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Autore: LilithGrace    04/05/2020    1 recensioni
"Ci sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare".
(Oriana Fallaci)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dick Grayson, Jason Todd, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti!
Prima di tutto, ci tenevo a ringraziare immensamente chi sta dedicando del tempo alla mia storia. <3
Volevo cogliere l'occasione di fare un piccolo appunto e precisazione su questo e alcuni dei prossimi capitoli.
C'è consapevolezza da parte mia che il personaggio i Harley Quinn non è presente nell'arco narrativo di "Under the hood", ma ho deciso di introdurla ugualmente nella mia storia in quanto Harley sarà una spalla per la mia Grace, una delle figure centrali e più importanti per la sua crescita personale.
Ci tengo a sottolineare che la Harley in questione è della mia amica Longgriffiths, quindi le varie interazioni e dialoghi sono stati scritti a due mani.
Longgriffiths, grazie per aver sopportato le mie crisi esistenziali, per avermi appoggiata e consigliata XD 

Detto ciò, vi lascio alla lettura del capitolo, che sarà un po' più breve rispetto ai precedenti e ai prossimi poiché è di 'transizione'.
Buona lettura!


***

Dopo il mio ultimo incontro con Jason ero più che convinta a di non voler andare oltre in questa faccenda. Era stato indubbiamente bello rivederlo, ma per me stava diventato tutto troppo grande.
Decisi di tornare alla mia vita esattamente da dove l’avevo interrotta, prendendomi cura dei miei ragazzi; evitavo il discorso anche con Jonathan che, dal canto suo, aveva rispettato la mia scelta. Spesso notavo cercasse di dirmi qualcosa, aggiornarmi, ma riuscivo a stroncare il tutto prima ancora che aprisse bocca.
Nonostante i miei tentativi, però, avevo sempre una sorta di spettro oscuro che mi seguiva ovunque andassi, ricordandomi che non era tutto ok nella mia testa. Anzi, era tutto dannatamente confuso e sbagliato e il non sapere ed il non avere pace, erano tra le cose che più detestavo al mondo.
Finita la mia giornata lavorativa, decisi di andare nell’ufficio del capo e chiedergli di potermi dare alcuni giorni di riposo e di acconsentire ad un permesso per lavorare da casa per un periodo.
Avevo deciso di passare un paio con la mia famiglia ed i restanti sola con me stessa.


Scrissi un breve messaggio a Jonathan e lo pregai di avvertire anche Dick, Alfred e il signor Wayne e che non sarei stata reperibile per nessuno, tranne che per chiamate ed e-mail lavorative.

Chiamai anche il dottor Stabler, con cui feci un brevissimo incontro in cui spiegai i miei stati d’animo da quando avevo scelto il mio percorso di studi. Gli raccontai di come mi ero buttata a capofitto nello studio, su mille progetti e di come ero riuscita a creare un legame d’amicizia e stima con tutti i ragazzi del centro.
Gli raccontai di come mi sentissi un’ancora di salvezza per loro, facendomi sentire appagata, e di come loro lo erano stati per me. Gli raccontai di quando l’idea della morte mi aveva sfiorata, ma che per fortuna era solo un pensiero passeggiero di chi aveva ricevuto una cantonata in un’età piuttosto delicata. Gli confidai, inoltre, che dopo quell’episodio, l’idea della morte mi era totalmente indifferente.
Lo resi partecipe delle decisioni prese poche ore prima ed espresse tutta la sua preoccupazione, pensando stessi vivendo una sorta di ricaduta. Effettivamente i miei gesti potevano essere fraintesi, avendo pianificato tutto nei minimi dettagli, dal saluto ai miei amici, al voler trascorrere del tempo in famiglia di mia spontanea volontà, fino a volermi isolare per aver modo di riflettere sulla mia vita.
Lo tranquillizzai.
Non volevo farla finita, assolutamente, volevo solo prendermi del tempo per lavorare su me stessa, concedermene altro per affrontare ciò che avevo rimandato per anni. Prima o poi, questo momento sarebbe arrivato e lo sapevamo tutti.  


Dopo aver trascorso due giorni piacevoli con i miei genitori, organizzai una bellissima gita con mio fratello al museo di storia di Gotham: ogni volta che entrava in quel posto, era felice. Il reparto che preferiva era quello sulle armi, che ripercorreva l’evoluzione dell’uomo e di queste dalla preistoria ai tempi moderni.
Lasciai che il mio sguardo percorresse ogni millimetro di quel posto, beandomi di quel profumo inebriante delle teche di legno e lo sguardo felice di una delle persone più importanti della mia vita.
Mi soffermai distrattamente su una vetrina con all’interno armi provenienti dal sud est asiatico: c’era un pugnale simile a quello di Jason; forse le conoscenze di mio fratello mi sarebbero state utili.
“Matt, cos’è quello? Mi ricorda il corno di un unicorno!”, sorrisi vedendolo tornare verso di me.
“Quello è un pugnale indonesiano… è un pezzo molto interessante, c’è tutta una teoria che riguarda l’anima, ma non sono molto informato. Posso solo dirti che le onde che vedi dovevano essere sempre dispari e in base al numero si può dedurre a quale casta appartenesse chi la possedeva. Più si era importanti, più erano lavorate e impreziositi da materiali provenienti da terre oltre oceano. Ad oggi, il numero di onde punta solo ad infliggere quanti più danni.”
“Wow, bello… molto interessante.”
Dopo averlo riaccompagnato a casa, tornai a Gotham: era giunto il momento, per me, di affrontare i miei demoni: dovevo scegliere se combatterli o imparare da loro.
Avevo detto al signor Pennyworth che avrei preferito mantenere un bel ricordo di Jason, ma non sarei stata in grado di farlo sapendo ciò che aveva in mente e di vivere serenamente; mi sarei sentita sporca di sangue e sarei stata colpevole, anzi complice, di un delitto che forse avrei potuto evitare.
Per poter fermare lui e la sua vendetta, avrei dovuto pensare come lui e soprattutto comportarmi come lui e cercare l’unica persona, che non fosse Batman o Nightwing, in grado di aiutarmi e se questo avrebbe significato avere una probabilità del novantanove percento di morire, beh ci avrei provato ugualmente.

Gli obbiettivi di Jason erano umiliare Batman, portargli via il nuovo Robin e Gotham, e uccidere Joker. Poco male per una mente come la sua, avrebbe potuto pensare cose peggiori.

Black Mask era solo un escamotage per togliere la città al suo vigilante e dimostrargli di essere migliore di lui: era riuscito ad abbassare il tasso di criminalità, ma il punto marcio della situazione erano i suoi modi. Erano troppo… troppo, punto.
Il povero Tim Drake aveva già subito abbastanza, non era riuscito ad ucciderlo, ma ci era andato vicino.
L’unico tassello mancante era il suo assassino.


Escludendo a priori l’idea di andare direttamente dal Clown, ci sarei potuta arrivare tramite qualcuno che gli era vicino o quasi. L’unica soluzione era cercare Harley Quinn. 
  
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