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Autore: Parmandil    08/05/2020    1 recensioni
Abolita la Prima Direttiva per ragioni umanitarie, l’Unione Galattica è sprofondata nel caos. Le civiltà precurvatura abusano delle tecnologie loro donate e un terzo dei sistemi federali è pronto alla secessione, concretando il rischio di una guerra civile.
Dopo un violento attacco alieno, la Keter si reca nel Quadrante Delta, ripercorrendo la rotta della Voyager in cerca di riposte. Qui troverà vecchie conoscenze, come i Krenim e i Vidiiani, che si apprestano a colpire un nemico comune, incautamente risvegliato dalla Voyager secoli prima. I nostri eroi dovranno scegliere con chi schierarsi, in una battaglia che deciderà le sorti del Quadrante. Ma la sfida più ardua tocca a Ladya Mol, già tentata di lasciare la Flotta per riunirsi al suo popolo. Dopo una tragica rivelazione, la dottoressa dovrà lottare contro un morbo spaventoso; la sua dedizione potrebbe richiederle l’estremo sacrificio.
Nel frattempo i Voth, un’antica specie di sauri tecnologicamente evoluti, sono giunti sulla Terra per stabilire una volta per tutte se questo sia il loro mondo d’origine. Sperando d’ingraziarseli, le autorità federali li accolgono in amicizia, senza riflettere sulle conseguenze del ritorno dei “primi, veri terrestri” sul pianeta Terra.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 3: La missione

 

   La Keter e la nave Voth procedettero affiancate, avvicinandosi alla Terra. Le autorità dell’Unione erano state avvertite, così che avevano preparato il comitato di accoglienza. Navi diplomatiche e navi scorta vennero loro incontro, per accompagnarle nell’ultimo tratto. Alcuni vascelli lanciarono persino fuochi d’artificio spaziali.

   Sulla plancia della Keter, l’anziana Frola Gegen si avvicinò allo schermo, contemplando il globo bianco-azzurro della Terra. Giunse le mani e se le portò al cuore. «Il Mondo Perduto!» mormorò, tremando per l’emozione. Si rivolse al Capitano, che l’aveva affiancata. «Per tutta la vita ho atteso di vederlo. Ah, vorrei che anche mio padre avesse avuto questa soddisfazione! Diceva sempre che un giorno tutti i Voth avrebbero visto la Terra. E aveva ragione: presto queste immagini raggiungeranno ogni nostra colonia e astronave. Tutti sapranno qual è la nostra vera patria».

   «Sono felice per voi» disse Hod. «Sa, non è poi così strano che un pianeta dia origine a più specie senzienti. Sull’antica Xindus se ne svilupparono ben sei».

   «Sei specie senzienti!» esclamò Frola, impressionata. «Ah, l’Universo è pieno di meraviglie. Una vita non basta per saziarsene gli occhi». Così dicendo tornò a osservare la Terra. «Quanta acqua! E che diversità di ambienti! Non vedo l’ora di scendere in superficie».

   «È previsto un incontro con le autorità dell’Unione» spiegò Hod. «Naturalmente lei è la benvenuta. Scoprirà che sulla Terra vivono molte altre specie, oltre agli Umani. Essere la capitale dell’Unione l’ha reso un mondo cosmopolita».

   «E le specie hanno tutte pari diritti?» s’interessò Frola.

   «Beh, sì» confermò il Capitano. «Pensi che attualmente la Presidente dell’Unione è un’aliena. Si chiama Rangda e viene da Zakdorn». Non disse che il suo malgoverno aveva gettato l’Unione nel caos.

   «Incredibile!» fece la Voth, che non riusciva a staccare gli occhi dalla Terra. «Davvero incredibile. Mi chiedo perché abbiamo abbandonato un mondo così bello».

 

   Il ricevimento si tenne ad Atlantide, l’isola artificiale su cui sorgevano gli edifici chiave dell’Unione. Le vecchie sedi di San Francisco, infatti, erano state distrutte decenni prima nella Guerra delle Anomalie. I nuovi palazzi erano ancora più belli e sontuosi. C’erano il Senato, il palazzo presidenziale, la Corte di Giustizia. A poca distanza sorgevano le infrastrutture della Flotta Stellare, come il Quartier Generale, l’Accademia, il Comando Medico e la zona museale.

   Quel giorno le normali attività erano sospese, per accogliere la delegazione Voth. Le massime autorità civili e militari si erano radunate davanti al Senato. C’era la Presidente Rangda, alta e segaligna, con il suo entourage: ministri, segretari, addetti alle pubbliche relazioni. E c’era l’Ammiraglio di Flotta, Alexander Chase, col suo Stato Maggiore. Era insolito che i due comparissero assieme in pubblico, dato che negli ultimi anni non avevano fatto che scontrarsi. L’abrogazione della Prima Direttiva aveva reso la situazione ancor più incendiaria. Eppure per quell’evento dovevano presenziare assieme, celando l’ostilità che si portavano.

   Anche i cittadini, informati dai notiziari, erano accorsi numerosissimi. Molti esibivano cartelli o striscioni con frasi di benvenuto. I bambini avevano pupazzi e altri giocattoli di dinosauri. Si riteneva infatti che i Voth discendessero dagli Hadrosauri, che avevano calcato le praterie del Nord America e dell’Asia alla fine del Cretaceo.

  A mezzogiorno in punto la delegazione Voth si teletrasportò a terra. L’Ammiraglio Hadron era accompagnato da ufficiali e scienziati, tra cui i due che lo avevano seguito sulla Keter. Accanto a loro si materializzarono il Capitano Hod e i suoi ufficiali superiori, assieme a Frola Gegen. Al loro arrivo, i Voth furono salutati da grandi ovazioni. Hadron rispose con un gesto di saluto, che fu ripreso e trasmesso sui mondi federali. Poi, in testa alla sua delegazione, si accostò alle autorità dell’Unione.

   «Benvenuti sulla Terra!» li accolse Rangda, che come al solito vestiva un abito rosa cicca e aveva i capelli tinti di viola. Lei e Hadron si strinsero calorosamente la mano. «È un immenso piacere fare la vostra conoscenza» disse la Presidente con un sorriso lezioso. «Vi direi di fare come a casa vostra... se non fosse che lo è!» ridacchiò.

   «Non precipitiamo» disse il Voth, più misurato. «Siamo qui per una ricerca scientifica. Se emergerà che siamo davvero imparentati con gli Umani – per quanto alla lontana – il mio governo vorrà istituire comunicazioni stabili e stringere accordi commerciali con voi. In caso contrario, saremo comunque lieti di avervi conosciuti e cercheremo di restare in contatto».

   «Splendido!» sorrise Rangda. «Comunque vadano le cose, vorrei che ci scambiassimo degli ambasciatori».

   «Uhm... sì, dovrebbe essere possibile» disse cautamente Hadron. «Io di certo premerò perché accada».

   «Sentito, cittadini dell’Unione? Salutiamo i nostri amici Voth!» disse la Presidente, esortando la folla ad applaudire. «Salutiamo i primi, veri Terrestri!».

   Gli applausi scrosciarono a lungo. Solo l’Ammiraglio Chase e altri Umani che assistevano all’evento corrugarono la fronte, nell’udire quest’affermazione. E ad anni luce di distanza, su una colonia penale, un detenuto di nome Juri Smirnov – ex consulente storico della Keter – impallidì nel sentire il notiziario. Le implicazioni del ritorno dei “primi, veri Terrestri” sul pianeta Terra gli erano fin troppo chiare.

 

   «Voleva vedermi, Ammiraglio?» chiese Hod, entrando nell’ufficio di Chase.

   «Prego, si accomodi» l’accolse l’Umano, accennandole la sedia davanti alla sua scrivania. «Era da tempo che volevo parlarle faccia a faccia». L’Ammiraglio disattivò l’oloschermo, per dedicare tutta la sua attenzione al Capitano.

   Hod si sedette, un po’ rigida. Sebbene comandasse la Keter da anni, recarsi dall’Ammiraglio di Flotta la faceva ancora sentire come una scolaretta che viene convocata dal preside.

   «Negli ultimi mesi ho seguito attentamente l’attività della Keter» disse Chase. «So che siete stati in prima linea, per rimediare ai disastri dell’UPC. Per prima cosa, voglio assicurarle che lei e il suo equipaggio non siete imputati per la tragedia di Akaali. È chiaro che avete fatto ogni sforzo per proteggere gli abitanti da se stessi. Saranno i superstiti della Kutkh ad essere processati, per aver perso il controllo della nave. Ma non dubito che Rangda li farà assolvere. Non può certo mettere il suo Ufficio in cattiva luce».

   «La Presidente può influenzare il processo? Ne è certo?» s’inquietò Hod.

   «La Presidente può influenzare tutto, ormai» sospirò l’Ammiraglio. «Si è arrogata così tanti poteri che... beh... le elezioni di quest’anno sono una pura formalità. Adesso, poi, Rangda sta cavalcando l’onda d’entusiasmo per l’arrivo dei Voth» si accigliò.

   «Ho esitato a condurli qui» spiegò l’Elaysiana. «Ma ho pensato che fosse inutile indisporli con un rifiuto. Con la loro tecnologia, avrebbero trovato la Terra in ogni caso» si giustificò.

   «Concordo» disse l’Umano, intrecciando le dita. «Possiamo solo sperare che non abbiano altre mire. Ma non è di questo che volevo parlarle. Mi dica, cosa sa della situazione politica dell’Unione?».

   «Poco più di quello che dicono i notiziari» rispose Hod. «Abbiamo passato gli ultimi otto mesi nello spazio, ricevendo scarse notizie dalla Flotta».

   «Uhm, come immaginavo» grugnì Chase. «Beh, deve sapere che la situazione è davvero grave. Molto peggiore di come la dipingono i mass media. I popoli contrari all’abolizione della Prima Direttiva sono sempre più infuriati di dover pagare iniziative che spesso finiscono in disastri. Parliamo di membri di spicco dell’Unione: Klingon, Romulani, Cardassiani, Ferengi. Praticamente tutti i vecchi nemici, che eravamo riusciti a portare dalla nostra. Ora questi popoli stanno per dichiarare la secessione».

   Così dicendo l’Ammiraglio premette alcuni comandi sulla scrivania. Le luci dell’ufficio si attenuarono e sul ripiano di mogano apparve, galleggiante, la mappa tridimensionale dell’Unione. Il suo spazio era evidenziato in blu, così da sembrare un’immensa ameba, che occupava il Braccio di Orione della Via Lattea. Chase digitò altre istruzioni e due grosse zone si tinsero di rosso. Sul versante del Quadrante Alfa c’era una porzione di spazio che andava dai sistemi cardassiani a quelli ferengi. Nel Quadrante Beta il rosso era ancora più esteso: comprendeva lo spazio dei Klingon e della Repubblica Romulana. Disseminate qua e là c’erano macchioline rosse più piccole, anche nel cuore dello spazio federale. Erano singoli pianeti e sistemi separatisti.

   «Temevo che accadesse» disse l’Elaysiana in tono cupo. «Secoli di sforzi diplomatici... rovinati. Ma che si dice in Senato? Non è possibile ricucire lo strappo?».

   «Per adesso Rangda sta usando le minacce e i ricatti economici per tenere legati a noi i Separatisti. Predice mali spaventosi per i pianeti che si staccheranno dall’Unione, ma così li indispettisce ancora di più» spiegò Chase. «Il fatto è che i Separatisti non vogliono occuparsi dei popoli pre-curvatura che si trovano nei loro settori. Se li dispensiamo, lo sforzo graverà doppiamente sugli altri sistemi. Così incoraggeremo tutti i membri dell’Unione a diventare Separatisti, per sfuggire all’incombenza».

   «Sì, è chiaro» annuì Hod. Più guardava l’estensione delle zone rosse, più si sentiva afferrare dall’angoscia. Se i Separatisti avessero abbandonato l’Unione, questa avrebbe perso oltre un terzo dei suoi sistemi. «I rischi per la sicurezza...?».

   «Sono allucinanti. Guardi qui» disse l’Ammiraglio, mostrandole un’altra immagine. Un colossale vascello prendeva forma in un cantiere navale. Apparteneva alla Flotta Stellare, ma si discostava nettamente dal design tradizionale, proseguendo una tendenza cominciata già a inizio secolo e accentuatasi con l’ingresso di Klingon e Romulani. In questo caso, le caratteristiche del vascello potevano riassumersi in due parole: forza bruta. Era infatti massiccio e squadrato, più alto che largo. Anche il deflettore di navigazione era rettangolare. Sulle fiancate si aprivano due grossi hangar, da cui all’occorrenza potevano sciamare navette e caccia stellari. A poppa vi erano quattro gondole quantiche, corte e tozze, dalle pareti corazzate.

   «Classe Juggernaut» la riconobbe Hod.

   «Cosa ne sa?» indagò l’Ammiraglio.

   «È stata fortemente voluta dai Klingon, per far sì che la Flotta disponesse di navi da guerra» rispose il Capitano. «Infatti sono i vascelli più potenti di cui disponiamo. Veloci come una classe Horus, armati come una Universe, più corazzati di entrambe... e non trasportano civili. Possono sparare in tutte le direzioni e ruotare rapidamente sul proprio asse per rigenerare gli scudi laddove sono più danneggiati. I loro sistemi ridondanti garantiscono l’operatività anche in caso di gravi danni. Insomma... come dice il nome, sono una forza inarrestabile».

   «Una forza che potremmo ritrovarci contro» avvertì Chase. «Siccome sono stati soprattutto Klingon e Romulani a premere per lo sviluppo di questa classe, quasi tutti i cantieri si trovano nel loro spazio. Il prototipo Juggernaut è stato varato appena cinque anni fa, ma da allora ne sono usciti molti altri esemplari. E più ancora sono in costruzione, come contromisura alla crescente instabilità. Certo, i tagli al bilancio fatti da Rangda ci hanno costretti a posticipare la maggior parte dei vari. Ma decine di questi vascelli sono sostanzialmente pronti e aspettano solo di ricevere l’equipaggio. Immagini che succederebbe, se Klingon e Romulani ci abbandonassero! Ci vedremmo schierate contro le nostre navi da guerra».

   «Che si può fare per evitarlo?» chiese Hod.

   «Niente, a meno di sabotare i nostri stessi cantieri» sospirò l’Ammiraglio. «E questa è una strada che non intendo percorrere. Posso solo sperare che Rangda non sia completamente folle, e che tema a sua volta il pericolo. È l’unica cosa che potrebbe frenarla. Ma se la situazione degenerasse... dobbiamo prepararci all’eventualità di uno scontro senza precedenti, all’interno dell’Unione».

   «Uno scontro... contro chi?» mormorò l’Elaysiana.

   «Ha colto il punto» disse Chase, amareggiato. «Piuttosto che affrontare una guerra civile, forse dovremo... affrontare Rangda. Rimuoverla prima che disintegri l’Unione».

   Il Capitano deglutì. «Questo ufficio è schermato?» chiese, guardandosi nervosamente intorno.

   «Ovviamente» annuì l’Ammiraglio. «Spero proprio che non arriveremo a questi estremi. Ma se Rangda non ci lascerà scelta, dovremo agire in fretta e con decisione. La Flotta Stellare gestirà le cose, durante la transizione verso un nuovo governo».

   «Stiamo parlando di un colpo di Stato militare» sussurrò Hod. «Proprio ciò di cui ci accusano i complottisti e gli esaltati politici. Se lo facessimo sul serio... ecco... dico solo che l’Unione non sarà più la stessa».

   «L’Unione è già cambiata, e non in meglio» sospirò Chase. «Da un lato vuole accogliere i popoli pre-curvatura, ma dall’altro emargina molti dei suoi membri... persino dei fondatori. Ingiustizie e rancori continuano a crescere; presto questa rabbia dovrà sfogarsi. Se le cose volgeranno al peggio, cioè allo scontro totale con Rangda, sarà con me?». L’Umano fissò gli occhi grigi in quelli violetti dell’Elaysiana.

   «Io sarò sempre con la democrazia» rispose Hod. «Se lei sarà da quella parte, e Rangda no, allora potrà contare su di me. C’è altro di cui voleva parlarmi, Ammiraglio?».

   «Sì» disse Chase, accontentandosi di quella risposta. «L’attacco Vaadwaur mi ha molto inquietato. Se quei predoni viaggiano coi tunnel spaziali, e hanno anche imparato a spostarne l’uscita, possono oltrepassare i nostri confini e colpire qualunque punto dell’Unione. In questo periodo così travagliato, vorrei risparmiarci un’altra minaccia. Inoltre... il ritorno dei Vaadwaur è colpa nostra» aggiunse a mezza voce.

   «Ho letto i diari della Voyager» annuì l’Elaysiana. «Furono quegli ufficiali a trovare i Vaadwaur ibernati. Li svegliarono, li aiutarono a trovare risorse... e poi fuggirono a stento da loro».

   «Non sappiamo quanti danni abbiano fatto i Vaadwaur, in tutto questo tempo» disse l’Ammiraglio. «Ma è logico supporre che i tunnel spaziali gli abbiano permesso di colpire un po’ ovunque».

   «I Voth avevano promesso di darci informazioni» ricordò Hod.

   «Infatti ho un incontro con il loro ufficiale tattico, oggi alle 17» confermò Chase. «Parleremo di questo. Voglio che ci sia anche lei».

   «Certo» disse l’Elaysiana. «Ma una volta che ne sapremo di più, cosa conta di fare?».

   «Tutto a suo tempo» disse l’Ammiraglio, alzandosi. Dal suo tono era chiaro che stava macchinando qualcosa.

   «Come vuole, signore» disse il Capitano, alzandosi a sua volta. Dette un’ultima occhiata all’ologramma della Juggernaut, prima che Chase lo disattivasse. E sperò ardentemente di non trovarsene mai una contro.

 

   Alle 17 in punto il Capitano Hod entrò nella sala riunioni del Comando di Flotta. Si avvide subito che era un incontro di massimo livello: c’era tutto lo Stato Maggiore, compresi i capi della Sicurezza di Flotta e dei servizi segreti. Molti ufficiali partecipavano in olo-presenza, dato che le numerose crisi impedivano loro di tornare sulla Terra. Già questo indicava quanto fosse grave la situazione.

   «Benvenuta, Capitano Hod. Prego, si sieda» l’accolse l’Ammiraglio Chase. Parlava in tono formale, come se non si vedessero da tempo. Forse non voleva far sapere agli altri del loro incontro di quella mattina; di certo voleva celarne il contenuto.

   «Grazie, Ammiraglio». L’Elaysiana raggiunse in fretta il tavolo rettangolare e occupò il suo posto, senza incrociare lo sguardo con nessuno.

   «Bene, siamo al completo» disse Chase. «È il momento di accogliere il nostro ospite: il Colonnello Corythos, dell’Autorità Voth».

   L’alieno entrò in sala e si recò al tavolo, all’estremità opposta rispetto all’Ammiraglio. «I miei rispetti» disse con un cenno del capo. «Nell’interesse delle buone relazioni fra i nostri governi, sono qui per condividere alcune informazioni riguardo i Vaadwaur. I dati sono già stati trasmessi, ma vorrei darvi una panoramica della situazione».

   Con queste parole il Voth attivò alcuni comandi, integrati nel tavolo tattico. Apparve l’ologramma di un pianeta brullo, avvolto da nubi arancioni, che ruotava lentamente sopra la tavola. «Questo è il mondo natale dei Vaadwaur» spiegò. «Si trova accanto all’ingresso della più vasta rete di tunnel spaziali naturali della Galassia. I Vaadwaur li scoprirono all’inizio della loro esplorazione spaziale e li usarono per raggiungere sistemi lontanissimi. La maggior parte degli sbocchi è nel Quadrante Delta, ma alcuni si trovano anche negli altri. I Vaadwaur, che erano guerrafondai, li sfruttarono per depredare le altre specie. Dopo ogni attacco si ritiravano nei tunnel, prima che le vittime potessero riorganizzarsi. In tal modo originarono sinistre leggende su molti mondi. Ma questa politica predatoria, alla fine, si ritorse contro di loro».

   Corythos toccò un comando, mostrando altre immagini in rapida successione. Una flotta d’astronavi, assai composita, dava battaglia ai Vaadwaur. «Molte specie si riunirono in un’Alleanza, che li affrontò per liberare la Galassia dalle loro scorrerie» narrò. «Noi Voth lo sappiamo bene, perché eravamo tra loro. Quelle che vedete sono immagini d’epoca, raccolte dalle nostre astronavi. Battaglia dopo battaglia, distruggemmo ogni avamposto e colonia Vaadwaur, respingendo quelle serpi sempre più addentro nel loro spazio. Liberammo anche milioni di schiavi, catturati in tutta la Galassia. I Vaadwaur erano guerrieri astuti e crudeli, e i tunnel spaziali davano loro un grosso vantaggio; ma la nostra superiorità numerica e tecnologica prevalse. Cingemmo d’assedio il loro mondo natale e gli offrimmo l’ultima possibilità di arrendersi. Loro la rifiutarono stoltamente, cercando di liberarsi con una sortita. A quel punto la nostra reazione fu spietata».

   Il Voth mostrò altre scene di guerra. Stavolta si trattava di un bombardamento orbitale. Le città Vaadwaur erano devastate: i grattacieli crollavano, strade e ponti si sgretolavano. Persino la sabbia circostante si vetrificava per la violenza delle esplosioni.

   «Non andiamo fieri di quest’atto» disse Corythos a bassa voce. «Ma i membri dell’Alleanza erano esasperati contro i Vaadwaur e volevano farla finita. Così li bombardammo, finché tutte le città furono distrutte e il pianeta fu avvolto dalle nubi radioattive. Tutto ciò accadeva undici secoli fa. A quel punto, vinta la guerra, l’Alleanza si sciolse. Noi Voth tornammo al nostro spazio, mentre quelli che vivevano più vicini al mondo Vaadwaur si disputarono il controllo dei tunnel spaziali. In un batter d’occhio passarono da alleati a nemici» disse, scuotendo la testa rassegnato. «Non conosciamo i dettagli di quella guerra; probabilmente i condotti passarono più volte di mano. Alla fine prevalsero i Turei, che fortunatamente li usarono per commerciare, più che a scopi militari. Immagino che volessero evitare la sorte dei Vaadwaur, il cui pianeta devastato era sempre lì come monito. Ma la storia non finisce qui, purtroppo».

   Il Voth mostrò altre astronavi. Hod riconobbe gli incursori che li avevano attaccati ad Akaali. «Due secoli fa i Vaadwaur tornarono inaspettatamente sulla scena. A quanto pare molti di loro si erano ibernati in rifugi sotterranei del loro mondo. Avevano armi e navicelle, un intero battaglione. Altri ancora, ibernati su astronavi nascoste, furono risvegliati negli anni seguenti».

   Hod osservò l’Ammiraglio Chase e gli altri graduati. I Voth sembravano ignorare le responsabilità della Voyager nel risveglio dei Vaadwaur. La Flotta Stellare li avrebbe informati? I secondi passarono e nessuno degli ufficiali aprì bocca. Evidentemente non volevano indisporre i potenti ospiti. Rassegnata alla realpolitik, il Capitano tacque a sua volta, continuando ad ascoltare.

   «Forse vi chiederete come abbiano fatto i Vaadwaur a tornare così pericolosi, disponendo di poche forze, per giunta con tecnologie obsolete» disse Corythos. «Il fatto è che sono stati molto astuti. Dopo il primo scontro coi Turei si nascosero per anni, risvegliando altri dei loro. Poco alla volta si procurarono tecnologie moderne, aggiornando le loro navicelle e rubandone di nuove. A un certo punto s’impadronirono di parecchie astronavi Turei, credo dopo averne disattivati i computer con un virus informatico. Man mano che i Vaadwaur crescevano in numero e armamenti, i rapporti di forza coi Turei s’invertivano, finché i Vaadwaur hanno preso il sopravvento. Si sono impadroniti di gran parte della flotta Turei, costringendo i superstiti a fuggire. Hanno ripreso il controllo dei tunnel spaziali e sono tornati a far scorrerie in tutta la Galassia».

   Così dicendo il Voth si rivolse a Hod. «L’aggressione che avete subito è un perfetto esempio del loro modus operandi. È stato un attacco lampo, condotto mentre eravate vulnerabili. Lo scopo era saccheggiare, non distruggervi. La nave madre che vi ha attaccati era uno dei vascelli strappati ai Turei. Gli incursori più piccoli, invece, sono propriamente Vaadwaur. Classe Pythus, per l’esattezza. Negli ultimi decenni i Vaadwaur hanno costruito navi ben più grandi, come le classi Astika e Manasa» disse, mostrandone gli ologrammi. Erano vascelli slanciati, dagli scafi bruni e irti di armamenti.

   I federali si scambiarono sguardi preoccupati. Nel loro viaggio attraverso il Quadrante Delta, gli ufficiali della Voyager si erano costantemente adoperati per favorire la pace. Ma risvegliare i Vaadwaur era stato il loro errore più grave. Aveva scatenato nuove guerre, stravolgendo gli equilibri politici del Quadrante.

   «Permette una domanda?» fece Hod. «Credevo che i tunnel spaziali usati dai Vaadwaur fossero fissi, ma quello che abbiamo visto si è chiuso dietro l’ultimo incursore. Come lo spiega?».

   «Riteniamo che negli ultimi tempi i Vaadwaur abbiano imparato a spostare l’imboccatura dei tunnel, colpendoli da dentro con fasci di gravitoni» spiegò Corythos. «Questo li rende più pericolosi che mai. Prima molte parti della Galassia, prive di sbocchi, erano loro precluse; ora possono andare ovunque. Spostando l’imboccatura di un tunnel possono anche impedirci d’inseguirli, come avete visto nell’ultima battaglia. Perciò è difficilissimo stanarli».

   «A proposito di stanarli, come sono organizzati?» chiese l’Ammiraglio Chase. «Hanno rioccupato il loro pianeta e rifondato l’impero?».

   «Non proprio» rispose il Voth. «Il loro mondo natale è ancora un deserto radioattivo. Sanno che rioccuparlo ci darebbe un bersaglio e non vogliono che la storia si ripeta. Crediamo che la maggior parte dei Vaadwaur viva sparpagliato su mondi lontanissimi. Ma è probabile che i leader si nascondano nella rete di tunnel, dove sono imprendibili. Anche se trovassimo un’entrata e ci spedissimo una flotta, loro avrebbero sempre molteplici vie di fuga. Comunque qualche anno fa quelle serpi hanno proclamato ufficialmente la rinascita del loro governo, la Supremazia Vaadwaur. È un “impero a macchia di leopardo”, sparpagliato su regioni lontanissime e tenuto insieme solo dai tunnel spaziali. Penso che ormai i Vaadwaur abbiano raggiunto un certo benessere, ma come al solito non si accontentano. Continuano a saccheggiare gli altri popoli, colpendo sempre più lontano».

   «Hanno aggredito anche voi?» domandò l’Ammiraglio.

   «No» ammise Corythos. «Credo che ci temano ancora. Sapete, eravamo i membri più potenti dell’Alleanza che li sconfisse la prima volta. Quindi finora ci hanno accuratamente evitati. Stando così le cose, il mio governo non ha intrapreso azioni contro di loro. Lo farebbe solo se tornassero a colpirci. Fino ad allora dovremo tollerare la loro presenza nella Galassia» sbuffò.

   «Oltre ai Turei, quali sono le specie più colpite?» volle sapere Chase.

   «Beh, di sicuro i Krenim» rispose Corythos. «Anche loro appartenevano all’Alleanza, e furono tra quelli che insistettero per il bombardamento finale. Penso che i Vaadwaur abbiano ancora il dente avvelenato per questo. Ma voi cosa sapete dei Krenim?».

   «Abbastanza» disse l’Ammiraglio, assalito dai ricordi. «Trent’anni fa siamo stati in guerra contro di loro».

   «Davvero? Eppure siete molto lontani!» si stupì il Voth.

   «Ci avevano raggiunti con le catapulte subspaziali. È una lunga storia... fu un’altra specie a manipolarli, per indurli all’attacco» spiegò sinteticamente Chase. «A fine guerra i Krenim accettarono le nostre condizioni e tornarono nel loro spazio; in seguito abbiamo perso i contatti».

   «Uhm... allora dovete sapere che oggi i Krenim se la passano male» disse Corythos. «Il loro Impero era già in decadenza da secoli. Nell’ultimo trentennio le scorrerie Vaadwaur hanno aggravato la situazione. Oggi i Krenim controllano solo una frazione di quello che era uno dei più vasti imperi del Quadrante Delta. Hanno anche cambiato forma di governo: ora sono una repubblica».

   «Davvero?» s’interessò l’Ammiraglio. «Questa è una buona notizia».

   «Perché, spera di trattare con loro?» indovinò il Voth. «Non sarà semplice. Il loro governo è fragile; potrebbe crollare da un momento all’altro».

   Nella sala cadde il silenzio. Gli ufficiali riflettevano su quanto appreso, cercando di valutare l’impatto che il ritorno dei Vaadwaur aveva avuto sulle altre civiltà. Il bilancio era pesantissimo. In due secoli i Vaadwaur avevano rovesciato i Turei, una specie potente, e ne avevano danneggiate molte altre. Che avrebbero fatto ancora, se nessuno li avesse fermati?

   «Se temete per voi, non allarmatevi troppo» li confortò Corythos, notando le loro espressioni. «Per quanto il raggio d’azione dei Vaadwaur sia ampio, di solito restano nel Quadrante Delta. Stavolta sono andati più lontano, ma come risultato hanno perso una nave madre. D’ora in poi saranno più cauti. Passerà del tempo, prima che vi diano altre noie. E anche se tornassero a colpirvi, saranno tutt’al più scorrerie; non dovete temere un’invasione su larga scala».

   Ciò detto, il Voth spense gli ologrammi e indietreggiò di qualche passo. «Bene, con questo credo di aver assolto al mio dovere» disse. «Se non avete altre domande, vorrei tornare sulla mia nave».

   «Certamente, Colonnello. Grazie per aver condiviso queste informazioni» disse l’Ammiraglio Chase. Si alzò, imitato dagli altri ufficiali.

   «Non c’è di che. È un bene che sappiate chi sono i Vaadwaur; così sarete più preparati a difendervi» disse Corythos. Si sfiorò un minuscolo comunicatore integrato nella manica e subito fu teletrasportato sulla sua nave.

   «Fate in modo che queste informazioni siano messe a disposizione di tutto il personale della Flotta» ordinò Chase a un assistente. «Anche le forze di sicurezza locali devono essere informate. Il prossimo attacco non ci coglierà impreparati».

   La discussione tra gli ufficiali proseguì per qualche minuto, ma Hod notò che si parlava sempre di misure difensive. Nessuno accennava alla possibilità di andare sul campo. «D’altra parte che dovremmo fare? Dichiarare guerra ai Vaadwaur? Sterminarli come fece la vecchia Alleanza?» si chiese Hod. Ovviamente era improponibile. L’Unione non si comportava così, nemmeno contro i peggiori nemici. E qualunque spedizione in grande stile era inattuabile in un periodo così difficile, in cui la Flotta non riusciva ad assicurare l’ordine entro i confini. Eppure, guardando Chase, Hod ebbe ancora la sensazione che il vecchio Ammiraglio avesse in mente qualcosa.

 

   Qualche piano più in basso, Frola Gegen fu scortata da un inserviente presso una sala ologrammi. Era lì per rispondere a un invito, anche se non sapeva da parte di chi. Lasciato l’accompagnatore, la vecchia Voth varcò l’ingresso ad arco. Si trovò in una lussureggiante foresta pluviale. Era un ambiente acquitrinoso, tanto che dovette stare attenta a dove metteva i piedi. C’erano grandi stagni d’acqua verdastra, in cui marcivano gli alberi caduti. Insetti giganteschi svolazzavano qua e là: alcune libellule avevano un’apertura alare di settanta centimetri. Altri invertebrati di dimensioni abnormi strisciavano o zampettavano nel sottobosco. Anche gli alberi erano peculiari: per la maggior parte non avevano rami, ma solo tronchi alti e sottili, da cui si dipanavano foglie simili ad aghi. Non c’erano erbe né fiori, ma solo un fitto sottobosco di felci, licopodi ed equiseti.

   «C’è nessuno?» chiese Frola, guardandosi attorno. Un fruscio attirò la sua attenzione: qualcuno emergeva dall’intrico della vegetazione.

   «Felice di rivederla, signora Gegen» disse un uomo, venendole incontro. Indossava abiti civili, un po’ vintage. Era calvo sulla sommità del capo, ma i capelli rimanenti erano del tutto neri. Aveva sopracciglia spesse, occhi larghi e distanziati. Fissato al braccio portava un congegno argenteo e triangolare.

   «Noi... ci conosciamo?» chiese la Voth, esitante.

   «Ci siamo incontrati una sola volta, molto tempo fa» rispose l’uomo. «È comprensibile che non mi riconosca. Ma io non ho dimenticato l’entusiasmo nei suoi occhi, e in quelli di suo padre, quando vi mostrammo i vostri probabili antenati».

   Frola lo studiò a lungo, cercando di rammentare. Poi i suoi occhi si spalancarono. «Lei è il dottore della Voyager!» esclamò. «Ma come può essere qui? Voi Umani non...».

   «... non siamo così longevi? Vero; ma io non sono Umano» rivelò il dottore. «All’epoca non glielo dissi, ma ero il Medico Olografico d’Emergenza della Voyager. Dopo il ritorno a casa ho assunto il nome Joe».

   «E dopo tutto questo tempo è ancora in servizio?» si meravigliò la Voth.

   «Non proprio. Al termine della Guerra delle Anomalie ho lasciato il servizio attivo, anche se ho mantenuto l’opzione di rientro volontario. Quando ho sentito del vostro arrivo, ho desiderato rivederla. Suo padre era un grande scienziato; avrei voluto conoscerlo meglio».

   «Grazie, dottor... Joe. Non immagina cosa significhi per me trovarmi sulla Terra» disse Frola, commossa. «Immagino che tutti gli altri della Voyager...».

   «Ci hanno lasciati, sì» sospirò Joe, abbassando lo sguardo. Per un attimo sembrò più vecchio, sebbene il suo aspetto fosse lo stesso della prima attivazione, 219 anni prima. «Ma non cediamo alla tristezza. Il giorno sognato da suo padre si avvicina. In questo momento, scienziati Voth e federali lavorano fianco a fianco per confrontare il genoma delle specie terrestri con il vostro».

   «Sì, sto seguendo i loro progressi» annuì Frola. «Ma perché mi ha invitata qui? Che posto è questo?».

   «Questa è la Terra, com’era all’epoca in cui vissero gli ultimi antenati comuni di Umani e Voth» spiegò il dottore, ammirando la foresta primordiale. «Naturalmente parliamo di molto prima che i vostri avi lasciassero il pianeta. La simulazione olografica ci mostra la fine del periodo Carbonifero, 300 milioni di anni fa. Era l’era degli anfibi, come quello» disse, indicando una creatura verdastra che zampettava nell’acqua bassa di uno stagno. Somigliava a una salamandra, ma era lungo due metri. Aveva un cranio largo e piatto, con la bocca piena di denti aguzzi, e un dorso arcuato.

   «Eryops megacephalus, comunemente detto eriope» lo classificò Joe. «Con suo padre pensammo che fosse l’antenato comune Voth-Umani, ma poi ci siamo ricreduti. Ah, ecco un candidato più probabile» sorrise il dottore, indicando una lucertola che stava risalendo il tronco di un albero. Era sottile, quasi serpentina, e misurava una ventina di centimetri. «Hylonomus lyelli, uno dei più antichi rettili conosciuti. Probabilmente cacciava insetti».

   «Mmmhhh, quelli ci piacciono ancora» disse la Voth, leccandosi le labbra.

   «Di lì a poco i rettili si divisero in due gruppi» proseguì Joe. «Da un lato i sauropsidi, da cui discendono tutti i rettili terrestri attuali, nonché gli uccelli. Dall’altro i sinapsidi, da cui discendono i mammiferi. La sua gente è chiaramente sauropside, dato che discende dagli Hadrosauri, mentre gli Umani sono sinapsidi. Ma i 47 marcatori genetici comuni trovati da suo padre erano già tutti qui» disse, indicando la lucertola che si era fermata sul tronco.

   «È carina» sorrise Frola, prendendola delicatamente fra le mani. «Tutto il vostro mondo è bello. Mi chiedo perché i nostri avi l’abbiano lasciato in massa».

   «Forse il clima si era fatto avverso» ipotizzò il dottore. «Certo è strano che la vostra storia scritta abbia 20 milioni di anni, mentre sulla Terra non ci sono fossili di dinosauri posteriori alla grande estinzione di 65 milioni di anni fa».

   «Sì, questa lacuna è un grosso mistero» ammise Frola, dispiaciuta. «Lei ha qualche ipotesi?».

   «Forse i vostri avi furono trasferiti, quando erano ancora primitivi, da una specie ancor più antica» suggerì Joe. «Abbiamo prove che antichissimi Proto-Umanoidi compirono molti trasferimenti del genere, per preservare le specie più promettenti. Questo spiegherebbe anche perché vi hanno portato così lontano».

   «Incredibile» mormorò la Voth, riponendo la lucertola sull’albero. «Ogni volta che facciamo una scoperta, questa ci spalanca prospettive ancora più affascinanti».

   «È il bello della scienza» sorrise il dottore, mentre osservava l’Hylonomus che zampettava via.

   «Sì, ma ormai non sono più io a occuparmene» sospirò Frola. «Questo è un lavoro per giovani genetisti come Lambeos. Io sono qui solo per fare pubblicità all’iniziativa. Sono una specie di simbolo, credo. Per carità, ne sono lusingata. Ma alla mia età non ho più la memoria per svolgere questo lavoro» ammise malinconica. D’un tratto si riebbe e fissò Joe. «Lei invece è ancora sveglio come alla sua prima attivazione, dico bene?».

   «I miei engrammi mnemonici e le mie subroutine cognitive sono ancora regolari, sì» confermò il Medico Olografico.

   «Non le viene voglia di tornare nello spazio, come ai tempi della Voyager?» lo provocò la Voth.

   «A dire il vero, pensavo di averne visto abbastanza» rispose Joe. «Ma da quando siete arrivati, ammetto di provare una certa... inquietudine. Chissà, forse c’è ancora qualcosa che mi aspetta, lassù» disse, scrutando l’orizzonte. Il sole stava tramontando e le prime stelle sbocciavano in cielo. Anche se era tutta una simulazione olografica, il dottore si disse che le vere stelle erano là fuori, ad aspettarlo. Forse non era troppo tardi per raggiungerle.

 

   Per la seconda volta in due giorni, Hod fu convocata a una riunione tattica. Sì, c’era decisamente qualcosa di grosso che bolliva in pentola. Stavolta assieme a lei furono convocati gli ufficiali superiori della Keter. Incontrarono l’Ammiraglio Chase nella stessa sala tattica del giorno prima, all’ultimo piano del Quartier Generale di Flotta.

   «Benvenuti» li accolse l’Ammiraglio, scambiando un sorriso particolare con sua figlia Jaylah. Quando furono tutti seduti, riprese: «Se avete visionato le informazioni sui Vaadwaur, immaginerete perché siete qui. La Flotta è responsabile dei loro crimini, dato che furono i nostri ufficiali a risvegliarli; ma sono i popoli del Quadrante Delta a pagarne il prezzo. Questo è inaccettabile. Non possiamo più tenerci in disparte, come se la cosa non ci riguardasse».

   «Andremo nel Quadrante Delta?» chiese Ladya, trepidante. Anche se non era il motivo per cui aveva sperato di farlo, ogni occasione era buona per avvicinarsi al suo popolo.

   «Sì, i tempi sono maturi» confermò l’Ammiraglio. «Dovete sapere che c’era un mio vecchio progetto per tornare in grande stile in quel Quadrante. Vi presento la Delta Fleet» disse, materializzando alcuni ologrammi sopra il tavolo.

   Il Capitano e gli ufficiali sgranarono gli occhi. Davanti a loro galleggiava una flotta di dodici astronavi, tutte di ultimo modello. Al centro vi era una maestosa classe Universe, scortata da due massicce Juggernaut. Vi erano poi due Theseus, due Paladin e quattro Horus. L’ultima era una piccola nave scientifica di classe Nautilus. Insieme erano una forza formidabile.

   «L’idea era semplice» proseguì l’Ammiraglio. «Questa flotta doveva percorrere a ritroso la rotta della Voyager, per ricontattare i popoli più amichevoli del Quadrante. Il propulsore cronografico avrebbe permesso di oltrepassare le regioni di spazio più pericolose. In tal modo, nell’arco di tre anni, la Delta Fleet avrebbe traversato il Quadrante da un’estremità all’altra, fino al pianeta Ocampa, da cui la Voyager cominciò il viaggio. E col propulsore cronografico sarebbe rientrata in un lampo» aggiunse, schioccando le dita. «Dopotutto siamo già arrivati più lontano di così, con la missione ad Andromeda. Avere dodici navi avrebbe permesso, all’occorrenza, di dividere la flotta in gruppi più piccoli e specializzati, per fronteggiare ogni evenienza».

   «È un progetto straordinario» riconobbe Hod. «Ma da come parla, presumo che non sarà come previsto».

   «No, infatti» disse Chase con rimpianto. «Conoscete la situazione. La Flotta Stellare deve sorvegliare i confini, sperando che la crisi separatista non degeneri. In questo periodo è impensabile privarci di dodici astronavi». Così dicendo, l’Ammiraglio disattivò gli ologrammi. Per un attimo fissò cupamente la superficie del tavolo tattico. Poi alzò lo sguardo sugli ufficiali della Keter.

   «Come ho detto ieri al Capitano Hod, ho seguito attentamente le vostre imprese. Lasciate che ve lo dica: da quando è stata varata, la Keter è la nave che ha fatto di più per l’Unione. Vi siete sobbarcati le missioni più difficili e le avete portate a termine con successo. Ecco perché ora devo chiedervi molto» disse con voce grave. «Vi chiedo di fare, da soli, ciò di cui la Delta Fleet doveva occuparsi. Andate nel Quadrante Delta, ripercorrete la rotta della Voyager! Contattate le civiltà più amichevoli e verificate le informazioni sui Vaadwaur».

   Un brivido corse fra gli ufficiali della Keter. Era la missione più lunga che avessero mai ricevuto. Il Capitano Hod stava per fare una domanda, ma l’Ammiraglio la prevenne. «Ovviamente non posso chiedervi di fare tutto ciò che era in programma con la Delta Fleet» spiegò. «I compiti di cartografia stellare saranno ridotti al minimo. I popoli meno rilevanti saranno oltrepassati senza cercare il contatto. La durata della missione sarà ridotta a sei mesi, massimo un anno. È un salto nel buio... ma siete l’equipaggio più indicato per affrontare il Quadrante Delta, considerato che due di voi appartengono a specie del luogo» aggiunse, accennando a Norrin e Ladya.

   «Ehm, veramente non siamo mai stati laggiù» puntualizzò l’Hirogeno, che a differenza della Vidiiana non era ansioso di partire. «Io e la dottoressa siamo nati nello spazio federale. Sul Quadrante Delta conosciamo solo vecchie storie».

   «Ne sono consapevole, ma spero che potrete comunque facilitare i contatti coi vostri popoli» disse l’Ammiraglio, sfiorandosi la corta barba. «Tuttavia non siete costretti a venire. Data la notevole durata della missione, tutti gli ufficiali – voi compresi – possono chiedere il trasferimento su un’altra nave. Badate solo che il trasferimento è definitivo: non potrete tornare sulla Keter».

   «Io resto» disse Ladya con decisione. «È l’occasione che ho sempre aspettato».

   «Bene. Norrin?» chiese l’Ammiraglio.

   L’Hirogeno guardò Ladya. Le voleva troppo bene per lasciarla andare nel pericolo, anche se lei aveva sempre respinto garbatamente le sue avances. E in ogni caso, non avrebbe abbandonato i colleghi della Keter. «Verrò anch’io» disse, sia pure senza l’entusiasmo della dottoressa.

   «Ottimo» disse Chase, pur notando il diverso atteggiamento dei due. Poi si rivolse a Jaylah: «Voi Agenti Temporali resterete a bordo. La Voyager incontrò parecchie anomalie del tempo, quindi vi voglio pronti a ogni evenienza».

   «Lo saremo, Ammiraglio» rispose Jaylah. Pur essendo sua figlia, sul lavoro lo chiamava sempre con il suo grado. Non gli aveva mai chiesto favori, né lui gliene aveva dati. Solo quand’erano fuori servizio lasciavano trapelare l’affetto.

   «Signore, c’è un aspetto che vorrei chiarire» disse Hod, inquieta. «Ha detto che il nostro obiettivo primario sarà verificare la situazione dei Vaadwaur. Come dobbiamo comportarci, se li incontreremo?».

   «Questo è il punto» sospirò Chase. «Lo Stato Maggiore è concorde. Siete autorizzati a trattare con loro per una tregua, che ci risparmi altri attacchi. Ma se rifiuteranno, com’è probabile, allora potete agire a vostra discrezione, anche con azioni di forza. Ovviamente non possiamo chiedervi di scatenare una guerra da soli. Ma se si presentasse l’occasione, colpite le loro infrastrutture militari. Aiutate le altre specie a difendersi, esortatele a unirsi contro la minaccia. Insomma, fate tutto il possibile per ostacolare l’ascesa dei Vaadwaur».

   Il Capitano Hod deglutì: era una missione davvero ardua e dai contorni vaghi. In pratica una volta sul posto avrebbe dovuto improvvisare, senza poter contare sull’aiuto della Flotta. «Ricevuto, signore» disse. «Se non fosse possibile mettere a segno colpi rilevanti...?».

   «In quel caso proseguite fino a Vidiia e poi tornate indietro» rispose l’Ammiraglio. «La missione potrà comunque dirsi un successo, se ricontatterete i popoli del Quadrante. Lo so, è un compito vago, anche perché ormai molte cose saranno cambiate» aggiunse comprensivo. «Ma non sarete del tutto soli. Avrete un passeggero d’eccezione: uno che è già stato nel Quadrante Delta e sa come affrontarlo».

   Così dicendo, l’Ammiraglio premette un comando sul tavolo. L’ingresso della sala tattica si aprì e un ufficiale vi si stagliò. Indossava l’uniforme nero-blu della Sezione Medica; l’Emettitore Autonomo gli scintillava al braccio.

   «Precisare la natura dell’emergenza medica» sorrise il dottor Joe, entrando in sala.

 

   Gli ufficiali della Keter osservarono il nuovo arrivato mentre si avvicinava. Unico MOE di tipo 1 ancora attivo, il dottore era una leggenda vivente. Le sue imprese sulla Voyager erano note al grande pubblico, grazie alla circolazione della sua autobiografia e degli olo-romanzi ispirati al viaggio. Certo, era difficile distinguere le notizie attendibili dagli aspetti più romanzati.

   «Felicissima di conoscerla, dottor Joe» disse Ladya, avvicinandosi per prima. «Ho letto i suoi trattati di fisiologia sulle specie del Quadrante Delta. E ho visto tutti i suoi olo-romanzi! Il mio preferito resterà sempre il primo: Fotoni, siate liberi!» rivelò, stringendogli calorosamente la mano.

   «Ehm, grazie» fece il dottore, un po’ imbarazzato da quell’ammirazione sfegatata. In realtà avrebbe tanto voluto cancellare quel romanzo da tutti i database federali: non rendeva giustizia ai suoi colleghi della Voyager.

   «La sua esperienza coi Vaadwaur sarà preziosa, nella missione che vi attende» disse l’Ammiraglio.

   «Uhm, sì» mormorò Joe, facendosi serissimo. «Fui io a visitare i primi Vaadwaur risvegliati dall’ibernazione. Ricordo bene come andarono le cose. Pensavamo di compiere una buona azione, aiutando un pugno di superstiti a trovare una nuova patria dove ricominciare. Non immaginavamo che fossero così aggressivi».

   «Inutile recriminare» lo confortò Hod. «Sarà la prima volta che torna nel Quadrante Delta, vero?».

   «Esatto» confermò il dottore. «Posso dirle che troverete meraviglie – e pericoli – oltre ogni immaginazione. Ricordate che è il luogo nativo dei Borg».

   «Già, i Borg» disse Chase, corrucciato. «Dopo le grandi sconfitte che hanno subito due secoli fa, non ci hanno più attaccati. Ma durante la Guerra delle Anomalie i Krenim ci dissero che sono ancora là fuori, anche se hanno smesso di assimilare».

   «E lei gli crede?» domandò Hod.

   «Me lo disse l’Ammiraglio Hortis» ricordò Chase. «Tra gli avversari che ebbi in quel conflitto, lui fu l’unico onorevole. Credo che abbia detto il vero. Ma da allora le cose potrebbero essere cambiate. Quindi tenete gli occhi aperti anche per i Borg. Cercate informazioni, ma evitate gli scontri. Il vostro obiettivo restano i Vaadwaur».

   «Intesi» disse il Capitano Hod, celando la preoccupazione. Anche con la consulenza del dottor Joe, sarebbe stata una missione ardua.

 

   «... mi raccomando, faccia come a casa sua!» disse Ladya per la decima volta. Appena Joe era salito sulla Keter, la Vidiiana gli aveva mostrato l’infermeria, presentandogli il personale. La visita si era ben presto trasformata in un Grand Tour: Ladya mostrava tutto, spiegava tutto, cercando di far buona impressione sull’ospite. Finito il giro dell’infermeria principale, erano passati a quella secondaria e poi alla terziaria.

   «Lo so, è piccola e ci sono pochi posti letto» disse Ladya, come per scusarsi. «Pensi che durante l’ultima crisi ho dovuto sistemare alcuni feriti in mensa e in una stiva».

   «Dottoressa, la sua infermeria terziaria è più grande dell’unica infermeria che avevo io sulla Voyager» disse il dottore, laconico.

   «Oh, già» fece la Vidiiana, impressionata. «A volte dimentico in che condizioni ha dovuto lavorare. Tornando alle procedure di contenimento, ho seguito le sue disposizioni contro le epidemie macro-virali. Il personale sa sintetizzare il medicinale ed è pronto a diffonderlo dall’impianto di aerazione. Abbiamo anche approntato phaser e schiacciamosche, se dovessero arrivarci i virus più grossi».

   «Ben fatto» commentò Joe. C’era una strana malinconia in lui. Ogni tanto guardava di sottecchi la dottoressa, ma questo sembrava solo accrescere la sua tristezza.

   Accorgendosi che l’umore del suo ospite peggiorava, Ladya cambiò argomento. «Ha già visto il suo alloggio?».

   «Eh? Sì, sì» fece distrattamente il dottore, scorrendo una serie di procedure sul d-pad.

   «Lo so, gli alloggi della Keter sono piccoli e claustrofobici. Non è certo una classe Universe!» ridacchiò la dottoressa.

   «Il mio alloggio va benissimo, grazie. Pensi che non ce l’avevo, sulla Voyager. Passavo quasi tutto il mio tempo in infermeria» ricordò l’MOE. Essendo un ologramma, non aveva bisogno di dormire o curare il suo aspetto. Dopo gli anni della Voyager però aveva sempre richiesto un alloggio, per trascorrervi il tempo libero, coltivando i suoi interessi.

   «Continuo a dimenticare la sua abnegazione!» trillò Ladya. «Sapesse che significa per noi averla qui. A proposito, vorrebbe dare un’occhiata alle procedure anti-Borg? La sua esperienza è inestimabile per minimizzare i rischi».

   «Lo farò volentieri» disse Joe, posando il d-pad per concentrarsi su di lei. «Ma non pensi che, solo perché sono stato nel Quadrante Delta, sia infallibile. Ho fatto degli errori... dei grossi errori, a quel tempo» sospirò. «Se avremo emergenze mediche, il personale guarderà a lei per risolverle. Io sono qui come consulente, ma lei è il Medico Capo».

   «Certo... terrò in gran conto i suoi consigli, ma mi prenderò la responsabilità delle scelte» annuì la Vidiiana, facendosi seria. «Dottore, posso chiederle perché ha quello sguardo? Quando mi fissa, è come se qualcosa in me le dispiacesse».

   «Non c’è nulla in lei che mi dispiaccia» assicurò Joe. «È solo che somiglia molto a una persona che conobbi nel Quadrante Delta. Un’altra Vidiiana».

   «Danara Pel?» mormorò Ladya.

   Il dottore annuì e distolse lo sguardo. «Quando la incontrai, aveva la Phagia in stadio avanzato. Avrei voluto curarla... ma riuscii solo a darle un po’ più di tempo». Dal suo tono era chiaro che il loro rapporto non era stato puramente professionale.

   «Mi spiace» disse Ladya, colpita da quella confessione. «Ma ora la Phagia non c’è più. E può darsi che la nostra rotta ci porti fino a Vidiia. In quel caso conosceremo la mia gente».

   «Desidera molto incontrare i suoi simili, vero?» chiese Joe.

   «Più di ogni altra cosa» confermò la Vidiiana.

   «Beh, spero... che ci riesca» disse il dottore. Stava per dire: «Spero che non resti delusa», ma non volle minare il suo entusiasmo.

 

   Tre giorni dopo, ultimati i preparativi, la Keter lasciò l’orbita terrestre. La nave Voth invece rimase, perché gli scienziati non avevano ancora terminato le analisi. A quelli della Keter dispiacque, perché avrebbero voluto conoscere la verità, prima di partire per una missione così lunga e complicata. Ma non c’era nulla da fare: i Voth erano lenti e metodici, a maggior ragione in una ricerca che avrebbe influito così profondamente sulla loro società. Gli ufficiali della Keter si consolarono pensando che al ritorno avrebbero finalmente saputo il verdetto.

   «Controlli finali ultimati, propulsione in piena efficienza» disse Vrel. Si era deciso di partire a velocità di cavitazione, per ultimare la revisione delle procedure di sicurezza. Giunta ai confini dello spazio federale, la Keter sarebbe balzata in avanti con il propulsore cronografico, raggiungendo i margini del Quadrante Delta. Lì si trovava la nebulosa col fulcro di transcurvatura Borg che aveva permesso alla Voyager di tornare a casa. «Siamo pronti, Capitano» disse il timoniere, impaziente.

   «Aspetti» lo frenò Hod. Toccò un comando sul bracciolo, mettendosi in comunicazione con tutti i ponti. «Capitano a equipaggio. Fra pochi momenti partiremo per il Quadrante Delta. Siete tutti informati della missione che ci aspetta: ripercorrere la rotta della Voyager, contattare popoli lontani e probabilmente affrontare i Vaadwaur. È un compito impegnativo, che ci coglie in un momento difficile per l’Unione. Ma è la vera essenza della Flotta Stellare. Lo facciamo perché è difficile, perché ci sono delle incognite. Come le molte Enterprise succedutesi al servizio della Flotta, arriveremo là dove nessuno è mai giunto prima. E come la Voyager, troveremo poi la via di casa. Non c’è altro equipaggio che vorrei in questa missione. E ora, signor Shil... ci porti là».

   «Sì, Capitano» disse il timoniere, fissando le stelle e l’ignoto. Attivò la cavitazione quantica. Il deflettore brillò, proiettando il condotto, e l’astronave vi guizzò dentro. Il Quadrante Delta l’attendeva, con le sue meraviglie e le sue insidie.

 

   
 
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