto lo sguardo da un'altra parte mi sembra di scorgere qualcuno di familiare: strizzo gli occhi cercando di esaminare meglio l'uomo che sembra spaesato tra i binari. Dal modo in cui si muove frettolosamente verso il mio treno che sta iniziando la sua corsa sembra smarrito, sembra angosciato, sembra... Jo. Cerco di assottigliare lo sguardo più che posso ma ormai è troppo tardi: il treno ha preso velocità e si allontana dalla stazione. Prendo un respiro profondo e mi impongo di non pensarci: non può essere, non era lui. Non era lui.
   
 
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