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Autore: hilaris    06/05/2020    2 recensioni
Dal capitolo 1: Spense una delle candele con i polpastrelli delle dita, vedendo quella minuscola fiammella cessare di esistere esattamente come aveva fatto il proprio matrimonio.
Non si sarebbe mai aspettato di dover entrare in quel tempio così presto, non si sarebbe mai aspettato di dover posare quel crisantemo accanto a quella bara fredda e lucida proprio in quel periodo, in cui tutto sembrava esser tornato alla normalità, in cui la vita sembrava aver preso una piega giusta.
Goku è solo, senza alcuna forza e con un figlio da mantenere, mentre la storia si sposta lentamente sui pensieri di un principe dei saiyan ancora fortemente attaccato alle proprie origini e alle proprie convinzioni, ancora lungi dal raggiungere quello stato di development del personaggio che tutti abbiamo apprezzato guardando e leggendo l’opera originale. Ma ci sarà qualcosa, nella vita di entrambi, che cambierà radicalmente il loro modo di essere; entrambi i saiyan affronteranno una dura realtà che è lontana dall’essere quella quotidianità fatta di lotte e combattimenti, ed impareranno a lottare contro qualcosa di ancora più grande, seppur incorporeo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gohan, Goku, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un relitto.

Era questa l’immagine che gli si palesava di fronte, tutte le volte che pensava all’ultima volta che aveva potuto vedere con i suoi occhi troppo giovani il disastro che gli si era palesato davanti.

Un relitto, questo era il pianeta Vegeta, l’ultima volta che l’aveva visto: i soldati di quel mostro avevano attaccato da tutte le parti e lui, un bambino quasi indifeso, se non fosse stato per il suo patrimonio genetico, tra le braccia di una madre troppo disperata, che contro ogni speranza ormai perduta, lo adagiava sul proprio lettino, abbandonandosi a ciò cui si era tenuta lontana per tutta la vita: un gesto d’affetto, di amore materno; l’ultimo gesto d’amore nei confronti di un figlio che non avrebbe mai più visto, dell’unico suo erede. Un bacio sulla fronte, ed una frase quasi sussurrata, quasi come avesse paura di pronunciarla, timore che qualcuno potesse vederla compiere quel gesto sconsiderato, dal suo popolo visto come qualcosa di ben lungi da ciò che erano abituati a vedere e compiere.

«Ti voglio bene.»

E poi, la donna che l’aveva messo al mondo gli aveva fatto bere qualcosa, racchiuso in una boccetta che teneva ben conservata nella sacca che portava con sé. 

Dopo, il buio... solo l’immagine di quel relitto che stava diventando il suo pianeta d’origine, e la consapevolezza che di lì a poco, anche lui sarebbe morto.

Ma lui non era morto. No.

Occhi languidi, rossi, lo scrutavano nell’oscurità di quella stanza scura mentre, incatenato al pavimento, quel povero cucciolo si ritrovava a guardare di fronte a sé senza in realtà vedere niente... soltanto quel paio d’occhi di colore scarlatto, che gli fecero paura, lo spaventarono fino a costringerlo a divincolarsi dalle catene che gli tenevano i polsi e le caviglie bloccati.

E poi il piccolo capì: non era affatto il pavimento, quella superficie dura e gelida, no... era qualcosa di molto diverso, che riempì i suoi occhi di lacrime amare, rassegnate, spaventate, e fu in quel momento che quel bambino, per la prima volta nella sua giovanissima vita, provò il desiderio di essere morto.

Fu solo quando le luci di quella stanza si accesero, che il suo sguardo nero come la pece poté scrutare ciò che aveva intorno. Ed il sorriso beffardo dell’assassino che aveva di fronte.

«No! Mamma! Mamma, dove sei?!» 

 

«Mamma!»

 

Si era alzato a sedere di scatto, accorgendosi di non essere affatto incatenato, di non essere affatto adagiato su una superficie fredda e dura, ma sul suo letto, quello che l’aveva accolto per due mesi, e dal quale ancora non se n’era andato; così come non se n’era andato da quel pianeta, che era tutt’altro che un relitto.

La Terra... oh, la Terra. Pensare che, soltanto poco tempo prima, aveva rischiato di fare la stessa fine di quel pianeta che aveva appena sognato, ricordato; pensare che quel rischio l’avesse corso per colpa sua. Solo ed unicamente sua.

Che tipo di mostro era diventato? Che tipo di uomo sarebbe continuato ad essere, crescendo? Perché quel ragazzino immerso nel buio della sua stanza, cullato soltanto dal silenzio della notte, si sentiva ancora incatenato a quella superficie metallica... sentiva ancora il dolore causato dalle mani dello stesso bastardo che aveva decimato per sempre la sua popolazione, che aveva ucciso sua madre.

Già, sua madre.

Lei era stata la prima e l’ultima persona a mostrargli, segretamente e silenziosamente, dell’affetto. La prima e l’ultima persona a dirgli ‘ti voglio bene’... quella frase che, in quel momento, quando era un bambino disteso sul proprio letto, non aveva affatto capito, non ne comprendeva il significato, perché nessuno glielo aveva mai insegnato; l’aveva capito soltanto qualche anno dopo, quando aveva messo piede per la prima volta sulla Terra... aveva imparato che nome avesse quella sensazione di attaccamento quasi morboso ad una singola persona, quella sensazione di dolore che si provava ogni volta che si era costretti a star lontani da quella persona, quella sensazione che lui stesso provava tutte le volte che, stressato dalle continue accuse e minacce del suo stesso padre, avrebbe tanto voluto buttarsi tra le braccia di quella donna e piangere, piangere fino allo sfinimento.

Quella donna bellissima, dalla quale aveva ereditato la caparbietà, l’amore per la libertà, il coraggio, la determinazione; quella donna che gli metteva una mano sulla spalla, dicendogli che sarebbe andato tutto bene, che non doveva avere paura, che lui sarebbe diventato il più forte, che avrebbe salvato il suo popolo dalla schiavitù nella quale era caduto.

Ma ormai era troppo tardi.

Lui poteva diventare forte quanto volesse, ma non sarebbe mai tornato indietro a salvare il proprio popolo, perché questo non c’era più; non sarebbe tornato indietro a salvare sua madre... perché sua madre non c’era più, e lui non sapeva neppure in che modo fosse morta. Non sapeva se fosse stata uccisa in battaglia dagli uomini di Freezer, o se invece fosse finita morta nell’esplosione finale, quella che aveva decretato per sempre la fine di Vegetasei.

Strinse i pugni, Vegeta, alzandosi dal letto soltanto per spostarsi sul balcone, quello stesso balcone dal quale, durante i due giorni trascorsi ad allenarsi-ed anche no- con Kaharoth, era uscito furtivamente per non farsi notare. Si appoggiò alla ringhiera, piegando la testa verso l’alto, osservando con occhi impenetrabili la luna crescente, che stava facendo crescere insieme a lei anche l’erba rigogliosa del giardino che aveva qualche metro sotto i piedi, ma non stava facendo crescere lui.

Avrebbe tanto voluto essere come quei fili d’erba, Vegeta, e crescere insieme al bagliore della luna, quella stessa luna che un tempo non molto lontano, quando aveva ancora la coda, quell’attributo che lo rendeva così riconoscibile alle proprie vittime, lo aiutava a mieterle. Una dopo l’altra, senza mai voltarsi indietro, senza mai provare un minimo senso di colpa. Ma, non sapeva perché, ogni volta che pensava a sua madre, alla splendida donna che era, alla guerriera forte ed orgogliosa che gli aveva insegnato molte delle sue tecniche, provava un rimorso enorme: rimorso per non aver risparmiato tutte quelle vite innocenti, rimorso per non aver mai esitato prima di uccidere senza pietà uomini, donne, bambini, rimorso per non aver pensato neanche una volta a lei mentre lo faceva, a quei due occhi neri così simili ai suoi, a quei due occhi neri che lui aveva avuto la fortuna di ereditare. 

Eppure non cresceva, quel principe solitario, non cresceva insieme alla luna, lui... essa gli ricordava anzi soltanto quanto male avesse fatto a chi non se lo meritava, quanto avesse goduto nel farlo, esattamente come Freezer aveva goduto nel far del male a lui, un bambino ancora senza macchia, che voleva soltanto piangere tra le braccia della sua mamma.

Si portò entrambe le mani fra i capelli, scosso da tutti quei pensieri che non lasciavano la sua mente: si sentiva tentato, dannatamente tentato, da quel lato chiaro di sé che faticava ad uscire fuori... perché? Perché soltanto ora? Perché lo stava tormentando così? Perché si stava sentendo così?

Aveva vissuto dalla parte dell’oscurità per tutta la sua vita, la sua troppo giovane vita, nella propria personale convinzione che il suo posto fosse lì. Ma ogni volta che quei ricordi riaffioravano, che quella frase appena sussurrata, che quel ‘ti voglio bene’ tornava a rimbombare ancora perfettamente vivido nei suoi pensieri, eccola lì: la luce in fondo ad un tunnel più oscuro dei luoghi a cui era sempre stato abituato; quel lato chiaro che lo tentava, sì, lo chiamava, ma più correva, Vegeta, verso quella luce, e più non riusciva a raggiungerla... perché ogni volta, sentiva delle grosse mani aggrapparsi alle sue gambe, salde, forti, che lo tiravano indietro, ricordandogli cosa fosse venuto a fare, per quale motivo fosse nato. 

E non erano le mani di Freezer, non erano le mani di qualcun altro, no. Quelle mani... erano le sue. E i due occhi bui che lo scrutavano nell’oscurità, quei due occhi iniettati di sangue... erano i suoi. 

E allora il principe si arrendeva, si arrendeva di nuovo.

Perché sapeva benissimo che l’oscurità non l’avrebbe mai abbandonato, che quel lato chiaro esisteva, lui lo sentiva, lo percepiva, ma era troppo debole, troppo complicato da raggiungere. L’oscurità era più forte, molto più facile da gestire. 

 

No. Doveva distrarsi da quei pensieri che non lo lasciavano dormire sonni tranquilli, doveva evitare in tutti i modi di addormentarsi e sognare di nuovo quelle immagini, perché sapeva benissimo a quali pensieri avrebbero condotto.

Doveva distrarsi, o ne sarebbe uscito fuori di sé.

 

*

 

Aveva pensato per tutto il giorno ed anche per tutta la sera alle parole rivoltegli dal principe dei saiyan in mattinata, e nonostante ci avesse pensato, riflettuto, o almeno tentato di farlo, il Son non aveva ancora ben capito che cosa intendesse il proprio rivale.

Certo, Goku non era mai stato una cima, questo lo sapevano tutti, ma insomma, le parole di Vegeta non gli erano sembrate poi così difficili... era davvero così complicato, per lui, arrivare ad una conclusione?

Vegeta gli aveva detto che sarebbe dovuto diventare egoista, o qualcosa del genere; ma lui non era egoista, non lo era mai stato... possibile che l’essere altruisti avrebbe davvero causato tutti quei gran problemi di cui parlava il principe? In fondo, l’aveva chiamata una forma di violenza.

Non riusciva a dormire, Goku, si rigirava continuamente nel letto, tenendo gli occhi ben puntati di fronte a sé, evitando di chiuderli, come se in un certo senso avesse paura di qualcosa... o di qualcuno.

Si sedette così a gambe incrociate, chiudendo gli occhi ed inspirando profondamente, tentando di concentrare le proprie energie per meditare... magari aveva soltanto bisogno di placare i nervi, aveva soltanto bisogno di uscire a respirare un po’ d’aria. In fondo, nessuno sarebbe potuto entrare in casa a far del male a suo figlio, e d’altronde, chi diamine avrebbe potuto farlo?

Il saiyan dai capelli a forma di palma, così, aprì svogliatamente la finestra della camera, uscendo fuori ed iniziando a volare in direzione delle cascate, in cui si sarebbe potuto rilassare grazie allo scrosciare dell’acqua che, fin da bambino, lo aiutava sempre a concentrarsi e a sentirsi a casa.

Si sedette su una delle rocce sovrastanti ad una delle cascate, incrociando le gambe e guardando per un secondo di fronte a sé: il paesaggio notturno era bellissimo, ma allo stesso tempo tremendamente lugubre, era come trovarsi in una dimensione parallela, completamente differente da quella a cui era abituato durante le ore del giorno.

Chiuse gli occhi, Goku, rilassandosi, poggiando le mani alla superficie rocciosa sulla quale era seduto, concentrando tutte le sue energie nella mente, tentando di rilassarsi; le rocce intorno a lui presero a fluttuare, spinte dalla forza interiore con la quale il saiyan si stava concentrando, ed i suoi pensieri iniziarono a vagare, perdendosi in luoghi lontani, in ricordi di un’infanzia felice passata con il suo amato nonnino.

Vedeva luce, vita, libertà... vedeva il sorriso premuroso di suo nonno, la sua vivace risata da bambino, gli animali che correvano felici... vedeva ciò che era diventato, ciò che era stato per tanto tempo, e si sentì improvvisamente più sereno, più in pace con sé stesso.

Ma giù, andando sempre più affondo, concentrandosi un po’ più intensamente, Goku vedeva anche qualcos’altro: un luogo oscuro, un baratro senza luce, che scendeva sempre più in basso, giù, fino al centro dei propri pensieri... giù, dove la luce si faceva via via più debole; un luogo pericoloso, un luogo tentatore, che lo spaventava. Paura, morte, terrore, schiavitù: quello che sarebbe potuto diventare se gli eventi fossero andati diversamente, il saiyan spietato dagli occhi iniettati di sangue, con le mani sporche del sangue dei suoi nemici. Il saiyan che sarebbe... dovuto essere? 

E lo chiamava. Lo chiamava a gran voce. 

“Kaharoth” 

Goku strinse i pugni: non si sarebbe dovuto addentrare nell’oscurità, non doveva dare ascolto a quei pensieri, non doveva lasciarsi ingannare, non ora che il suo cuore sarebbe dovuto rimanere più puro che mai, non ora che aveva la completa responsabilità di un figlio da crescere ed amare. Doveva cercare di tornare indietro, ma non ci riusciva, non riusciva a risvegliarsi dallo stato di trance in cui era caduto, e nel frattempo il buio si faceva sempre più forte, sempre più potente; quella che inizialmente era una singola voce, ora erano diventate tante... grida, grida di innocenti che perivano sotto i suoi piedi, schiacciati dalla sua potenza. 

«NO!» gridò il saiyan, colpendo con un pugno la roccia sotto di sé, aprendo gli occhi di scatto, cercando di tornare alla realtà, con il respiro affannoso ed il corpo tremante «No... cos’era? P-perché...?» 

 

Non fece neanche in tempo ad alzarsi per tornare in casa sua cercando una spiegazione a ciò che gli era appena accaduto perché dietro di sé, anche se fievole, anche se lontana, poté sentire una presenza... una presenza non indifferente.

Si voltò, il giovane super saiyan, scorgendo la schiena dell’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere lì con lui; Vegeta era lì. 

O almeno, questo era ciò che Goku credeva, perché nonostante lo vedesse, nonostante percepisse le sue sensazioni, la sua aura, persino i suoi pensieri... il principe non era lì, non fisicamente almeno. 

«Vegeta?» mormorò ad un certo punto, alzandosi da terra.

 

Lo sentiva. Sentiva i suoi pensieri, sapeva cosa lo tormentasse... ed era alquanto sicuro che anche dall’altra parte ci fosse lo stesso sentore.

Quello che non capiva era perché sentisse quella connessione, perché la sentissero entrambi: non gli era mai capitata una cosa del genere in vita sua, eppure, proprio alle sue spalle, poteva percepire la presenza di Kaharoth, ed il rumore incessante di una cascata... doveva essersi alzato per meditare, aveva subito pensato il principe, considerando anche i tormenti che lo attanagliavano.

Gli stessi tormenti che attanagliavano lui, effettivamente.

Non sapeva se voltarsi o no, se instaurare anche un contatto visivo oppure rimanere di spalle, sicuro che il proprio rivale vedesse soltanto la sua schiena, in quel momento; ma alla fine, guidato dalla curiosità di guardare in faccia l’inetto, di rendersi conto effettivamente delle sensazioni che riusciva a percepire in lui, si voltò, incontrando i suoi occhi.

Occhi neri, iridi così simili alle sue, velate dal medesimo senso d’inquietudine. Di confusione.

 

«Cos’è questo?» chiese il saiyan dai capelli a palma, cercando di andargli incontro, ma bloccandosi quando si accorse di non poterlo toccare, che il principe fosse totalmente incorporeo in quel momento.

«Riesci a vedere quello che mi sta intorno?» fu la domanda del principe dei saiyan in risposta «Io no... vedo soltanto te.» e sento il rumore di quella cascata, avrebbe voluto dire, ma non lo fece. 

«Perché?»

Nessuna risposta a quella domanda.

No, neanche Vegeta conosceva il motivo di quell’accadimento, e neanche sapeva come classificarlo; nessuno dei due riusciva sul serio a capire cosa stesse succedendo.

«Sento i tuoi tormenti, Kaharoth.» disse il saiyan dai capelli a fiamma «Riesco a vedere il modo in cui vacilli. Sei tentato dall’oscurità, sei curioso di sapere come sarebbe essere un saiyan originario.»

«E io riesco a vedere il modo in cui vacilli tu.» fu la risposta di Goku, che abbassò improvvisamente il tono della voce, riducendola a un flebile suono difficilmente udibile «Riesco a vedere il volto di tua madre, Vegeta. Tra... i tuoi pensieri.»

«Mia madre è morta, e con lei anche la luce.» il principe gli puntò un dito contro «Smettila di farti i cazzi miei, non leggermi nella mente.»

 

E, così com’era iniziato, quel breve contatto si dissolse; era come se qualsiasi fosse l’energia che li aveva connessi, avesse appena udito le parole di Vegeta, accontentando la sua richiesta di non farsi leggere la mente dal suo acerrimo rivale. 

 

*

 

Lo scenario, in quell’immenso nave spaziale, era quasi spettrale: nessuno osava parlare, nessuno osava alzare la testa di fronte a colui che stava passando tra i corridoi in quel momento, nessuno osava rivolgergli la parola.

I passi del tirannò si fecero sempre più prorompenti, mentre si dirigeva in cabina di comando, insieme agli ufficiali più importanti di quello che stava pian piano diventando un vero e proprio esercito.

«Il mio piano sta andando come previsto...» mormorò con un ghigno sul volto, mentre osservava dalla grande vetrata il proprio capolavoro venir completato «I saiyan cesseranno di esistere, e con loro anche la loro supremazia su tutte le altre razze. Il potere che lei sta cercando, mio padrone... sarà suo.»

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Angolo autrice:

Eeeeed eccomi di nuovo, prima del previsto, questo lo ammetto, e finalmente con un capitolo che comincia a immergersi nel vivo della storia, seppur in maniera molto molto flebile. Finalmente possiamo assaporare un po' del passato di Vegeta, ed anche il suo modo di essere combattuto tra luce e tenebre, e finalmente scorgiamo-anche se in maniera più debole- il contrasto che si crea tra un Vegeta tentato dalla luce ed un Goku tentato dall'oscurità; e... facciamo anche la conoscenza di un personaggio misterioso. Chi sarà mai questo enigmatico individuo che incontriamo a fine capitolo e che, a quanto pare, desidera che i saiyan cessino per sempre di esistere? Un nuovo nemico? O forse qualcuno che abbiamo già incontrato in precedenza?


Disclaimer non indifferente: da questo momento in poi, la storia sarà molto ispirata alla saga di Star Wars, alla quale sono molto legata, e che mi ha dato lo spunto per iniziare questa long. Ovviamente non ci saranno né cross-over né collegamenti diretti, quindi non avete alcun bisogno di aver guardato i film, nel caso in cui non l'abbiate fatto... ci ho solo preso ispirazione per alcuni dettagli, that's all xD

Per esempio, il contatto che c'è tra Goku e Vegeta è ispirato a quello che c'è tra Rey e Kylo Ren nell'ultima trilogia... mi è sembrato perfetto per mandare avanti la trama! 

Detto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ciauuu~

-hilaris

   
 
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