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Autore: ShanaStoryteller    04/05/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Poseidone e Ceneo



Zeus reclamò il cielo come suo regno, libero e aperto e puro, e suo divenne.

Ade andò negli inferi, ed erano scombinati e orribili e raccapriccianti, ma li reclamò come suoi, incontestati, e suoi divennero.

Poseidone andò al mare, ma questi aveva già un sovrano.

 


Il suo primo pensiero fu che era bella. Pelle come perle e capelli scuri, del colore verde intenso delle alghe. Era alta, con il tipo di corporatura aristocratica che l’avrebbe fatta sembrare delicata se ogni altro suo aspetto non fosse stato terribile come Era quando irritata immensamente.

“Vieni nella mia terra per reclamarla come tua.” Disse, e non stava né camminando né nuotando mentre lo accerchiava. “Chi sei tu per dominare il mare?”

Si schiarì la voce, ed era un dio potente, lui e i suoi fratelli erano gli dèi più potenti che esistevano in quella terra, ma le sue ginocchia tremarono al suo cospetto. Non era un sentimento buono. Non era un’infatuazione… era paura. “Sono Poseidone.”

Lei inclinò il capo, e i suoi begli occhi blu erano freddi come il fondale marino su cui si trovavano. “Addio, Poseidone. Forse tuo fratello troverà quello che rimane del tuo cadavere negli inferi.”

L’acqua frustò intorno a lui, facendo del suo meglio per farlo a pezzi, insinuandosi nei suoi polmoni per soffocarlo. Non pensava che avrebbe potuto annegare, ma forse stava per ricredersi.

Poi, una rete si chiuse intorno a lui, trascinandolo verso l’alto, ed emerse in superficie prendendo una profonda e grata boccata d’aria. Venne issato contro la fiancata di una barca e tirato a bordo mentre la persona che lo aveva salvato lottava selvaggiamente contro le onde furiose. “Devi aver proprio irritato la nostra Signora.” Disse una voce leggera e canzonatoria. Poseidone stava ancora tossendo con le lacrime agli occhi e i polmoni urlanti. Quella barca si sarebbe rovesciata e sarebbero morti entrambi, dunque non capiva come quella persona potesse suonare così spensierata.

Solo che non lo era. Manovrava la sua piccola barca con abilità contro le onde che la frustavano. Poseidone sbatté le palpebre e fu propenso a dire che la persona che teneva la barca fosse una donna, visto il seno e i fianchi acerbi. Ma teneva i capelli corti e il chitone che portava era di foggia maschile.

“Qual è il tuo nome?” Gli chiese.

“Ceneo.” Rispose il suo inaspettato salvatore.

Era un nome maschile e Poseidone aprì la bocca per contestare… poi la richiuse di nuovo. “Grazie.” Optò. “Mi hai salvato la vita.”

Ceneo li riportò finalmente entrambi a terra e Poseidone sbarcò per aiutarlo a trascinare a riva l’imbarcazione e assicurarla. “Nessun problema.” Rispose, allegro. “Che cos’hai fatto per adirare così tanto la nostra Signora?”

“La conosci?” Gli chiese, fissandolo. Quell’uomo sembrava un semplice mortale, eppure poteva un mortale conoscere quella donna?
Gli rivolse un ghigno e indicò il mare rilucente. “Tutti noi la conosciamo. È l’oceano in persona, e altrettanto potente e imperscrutabile. Dovresti fare attenzione a non adirarla ancora… Non conosco nessuno che sia sopravvissuto alla sua ira per ben due volte.”

“Comprendo.” Disse, atono, anche se era inevitabile. Sarebbe diventato il dio del mare e se avesse dovuto lottare per strappare dal suo cadavere il mantello da monarca, l’avrebbe fatto.

Ceneo gli diede una pacca sulla spalla, e il suo palmo reso calloso dal lavoro gli portò conforto più di qualunque altra cosa che avesse provato da quando era sfuggito dallo stomaco di suo padre. “Vieni da me, sembri mezzo morto. Ti preparo qualcosa di caldo.”

Rivolse un lungo sguardo al suo salvatore. Aveva la pelle di un’intensa sfumatura di marrone e i suoi occhi erano d’ambra nel sole calante. Teneva i capelli corti e i muscoli di braccia e gambe guizzavano a ogni suo movimento. “Molto bene.” Rispose, e fu estremamente grato del fatto che avesse troppo freddo per arrossire.

 


Ceneo lo condusse alla sua dimora, una baracca costruita in modo raffazzonato al limitare della spiaggia. Il vento sferzava attraverso le fenditure del legno e si rabbrividiva in ogni angolo, non importava quale fosse. “Questa è la peggiore costruzione in legno che io abbia mai visto.” Disse. Accarezzò il muro con la mano e non fu affatto sorpreso di ritrovarsi delle schegge sul palmo.

“Sono un marinaio, non un carpentiere.” Rispose Ceneo, intento a mischiare insieme degli ingredienti. Poseidone ne riconobbe solo la metà. “Sta in piedi.”

“A malapena.” Lo rimbeccò, mettendo le mani a coppa intorno alla scodella che gli venne porta.

Ceneo non gli chiese di andarsene. Si sistemarono sul suo piccolo letto, strizzati. Poseidone abbracciò l’uomo più basso, intrecciando insieme le loro gambe e proteggendo la testa di Ceneo sotto il suo mento. “Sei così caldo.” Mormorò Ceneo, già mezzo assopito, e il cuore di Poseidone ebbe un fremito.

Si assicurò che fosse addormentato prima di abbassare la testa e sfiorare la sua guancia con le labbra con molta, molta cautela.

 


Quando Poseidone si svegliò, il sole splendeva e Ceneo se n’era andato.

Sarebbe dovuto tornare a grandi passi nell’oceano, ma prima aveva qualcosa di importante da fare. Solo che non era sicuro di come farla.
Non poteva chiederlo a Zeus, suo fratello minore, che sapeva molto di guerre e niente più. Il che faceva ricadere la scelta su…

Fu semplice infilarsi negli Inferi, anche se lo rimpianse nel momento in cui vi mise piede. Era quasi completamente buio e deserto. Le anime perse si allungarono subito verso di lui, le loro mani fredde che gli scivolavano sulla pelle.

“Che cosa stai facendo?” Gli chiese una voce familiare, e Poseidone per poco non perse le forze dal sollievo quando Ade apparve al suo fianco per guidarlo lontano dalle anime lamentose. “Non è sicuro qui.”

“Cos’hanno che non va?” Gli chiese, guardandosi alle spalle, sentendo una fitta di compassione al petto per il loro pianto, anche se sapeva che non poteva fare nulla per loro.

Scivolarono attraverso il suo regno e atterrarono di fronte a un castello di pietra in costruzione. La dea Ecate guidava le pietre al loro posto con la sua magia, il viso ancora quello di una giovane dato che era ancora mattina nel regno dei mortali.

Ade si sedette al suolo, e la pelle sotto gli occhi era nera e livida. Sembrava che un forte vento lo stesse per travolgere. “Niente, tutto, non lo so. Ci sto lavorando. Perché sei qui?”

“Immagino che tu non sappia come costruire una casa?” Gli chiese, anche se non si aspettava granché. Sembrava che non fosse l’unico ad avere problemi a reclamare il dominio sul proprio regno.

Suo fratello rise, e delle piccole rughe si formarono agli angoli dei suoi occhi. “Sei venuto dal fratello sbagliato, fratellino.”

Oh. Era vero. “Credi che mi aiuterà?”

“Sì.” Rispose Ade, le labbra ancora frementi. “Ora lasciami alla mia anarchia, ho già abbastanza guai senza che tu me ne causi altri.”

Era una richiesta sensata.

Poseidone, dunque, si diresse all’Olimpo, premurandosi di sbirciare dietro ogni angolo per evitare Zeus ed Era. Il loro palazzo di marmo era già stato completato, e represse l’amarezza per il fatto che il loro dominio fosse incontrastato. Al centro della sala del trono, vicino a un fuoco ruggente, sedeva Estia.

“Sorella,” la salutò, esitante, “ho bisogno di aiuto per costruire una casa.”

Lei distolse lo sguardo dal fuoco e lo posò su di lui, e quando sorrise Poseidone sentì tutta la tensione scivolargli via dalle spalle. “Ma certo, fratellino. Se è di aiuto che hai bisogno, aiuto sarà quello che riceverai.”

Estia demolì la catapecchia con uno schiocco di dita e disse: “Chiederò del legno migliore a Demetra.” Poi sparì in un batter d’occhio. Dopodiché, iniziarono a costruirla a mano, e la dolce voce di Estia lo guidava ogni volta che esitava o incespicava. Erano dèi, dunque non ci misero molto, e quando ebbero finito c’era una piccola e bellissima casa sul limitare della spiaggia, una con un letto grande e luminosa, una che aveva una buca per il fuoco al centro con scritto il nome di Estia nel fondo in modo che la dea potesse proteggere il luogo che aveva aiutato a costruire.

“Grazie.” Le disse Poseidone, mentre il sole iniziava a tramontare.

Estia gli fece l’occhiolino. “Quando vuoi, fratellino.” E svanì in un istante.

Sperava che a Ceneo sarebbe piaciuta. Sfortunatamente, non sarebbe rimasto lì per scoprirlo.

Aveva una regina da sfidare.

 


La trovò di nuovo, nel suo palazzo di rocce lavorate sul fondo del mare.

“Non ci sarà nessun marinaio a salvarti questa volta.” Disse, inclinando la testa di lato. L’acqua si era già fatta fredda intorno a lui, la corrente più forte.

Deglutì. “Sono Poseidone. Diventerò il dio del mare.”

Lei gli rivolse un’occhiata, indifferente. “Perché lo vuoi così tanto? Non c’è niente in te che appartenga al mare.”

“Sono un dio.” Le rispose, atono, e non aggiunse che doveva scegliere o il mare o gli inferi, e che quelli erano un problema di cui non voleva sobbarcarsi.

Lei soffocò una risata, e una scintilla di divertimento apparve nel suo sguardo inamovibile. “Sei troppo tenero e troppo gentile per diventare signore del mare.” Lui aprì la bocca, ma lei sollevò una mano, e la richiuse. Mosse passi volutamente lenti verso di lui, e Poseidone deglutì senza distogliere lo sguardo. “Ti offro uno scambio, Poseidone, dio del nulla.”

“Ti ascolto.” Rispose, e cercò di non muoversi quando lei gli posò una mano gelida sul petto.

“Io sono Anfitrite,” disse, “sorella di Gaia, e vivo da molto prima che tu venissi concepito, come vivrò anche molto oltre la tua morte.” Poseidone impallidì, e oh, non aveva idea del tipo di essere con cui aveva a che fare. Le cose si mettevano molto, molto male. “Se desideri dominare il mare, allora dovrai dominare me.”

Deglutì. “Mia signora, io… le mie più sentite scuse, non sapevo…”

“Silenzio.” La sua bocca si chiuse di scatto. “Sono nata come sono, e morirò allo stesso modo. Ma… Non c’è motivo per cui debba vivere così.” Non comprendeva, e lei dovette capirlo perché si toccò il petto e disse: “Posseggo un cuore freddo e oscuro come gli oceani che ho partorito. Te lo cederò, e sia io che il mare saremo al tuo comando. Ma ti chiedo il tuo cuore in cambio, cosicché io possa conoscere la gentilezza e la tenerezza.”

Non sapeva cosa dire. Un cuore non era cosa che si cedeva con leggerezza. Ma doveva diventare signore del mare.

“Prenditi del tempo, se ti serve,” disse, con lo stesso freddo divertimento negli occhi, “io sono inamovibile come l’oceano e sarò qui quando avrai fatto la tua scelta.”

Venne rigettato verso la superficie e sulla riva, ma molto più dolcemente rispetto alla volta precedente.

“POSEIDONE!” Riuscì a malapena a voltarsi perché un corpo gli si gettò addosso, labbra premute contro le sue. Ceneo gli afferrò i polsi tenendoli saldi contro la sabbia e lo baciò a lungo, lentamente, distraendolo a sufficienza da fargli dimenticare della proposta della personificazione del mare. “Mi hai costruito una casa,” mormorò, “tu mi hai costruito una casa.”

“Ti piace?” Gli chiese, stordito.

Ceneo gli rivolse un grande sorriso, malizioso e bellissimo, e rollò i fianchi contro quelli di Poseidone. “Vieni con me, ti dimostrerò quanto mi piace.”

 


Poseidone intendeva tornare nel mare, da Anfitrite, ma ogni mattino Ceneo gli dava il bacio del buongiorno. Imparò del mare, però. Usciva con Ceneo ogni giorno e imparava dei moti e degli umori del mare, del suo sapore e del suo odore. Imparò come comprenderlo e imparò quanto fosse del tutto incurante, quanto la sua freddezza e profondità fossero la sua totalità.

Il mare non era gentile. Non era compassionevole, non provava amore, non comprendeva la piccolezza del perdono e della pietà.

Intendeva tornare da lei, ma ogni giorno diventava sempre più difficile.

I giorni diventarono settimane che diventarono mesi. Lui e Ceneo divennero sempre più intimi e Poseidone non sapeva come avrebbe potuto cedere il suo cuore ad Anfitrite quando ora apparteneva a un mortale dagli occhi ambrati che lasciava lividi dalla forma della sua bocca lungo le sue clavicole.

“Poseidone.” Disse Ceneo, piano nell’immobilità opprimente della notte, con la testa sul suo petto e accoccolato su un fianco. La luna era grande e alta, raccogliendosi d’argento sul pavimento della loro camera da letto. “Sei un dio, giusto?”

“Lo sono.” Disse Poseidone, divertito. Ceneo sapeva chi era, ma era la prima volta che lo menzionava.

Ceneo si tirò su a sedere per guardarlo e Poseidone gli prese il volto tra le mani. Ceneo vi si appoggiò, coprendogli la mano con la sua. “Potresti farmi diventare uomo?”

“Tu sei un uomo.” Gli rispose automaticamente.

Lui alzò gli occhi al cielo e si tirò su in modo da poter passare una gamba sopra di lui, cingendogli i fianchi. “Sai cosa intendo.”

Poseidone si spostò abbastanza da bloccare entrambi i loro respiri in gola, e disse con voce bassa: “No. Mi dispiace. Non… Non ho un regno e i miei poteri sono limitati.” Forse avrebbe potuto farlo, ma la trasformazione non rientrava nei suoi talenti naturali e Ceneo era troppo prezioso per fargli correre questo rischio se non ne era sicuro.

Ne fu deluso, ma sorrise comunque e si piegò su di lui per baciarlo. “Non importa.”

Non era vero. Se Poseidone non fosse stato dio del mare solo di nome, se avesse accettato l’offerta di Anfitrite, avrebbe avuto la capacità di trasformare il suo amante come da suo desiderio.

Era un dio, fratello di Zeus, e non poteva dare a Ceneo l’unica cosa che gli avesse mai chiesto. Quanto valeva, quanto potevano valere i suoi poteri se non poteva rendere felici le persone che amava?

Invertì le loro posizioni e baciò il collo di Ceneo per nascondere l’odio verso se stesso che si leggeva ben chiaro sul suo volto.

 


Poseidone se ne andò silenzioso nel bel mezzo della notte, premendo un dolce bacio sulle labbra rilassate del suo amante addormentato, ed entrò nell’oceano.

“Hai preso la tua decisione, dunque?” Gli chiese Anfitrite, inclinando la testa di lato.

“Non ti sarò un marito fedele,” dichiarò, diretto, “io amo Ceneo.”

Lei rise, e per la prima volta non ebbe paura di lei. “Fai ciò che vuoi con i tuoi mortali. Non sono un mio problema.”

“Va bene.” Disse, e si preparò. “Va bene. Accetto la tua offerta Anfitrite, sorella di Gaia.”

Lei allungò la mano, le unghie più simili ad artigli, e si squarciò il petto senza battere ciglio. Il suo sangue era viscido e nero quando le sgorgò dal corpo, mulinando nell’acqua che li circondava. Vi estrasse un oggetto scuro e rotondo e glielo porse.

“Io…” Abbassò lo sguardo sul suo petto, e non era… non era sicuro di poter fare quello che lei aveva fatto, e si sarebbe sentito folle a chiederle un coltello. Anfitrite fece un passo in avanti e gli posò gli artigli sul petto, viscidi e caldi per il sangue, e gli squarciò il petto al suo posto.

Fu agonizzante e le sue ginocchia cedettero per il dolore. Anfitrite lo resse in piedi e aspettò.

Non poteva fare quella parte. Doveva essere lui. Si infilò una mano nel petto e ne estrasse il suo cuore, pulsante e caldo. Glielo pose goffamente nel petto. Era impressionante, così violentemente rosso stagliato contro il verde scuro del resto dell’interno del suo corpo. Lei fece lo stesso, infilando il suo cuore nel suo petto.

La loro pelle guarì all’istante. Anfitrite aprì la bocca e le sue guance si colorarono di rosa. Sorrise, di un sorriso piccolo e dolce, e per la prima volta sembrò… felice.

Il cuore di lei nel suo petto era freddo come il ghiaccio e il suo gelo si diffuse nel suo corpo, espandendosi per riempirlo completamente.

Ora poteva sentire l’oceano, nella sua interezza, che si espandeva nel globo, le maree e le creature che vi risiedevano e le piante e gli animali e le ninfe. “È immenso.” Disse, e fu sorpreso dal suono della sua stessa voce, da quanto fosse brusca.

“Ne senti solo una parte.” Disse lei, muovendo un passo avanti. “È una forza troppo potente perché un dio possa controllarla. Io sono una forza troppo potente perché un dio possa controllarmi. Però, tu possiedi il mio cuore. E come io ti obbedirò, lo farà anche il mare.”

“Potresti schiacciarmi.” Disse, cinico, conoscendo il potere di Anfitrite grazie a quello che non poteva sentire piuttosto che a quello che poteva sentire.

Lei gli premette una mano sul petto, e rabbrividirono entrambi. Era calda ora. Non era calda prima. O forse era lui che era semplicemente diventato più freddo. “Potrei,” disse, “ma non lo farò.”

Non aveva motivo di fidarsi di lei, ma era dolorosamente conscio del fatto che non avesse scelta alcuna. “Vado da Ceneo.” Disse, e sentì una sensazione di disagio crescere in lui. Perfino la forma del nome del suo amante sulle sue labbra non gli dava la stessa emozione.

“Fai come desideri, marito,” gli volse la schiena, addentrandosi nel suo – loro – palazzo.

Quella volta, usò i suoi poteri del mare per spingersi in superficie.

Non provò la soddisfazione che pensava di sentire.




Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuta!

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