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Autore: _Woodhouse_    05/05/2020    2 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 24.


I'm tired of living in the shadows.
These paper walls I can't break through.
I'm sick of standing by your window,
Tracing silhouettes of you.


Silhouettes of you, Isaac Gracie
https://www.youtube.com/watch?v=M-DOZ4XsMq0 
(da ascoltare)

 

Gli era capitato, nella vita, di non sapere dove andare, di non sapere cosa fare, perché farlo e se farlo. Gli era capitato di amare, farsi male, di volare, di precipitare. Insomma, gli erano capitate molte cose comuni che ad un certo punto aveva imparato a comprendere e a superare. Quello che gli stava capitando di fronte alla propria scrivania, quel giorno, invece aveva un sapore del tutto sconosciuto. Non c’erano precedenti, non esisteva niente di simile a quella sensazione di disorientamento e inquietudine che aveva preso a pungolarlo nei momenti più disparati. Un presagio, una spilla nel petto. Lo abitava da giorni l’eco di un ricordo che non si riesce a pescare. Robb non riusciva a concentrarsi sul lavoro, come molte volte gli era capitato nella vita. Eppure, la sensazione che lo trascinava via dai suoi obblighi non aveva contorni, né nome. Non riusciva a risolversi, a capire come raggiungere il nodo da cui tutto aveva origine, quale fosse la dimenticanza che lo attanagliava. C’era, però, qualcosa che conosceva con precisione: il momento esatto in cui era cominciato tutto. Un momento preciso, durante la mostra, un momento brevissimo che aveva soltanto pensato di catturare.
C’erano James e Josephine, le colonne della sua vita, pianeti lontanissimi l’uno dall’altro, improvvisamente vicini, ma distanti da lui, irraggiungibili. E poi c’era qualcos’altro, qualcosa che non comprendeva, ma che credeva di aver visto, come una specie di macchia lavata via da un battito di ciglia. E infine c’era questa puntura, questo spillo che di tanto in tanto gli pizzicava la pelle e gli chiedeva: Cos’era? Quella macchia, Robb, cos’era?

Un uomo meno buono, uno meno leale forse, un uomo meno innamorato dell’idea di James e Jo, avrebbe capito, probabilmente, che la macchia sparita via era qualcosa che lui, guardando la fidanzata negli occhi, non avrebbe visto in mille anni. Un uomo meno idealista, uno meno viziato anche, meno ossessivamente fiducioso, avrebbe potuto persino disegnarla la fune attorno a quelle sue colonne, ogni giorno un centimetro più vicine, pronte alla collisione.
Un giorno, forse, sarebbe diventato quell’uomo – o forse mai.

 

***


Erano scuri, i suoi occhi. Erano cavernosi, cerchiati, bui. Non avevano nulla dell’ambra, della sicurezza di quelli di Frances, anzi, Matilde. Era più piccola, più bassa, più insignificante di lei e non c’era niente, niente che avessero in comune: ne era certa.
Matilde. Lei non sarebbe mai stata quel genere di donna, la donna per cui un uomo come James sottolinea versi malinconici e nostalgici e questa era una consapevolezza che le strozzava la gola. Eppure c’era qualcosa che non tornava, c’erano quelle pagine, che gridavano il nome di un altra, tra le sue mani. Ma cosa poteva contare, in fondo? James, quella notte di mesi prima, era stato mortalmente chiaro. Lei era stata ambigua con lui e lui aveva voluto scoprire fino a che punto, intrappolandola con enigmi e trucchetti. Quello che aveva creduto li legasse, oltre il veleno e le schermaglie verbali, era una costruzione. Un derivato, un dagherrotipo, una proiezione della sua mente rotta. Rotta al punto, adesso lo sapeva – e faceva male, di partorire una passione insensata e sbagliata per un uomo che, dopotutto, si era rivelato migliore di lei. James agiva – seppur a modo suo – per amore. E aveva ragione quando diceva di averla capita con un solo sguardo, aveva ragione quando diceva che lei era buona solo a mentire, a disseminare caos; aveva ragione a non fidarsi di lei, a trovarla ripugnante, fastidiosa, bugiarda, bugiarda e strega. In fondo, aveva davvero ragione su tutto e la fata, quella di Robb, non l’avrebbe vista mai, semplicemente perché non era mai esistita.

 

***

 

Quella notte aveva fatto l’amore con Claire, a quel modo sfrontato e sbrigativo che era tipico dei loro congressi. Lei gli dormiva accanto, avvolta dalle lenzuola seriche e scure, i capelli rossi sparpagliati sul cuscino come lingue di fuoco. Era molto bella e sensuale, dolce anche. Ma non era sufficiente. Avrebbe voluto provare per lei un trasporto violento, esclusivo, ma era un’aspirazione terribilmente chimerica. Non sentiva il bisogno di lei e gli interessava raramente cosa avesse da dire. Non gli interessava molto neanche cosa aveva da dirgli Polly, che forse – forse  s’era rassegnata ai suoi prolungati silenzi. Aveva tra le lenzuola una donna appassionata e comprensiva, che lo raggiungeva persino a Londra nel cuore della notte pur di passare del tempo con lui, quello che lui le riservava. Aveva accanto una donna probabilmente innamorata che non gli bastava e che non gli sarebbe bastata mai. Avrebbe potuto allungare un braccio e sfiorarle la schiena, godersi la sua pelle sotto le dita, ma toccarla ancora, dopo l’amore, sarebbe stata una bugia. La sua vita era una bugia, le cose in cui aveva sempre creduto nient’altro che menzogne. Questo pensiero spingeva dentro di lui con assillo e violenza; lo feriva, lo piegava. Infine, quel braccio lo allungò. Sfiorò la schiena di Claire, un movimento leggero, il solletico di una piuma che comunque la svegliò. Si voltò a guardarlo, gli occhi stretti, il viso rilassato, un sorriso beato sulle labbra. Gli si fece vicina, gli accarezzò il viso severo, le spalle, il petto. Gli si strinse contro con forza, come se lui potesse sfuggirle da un momento all’altro. Poi gli baciò la gola, piano, con dolcezza e lui le sorrise.

– Non dormi? – gli domandò.

– No, ma tu continua. Non volevo svegliarti, – mormorò James sui suoi capelli, il volto contratto, nel petto una specie di veleno.
– A che pensi? – gli chiese, apprensiva, soffiandogli sulle spalle.
– A nulla, davvero. Solo un po’ di insonnia.
– Sai cosa diceva una mia vecchia professoressa, al liceo? – fece lei, ad un certo punto, la voce fievole, mutata.

Lui rimase in attesa.

– Amava parlare di filosofia e mitologia e di sesso. E una volta disse una frase a cui penso spesso ogni volta che esco con un uomo. E’ lì che capisco se è il caso di continuare.
– Che diceva? – fece lui, adesso curioso.

– Se dopo un amplesso ci si addormenta irrimediabilmente, allora si è fatto l’amore, altrimenti è stata una scopata.
– Uhm.

James trovò ridicola quella considerazione, sbagliata e soprattutto insensata, ma non obiettò, non gli interessava.

– Tu non ti sei addormentato, quindi…
– E’ stata solo una scopata, giusto?
– Per te sì, probabilmente.
– E questo lo sai perché te lo ha detto una vecchia al liceo?
Claire rise e lo strinse più forte.
– Non essere maleducato, era una professoressa che amavo moltissimo.
Lo baciò e poi aggiunse: – Vado a fare una doccia.

James la vide sollevarsi, trascinarsi giù dal letto, nuda e disinvolta. Sospirò e chiuse gli occhi, deciso ad addormentarsi, ma la voce di lei lo raggiunse di nuovo.
– Non ti chiederò se hai un’altra, perché potrei farmi male, – scherzò, mal celando una punta di delusione nella voce, – ma posso usarlo?

Quando si voltò verso di lei ci mise qualche secondo a scorgere il cassetto del comodino aperto e il nastro color malva tra le sue mani. Una sensazione violenta lo scosse e a lei, dolce e perfetta, disse:

– No.

Il tono che gli aveva distorto la voce era stato brusco, esagerato, ingiustificato. Una stilettata incomprensibile e bassa che lei ricevette con un tuffo al cuore. Claire ripose il nastro nel cassetto, si vestì in fretta, mise tutto in borsa senza cerimonie e poi gli disse soltanto:

– Faccio la doccia a casa mia, non preoccuparti.

Lui l’aveva osservata senza aprire bocca, mortificato, i capelli torturati dalle mani. Poi aspettò che lei si chiudesse la porta alle spalle e mormorò: Scusa. E avrebbe potuto anche aggiungere: No, non ho un’altra. Ma c’è, un’altra c’è.

Ma non aveva la forza nemmeno di pensarlo, figuriamoci lasciarselo sfuggire dalle labbra.

 

***


Alla fine una cosa giusta l’aveva fatta. Aveva restituito al mittente quel libello scottante, spinoso, senza ormai davvero più nessun significato che la riguardasse. Si lasciò alle spalle l’enorme portone di legno con una specie di fierezza irragionevole. Avrebbe tanto voluto vedere la sua faccia una volta che avesse scoperto che, alla fine, lei non era come aveva creduto e che quelle poesie poteva lasciarsele indietro. Si disse che quella follia fondata su non detti e supposizioni e deduzioni era giunta al capolinea. Era questo che la rendeva fiera, ed era quella fierezza a renderla, come sempre, cieca.

Qualche ora dopo, James raccoglieva dalle mani del portiere un pacchetto dai contorni nitidi e familiari, ma senza mittente né firma. Immediatamente gli fu chiaro cosa contenesse e da chi gli fosse stato recapitato, ma questo non servì ad impedirgli di strappare la busta gialla con urgenza e di lasciarne cadere i brandelli per le scale. Glielo aveva restituito, proprio come si era aspettato mesi prima, solo prima di comprendere che lei, forse, non desiderava farlo per motivi che al tempo gli avevano iniettato inaspettate scariche di adrenalina e soddisfazione. Ma alla fine, dopotutto, eccolo lì. James infilò la chiave nella serratura e si bloccò, emise un sospiro lento e profondo e ricacciò la chiave in tasca. Dopo qualche istante, lo stesso portone di legno scuro che Josephine si era lasciata alle spalle con orgoglio, vide allontanarsi James e quel senso di colpa che gli contraeva duramente il volto.
Ma tutta la colpa del mondo non bastava a fermare i suoi piedi sull’acceleratore, né a spegnere quel bisogno di sapere, di capire, di. Com’era finito in quella situazione, vittima del suo stesso gioco? Com’era possibile che fosse lei, d’un colpo, a manovrarlo, a manipolare le sue scelte? Lei col suo sguardo duro e perso. Il colletto della camicia gli premeva sulla gola: la liberò. Si accese una sigaretta e lasciò che il fumo riempisse l’abitacolo fino a stordirlo. Il sole stava calando, lasciando posto a un cielo grigio di nuvole dense e il telefono, abbandonato sul sedile accanto, prese a squillare. Quando sullo schermo apparì il nome di Robb, James si sentì improvvisamente svuotato dell’aria. Lasciò che il nome del fratello lampeggiasse sullo schermo fino a scomparire; ad ogni squillo James rallentava e quando il cellulare si fece muto, sterzò bruscamente a destra.

Quando Polly se lo vide comparire di fronte, stretto in una camicia grigia e con lo sguardo reso più intenso da un velo scuro di stanchezza, esplose in un sorriso imbarazzato. Non si aspettava di trovarselo lì e, a dirla tutta, da qualche tempo si era convinta di doverci mettere una pietra sopra.
Per questo rimase bloccata sulla porta, a disagio.
– Non mi hai più scritto, – gli disse.
– Però adesso sono qui, – le fece notare.
Lei si sforzò di non sorridere e di guardarlo con severità.
– Sei qui per me?
James ignorò la risposta involontaria che gli era affiorata in mente e sorrise con quanta più convinzione possibile.
– Sei Polly, giusto?
Le sorrise con malcelato compiacimento e lei, pur risentita, non riuscì a trattenersi dal ricambiare.
– Non so se ce l’ho ancora con te, – gli confessò, ironica.
– Intendi tenermi sulla porta finché non avrai un verdetto?
– Può darsi.
Lui si mise le mani in tasca e sospirò, le labbra piegate da un sorriso sardonico.
Un sorriso che durò il tempo di un battito di ciglia e che si spense nell’istante in cui la voce di Jo, profonda e sottile, lo raggiunse come uno schiaffo.

– In fretta, però. Si gela.

Polly, colta di sorpresa, lasciò andare la maniglia della porta, che si scostò fino ad offrire a James l’immagine di Jo con la testa china sul lavandino, intenta a lavare una mela. Non li guardava e si muoveva come se quella scena sulla soglia dell’appartamento le fosse familiare. Aveva i capelli serrati in una crocchia disordinata, un maglione ampio che le sfiorava le cosce ma le scopriva le spalle. James fu disorientato e colpito da come un’immagine così semplice potesse sembrargli tanto potente, surreale. Polly, un po’ in imbarazzo, annuì e gli fece cenno d’entrare e nella piccola cucina l’aria si fece satura. Josephine asciugò la mela con un foglio di carta assorbente e finalmente lo guardò, ma sul suo viso non c’era alcuna emozione o, almeno, nessuna che lui fosse in grado di decifrare. Gli si avvicinò con noncuranza, come se averlo lì rientrasse tra gli eventi dell’ordinario, gli sorrise semplicemente e gli posò una mano sul braccio, con una naturalezza e una familiarità tali da destabilizzarlo.
– Tutto bene? – gli chiese, la mela che passava da un palmo all’altro.
Lui la scrutò un istante brevissimo.
– Come sempre, – deglutì, stranito. – Tu?
– Adesso che avete chiuso la porta, molto meglio, grazie.
Lui le sorrise malevolo, di nuovo padrone di sé.
– Già così provata dai reumatismi?
Josephine, che si stava dirigendo in camera sua, si bloccò e una specie di disperazione improvvisa l’assalì. Avere James tra quelle mura, dopo averlo sentito flirtare con Polly, le aveva spezzato il fiato, ma aveva creduto di avere la forza necessaria per recitare ineccepibilmente il suo copione prima di correre in camera propria; ma il tempo si era dilatato e quei brevi istanti le gravavano sul petto come secoli. Fu per questo che non si voltò né ribatté, ma fece una risatina e si chiuse la porta alle spalle. Non era sicura che avrebbe potuto sopportare un attimo di più in quella cucina e, in verità, non aveva neppure la certezza di riuscire a ritrovare il respiro finché non avesse saputo James lontano da lì. Cos’era venuto a fare? Era davvero lì per Polly? Erano davvero a questo punto? Non era sicura di nulla e temeva – sperando – che quella visita avesse un qualche nesso con la restituzione del libro. Il punto è che non poteva sapere, né chiedere se lui fosse già a conoscenza dell’accaduto e questo dubbio la rendeva irrequieta. Certo, per quanto le era dato sapere, lui era lì per Polly, con la quale aveva dunque continuato a mantenere i contatti. Questo, però, non la sorprese: in cuor suo aveva sempre avuto la netta sensazione che Polly, pur evitando di parlarle della questione, si comportasse in realtà come se fosse sempre sul punto di rivelargliene i dettagli. Jo si allontanò dalla porta per non cedere alla tentazione di origliare, poi si abbandonò sul letto, la luce spenta, il respiro profondo che colmava la stanza. Lasciò che la mela scivolasse sulle lenzuola e attese: un rumore, un segnale qualsiasi.

Nel frattempo, James, in cucina, aveva chiarito la sua posizione con Polly, parlandole del periodo particolare che stava vivendo, specie sul lavoro, e di come per lui il tempo perdeva spesso consistenza e contorni. Le spiegò che non era stata una malvagità quella di rispondere ai suoi messaggi poco e male, ma non era riuscito a fare altrimenti. Lei si lasciò convincere facilmente, soprattutto perché non aveva motivi per dubitare della veridicità di quelle giustificazioni. D’altro canto, però, percepiva qualcosa in lui, qualcosa di insincero su cui cercò di sorvolare, perché lui era bello e aveva una buona posizione e lei non era mai stata tanto fortunata, ed era sempre e solo incappata in uomini senza scrupoli, senza un buon lavoro, senza una morale. Si disse che avrebbe potuto darsi una chance e che, dopotutto, James era il cognato di Jo e non avrebbe osato farle troppo male. Mentre lei lo perdonava, i sensi di James erano tesi tutti in un’unica direzione, volti a rintracciare un suono, un cenno, qualsiasi cosa potesse provenire da lei. Ma era come se quella porta poco distante da lui l’avesse risucchiata e catapultata su un pianeta lontano ed era come se di lei, nell’aria, si fosse persa ogni traccia. E non era per quello che lui era lì, non era per quel niente che aveva preso a far la commedia. Fu per questo che quando Polly gli chiese di rimanere a cena, per mangiare cibo take away
che lui detestava come il demonio l’acqua santa – James acconsentì immediatamente. Mentre Polly componeva il numero del ristorante indiano, James raggiunse la camera di Josephine e bussò due colpi netti e forti. Josephine balzò seduta, il cuore premuto sui timpani; si sollevò dal letto e si mosse nell’oscurità, con l’abitudine di un gatto o di una creatura notturna. Sospirò dietro il legno ruvido della porta e lui, sentendola, fece lo stesso.
Lei gli comparve davanti, il suo volto chiaro pareva spettrale circondato dall’oscurità, ma gli occhi, i suoi occhi non erano mai stati più languidi. Aveva probabilmente dormito o pianto o nessuna delle due, ma provò per lei un moto di tenerezza totalmente nuovo e spaventoso. E poi la odiò, odiò il cipiglio altero con cui lo fissava, quell’aria annoiata che le piegava i tratti, quelle sue spalle trasparenti, spigolose, abbacinanti.
– Invocavi i morti? – le chiese col solito atteggiamento beffardo.
– Che ti serve? – tagliò corto lei, brusca, a denti stretti.
Lui sbuffò con aria svagata.
– Stiamo ordinando indiano. Ti unisci a noi o preferisci rimanere coi tuoi amici spiriti?
– Sei in forma oggi, eh? – fece lei, sarcastica.
Ma le piaceva, le piaceva scandalosamente il modo in cui aveva ripreso a pizzicarla, come se quella terribile giornata alla mostra, che li aveva visti schiacciati da una finta cortesia senza colore, non fosse mai esistita. Lui, ad ogni modo, la scrutava con la solita aria grifagna e un po’ ironica che, ormai lo sapeva, dedicava solo a lei. Se un tempo le aveva fatto male scoprirsi indegna di un atteggiamento cordiale da parte di James, quella sera si aggrappò con ottusa tenacia alla linea obliqua e beffarda delle sue labbra e se ne vergognò immensamente.
– Non mi piace l’indiano, ma d’accordo, – concesse alla fine, come se non le importasse.
– Non piace neanche a me, – mormorò lui, controllando che Polly non lo sentisse.
Josephine sollevò un sopracciglio.
– Quindi mangeremo tutti indiano solo perché piace a Polly?
– Non vorrai certo dispiacerle, – fece lui, affettato.
Lei strinse la mano sulla maniglia ed evitò il suo sguardo.
– No, tranquillo. Sono abituata.
James mosse un passo verso di lei, come per caso o per caso davvero e desiderò che lei lo guardasse e che, con quegli occhi, gli dicesse una cosa qualsiasi che avrebbe potuto intendere solo lui.
– A cosa? A mangiare cose che non ti piacciono?
Lei gli scoccò un’occhiata, sopportando a stento la sua vicinanza, il fatto che fosse lì, nel suo appartamento che sembrava angusto e stretto adesso che c’era lui. Non era sicura che non si trattasse di un sogno.
– A cercare di non di non dispiacere gli altri, – disse, monocorde.
James sollevò il mento e serrò i denti, sperando di poter contenere ogni impulso e curiosità. Avrebbe voluto chiederle se tra i tentativi di non dispiacere non ce ne fosse uno che lui conosceva bene, uno che, se disatteso, lo avrebbe finalmente liberato e condannato al contempo. Ma ovviamente dovette trattenersi, fingere che quella piccola frase non gli avesse appena insinuato pensieri spregevoli, demoniaci. Ma chi era lei e perché una creatura così fosca e mutevole era dovuta capitare sul suo cammino?
– Non ne sono sicuro, – commentò, serafico.
Lei scoccò la lingua.
–Ah, è vero, scusa: sono una bugiarda.
Lui la guardò con una luce ironica negli occhi e la sua voce, incrinata sulla nota iniziale, le cascò addosso come un macigno, grave, profonda.
– Certo. Altrimenti come spiegheresti il pacchetto che mi hai lasciato in portineria?
Josephine deglutì a fatica, ma si finse impassibile.
– Sì, beh. Non avevo più spazio. Mi sono liberata del superfluo, – lo provocò deliberatamente. E lui fu colpito da una sensazione del tutto nuova, che somigliava alla rabbia, ma anche a qualcosa di diverso. Quella frase, così scrupolosamente crudele, suonò alle sue orecchie come una dichiarazione di guerra, ma gli arrivò allo stomaco alla stregua di una dichiarazione di tutt’altra natura. Ma del resto, tra di loro, esisteva un’eterna contrapposizione e commistione d’intenti e significati ed ognuno di questi li legava e separava attraverso combinazioni inaspettate, a volte improbabili.
– Perché, ti è dispiaciuto? – chiese all’improvviso e in quell’attimo si accorse che Polly li guardava e pregò che lui rispondesse in fretta, concedendole finalmente una risposta ad almeno una delle sue soffocanti domande. E per la prima volta lui rispose, senza pensare, senza che Polly, ormai vicinissima, potesse impedirglielo. Rispose in un soffio, con severità e disse soltanto: – Sì.
Quella risposta sconvolse entrambi e l’ombra che attraversò i loro sguardi, l’attimo prima che Polly sfondasse la loro gabbia invisibile, somigliava ad una muta, completa, disperazione.

Josephine non cenò con loro, ma si chiuse in camera e gettò la busta intrisa d’olio nel cestino. Il giorno dopo la camera avrebbe emesso tanfi barbari, ma non le importava. Quando la cena era arrivata, James aveva imposto la sua presenza sulla porta, per ottenere la prerogativa tutta maschia di pagare per tutti. Josephine lo detestò anche per questo, perché detestava certe sue costruzioni mentali, quel suo modo antico, trapassato, ammuffito di comportarsi. James possedeva la boria ostinata di certi uomini privilegiati ed era stata questa uno delle prime constatazioni che glielo avevano reso avverso. In fretta, però, aveva scoperto che dietro quelle buone maniere e quella austerità settecentesca e manierata, esisteva un uomo contraddittorio, contorto, volubile e pericoloso. E quella sera, questi due uomini che abitavano James, erano emersi a parti alterne. In James convivevano energie opposte, nel suo spirito abitavano in perfetta armonia Otello e Iago, Amleto e Claudio, Cristo e Satana, Eros e Thanatos. E lei non sapeva come e in che modo era finita col sentire una tale fascinazione per un uomo così gravosamente indefinibile, che l’aveva confusa con arti e incanti degni di uno stregone. Ma c’era in lui anche qualcos’altro, una luce calda e imprendibile, nascosta nei suoi particolari occhi verdi, occhi luminosi e oscuri al contempo, come non ne aveva visti di eguali in tutta la vita. C’era questo lampo nei suoi occhi, questa fiamma inafferrabile di poesia e misteri affascinanti, che la colpiva ogni volta con la potenza di un dardo incandescente, fino a consumarla. Era per tutti questi motivi e per quello sguardo che si erano scambiati subito dopo quel inaspettato ed inquietante che non poteva più stargli vicino. Ma era soprattutto perché lui era lì per Polly e perché, qualunque cosa significasse ciò che provava anche solo parlandogli, lei non era Matilde e – anche quando lui l'avesse ritenuta tale – James era, tra tutti gli uomini, il più inaccessibile.

Lui fissò la porta della camera di Jo per gran parte della cena, l’aria persa di uno che non ricordi dove si trova. Quando al termine della serata, Polly gli sfiorò le labbra, lui ricambiò per qualche istante, chiudendo gli occhi per spegnere un senso di colpa bruciante. Realizzò con livore che non aveva ottenuto altro che quell’istante sospeso in cui aveva visto negli occhi di lei qualcosa di simile alla sua stessa smania. A conti fatti, quella sera, non aveva ottenuto niente da lei, tetra donna impossibile che gli si negava e lo avvelenava come fa una medusa.
In auto, si abbandonò sul sedile e si lasciò accarezzare dai lapilli di gelo che filtravano dal finestrino. Afferrò il libro, che stava adagiato sul cruscotto, e nel buio dell’abitacolo, gli rivolse un sospiro spezzato. Rivolse lo sguardo alla finestra di Josephine, illuminata da una luce tiepida, ed ebbe la sensazione che l'ombra di lei lo stesse osservando. Quella specie di sogno buio e sfocato gli si infranse addosso in tutta la sua fatiscenza, quando vide Robb sbucare dal suo fuoristrada. Lei probabilmente era davvero alla finestra, ma non per lui. La sagoma scura di Josephine aspettava Robb
– lo stesso uomo che era suo fratello e che quella sera, per la prima volta, gli parve un nemico impietoso. In quel momento qualcosa dentro di James si spezzò; ripensò alla fotografia che aveva rubato a Josephine, ripensò al potere che la poesia e le parole avevano su di loro, ripensò ai suoi occhi in certe notti di luna, e quell’istante sancì l’inizio della caccia.
Del resto, lei era una strega potentissima.

   
 
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