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Autore: Dalybook04    04/05/2020    1 recensioni
Napoli, 1712
Antonio Fernandez Carriedo aveva scoperto con non poca sorpresa quanto si potesse comunicare attraverso un pomodoro.
***
-bastardo?
-dimmi Lovi
-ho fatto davvero bene a lanciarti quel pomodoro.
-già- lo baciò -hai fatto davvero bene
***
Gli piaceva pensare fossero un regalo da parte sua, come se ogni pomodoro che cresceva gli volesse ricordare quanto lo avesse e avrebbe amato, e quanto lo amasse ancora.
***
-ve, mi dispiace fratellone. Stai tranquillo, l'amore troverà un modo
-non darmi false speranze, Feliciano. Per favore.
***
-a quanto pare abbiamo entrambi il cuore spezzato, eh?
***
_principalmente Spamano e Gerita, con accenni molto lievi alla PruAus_
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del diciottesimo secolo e altre storie'
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Da quel giorno, o per meglio dire da quella notte, entrambi si buttarono a capofitto nel lavoro. Lovino riuscì a trovare un lavoretto come garzone in un panificio; il panettiere era un ribelle come lui, la sera si riunivano insieme ad altri per organizzare una rivolta. Antonio si concentrò solo sul lavoro, ma nei giorni liberi si dedicava al giardino, faceva crescere i pomodori che Lovino aveva piantato. Gli piaceva considerarli un regalo da parte sua, un regalo d'addio, come se con ogni pomodoro gli ricordasse come tutto era cominciato, come se con ogni pomodoro che cresceva gli ricordasse quanto lo avesse e avrebbe amato e quanto lo amasse ancora, come se ogni pomodoro gli dicesse "ti amo" come l'italiano non avrebbe più fatto. Feliciano era triste, ma aveva ancora Ludwig con sé per consolarsi. Il tedesco era l'unico motivo per cui non era scappato dal fratello alla prima occasione. Quando riusciva, cercava di consolare il fratellone Antonio, che però era distante, freddo, e si chiudeva in sé stesso ancora di più non appena sentiva nominare Lovino, per poi barricarsi nella sua stanza alla prima occasione e piangere stringendo la vecchia coperta dell'italiano tra le braccia.
Passarono alcuni mesi, arrivò la primavera e insieme ad essa le notizie della fine della guerra di successione, che fecero tirare un sospiro di sollievo a Lovino; temeva che, se la situazione fosse peggiorata, avrebbero mandato Antonio al fronte, ma a quanto pare era stato firmato un trattato di pace. Di che tipo, Lovino ancora non poteva saperlo e neanche gli interessava.
Fecero scoppiare una rivolta a fine marzo. Attaccarono alcuni soldati di passaggio, fu un pescatore a cominciare tutto, urlando "Viva 'o Re 'e Spagna, mora 'o malgoverno", le parole che, voleva la leggenda, aveva urlato Masaniello, oltre cinquant'anni prima. E così cominciò la rivolta: attaccarono ogni guardia incontrassero, urlavano, devastavano ogni cosa sul loro cammino e incitavano gli altri a unirsi a loro, diretti al palazzo di governo.
Quando ormai mancavano pochi metri, Lovino sentì un brivido e si volto. Vide Antonio, fermo immobile a fissarlo, la spada in mano, mentre le sue truppe lo superavano e intervenivano contro la folla. Sembrava furioso, e anche tanto, tanto triste.
Lovino corse da lui, senza neanche pensarci, e si rifugiarono in un vicolo deserto.
-mi spieghi che stai facendo?- gli ringhiò lo spagnolo, incenerendolo con lo sguardo. Lovino ricambiò l'occhiataccia.
-una rivolta. Mi era sembrato di essere stato chiaro in merito.
-sì ma...- Antonio si morse il labbro, improvvisamente insicuro -pensavo scherzassi- lo sussurrò appena -non sulla questione dell'Italia libera e tutto il resto ma... sulle rivolte, quella storia di morire...- gli venne un brivido solo a pensarci e scosse la testa con forza; era adorabile, tutta la rabbia scomparsa per lasciare spazio ai dubbi e ad un'impacciata incertezza che non gli apparteneva -non voglio che tu ti metta in pericolo. Ti prego- gli posò una mano guantata sul viso e ad entrambi vennero i brividi -non metterti in pericolo. Litiga, protesta, odiami anche se vuoi, ma stai lontano dal pericolo. Non posso saperti a rischio. Ti ho lasciato andare, ora fai tu un favore a me e rimani al sicuro.
Lovino si morse il labbro, ma alla fine si mise nei panni dell'altro e, capendo la sua ansia, annuì.
-grazie- lo abbracciò. Senza pensarci, senza neanche accorgersene, semplicemente lo fece: gli veniva naturale e dopo tanto tempo quel contatto fu come un goccio d'acqua dopo settimane nel deserto.
-Lovi...
-anche tu mi sei mancato- l'italiano sollevò il viso dal suo petto e finalmente si baciarono di nuovo e lì, per qualche attimo, non furono più né il generale Carriedo né uno dei ribelli, né uno spagnolo né un italiano, né Antonio né Lovino: solo due innamorati, due amanti che si stringevano e si baciavano.
Poi, quel momento di pace finì, interrotto da una voce che Antonio conosceva, la voce del governatore del Regno di Napoli, che urlava alla folla dal palazzo di governo, talmente forte che lo sentirono anche loro e uscirono allo scoperto per sentire meglio.
-cittadini, ascoltate! La guerra è finita! La pace è stata fatta! E con il trattato di Utrecht, questo territorio cesserà definitivamente di essere spagnolo e passerà al Sacro Romano Impero. Entro una settimana, tutti gli ufficiali e i governatori spagnoli se ne andranno, sostituiti da quelli del nuovo governo...
Esplosero urla, proteste, insulti; vennero lanciati oggetti e l'esercito dovette sedare la rivolta, come sempre.
-Antonio...- fu a mala pena un sussurro, ma lo spagnolo si voltò verso di lui comunque, tenendogli la mano. Annuì tristemente, stringendolo e lasciandogli un bacio sulla fronte.
Poi la folla li investì in pieno, separandoli.

Feliciano era triste. Anzi, più che triste, era proprio tristissimo.
Prima suo fratello se n'era andato, ora anche Ludwig, per una serie di circostanze a cui Gilbert non aveva potuto sottrarsi. La sera prima aveva spiegato tutto al fratellino e aveva asciugato le sue lacrime come meglio aveva potuto, ma ora per il piccolo tedesco arrivava la parte più difficile: dirlo a Feliciano, che per tutto il giorno gli era rimasto appiccicato come una cozza.
-veeeeeee, Luddi, non voglio che tu vada via!- singhiozzò, con il visino sepolto nel suo collo.
-neanche io lo vorrei, Feliciano- Gilbert si allontanò, con la scusa di sistemare gli ultimi bagagli, lasciandoli soli -Feliciano, vedi, noi non... non potremo neanche scriverci.
-ve, cosa?! Perché?!
-i miei... i miei genitori hanno deciso di mandarmi in un collegio militare, lì sarà vietato ricevere posta, se non dai propri genitori, solo per occasioni di enorme importanza.
-cosa?!
-mi... mi dispiace, Feliciano- Ludwig abbassò la testa, trattenendo a stento le lacrime. Feliciano rimase in silenzio per un po', pensando.
-ve, aspettami qui, ho la soluzione!- e corse via, lasciando lì Ludwig, confuso. Tornò dopo pochi minuti con una collanina d'oro tra le manine, che diede al biondo con un sorriso.
-ecco, ve, questo me la diede la mia mamma, affinché vegliasse su di me- guardandola meglio, Ludwig vide che era un piccolo crocifisso -si prenderà cura di te e ti riporterà qui da me.
-ma... non posso accettare una cosa del genere! Era della tua mamma!
-ve, non importa. Io ho già il mio fratellone come angelo custode, tu invece lì sarai tutto solo. Questa ti terrà compagnia e ti ricorderà di me. Potrai restituirmela quando sarai uscito.
A Ludwig vennero le lacrime agli occhi. Sorrise.
-grazie, Feliciano- lentamente si avvicinò, fino a dare un bacino sulla bocca di Feliciano, per lasciargli un ultimo ricordo dolce di sé. Fu un bacio tenero, innocente, il bacio di due bambini che si volevano semplicemente salutare e che si volevano tanto tanto bene, forse anche qualcosina in più -ci rivedremo, te lo giuro, ti riporterò la tua collana.
-sì, ve... ciao ciao, Luddi- mormorò Feliciano, intontito da quel bacio così dolce e impacciato, osservando la carrozza partire.
Rimase lì, davanti all'ingresso, sentendo ancora il calore della bocca di Ludwig contro la sua, finché suo fratello non tornò di corsa, abbracciandolo di slancio.
-Feli! Mi sei mancato tantissimo!
-ve, anche tu fratellone...
-che ti è successo? Sembri stordito.
-io...
-fa niente, me lo racconterai dopo- lo interruppe Lovino, entrando in casa -Antonio è già tornato?
-no fratel...- Lovino si fermò a metà dell'atrio e si voltò, ed eccolo lì: Antonio, fermo sulla porta di ingresso.
I due amanti si corsero incontro, abbracciandosi di slancio, e Feliciano, capendo di doverli lasciare soli, si rifugiò nella vecchia camera dell'amico, triste. Una volta entrato, trovò sulla scrivania un libro sull'arte dell'Antica Roma e un piccolo modellino del cavallo di Troia. Sopra, un bigliettino, scritto in una calligrafia elegante che ben conosceva, che lo indirizzava a lui, con tanto tanto affetto. Cadde a terra in lacrime, stringendo quei doni tra le manine e piangendo al suo amore perduto.

Lovino si strinse al suo ragazzo, gli seppellì le mani nei capelli, nascose il viso sulla sua spalla e solo lì si concesse di far scivolare una lacrima sulla guancia. Non aveva dimenticato il suo orgoglio, non aveva dimenticato niente, ma ora la prorità era Antonio. Antonio, che entro una settimana sarebbe ripartito, forse per sempre. Si strinse di più a lui.
Da quel momento, passò una settimana in cui i due non si separarono neanche un secondo. Dormivano abbracciati, si svegliavano insieme, a ogni occasione si appartavano per stare tra loro e stringersi, ora che potevano. Il pomeriggio lo passavano nascosti nel boschetto dietro la casa, dove gli alberi erano rinati e avevano messo i fiori, i preparativi per il viaggio affidati a una delle cameriere più esperte.
Ma il tempo passava, ogni giorno svegliarsi era più difficile, finché non arrivò l'ultimo, quello prima della partenza.
E Lovino si svegliò felice. O meglio, non felice, ma rilassato; voleva che l'ultimo giorno fosse un bel ricordo, e non una serie interminabile di abbracci e lacrime. Abbracci ce ne sarebbero stati di certo, quanto alle lacrime, avrebbero avuto tutto il tempo dopo. Antonio si svegliò per un bacio.
Per tutto il giorno non si allontanarono un attimo, nascosti agli occhi del mondo, finché non arrivò la sera e Lovino si sedette accanto a lui per la cena.
Dopo, lo prese per mano e lo portò nella sua camera, baciandolo non appena si fu chiusa la porta.
-voglio farlo- gli sussurrò sulle labbra, stringendosi a lui.
-sicuro?- Lovino annuì.
Finirono sul letto, uno sopra l'altro, abbracciati, e si baciarono ancora e ancora e ancora; baci sempre più profondi, sempre più bagnati, sempre più spinti. Antonio lo riempì di baci, morsi, segni; amava baciare quella pelle morbida, amava marcarla, amava baciarlo e sentire il suo sapore sulla bocca e sulla lingua. Lovino si faceva di creta tra le sue mani, reagiva a ogni stimolo, scoprendo per la prima volta quel piacere così nuovo, così meraviglioso, così speciale, con una persona altrettanto meravigliosa e speciale. Andava senza pensare, lo spagnolo, faceva ciò che l'istinto, e forse qualcosa in più, gli suggeriva di fare e Lovino sembrava decisamente apprezzare. In breve i vestiti sparirono e si immersero finalmente l'uno nell'altro, si fidarono l'uno dell'altro, divennero come uno solo, vittime di un piacere troppo forte per poter essere controllato, e si amarono, tanto, tanto che in fondo Lovino non sentì quasi il dolore iniziale, troppo perso in quegli occhi quasi neri così pieni di lui. Lo strinse, forte; voleva sentire ogni centimetro del suo corpo combaciare con la pelle nuda dell'altro, voleva... lo voleva, voleva sentirlo, voleva che quella notte durasse per sempre. E durò una piccola eternità, in un un crescendo di piacere e lussuria, finché non sfiorarono insieme il Paradiso; per poi ricadere sulla terra, esausti.

Lovino quella mattina non si voleva proprio alzare. Era sveglio, ma si rifiutava di aprire gli occhi e lasciarlo andare.
-Lovi...- sentì una carezza tra i capelli -devo andare.
-no- mugugnò qualcosa, stringendolo. Sentì una piccola risata.
-lo sai che devo- gli lasciò un bacio sulla fronte -vorrei restare qui, lo sai benissimo, ma non posso.
Con un sospiro, Lovino aprì gli occhi
-ciao.
-ciao...- si baciarono, con dolcezza -ti scriverò. Tutti i giorni. Dammi un indirizzo e ti inonderò di così tante lettere che sarà come avermi lì.
-lo sai che non sarà lo stesso.
-ti verrò a trovare. Il prima possibile. Un giorno potresti persino venire tu da me, in Spagna. Sarebbe bellissimo!
A quel sorriso solare, anche Lovino se ne concesse uno, più piccolo e contenuto.
-c'è il panificio dove lavoro. Il panettiere mi adora, per ora dormo al piano di sopra.
-sai l'indirizzo?
L'italiano glielo disse, l'altro se lo scrisse su un diario che teneva sul comodino.
-ti scriverò, tu sai scrivere?
Lovino scosse la testa -so leggere però. Posso provare, o chiedere a Feli. Pare che il crucco glielo abbia insegnato- fece una smorfia ripensando al tedesco e l'altro rise al suo broncio.
-va bene, ce la faremo. Tornerò appena possibile, giuro- gli baciò il dorso della mano, poi baciò lui direttamente.
-vedi di farlo, bastardo, o verrò a prenderti io in Spagna a calci.
Antonio sorrise -non ho dubbi- si alzò a malavoglia e si vestì, mentre Lovino lo guardava in silenzio.
-ti fa male da qualche parte?- Lovino scosse la testa e cercò di alzarsi, ma una fitta lo costrinse a tornare sdraiato. Antonio rise intenerito e imbarazzato -scusami, Lovinito- quello fece un gesto di non curanza con la mano. Per una notte spettacolare come quella appena trascorsa, avrebbe sopportato un po' di dolore.
Una volta vestito, Antonio lo raggiunse e si chinò a baciarlo, stringendolo, aggrappandosi a lui come ad un'ancora. Si allontanò, gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte e sorrise; o, almeno, si sforzò di farlo.
-ti amo- gli disse, lo sussurrò, voleva che fossero le ultime parole che gli avrebbe detto.
-anch'io, bastardo. Vedi di tornare presto.
Se ne andò. Ad ogni passo che si allontanava da quel letto sentiva un dolore sordo scuotergli il petto ed espandersi a tutto il corpo, tanto che, quando arrivò davanti alla carrozza, si sentiva come se gli avessero strappato il cuore in due. Cercò di farsi forza, dicendosi che sarebbe tornato presto da lui, in estate magari, o al più tra un anno. Quello che non sapeva, che non poteva sapere, era che nella sua cabina sulla nave lo aspettava già una lettera di chiamata nelle Americhe latine, dove non era indicato il termine, né se era previsto che ci fosse.
Nel frattempo, Lovino si era alzato, si era vestito e si era affacciato alla finestra, a guardare il suo spagnolo salire sulla carrozza che lo avrebbe portato via da lui. Lo vide uscire e, sentendo i suoi occhi su di lui, Antonio si voltò e sollevò lo sguardo. Gli sorrise incontrando i suoi occhi, sollevò la mano come saluto e mimò un "ti amo" con le labbra.
Poi si voltò e salì sulla carrozza.
Fu solo quando il mezzo fu uscito dai cancelli e fu sparito dalla sua vista che Lovino si concesse di piangere.

Dopo un po' nella camera entrò Feliciano, che trovò il fratello ancora davanti alla finestra, a guardare nel vuoto.
-è partito- disse solo e si asciugò il viso.
-ve, mi dispiace fratellone- lo abbracciò per consolarlo, lo strinse per trasmettergli un po' di conforto, o almeno sperò di riuscirci -stai tranquillo, ve, l'amore trova sempre un modo...
-non darmi speranza, Feli. Per favore- gli tremava la voce. Feliciano si costrinse a tacere.
Quel giorno fu Feliciano a comportarsi da fratello maggiore, consolando l'altro come meglio potesse fare, mentre piangeva.
-il... il piccolo crucco se n'è andato?- dopo un po' cambiò argomento, come faceva sempre quando non voleva parlare di qualcosa.
-sì, ve...- Feliciano sentì gli occhi inumidirsi e, notandolo, Lovino lo strinse accarezzandogli i capelli.
-a quanto pare abbiamo entrambi il cuore spezzato, eh?
-vee, come fai a sapere che...- Lovino alzò le spalle.
-intuito? Istinto da fratello maggiore? Che ne so, ma ti conosco troppo bene, non potevo non notare come lo guardavi- si alzò da terra e porse la mano a Feliciano, che gliela strinse -andiamo, ti faccio vedere dove lavoro.

Alla fine Feliciano non aveva tutti i torti, ma lo scoprì solo anni dopo, quando ormai era un pittore di strada di diciannove anni e un giorno un ragazzo alto, muscoloso, pallido, un po' spaventoso e biondo si fermò a guardare il dipinto di un bambino altrettanto biondo, che stringeva un libro tra le mani e lo leggeva con gli occhi luminosi, con una piccola croce d'oro al collo, identica a quella che portava il ragazzo nella vita vera.
Questa però è un'altra storia, una storia di conseguenze bruciate e dipinti di strada, una storia che avremo presto il piacere di scoprire insieme.

Angolo autrice:
Ebbene sì, questa è la conclusione
E sì, come avrete intuito ci sarà un sequel. Comincerò a pubblicarlo da lunedì prossimo, ogni lunedì. Non vi preoccupate, non sarò troppo cattiva ;)
Temo di dover fare alcune precisazioni storiche. Putroppo non ho trovato granché sugli stili di vita nel 1700, per cui se ci fossero delle imprecisazioni storiche mi scuso. Per quanto riguarda le rivolte, anche lì non ho trovato granché, se non giusto il fatto che ce ne fossero diverse, la più nota cominciata da un pescatore. Sul trattato di Utrecht  anche lì ho trovato poco riguardo il come e quando fosse stato comunicato ai cittadini, ammetto di aver un po' inventato. Dopo la guerra di successione alla Spagna rimasero i territori in America, per cui ho immaginato che ci mandassero il nostro povero Antonio. Anche lì, non ho trovato niente riguardo ai mezzi di comunicazione, ma mi sono permessa di immaginare fossero semplicemente più lenti dei nostri.
Sono un po' emozionata, questa è la prima long che concludo qui su EFP. Vi ringrazio di avermi seguita fino a qui, mi scuso per il finale improvviso (la divisione in capitoli è venuta dopo la stesura dell'intera storia, per questo da un capitolo all'altro viene stravolto tutto) e vi lascio andare, questo angolo autrice è fin troppo lungo.

A lunedì prossimo con il primo capitolo di "Conseguenze bruciate e dipinti di strada", una storia che sarà più incentrata sulla Gerita (la Spamano non mancherà, non preoccupatevi ;))
Un bacio
Daly
   
 
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