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Autore: Parmandil    08/05/2020    1 recensioni
Abolita la Prima Direttiva per ragioni umanitarie, l’Unione Galattica è sprofondata nel caos. Le civiltà precurvatura abusano delle tecnologie loro donate e un terzo dei sistemi federali è pronto alla secessione, concretando il rischio di una guerra civile.
Dopo un violento attacco alieno, la Keter si reca nel Quadrante Delta, ripercorrendo la rotta della Voyager in cerca di riposte. Qui troverà vecchie conoscenze, come i Krenim e i Vidiiani, che si apprestano a colpire un nemico comune, incautamente risvegliato dalla Voyager secoli prima. I nostri eroi dovranno scegliere con chi schierarsi, in una battaglia che deciderà le sorti del Quadrante. Ma la sfida più ardua tocca a Ladya Mol, già tentata di lasciare la Flotta per riunirsi al suo popolo. Dopo una tragica rivelazione, la dottoressa dovrà lottare contro un morbo spaventoso; la sua dedizione potrebbe richiederle l’estremo sacrificio.
Nel frattempo i Voth, un’antica specie di sauri tecnologicamente evoluti, sono giunti sulla Terra per stabilire una volta per tutte se questo sia il loro mondo d’origine. Sperando d’ingraziarseli, le autorità federali li accolgono in amicizia, senza riflettere sulle conseguenze del ritorno dei “primi, veri terrestri” sul pianeta Terra.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 4: Quadrante Delta

 

   «Diario del Medico Capo, data stellare 2590.150. Oggi termina il terzo mese della nostra permanenza nel Quadrante Delta, per cui vorrei fare il punto della situazione». La dottoressa, che si trovava nel suo ufficio, sedette più comoda sulla poltroncina e riprese a dettare.

   «Abbiamo percorso a ritroso la rotta della Voyager, come da programma. Il balzo col propulsore cronografico ci ha portati alla nebulosa in cui si trovava il fulcro di transcurvatura Borg. Le sonde ci hanno mostrato che ora là dentro ci sono solo rottami. Se i Borg hanno ricostruito il fulcro, l’hanno fatto altrove. Finora non abbiamo rilevato alcun loro vascello; ma io non mi sento sicura, per cui faccio esercitazioni col personale. Ci addestriamo a respingere i Borg, agendo direttamente sulle nanosonde. Con l’aiuto degli ingegneri abbiamo predisposto dei generatori di raggi Omicron, capaci di distruggere i naniti. Questo dovrebbe proteggere l’equipaggio, almeno durante le prime fasi dell’assimilazione. Ma non credo che basterebbe a disconnettere i droni veri e propri dalla Collettività.

   Una delle prime tappe è stata Nuova Talax. Sì, è un nome enfatico per un piccolo asteroide senza atmosfera. I Talaxiani, poveretti, devono vivere al suo interno. È qui che l’ambasciatore Neelix si stabilì, dopo l’addio alla Voyager. I Talaxiani si sono dimostrati amichevoli. Hanno accettato i nostri rifornimenti e in cambio ci hanno dato informazioni sulla loro zona, anche se non essendo viaggiatori conoscono solo le immediate vicinanze. Ricordano ancora Neelix, che nell’ultima parte della vita fu il loro leader, e in effetti nella colonia vivono parecchi suoi discendenti. I piccoli Talaxiani sono dolcissimi, mi spiace aver trascorso così poco tempo laggiù.

   Nelle settimane seguenti abbiamo incontrato molti popoli del Quadrante. Ledosiani, Quarren, Nygeani, Lokirrim, Dinaali, Brunali... sono così tanti che comincio a confonderli. Pochi di loro conservano memoria storica della Voyager; in fondo si trattò di un’unica nave, passata oltre due secoli fa. Chissà per quanto ricorderanno noi. Durante gli sbarchi abbiamo lavorato come matti per proteggere l’equipaggio dai rischi biologici. Per fortuna su Dinaal c’è un’efficiente rete ospedaliera, che ci ha trasmesso dati aggiornati sulle malattie del settore. Il dottor Joe però non era contento di stare lì; credo abbia avuto cattive esperienze ai tempi della Voyager.

   Per quanto riguarda la nostra missione principale, non abbiamo ancora trovato i Vaadwaur. Però abbiamo sentito parecchie storie sul loro conto. La situazione è ancora peggiore del previsto: praticamente non c’è popolo che non sia stato attaccato. Molti hanno cercato di reagire, ma i Vaadwaur fuggono sempre nei loro tunnel, che poi si chiudono dietro, per cui non c’è modo di stanarli. Non so cosa pensi di fare il Capitano, quando li troveremo.

   Ora siamo in rotta verso Norcadia, un pianeta cosmopolita, dove ci aspettiamo di trovare altre informazioni. La tappa successiva sarà il mondo natale dei Vaadwaur. Anche se dovrebbe essere abbandonato, è probabile che gli ex inquilini lo tengano d’occhio. E lì vicino dovrebbe esserci un ingresso alla Rete Subspaziale, sempre che i Vaadwaur non lo abbiano spostato. Sicché, fra non molto li incontreremo. Il dottor Joe continua a ripeterci di stare pronti; sembra molto preoccupato. E Norrin... beh, non ci parliamo molto, ultimamente. Ma ormai so interpretare anche i suoi silenzi: è preoccupato pure lui. Io però non voglio perdermi d’animo. Abbiamo già risolto tante missioni; risolveremo anche questa. E ogni secondo che passa, Vidiia si avvicina di qualche miliardo di chilometri...».

   «Capitano a equipaggio, v’informo che stiamo per uscire dalla cavitazione, per analizzare un sistema stellare in formazione. Dopo di che riprenderemo la rotta per Norcadia, che raggiungeremo fra 24 ore. Raccomando a tutti coloro che sbarcheranno d’informarsi su leggi e usanze locali. Grazie a tutti e buona continuazione».

   Interrotta dall’annuncio, Ladya attivò l’oloschermo della scrivania e cancellò le ultime righe di registrazione, per riprendere da dove si era fermata. «Credo che la cosa migliore sia procedere un passo alla volta. Per adesso ci prepariamo a scendere su Norcadia, poi si vedrà. Computer, fine registrazione».

   Dato che ormai aveva lo schermo acceso, Ladya seguì il consiglio del Capitano e s’informò sul pianeta. Oltre agli archivi della Voyager poteva consultare anche le informazioni, ben più aggiornate, avute dai mondi vicini. Norcadia sembrava un luogo accogliente, anche se c’erano alcune raccomandazioni. La dottoressa era ancora immersa nella lettura quando il dottor Joe si presentò al suo ufficio.

   «I rapporti dell’ultima esercitazione anti-Borg» disse, consegnandole un d-pad. «Come vede il punteggio è buono, anche se i tempi di reazione di Orlon sono sempre un po’ deludenti».

   «Orlon è un Teenaxi... è così piccolo che fatica ad arrivare ai comandi» lo giustificò Ladya.

   «Sarebbe il caso di affiancargli un collega più alto» suggerì il dottore.

   «Lo farò» promise la Vidiiana. I due medici discussero ancora per qualche minuto dei dettagli. Poi Joe notò il testo sull’oloschermo. «Pensa di sbarcare su Norcadia?» chiese.

   «Non lo escludo. Sarebbe la prima licenza, da quando siamo in missione» rispose Ladya.

   «Stia attenta. Noi della Voyager avemmo qualche problema, lì» avvertì il dottore. «In particolare stia alla larga dalle arene di Tsunkatse. È uno sport barbaro; alcuni incontri sono all’ultimo sangue».

   «Che orrore!» rabbrividì Ladya. «Penso che resterò a bordo».

   «Potrebbe farsi accompagnare» suggerì l’MOE. «Se ha qualche amico che vuol sbarcare, andate in gruppo».

   «Beh, c’è uno con cui mi piacerebbe scendere» ammise la dottoressa, tentata. «Ma non so se gli andrebbe».

   «Perché non glielo chiede? Il suo turno è finito» notò Joe. «Se anche il suo amico è dello stesso turno, magari lo becca in mensa» suggerì.

   Ladya esitò. Per quanto gradisse i consigli del collega in tutto ciò che riguardava il lavoro, era una persona molto riservata nelle faccende personali. L’idea che l’MOE sapesse – o sospettasse – a chi stava pensando la imbarazzava. Perciò spense l’oloschermo e si alzò. «A domani» disse, lasciando in fretta l’infermeria.

 

   La mensa era affollata, a quell’ora, dato che il turno Alfa era finito da poco. Ladya cercò Norrin con lo sguardo e lo trovò seduto al solito tavolino. L’Hirogeno stava mangiando bistecche, come richiesto dalla sua fisiologia di carnivoro. Era seduto in modo da voltare le spalle all’oloschermo parietale su cui campeggiava la protostella che si erano fermati a osservare. La dottoressa andò a uno dei replicatori e ordinò il pranzo; poi passò “casualmente” accanto a Norrin. «Ciao... quanta gente, eh? Posso sedermi?» chiese.

   «Certo, accomodati» l’accolse lui.

   Ladya sedette sull’altro lato del tavolino, per ammirare il sistema stellare in formazione. La protostella era appena visibile, in mezzo alle polveri, ma nel disco circostante si notavano già gli aggregati che un giorno sarebbero stati pianeti. «È stupendo, vero?» commentò la Vidiiana.

   «Uh?» fece Norrin, che sembrava più concentrato sul cibo.

   «Il panorama! Lo stanno guardando tutti» disse Ladya con una punta di rimprovero.

   «Vengo adesso dalla plancia; l’ho avuto sotto gli occhi per un’ora» spiegò l’Ufficiale Tattico.

   «Io non mi stancherei mai di ammirarlo. Ci pensi che un giorno quei grumi di roccia e polveri saranno pianeti? Che magari, su uno di quei mondi, qualcuno alzerà gli occhi alle stelle e si chiederà: “Chi sono io? Da dove vengo?”» insisté la dottoressa con voce sognante.

   «Sono solo ciottoli che girano nello spazio. Non avremmo neanche dovuto fermarci» fece Norrin con un’alzata di spalle.

   «Certo che sei un bel soggetto! Siamo in un Quadrante semisconosciuto, che probabilmente non visiteremo mai più... un Quadrante che ci mostra una meraviglia dopo l’altra... e tu gli dai le spalle!» protestò Ladya. Il disinteresse di Norrin le faceva temere che non sarebbe sceso affatto su Norcadia.

   «Che vuoi che ti dica? Le protostelle si somigliano tutte».

   «Ma io non parlavo delle protostelle... parlavo dei popoli che abbiamo incontrato in questi mesi» spiegò la Vidiiana, esasperata. «Magari fra poco incontreremo anche i tuoi simili».

   «Spero di no» disse Norrin, dedicandole finalmente tutta la sua attenzione. «I miei simili sono cacciatori che considerano le altre specie nient’altro che prede. Le uccidono, le eviscerano e scelgono i pezzi più belli per adornare le loro astronavi. Il fatto che io sia qui non ci mette al riparo».

   «Ma... sono tutti così?» chiese Ladya, inquietata da quello sfogo. «Insomma, avrete pure dei pianeti, con gente che fa lavori normali».

   «Abbiamo delle colonie» confermò l’Hirogeno. «Le donne e i tecnici vivono lì, ma non sono tenuti in gran conto dai Cacciatori. Vedi, la nostra società non è delle più egualitarie. Quindi se incontrassimo dei Cacciatori, e saltasse fuori che io non faccio il loro mestiere, disprezzerebbero anche me. Ora capisci perché, a differenza tua, non sono ansioso d’incontrare i miei simili».

   «Non vorresti vedere nemmeno il vostro pianeta d’origine? Sia pure da lontano?» insisté la dottoressa.

   «Non saprei dove cercarlo» spiegò Norrin, fatalista. «Noi Hirogeni siamo nomadi da centomila anni. Abbiamo dimenticato quale sia il nostro mondo natale. Non sappiamo nemmeno se sia ancora là fuori, da qualche parte, o se sia stato distrutto da una cometa vagante» concluse, indicando lo spazio alle sue spalle.

   Ladya sbarrò gli occhi; sul suo volto comparve una smorfia d’inesprimibile orrore.

   «Ehi, non te la prendere» disse Norrin, sorpreso da quella reazione. «Non siamo gli unici nomadi della Galassia. È una cosa a cui ci si abitua».

   «No, non capisci... guarda!» sussurrò la dottoressa, battendogli sul braccio, mentre con l’altra mano indicava qualcosa alle sue spalle. Il suo viso, fino ad allora illuminato dalla protostella, fu oscurato da un’ombra. Dietro di lei, tutti i presenti smisero di mangiare e si zittirono di colpo. Fissarono l’oloschermo, con la stessa espressione d’angoscia e d’orrore.

   Norrin si girò lentamente, pronto al peggio. E lo vide. Era un colossale vascello nerastro, venato di verde. Si avvicinava a gran velocità, incurante degli asteroidi che impattavano contro gli scudi. La sua forma era perfettamente cubica.

 

   Le luci si abbassarono e divennero più rossastre, mentre partiva la sirena dell’allarme. Tutti abbandonarono i propri tavoli con i pasti a metà. Molte sedie e persino alcuni tavolini furono rovesciati; nessuno perse tempo a rialzarli.

   «Equipaggio ai posti di combattimento. Abbiamo intercettato i Borg» avvertì il Capitano dagli altoparlanti.

   Norrin si accostò a Ladya, prima che il dovere lo chiamasse in plancia. «Tieni pronte le tue squadre. Vi mando qualcuno della Sicurezza» promise, e corse via.

   La dottoressa diede un’ultima occhiata al cubo Borg, sempre più vicino, e corse a sua volta. Si augurò che le esercitazioni fossero servite a qualcosa.

 

   Giunto in plancia, Norrin rilevò la sua postazione dal collega del turno Beta. Il Capitano e gli altri ufficiali superiori presero posto nello stesso momento. «Scudi alzati, armi in linea» disse l’Hirogeno. «Sono pronto a lanciare i siluri transfasici».

   «Aspetti!» ordinò Hod. Sapeva che in passato quei siluri, che generavano una potente esplosione subspaziale, si erano dimostrati efficacissimi contro i Borg. Avevano permesso alla Voyager di distruggere il fulcro di transcurvatura e parecchi vascelli. Un singolo siluro transfasico era capace di distruggere un intero Cubo. Ma questo era avvenuto molto tempo prima. Ormai era quasi certo che la Collettività avesse trovato il modo di adattarsi, come faceva per tutte le armi.

   «Plancia a sala macchine. Preparate il propulsore cronografico al balzo» ordinò il Capitano. Quella era l’unica via di fuga affidabile, se i siluri avessero fatto cilecca. Nessuno era mai riuscito a seguire una nave che si traslava con quel dispositivo.

   Il Cubo si era fermato a un centinaio di km dalla Keter e manteneva la posizione. Anziché presentare il groviglio di travature e condotti delle vecchie navi Borg, il suo scafo era rivestito da una corazza uniforme. «Avete visto? Hanno imparato a farli lisci» ironizzò Vrel. In quella il Cubo emise un raggio verde da uno degli angoli. Era un raggio diffuso, che colpì tutta la Keter, riverberando sugli scudi.

   «Non è un attacco, ci stanno sondando» disse Zafreen, con voce tremante.

   «Tipico dei Borg» ricordò Radek. «Prima esaminano, poi assimilano. Stia pronto, Norrin. Esamini il Cubo e cerchi di capire se c’è un punto vulnerabile».

   «Non c’è» disse Jaylah, anche lei in plancia per coadiuvare gli ufficiali tattici. «I vascelli Borg sono così ridondanti che non vi sono punti deboli sul loro scafo. Questo somiglia al Cubo Tattico incontrato dalla Voyager nel 2377, durante la ribellione dell’Unimatrice Zero» riconobbe.

   «Magari è dei droni ribelli» ipotizzò Vrel, con un filo di speranza.

   «Ci avrebbero già chiama... ah!» gridò Jaylah, portandosi una mano alla tempia.

   «Che succede?!» si allarmò il Capitano.

   «Percepisco qualcosa... migliaia di menti, ma una sola volontà» rabbrividì la mezza Andoriana. Si piegò in avanti, con gli occhi chiusi. Quando li riaprì, il Cubo le apparve ancor più incombente. «Non sono i ribelli; è l’Alveare» mormorò. In quella il raggio verde si disattivò; il Cubo aveva smesso di analizzarli.

   «Ci stanno chiamando. Solo audio» disse Zafreen.

   «Apra un canale» ordinò il Capitano. Sapeva che parole aspettarsi: le avevano udite innumerevoli popoli, prima della rovina.

   «NOI SIAMO I BORG» disse una voce tonante, formata da innumerevoli singole voci.

   «So bene chi siete, come agite, e vi avverto che non riuscirete ad assimilarci» ribatté l’Elaysiana, fissando cupamente il Cubo.

   «NOI NON VOGLIAMO ASSIMILARVI» risposero inaspettatamente Borg.

   «No? Questa è nuova» mormorò Vrel.

   «Elaborate» disse invece Hod, corrugando appena la fronte.

   «L’ASSIMILAZIONE FORZATA GENERA RESISTENZA. LA RESISTENZA GENERA DISORDINE. IL DISORDINE È UN OSTACOLO ALLA PERFEZIONE» dissero i Borg. «PER QUESTO MOTIVO LA COLLETTIVITÀ HA CESSATO DI ASSIMILARE FORZATAMENTE. LA PERFEZIONE SARÀ RAGGIUNTA MEDIANTE LA SPERIMENTAZIONE TECNOLOGICA».

   «Quindi... cosa vi porta da noi?» chiese Hod. Non credeva ai Borg, ma voleva comunque vedere come si sarebbero giustificati.

   «SIAMO IN MISSIONE ESPLORATIVA. LA VOSTRA ASTRONAVE È RILEVANTE» rispose la voce di tuono dei Borg. «VI OFFRIAMO LA POSSIBILITÀ DI AVVICINARVI ALLA PERFEZIONE, ENTRANDO VOLONTARIAMENTE A FAR PARTE DELLA COLLETTIVITÀ. SE RIFIUTERETE, POTRETE PROSEGUIRE».

   Il Capitano scambiò un’occhiata incredula con il Comandante. Poi segnalò a Zafreen di togliere l’audio in uscita, affinché i Borg non li sentissero. «Questa è nuova. Si aspettano che gli crediamo?» borbottò.

   «Provi a scoprire il loro bluff» suggerì Radek.

   Il Capitano si rivolse a Jaylah, che continuava a fissare il Cubo. «Tenente, riesce a percepire le loro intenzioni?» domandò.

   La mezza Andoriana esitò. I geni Aenar ereditati da sua madre le davano notevoli facoltà telepatiche, ma aveva dei limiti. «Non sono in grado di risponderle» disse lentamente. «La loro mente è così forte che la sento da qui... ma è come un tuono lontano, non riesco a cogliere i pensieri. Non so che intenzioni abbiano; ma personalmente non mi fido».

   «Beh, suppongo che nessuno di voi voglia farsi assimilare; quindi declinerò l’offerta» ironizzò il Capitano, osservando i suoi ufficiali. «Norrin, stia pronto coi siluri transfasici. Sala macchine: pronti al balzo». Detto questo, segnalò a Zafreen di riattivare l’audio.

   «Per quanto lusingati dalla vostra proposta, dobbiamo declinarla» disse Hod in tono fatalista. «La perfezione non fa per noi... anzi, siamo così indisciplinati che vi porteremmo solo caos. Quindi riprenderemo la nostra rotta».

   «AVETE PERSO UNA GRANDE OPPORTUNITÀ. NON CE NE SARANNO ALTRE» avvertirono i Borg.

   «Ce ne faremo una ragione» disse Hod. «Addio e buon... perfezionamento».

   «ADDIO» dissero i Borg. L’attimo dopo il Cubo girò sul suo asse e schizzò a transcurvatura.

   «È successo davvero o me lo sono sognato?» fece Vrel, sfregandosi gli occhi.

   «Se non è stato un sogno collettivo, è successo» disse Jaylah, che gli stava accanto. «Ma questi Borg in versione “figli dei fiori” non mi convincono. Ricordate che in passato hanno quasi messo in ginocchio la Federazione» disse, rivolgendosi agli altri ufficiali.

   «Non può darsi che abbiano davvero cambiato atteggiamento?» suggerì Zafreen, speranzosa. «In fondo è quel che ci dissero i Krenim. E nessuno dei popoli che abbiamo incontrato finora ha subito attacchi da un secolo».

   «Che i Borg abbiano cambiato atteggiamento è evidente» disse Radek, osservando lo schermo su cui campeggiava di nuovo la protostella. «Altrimenti ci avrebbero attaccati. Resta da vedere perché hanno adottato questa strategia. Non sarà che mentre parlavamo hanno teletrasportato alcuni dei loro a bordo?» si preoccupò.

   «Non ho rilevato trasporti e comunque i nostri scudi sono sempre attivi» rispose Norrin. «Ma concordo con lei: questa storia puzza di bruciato. In passato il più grande difetto dei Borg è stata la scarsa elasticità mentale. Forse si sono fatti furbi e hanno cominciato a tramare piani più elaborati. Raccomando di restare in Allarme Giallo e d’intensificare le esercitazioni».

   «Approvato» disse Hod. «Vrel, ora proseguiremo per Norcadia. Ma non ci andremo per la via più breve. Ci faccia passare per la micro-nebulosa a 10 parsec da qui. E mascheri la nostra traccia energetica. Norrin, attivi l’occultamento. Se i Borg decidessero di seguirci, faranno fatica».

   «Sì, Capitano» disse il timoniere, prendendo gli accorgimenti per nascondere la traccia della Keter. «Ma la nostra missione principale resta invariata, vero?».

   «Affermativo» disse l’Elaysiana. «Anche se questo incontro ci ha scossi, non dimentichiamo che siamo qui per i Vaadwaur».

 

   Dopo gli ultimi eventi, la permanenza a Norcadia fu ridotta al minimo. La Keter contattò le autorità locali, scambiando come al solito informazioni, e ripartì dopo un solo giorno. Gli sbarchi previsti furono cancellati. Se la ciurma voleva svagarsi, si doveva accontentare del ponte ologrammi. Per Ladya fu una delusione, ma ne capiva il motivo. Assieme al dottor Joe e al resto dello staff eseguì una simulazione dopo l’altra, per ottimizzare la reazione in caso di attacco Borg. Tuttavia nei giorni successivi i sensori non rilevarono la minima traccia della Collettività, così che l’equipaggio tornò progressivamente a concentrarsi sulla missione originale.

   Venne il giorno in cui il pianeta Vaadwaur apparve sullo schermo. Era un globo arancione, per via delle nubi radioattive che dopo undici secoli dal bombardamento lo avvolgevano ancora. Ma anche se le nuvole si fossero diradate, il suo aspetto non sarebbe cambiato molto. Quasi tutta la superficie era desertica; i resti delle città emergevano a stento dalla sabbia. Qua e là, palazzi e monumenti diroccati levavano ancora al cielo i loro pinnacoli, muta testimonianza della gloria passata. I mari, di piccole dimensioni, riflettevano il colore malato del cielo.

   «La tana del serpente» mormorò Hod. «Entriamo in orbita. Analisi ad ampio spettro della superficie e del sottosuolo».

   La Keter, già occultata in via cautelare, entrò in orbita geostazionaria sopra i resti della capitale. Una piccola schiarita nel manto di nubi permetteva d’intravedere le rovine.

   «Anche dopo tutto questo tempo, le radiazioni gamma e la tossicità del suolo sono oltre i livelli di guardia» disse Zafreen. «Non rilevo segni di vita Vaadwaur, né di altre specie umanoidi. Niente trasmissioni subspaziali, né emissioni energetiche».

   «E i rifugi sotterranei?» volle sapere il Capitano.

   «Rilevo grandi camere, ma sono abbandonate» rispose l’Orioniana. «Non ci sono più capsule di stasi attive. Anche il reattore che le alimentava è spento. Gli hangar che custodivano le navicelle sono vuoti. I Vaadwaur hanno portato via tutto».

   «L’avranno fatto subito dopo il loro risveglio, quando erano a corto di risorse» commentò Radek. «Però è strano che non sorveglino il loro vecchio mondo. Cerchi dei satelliti. Faccia scansioni anti-occultamento» suggerì.

   Zafreen fece quanto detto. «Ci sono alcuni vecchi satelliti, risalenti a prima del bombardamento. Sono inattivi, anche se non escludo che i proprietari possano risvegliarli» disse. «Per il resto... no, aspetti». Una spia si era accesa sul quadro comandi. L’addetta ai sensori trafficò per circa un minuto. «È confermato. Quattro satelliti nuovi e attivi nei punti di Lagrange. Hanno una sorta di occultamento, anche se rudimentale».

   «Pensa che ci abbiano rilevati?» chiese il Comandante.

   «Il nostro occultamento è molto più sofisticato, quindi direi di no... anche se non ci metto la mano sul fuoco» rispose prudentemente l’Orioniana.

   «Uhm... che mi dice dei tunnel spaziali, invece?» chiese Hod.

   «C’è un ingresso stabile a meno di un’UA da qui» confermò Zafreen. «Se i nostri dati sono esatti, dovrebbe dare accesso all’intera Rete. Ma non rilevo altri satelliti o astronavi di guardia».

   «Le difese saranno all’interno» ipotizzò il Capitano. «Ecco che faremo: passeremo tre giorni qui, esaminando il pianeta. Poi, se non troveremo nulla di rilevante, manderemo una sonda nel tunnel, per mappare la Rete. A quel punto o troveremo i Vaadwaur, o saranno loro a trovare noi».

 

   I giorni successivi furono un’attesa snervante, sebbene l’equipaggio fosse affaccendato nelle analisi. Fatti tutti gli esami possibili dall’orbita, il Capitano autorizzò l’esplorazione dei rifugi sotterranei, per analizzare la tecnologia Vaadwaur. Tutti quelli che scesero indossavano le tute occultanti, per eludere eventuali trappole o sistemi di sorveglianza. I tecnici erano sempre scortati dal personale della Sicurezza.

   Il pomeriggio del terzo giorno, Hod sedeva nel suo ufficio, leggendo i rapporti delle squadre. Non erano esaltanti. I Vaadwaur avevano portato via quasi tutta la loro tecnologia e ciò che restava non poteva essere rappresentativo delle loro capacità attuali. Il Capitano se lo aspettava, perciò non rimase troppo delusa. Tra i pochi pezzi interessanti portati a bordo c’era una capsula di stasi Vaadwaur, una delle meglio conservate. Aveva preservato il suo ospite per la bellezza di 892 anni. Hod stava leggendo l’ultimo rapporto quando udì la chiamata di Radek.

   «Capitano sul ponte. Il tunnel si sta aprendo».

   «Ci siamo» si disse l’Elaysiana, affrettandosi in plancia. La trovò già in Allarme Rosso. Radek aveva dato ordine di avvicinarsi al wormhole, che campeggiava sullo schermo, come un vortice arancione.

   «È uscito qualcosa di molto piccolo» spiegò il Comandante. «Una sonda, direi. Ma non è nostra, quindi...».

   In quell’attimo un’astronave uscì dalla curvatura. Di forma compatta, aveva lo scafo giallo e grigio, con un modulo propulsivo a U. Si avvicinò di gran carriera alla sonda e attivò un raggio traente per recuperarla.

   «Sono Krenim» avvertì Zafreen. «Hanno mascherato la traccia di curvatura».

   La tensione in plancia crebbe. I Krenim erano stati membri del Fronte Temporale, l’alleanza di specie che in passato aveva quasi annientato l’Unione. Anche se il conflitto era finito da più di trent’anni, molte ferite restavano aperte.

   «Che aspettiamo? Attacchiamoli!» ringhiò l’ufficiale tattico ausiliario. Era un Klingon: il suo popolo era stato l’avversario più diretto dei Krenim, dal loro debutto nella Battaglia di Khitomer fino allo scontro risolutivo a Procyon V.

   «Si calmi, Tenente Mo’rek, o la farò allontanare dalla plancia!» avvertì il Capitano, fulminandolo con lo sguardo. «La nostra missione non è contro i Krenim. Al termine della guerra hanno firmato l’armistizio e anche gli Accordi Temporali, quindi non vanno più considerati nemici. Vediamo che fanno, piuttosto».

   La nave Krenim incamerò la sonda, ma prima che potesse andarsene un altro vascello uscì dal tunnel spaziale e la colpì furiosamente, mirando ai motori. I Krenim, che per imbarcare la sonda avevano dovuto abbassare gli scudi, li rialzarono subito. Alcuni colpi però erano andati a segno, danneggiando la loro propulsione. Non potendo ritirarsi, dovettero restare a combattere.

   I federali seguirono con attenzione lo scontro. I nuovi arrivati erano Vaadwaur, non c’era dubbio. Il loro vascello aveva un robusto apparato propulsivo da cui si protraeva un lungo scafo a sezione triangolare. La corazza era bruna e opaca, mentre il deflettore e le gondole di curvatura brillavano violacei.

   «È una delle navi che ci hanno mostrato i Voth» riconobbe Norrin. «Incrociatore pesante di classe Astika, il meglio della flotta Vaadwaur. I Krenim invece hanno un’astronave di media stazza. Sono spacciati... se non facciamo qualcosa».

   Hod osservò ancor più attentamente lo scontro, tamburellando sul bracciolo. Norrin aveva ragione: i Krenim erano a mal partito. I Vaadwaur li inseguivano, tempestandoli di colpi. Presto avrebbero abbattuto i loro scudi. Tutto lasciava intendere che a quel punto li avrebbero distrutti. «Usciamo dall’occultamento» ordinò il Capitano. «Colpiamo i Vaadwaur, cercando di attirarci il loro fuoco».

   «Ricevuto» disse Vrel. Si accostò ai Vaadwaur da dietro e poi, mentre la Keter si rendeva visibile, passò loro accanto. Nello stesso momento Norrin aprì il fuoco, colpendo duramente l’incrociatore. La nave federale sgusciò davanti ai Vaadwaur, colpendoli anche con le armi di poppa, e si allontanò senza troppa fretta, per invogliarli a inseguirla.

   La risposta non si fece attendere. I Vaadwaur divisero il loro fuoco fra le due navi avversarie, pur continuando a inseguire i Krenim. Questi però si rianimarono, vedendo di non essere soli. Smisero di fuggire e fronteggiarono gli avversari. Quando i Vaadwaur lanciarono una salva di siluri, la Keter si frappose, assorbendoli con i propri scudi. Poi si affiancò ai Krenim. I due vascelli fronteggiarono l’incrociatore nemico, sebbene fra loro non fosse corsa alcuna comunicazione.

   «I Vaadwaur ci chiamano» disse Zafreen.

   «Sullo schermo» ordinò Hod, alzandosi.

   Il Capitano nemico le apparve davanti. Il cappuccio di pelle attorno al suo collo era esteso al massimo e gli occhi giallastri la fissavano come per incenerirla. «Sono il Capitano Relin, della Supremazia Vaadwaur. Chiunque voi siate, avete commesso un grave errore» sibilò. «Questo attacco equivale a una dichiarazione di guerra. Troveremo il vostro mondo e lo puniremo come merita. Nessun luogo della Galassia può sfuggire al nostro castigo!».

   «Ci avete attaccati voi per primi» ribatté l’Elaysiana. «Tuttavia non siamo qui per vendicarci, ma solo per proteggere coloro che avete aggredito. Sono il Capitano Hod, dell’astronave federale Keter, e vi consiglio di lasciar andare i Krenim. Poi potremo sederci attorno a un tavolo e...».

   «Se vi schierate coi nostri nemici, allora siete nostri nemici. E ne pagherete il prezzo» avvertì il Vaadwaur.

   «Siete orgogliosi, vero? Delle astronavi che avete rubato, dei tunnel spaziali che avete reclamato» incalzò Hod. «Ma senza noi federali sareste ancora sepolti centinaia di metri sottoterra. Probabilmente per questa data il generatore che vi teneva in vita avrebbe ceduto e sareste morti nel sonno. Invece i nostri ufficiali vi hanno salvati, due secoli orsono. Vi hanno curati quando eravate deboli per la lunga ibernazione. Vi hanno dato viveri e indicazioni su dove trovare risorse. In cambio voi li avete traditi, cercando d’impossessarvi della loro nave. Poi, di recente, ci avete assaliti nel nostro stesso spazio, saccheggiando una nave ospedale. Perciò mi dica, Relin... chi di noi ha un conto da saldare?» chiese, fissando il Vaadwaur con sguardo glaciale.

   L’alieno ebbe un attimo d’esitazione. «Federali... quel che è stato è stato. Al nostro posto avreste fatto lo stesso» insinuò. «Ora però vi state immischiando in un conflitto che non vi riguarda. Per il vostro bene, andatevene subito».

   «E cesserete gli attacchi contro l’Unione?» chiese Hod.

   «Questo non posso garantirlo. Io... non prendo impegni per conto del mio governo» ammise Relin, un po’ imbarazzato. Il collare da serpente si sgonfiò.

   «Quindi non ci offre nulla in cambio. Perché dovremmo accontentarla?» incalzò l’Elaysiana.

   «Perché ne va delle vostre vite» ringhiò il Vaadwaur, e troncò la comunicazione. La sua astronave aprì immediatamente il fuoco, sia contro la Keter che contro i Krenim.

   «Almeno ci ha provato» disse Radek, mentre Hod tornava a sedersi al suo fianco. La nave vibrava sotto la violenza dell’attacco.

   «I Vaadwaur sono diventati molto sicuri di sé» notò il Capitano. «Facciamogli vedere che si sbagliano».

 

   Le tre astronavi iniziarono una girandola di attacchi e schivate. Il vascello Vaadwaur era massiccio e resistente, ma non particolarmente agile. La Keter era molto più manovrabile, oltre ad avere armi assai diversificate. E disponeva di un valido alleato, perché i Krenim combattevano senza risparmiarsi. Hod temeva che avrebbero approfittato della distrazione per dileguarsi; invece restarono a combattere. Assieme, federali e Krenim assestarono colpi durissimi all’incrociatore Vaadwaur. Approfittando della maggiore agilità gli giravano intorno, colpendolo da tutti i lati. A un certo punto il cannone a impulso della Keter penetrò gli scudi, tracciando uno squarcio sulla fiancata. «Cessare il fuoco» ordinò il Capitano.

   I Krenim non furono così clementi. Mentre la nave Vaadwaur danneggiata arrancava verso il tunnel spaziale, continuarono a colpirla, infliggendole gravi danni. Infine l’incrociatore in fiamme varcò l’imboccatura del wormhole, mettendosi in salvo. Per quanto avessero approfittato del momento di vantaggio, era chiaro che i Krenim non lo avrebbero inseguito là dentro.

   «Ci chiamano» disse Zafreen.

   «Sentiamoli» ordinò Hod, sperando che fossero un po’ più ragionevoli dei Vaadwaur.

   Il capitano Krenim era un uomo sulla quarantina, dagli occhi chiari che spiccavano sul viso magro. Dietro di lui l’equipaggio lavorava alacremente, ma con ordine, per salvare la nave, che aveva riportato danni considerevoli. Hod notò che le uniformi Krenim erano cambiate, dai tempi della Guerra delle Anomalie. Anziché essere brune, con guanti e altri dettagli neri, erano verde oliva e senza guanti, segno dell’avvenuto cambio di regime.

   «Sono il Capitano Jarros, della nave Kyana della Repubblica Krenim» si presentò il graduato. Tacque per un paio di secondi, osservando Hod e i suoi ufficiali. «Stavo per chiedere d’identificarvi, ma i vostri volti e le uniformi parlano chiaro» disse. «La vostra astronave è atipica, per questo non l’avevo riconosciuta come federale. A nome del mio equipaggio, grazie per averci aiutati».

   «Lieti di avervi dato una mano» disse l’Elaysiana, soddisfatta dalla prima impressione. «Io sono il Capitano Hod dell’USS Keter. Vorrei parlare a fondo con lei, ma questo non mi sembra il luogo adatto. Quel tunnel è ancora aperto e i Vaadwaur potrebbero mandarci contro una flotta in ogni momento. Riuscite ad andare a curvatura?».

   Jarros scambiò un’occhiata con un ufficiale fuori campo. «No, purtroppo» ammise. «Ci allontaniamo a massimo impulso. Se volete parlare, seguiteci...». In quella sulla plancia Krenim ci fu un violento scossone e partì un allarme.

   «Perdita di refrigerante in sala macchine!» gridò un ufficiale. Fra l’equipaggio crebbe la concitazione.

   «Abbiamo un problema, vi richiamerò» disse Jarros, scuro in volto, e chiuse il canale.

   Trascorsero alcuni minuti di crescente tensione. «I livelli d’energia della nave Krenim stanno fluttuando» avvertì Zafreen. «Hanno grossi problemi in sala macchine e ai motori. Forse dovremmo aiutarli» suggerì.

   «Li chiami» disse Hod. «Kyana, sappiamo che siete in difficoltà. Vi offriamo l’aiuto dei nostri ingegneri per mettere in sicurezza i vostri sistemi».

   Trascorsero altri, interminabili secondi. Poi Jarros riapparve sullo schermo; il suo volto era teso. «Keter, apprezziamo la vostra offerta, ma il fatto è che stiamo perdendo il contenimento dell’antimateria. Non crediamo di poter salvare la nave. Devo chiedervi di accoglierci tutti a bordo, prima che il nucleo ceda. Non vi creeremo problemi, ha la mia parola d’onore».

   Scossa dal precipitare della situazione, Hod rivolse un’occhiata interrogativa a Zafreen.

   «Dice il vero, stanno per esplodere» confermò l’Orioniana.

   «Quanti sono?».

   «Rilevo 321 segni vitali».

   «È un grosso rischio» mormorò Radek, guardando di sbieco il Capitano. «Ricordi cos’hanno fatto gli Akaali con la Kutkh».

   Hod ragionò in fretta. Imbarcare così tanti Krenim era sicuramente rischioso, ma era l’unico modo per salvarli. Non c’era tempo per altre soluzioni. «Capitano a sale teletrasporto; trasferite i Krenim nell’hangar e nelle stive» ordinò.

   «Grazie» disse Jarros, sollevato. «Vi prego d’imbarcare anche la sonda che abbiamo recuperato. Vi stiamo inviando le coordinate».

   «Come vuole» concesse Hod. Chiuso il canale, la Kyana riapparve sullo schermo. Le sue gondole si accendevano e spegnevano in continuazione; una perdeva plasma.

   «Norrin, squadre di sicurezza nell’hangar e nelle stive» ordinò subito il Capitano.

   Le sale teletrasporto erano già in funzione. I Krenim furono tratti in salvo, decine per volta. «Abbiamo tutti» riferì l’addetto al teletrasporto di plancia. «Trasferisco anche la sonda... ecco fatto».

   «Rilevo esplosioni a catena sulla Kyana» avvertì Zafreen. «Credo che ormai...». Prima che potesse finire, ci fu un bagliore accecante. Il vascello era esploso.

   «Appena in tempo» pensò Hod, lieta di aver ordinato il salvataggio. Poi ricordò che erano ancora nel sistema Vaadwaur, a poca distanza dal tunnel spaziale. «Vrel, ci porti via a massima cavitazione» ordinò. «Norrin, raggiunga le sue squadre e si accerti che i Krenim siano sotto controllo. Se hanno dei feriti, portateli in infermeria. E appena potete, portatemi qui Jarros».

   La Keter balzò nel condotto di cavitazione. Pochi attimi dopo tre navi Vaadwaur di classe Manasa e una decina d’incursori uscirono dal tunnel spaziale, pronti alla battaglia. Ma trovarono solo i detriti della Kyana che si disperdevano nello spazio. Quanto alla Keter, era fuori dalla loro portata. Dopo aver analizzato i rottami, alla vana ricerca della sonda, i Vaadwaur rientrarono nel tunnel. L’incidente non sarebbe stato dimenticato.

 

   Quando Jarros giunse in sala tattica, scortato da Norrin, gli ufficiali erano già riuniti. «Benvenuto, Capitano» lo accolse Hod. «Voglio assicurarle che abbiamo tratto in salvo tutto il suo equipaggio, anche se per ora lo teniamo diviso. I feriti sono in infermeria; nessuno è in pericolo di vita».

   «Grazie» disse il Krenim. «Non sapevo se ci avreste accolti, considerando i nostri trascorsi».

   Hod non rispose subito. Sedette al tavolo tattico, imitata dai suoi ufficiali. Anche Jarros si accomodò, sull’altro lato. Dopo una breve riflessione l’Elaysiana riprese la parola. «Vorrei impostare questo incontro su basi che non siano la Guerra delle Anomalie. Né io, né i miei ufficiali eravamo in servizio a quel tempo. E lei?».

   «No» ammise Jarros.

   «Quindi nessuno in questa stanza ha partecipato al conflitto, anche se ne siamo stati toccati in vari modi» proseguì il Capitano, scrutando sia Jarros che i propri ufficiali. «Non vi chiedo di dimenticare, perché sarebbe ingiusto nei riguardi delle vittime. Però vi chiedo di guardare avanti, ai problemi che si pongono oggi». Ciò detto si concentrò su Jarros. «Ci è stato detto che negli ultimi tempi i Vaadwaur vi hanno colpito duramente. È la verità?».

   «Sì, purtroppo» confermò il Krenim. «È da più di un secolo che subiamo le loro scorrerie, ma negli ultimi anni gli assalti si sono moltiplicati. Se fossimo ancora quelli di un tempo, li avremmo respinti. Ma non è un bel periodo per la mia gente». Il Capitano tacque, temendo di aver detto troppo.

   «Sa, vorrei davvero che si fidasse abbastanza da spiegarci la situazione» disse Hod in tono paziente. «Tanto alla fine la scopriremo lo stesso. Siamo cocciuti».

   «Non ne dubito» disse Jarros, concedendosi un sorriso agrodolce. «E va bene, sarò franco. Dopo aver perso la guerra contro di voi, l’Impero Krenim è entrato in una fase di grave instabilità politica. I nostri vicini ci hanno attaccati da tutte le parti. Avendo perso molte navi, non siamo riusciti a reggere l’urto; così i pianeti di frontiera sono caduti. Inoltre, approfittando della situazione, molti popoli appartenenti all’Impero si sono ribellati. Anche in questo caso abbiamo dovuto ritirarci, permettendo a quei popoli di tornare indipendenti. A quel punto potevamo a stento definirci un impero. L’ultimo atto è stata la rivolta popolare sul nostro pianeta natio. Molti reparti dell’esercito si sono uniti ai ribelli, finché l’Imperatore è stato spodestato ed esiliato. Se ve lo state chiedendo... sì, ero già in servizio, e ho appoggiato il cambio di governo» rivelò. «Così siamo diventati una Repubblica, governata da rappresentanti eletti dal popolo. Ma ora che stavamo cercando di assestarci e ritrovare un po’ di pace, subiamo le scorrerie dei Vaadwaur. A proposito, ho notato che avete comunicato con loro, prima che con noi. Posso sapere che vi siete detti?».

   «Ho cercato di aprire un dialogo, ma hanno rifiutato» rispose Hod.

   «Sono dei pazzi» ammonì Jarros, picchettandosi la tempia. «E purtroppo i loro tunnel spaziali gli permettono di scorrazzare in tutta la Galassia. È per questo che siete qui, vero? Quante volte vi hanno colpiti?».

   «Solo una, ma ci teniamo a non diventare bersagli abituali» spiegò l’Elaysiana. «Perciò vogliamo constatare la situazione e se possibile trovare alleati. Vi riporteremo dalla vostra gente, nella speranza d’intavolare trattative».

   «Lo apprezzo, ma non so se i miei superiori vorranno trattare con voi» rispose prudentemente Jarros. «Potrebbero considerarla un’intromissione».

   «Ormai siamo coinvolti» sostenne Hod. «Quella sonda che ci ha chiesto d’imbarcare... l’avete infilata nei tunnel per mapparli, vero? Non lo neghi; stavo per fare la stessa cosa». Il Capitano si sporse in avanti sul tavolo, fissando il suo omologo. «Quella sonda è il motivo per cui i Vaadwaur erano tanto decisi a distruggervi. Avendola recuperata, avete una mappa della Rete Subspaziale».

   «Solo di una parte» corresse il Krenim. «Ma per quanto vi sia grato, non posso condividere quei dati: sono un segreto militare. Non se ne abbia a male. Ora che i Vaadwaur hanno imparato a spostare l’uscita dei tunnel, la Rete cambia in continuazione. Quando farò rapporto ai miei superiori, probabilmente la porzione che ho analizzato sarà già cambiata» aggiunse sarcastico.

   «Devo presumere che abbiate altre sonde all’opera» ragionò l’Elaysiana. «La domanda è cosa contate di fare, una volta mappata la Rete. Volete mandarci dentro la vostra flotta, per espellere i Vaadwaur? O trovare le loro colonie e attaccarle?».

   «A questo non posso rispondere» disse Jarros, fissando il tavolo.

   «Senta, io vorrei aiutarvi, ma lei deve dirmi qualcosa» incalzò Hod. «Se è preoccupato per il suo equipaggio, o per i dati che trasportate, può stare tranquillo. Non avete nulla da temere da noi».

   «Ah, no? Forse volete reclamare i tunnel dei Vaadwaur!» obiettò il Krenim. «Quante delle vostre navi li stanno cercando?».

   L’Elaysiana scosse la testa. «Jarros, rifletta: che ce ne facciamo noi, dei tunnel spaziali? Ormai disponiamo di sistemi propulsivi così evoluti che non ne abbiamo bisogno. Siamo qui solo per contrastare le scorrerie dei Vaadwaur. Per questo m’interesso ai vostri piani. Se volete sloggiare i Vaadwaur, potremmo darvi una mano. Se invece progettate di sterminarli, vi esorto a non farlo. Non solo per ragioni etiche, ma anche per motivi pratici. Ad esempio il fatto che i Vaadwaur vivono sparpagliati in tutta la Galassia. Se anche distruggete una delle loro colonie, le altre raduneranno le forze per farvela pagare».

   Jarros rimuginò per qualche secondo, combattuto fra la sua consegna e la situazione che si era creata. «Vi presenterò al mio diretto superiore» disse. «Sarà lui a decidere se farvi partecipi dei nostri piani».

   «Molto bene» acconsentì Hod. «Comandante, accompagni il nostro ospite in plancia, così potrà fornirci le coordinate».

   «Venga» fece Radek, precedendo il Krenim fuori dalla sala tattica. Il Capitano però trattenne alcuni ufficiali.

   «Ha analizzato la loro sonda, come le avevo chiesto?» chiese a Zafreen.

   «Sì, ma non ci capisco granché» ammise l’Orioniana. «Non somiglia per niente alla tecnologia Krenim che conosciamo. Molte sue componenti sono organiche. Non basta esaminarla coi sensori interni; bisogna che gli ingegneri la aprano». Così dicendo si accostò a uno schermo parietale, richiamando un’immagine della sonda, che in quel momento si trovava nell’hangar. Era un oggetto bulboso, lungo tre metri e largo un paio. Aveva una superficie verdastra, parzialmente avvolta da un reticolo marroncino. In effetti era ben lontana dal tipico design Krenim.

   «No, ho promesso a Jarros di non spiare» disse il Capitano. «Se faremo buona impressione al suo superiore, magari ci dirà lui qualcosa. Altrimenti ci arrangeremo».

 

   La Keter si recò alle coordinate indicate da Jarros. Era un balzo enorme attraverso il Quadrante Delta: per compierlo fu necessario il propulsore cronografico. I Krenim avrebbero dovuto usare una catapulta subspaziale, più imprecisa e pericolosa. Quando la Keter riapparve nello spazio normale, si trovò davanti a una nebulosa planetaria. Era splendida: i gas espulsi dalla stella morente ricamavano una trama di colori nello spazio, corrispondenti agli elementi chimici predominanti. Rossa ai bordi, trascolorava verso l’arancio nella zona intermedia e poi all’azzurro nella parte centrale. Proprio al centro brillava, fioca, la nana bianca.

   «Siamo arrivati» confermò Jarros. «Ora devo inviare il segnale di riconoscimento. Visto che mi trovo sulla vostra nave, trasmetterò anche il mio codice identificativo personale. Così l’Ammiraglio saprà che sono a bordo».

   «Prego; può trasmettere da qui» disse Radek, accompagnandolo alla postazione sensori e comunicazioni. Dato che il Krenim non aveva familiarità con le interfacce federali, Zafreen gli diede alcune rapide spiegazioni. Jarros poté così trasmettere due lunghi codici alfanumerici. Dopo una breve attesa, in cui pareva incerto, chiese d’inviare direttamente un messaggio audio.

   «Qui è il Capitano Jarros, dell’incrociatore Kyana» si presentò. «Il mio vascello è stato attaccato e distrutto dai Vaadwaur, ma la missione è compiuta. Ora mi trovo su un’astronave federale che ci ha soccorsi, imbarcando l’equipaggio. I federali sono pronti a trasferirci, senz’altra richiesta che un incontro con l’Ammiraglio. Vorrei aggiungere che, a mio giudizio, possiamo fidarci di loro».

   Il Krenim lasciò la postazione e si avvicinò al Capitano, con cui scambiò un’occhiata d’intesa. «Aspettiamo» disse. «Non ci vorrà molto».

   Passò qualche minuto, poi Zafreen rilevò qualcosa in avvicinamento. Dalle volute rossastre della nebulosa emerse un’astronave dalla forma particolarissima. Era composta da tre globi parzialmente fusi tra loro, con un’enorme struttura anteriore, lunga la metà della nave. Sei bracci ritorti si ramificavano e si prolungavano nello spazio, per riaccostarsi presso l’estremità, pur senza chiudersi del tutto. Due anelli li connettevano, rafforzandoli. Le facce interne di questa struttura brillavano di luce blu, così come altre piccole zone della nave, mentre il grosso dello scafo era nero. L’insieme era anomalo e inquietante, ma a suo modo aggraziato, con l’alternanza quasi musicale di spazi pieni e vuoti.

   «La Annorax» riconobbe Hod, che aveva studiato le navi del Fronte Temporale. Si chiese se era ancora al comando di... no, era passato troppo tempo. «Aprire un canale» ordinò.

   L’Ammiraglio apparve sullo schermo. Era molto anziano: non aveva più capelli e il volto era un reticolo di rughe, ma gli occhi chiari erano ancora attenti e vivissimi. «Prendo atto della disgrazia, Capitano Jarros, e sono pronto a imbarcarla col suo equipaggio» esordì. «Quanto a voi, grazie dell’intervento» aggiunse, rivolgendosi ai federali. «Mi chiedevo quando vi sareste fatti vivi».

   «Ammiraglio Hortis, dico bene?» chiese Hod, preparandosi al confronto. Durante la guerra, Hortis si era dimostrato un ottimo stratega. L’Elaysiana aveva studiato le sue tattiche all’Accademia, anche se si guardò bene dal dirlo, per non apparire come una novellina.

   «In persona» confermò il Krenim, osservandola con aria benevola. «E lei è...?».

   «Capitano Hod, dell’USS Keter» rispose l’Elaysiana. «È stata una sua vecchia conoscenza, l’Ammiraglio Chase, a inviarci».

   «Ah, ci avrei scommesso!» si animò Hortis. «Mi dica, come sta la vecchia canaglia?».

   Hod ebbe un attimo d’esitazione. Sapeva che Chase e Hortis si erano affrontati più volte in battaglia e non si aspettava quel tono cameratesco da parte del Krenim. «L’Ammiraglio sta bene» rispose. «Le manda i suoi saluti e confida che si possa discutere il problema dei Vaadwaur, che hanno colpito sia noi che voi».

   «Non mi stupisce che siano giunti anche da voi. Quei barbari si fanno ogni giorno più sfrontati» disse Hortis. «Sono pronto a ricevere l’equipaggio della Kyana. Dopo di che, spero accetterete il mio invito. Abbiamo molto di cui parlare e poco tempo».

 

   Completato il trasferimento dei Krenim, Hod e alcuni suoi ufficiali si teletrasportarono sulla Annorax. Anche Jarros era con loro. Davanti all’Ammiraglio si mise sull’attenti. «Mi assumo la piena responsabilità per la perdita della Kyana, signore» disse.

   «Naturalmente» replicò Hortis. «Ci sarà un’inchiesta, per stabilire se la disgrazia poteva essere evitata. Fino ad allora lei sarà sotto custodia. Questi ufficiali la scorteranno al suo alloggio, dove potrà stendere rapporto» aggiunse, accennando a due guardie che attendevano poco più indietro.

   «Sì, Ammiraglio» disse Jarros, sempre rigido. Si girò di scatto e imboccò il corridoio, seguito dalle guardie.

   «Non sia troppo severo con lui» disse Hod, scendendo dalla pedana del teletrasporto. «Ha fatto il possibile, ma quell’incrociatore Vaadwaur era troppo forte».

   «L’avete distrutto?» chiese subito Hortis.

   «No, è rientrato nel tunnel».

   «Male... ora i Vaadwaur sanno che siete qui. E che ci avete aiutati» si rammaricò il Krenim.

   «L’avrebbero scoperto comunque, prima o poi» ribatté Hod. «Le presento il mio Ufficiale Tattico Norrin, il Medico Capo Ladya Mol e il Tenente Chase, della Squadra Temporale» aggiunse.

   «Chase?» s’interessò Hortis. «Non sarà mica...?».

   «Sono Jaylah Chase, figlia dell’Ammiraglio» confermò l’Agente Temporale. «Mio padre mi ha parlato molto di lei».

   «Allora devo preoccuparmi» ironizzò il Krenim. «La vecchia volpe mi conosce troppo bene».

   «Anche se vi siete scontrati, mio padre l’ha sempre rispettata» disse Jaylah. «Sono lieta di fare la sua conoscenza e di vederla ancora al comando. Non sono stati anni facili, per la sua gente» notò.

   «Ah, sì... penso che ti riferisca al nostro piccolo cambio di regime» minimizzò Hortis, abbassando lo sguardo sulla propria uniforme verde, diversa da quella che aveva portato in passato. «Volevamo restituire la grandezza al nostro Impero, e lo abbiamo perso del tutto. E ora dobbiamo affrontare la piaga dei Vaadwaur».

   «Avete già cominciato» notò Hod. «Sappiamo che state mappando la Rete Subspaziale; mi chiedo però cosa farete dopo».

   «Uhm...» fece Hortis, studiando i federali. «Ne parleremo attorno a un tavolo. Ho fatto allestire la cena; prego, seguitemi».

   L’Ammiraglio e i suoi ufficiali accompagnarono i federali per i corridoi della nave, fino a una sala per le cene ufficiali. Le pareti erano di un rosa salmone; su quella di fondo si apriva una finestra panoramica che permetteva di ammirare la nebulosa. Jaylah si chiese se erano nella stessa sala in cui Hortis aveva cenato con suo padre, tanti anni addietro, subito prima di scendere in guerra contro la Federazione. La tavola era già imbandita, alla maniera dei Krenim: non c’erano portate, tutto era disponibile fin da subito e ognuno prendeva ciò che voleva, senza un ordine prestabilito.

   I commensali sedettero e iniziarono a servirsi. Intanto Hortis raccontava degli attacchi Vaadwaur e delle preoccupazioni del suo governo. «Finché ci attaccavano con piccoli incursori, o con navi rubate ad altri, potevamo considerarli predoni» disse. «Ma come avete visto, ora riescono a costruire incrociatori da guerra, e maledettamente forti. In certe zone della nostra Repubblica i commerci sono crollati anche del 70%. Nessuno vuole andare in giro senza una scorta. Bisogna fare qualcosa, prima che i Vaadwaur diventino invincibili. Perciò la Milizia Krenim mi ha richiamato in servizio».

   «Richiamato?» chiese Hod.

   «Certo... dopo la Guerra delle Anomalie mi ero ritirato a vita privata» rivelò l’Ammiraglio. «Quando ci furono la rivolta e il cambio di governo ero a casa mia, ben lontano dall’azione. Non pensavo che avrei comandato ancora una nave; men che meno questa. Ma l’escalation di attacchi Vaadwaur ha indotto le autorità a ricordarsi di me. E siccome sono un vecchio sentimentale, ho preteso l’Annorax, che altrimenti sarebbe rimasta ad arrugginire in cantiere» aggiunse, sempre un po’ ironico. Si versò un vino malkotiano, il suo preferito, e lo sorseggiò adagio.

   «Questa sarà la mia ultima campagna... l’ultima cosa per cui sarò ricordato» riprese, facendosi più malinconico. «Siamo tutti rammentati per ciò che lasciamo, no? Guardate quella stella» disse, indicando la nana bianca al centro della nebulosa planetaria. «Ha brillato per miliardi di anni, prima di esplodere. Ma col suo ultimo atto, ha beneficiato l’Universo. Gli elementi pesanti assemblati nel suo nucleo si stanno diffondendo tra le stelle. Osservate quei globuli di addensamento, vicino al margine esterno» disse, indicando una zona della nebulosa piena di grumi. «Sono gli elementi pesanti che, incontrando un preesistente addensamento d’idrogeno, lo arricchiscono e lo fanno collassare. Alcuni di quei globuli diverranno sistemi stellari. Così anche noi siamo ricordati per la nostra eredità» concluse filosoficamente. Il suo sguardo indugiò su Jaylah, la figlia del suo vecchio avversario. Vedendola, Hortis sentì acutamente il rammarico per non aver mai messo su famiglia. Non aveva eredi che potessero ricordarlo dopo la sua morte. E se non voleva passare alla Storia solo come l’Ammiraglio che aveva perso la Guerra delle Anomalie, doveva sfruttare al meglio quest’ultima occasione.

   «Ammiraglio, se ci dice quali sono le sue intenzioni riguardo ai Vaadwaur, valuterò la possibilità di aiutarla» disse Hod, stando attenta a non sbilanciarsi.

   Tra gli ufficiali Krenim ci furono segni di disagio, all’idea che Hortis vuotasse il sacco con gli ex nemici federali. Ma quando l’Ammiraglio li passò in rassegna con lo sguardo, nessuno osò fiatare. Evidentemente il vecchio condottiero godeva ancora di grande autorità presso i suoi.

   «Anticamente i Vaadwaur furono sconfitti da un’alleanza di specie» spiegò Hortis, intrecciando le dita. «Noi Krenim lo sappiamo bene, perché eravamo tra queste. I nostri alleati dell’epoca sono caduti in rovina, come i Turei, o si disinteressano della nuova crisi, come i Voth. Ma io resto convinto che solo una nuova Alleanza potrà spezzare per sempre il regno di terrore dei Vaadwaur. Ecco perché ho speso gli ultimi cinque anni a contattare i popoli più danneggiati dal loro ritorno. Ho stretto una salda alleanza con l’Impero Devore, che è pronto a contribuire con molte navi da guerra. E ho preso accordi con la Gerarchia... la conoscete? È una strana civiltà, persino buffa sotto certi aspetti; ma possiede le tecnologie di spionaggio più sofisticate che abbia mai visto. È grazie alla Gerarchia che abbiamo una mappa affidabile della Rete Subspaziale. Quella sonda che ci avete recapitato appartiene a loro».

   «Avevo notato il suo aspetto insolito» commentò Hod.

   «È solo una delle tante sonde occultate che la Gerarchia ha introdotto nei tunnel» proseguì l’Ammiraglio. «Purtroppo ha avuto un malfunzionamento che l’ha resa visibile, così ho dovuto inviare rapidamente una nave a recuperarla. Una vera disdetta, perché ora i Vaadwaur saranno in allarme, il che ci obbliga ad affrettare i piani».

   «Da quel che vedo, la sua Alleanza sta dando frutti. State già collaborando con altre specie» notò l’Elaysiana.

   «In parte» confermò Hortis. «Ma resta molto da fare e il tempo stringe. Fra poco dovrò recarmi dal nostro terzo e ultimo alleato, i Vidiiani. Ci avevano promesso un aiuto consistente, ma ultimamente hanno cominciato a tirarsi indietro. Spero che non vogliano lasciare l’Alleanza, perché sarebbe un disastro».

   «Ha detto Vidiiani?!» esclamò Ladya, lasciando cadere le posate. «Io sono Vidiiana! Cos’è successo alla mia gente, sta bene?» chiese col cuore in gola.

   «La sua gente se la cava» disse l’Ammiraglio, un po’ sorpreso da quella reazione. «Però anche loro sono stati colpiti dalle scorrerie Vaadwaur. Per questo avevano accettato di aiutarci. Ora però, come dicevo, stanno accampando scuse. Forse non approvano il mio piano o preferiscono cavarsela da soli. Ma lei che ci fa su una nave federale, e perché è disinformata sul suo mondo?».

   «Vengo da una piccola colonia che perse i contatti con la madrepatria due secoli fa» spiegò Ladya. «Quando i miei avi lo lasciarono, il nostro pianeta era assediato. Fino a pochi mesi fa non sapevo nemmeno se i miei simili fossero sopravvissuti» confessò.

   «Mi dispiace... sarà stato orribile crescere con questo dubbio» riconobbe Hortis, sfiorandosi il mento. «Se le cose stanno così, che ne direste di accompagnarmi là? Ai Vidiiani piacerà avere notizie della loro colonia perduta. E vedendo la Keter, sapranno che l’Alleanza si espande. Questo potrebbe invogliarli a restarci».

   «Oh, sì!» esclamò Ladya, con gli occhi bramosi. «È un’idea magnifica, vero Capitano?» chiese, rivolgendosi a Hod.

   L’Elaysiana però non era così elettrizzata. Dato che Ladya le pareva troppo coinvolta emotivamente per essere obiettiva, si rivolse a Hortis. «Ammiraglio, è il momento che ci dica cosa vuol fare esattamente con questa Alleanza. Perché se il suo scopo è sterminare i Vaadwaur, non possiamo aiutarvi» chiarì.

   «La vostra etica, eh?» fece Hortis. «No, stia tranquilla. Ai tempi della vecchia Alleanza, credemmo di aver distrutto i Vaadwaur; ma subito cominciammo a litigarci i tunnel. E quando i Vaadwaur sono tornati, non ci hanno messo molto a riconquistarli. Alla luce di questi fatti, dobbiamo cambiare approccio. Non possiamo semplicemente scacciare i Vaadwaur dalla Rete Subspaziale, perché la considerano un loro diritto inalienabile e quindi torneranno sempre alla carica. Non c’è che un modo per farla finita».

   «Distruggere i tunnel» comprese Hod. «Lei vuole eliminare completamente la Rete. Così non ci saranno più guerre per disputarsela».

   «Non è una decisione che ho preso a cuor leggero» disse l’Ammiraglio, corrucciato. «La Rete Subspaziale è una meraviglia della Galassia. Collega tutti e quattro i Quadranti. Se ben usata, potrebbe unire civiltà lontanissime. Ma ahimè, se la Storia ci ha insegnato qualcosa, è che nessuno riesce a usarla nel modo giusto. La tentazione di servirsene a scopi militari sarà sempre troppo forte. A questo punto la cosa più sicura è eliminarla. Così risolveremo il problema non per una fugace epoca storica, ma per sempre. Questo sarà il nostro lascito. E se qualcuno ci criticherà, dicendo che ci siamo lasciati guidare dalla paura... beh, costoro faranno meglio a guardarsi dentro, e a chiedersi se saprebbero resistere alla tentazione di sfruttare la Rete per guadagno».

   Cadde il silenzio intorno alla tavola imbandita. Tutti fissavano Hod, attendendosi la risposta. L’Elaysiana lasciò passare qualche secondo, raccolta nei suoi pensieri. Quando infine parlò, non fu per dare un responso, ma per porre un’altra domanda: «I Vaadwaur sanno che lei vuol distruggere la Rete?».

   «Sono stato molto attento a non far trapelare il piano, e così i miei alleati» disse Hortis. «Ora che l’ho rivelato a lei, conto sulla sua discrezione, anche qualora decidesse di non aiutarci. Perché se i Vaadwaur scoprissero cosa vogliamo fare, ci opporrebbero una resistenza ancor più accanita» avvertì. «Ma per il momento non credo che sospettino il mio piano. Temono un attacco, questo sì, visto che hanno individuato la sonda e quindi sanno d’essere spiati. Ma penseranno che io voglia conquistare la Rete. Che invece voglia distruggerla... no, non credo gli verrà in mente. Sono così ossessionati da quei tunnel spaziali che non concepiscono l’idea che qualcuno voglia privarsene».

   «E lei sa esattamente come farli collassare?» chiese Hod.

   «I nostri scienziati ritengono di aver trovato il sistema» rivelò l’Ammiraglio. «Ma prima di entrare nei dettagli tecnici, vorrei una risposta da lei. Ci aiuterete?».

   «Non posso risponderle così su due piedi. Ciò che propone di fare avrà ripercussioni su tutta la Galassia» disse il Capitano. «Devo consultare i miei superiori».

   «Sì, è comprensibile» annuì Hortis. «Torni sulla sua nave, faccia quello che deve. Noi staremo qui ancora per qualche giorno, poi faremo rotta per Vidiia. Spero che sarete dei nostri» disse levando il bicchiere.

   «Vedremo» rispose Hod, meditabonda. Prese a sua volta il bicchiere, ma se lo portò alle labbra senza fare un vero e proprio brindisi.

 

   Tornata sulla Keter, il Capitano si ritirò nel suo alloggio. Qui restò sveglia fino a notte fonda, riflettendo sul da farsi. Aveva abbassato le luci e sedeva in poltrona, fissando la nebulosa sull’oloschermo, senza realmente vederla. Cercava di valutare le conseguenze di allearsi con i Krenim, come anche le conseguenze di non farlo. Entrambe le scelte erano piene d’incognite. D’un tratto il segnale dell’ingresso la distolse dalle sue riflessioni.

   «Avanti» disse Hod, stupita dalla visita notturna. Non si alzò, ma girò il capo verso l’ingresso, mentre questo si apriva.

   Era Jaylah, che per un attimo esitò sulla soglia, ma poi entrò in fretta. «Chiedo scusa per il disturbo, Capitano. E per l’ora infelice» disse. «Ma ero certa di trovarla sveglia».

   «Anche tu non riesci a dormire? Forse dovremmo prendere un sonnifero» scherzò il Capitano. Quando erano sole adottava spesso un tono più familiare con l’Agente Temporale.

   «Ha detto a Hortis che avrebbe chiesto istruzioni al Comando. Non l’ha fatto, vero?» chiese Jaylah, accostandosi. Le comunicazioni con l’Unione erano difficili, a quella distanza. Alcuni satelliti erano stati predisposti per ritrasmettere i segnali subspaziali, ma dopo l’ultimo balzo della Keter, che si era molto addentrata nel Quadrante, il segnale era debole e incerto.

   L’Elaysiana si lasciò sfuggire un sospiro. «No» ammise, tornando a fissare la nebulosa.

   «Teme una risposta negativa?» chiese la mezza Andoriana, sedendo su una poltroncina lì accanto.

   «Tuo padre mi ha dato facoltà di agire a mia discrezione» spiegò Hod. «L’ha fatto perché, trovandomi sul campo, posso comprendere meglio la situazione. Ovviamente potrei spiegargli tutto per filo e per segno, scaricandomi dalla responsabilità. Ma se rimettessi tutto alle autorità, sarebbe davvero il Comando di Flotta a decidere? Ricorda come andò a Ultima Thule: l’Ammiraglio ci mandò una flotta in supporto e Rangda la fece tornare indietro. Non lascerò che accada di nuovo. Se faccio promesse ai Krenim e poi li deludo, perderemo definitivamente la loro fiducia».

   «Potrebbe spiegargli la situazione» disse Jaylah, incerta.

   «Non rivelerò quant’è fragile e disorganizzata l’Unione ai nostri ex nemici» obiettò il Capitano. «E poi... non vorrei coinvolgere tuo padre. Se quest’operazione va male, preferisco prendermi il biasimo. Così lui ne uscirà pulito e potrà ancora opporsi a Rangda, per quanto possibile».

   Jaylah scosse la testa, frustrata, e fissò a lungo la nebulosa. «Quindi cosa vuol fare?» chiese dopo un po’.

   «Beh, l’offerta di Hortis è allettante» ammise il Capitano. «Siamo venuti in questo Quadrante senza un piano preciso. Non pensavo che avremmo ostacolato seriamente i Vaadwaur. E invece ecco qui un’Alleanza con un piano per fermarli. Hanno persino trovato il modo di farlo senza massacri, semplicemente eliminando i tunnel spaziali. È meglio di quanto potessi sperare».

   «E allora perché è così incerta?».

   «Come ufficiale della Flotta Stellare, mi ripugna distruggere una rete subspaziale che potrebbe unire popoli di tutta la Galassia. In un certo senso, equivale ad ammettere che la pace è una chimera» spiegò stancamente Hod. «E poi considera chi sono i nostri alleati. Hortis è un militare astuto, molto più vecchio ed esperto di noi. Potrebbe avere secondi fini. Magari progetta di sterminare i Vaadwaur in un secondo momento. Finita questa missione, noi torneremo a casa; ma devo pensare a come cambieranno le cose per chi resterà qui».

   «Hortis e i suoi alleati procederanno comunque, anche senza di noi» argomentò Jaylah. «A questo punto tanto vale esserci, no? Così li terremo d’occhio».

   «Suppongo di sì» disse il Capitano, non del tutto soddisfatta. «Ma tu che mi dici? Quand’eravamo coi Krenim avrai avuto qualche percezione. Ti è sembrato che nascondessero qualcosa?».

   «I Krenim sono difficili da leggere. I loro lobi temporali ipersviluppati gli danno una certa schermatura» spiegò Jaylah, picchettandosi la tempia, là dove gli alieni avevano un rigonfiamento. «Hortis in particolare ha una mente labirintica. Eppure ho avuto la sensazione che fosse sincero. Vuole far cessare le scorrerie Vaadwaur e questo è il modo più sicuro. Credo voglia anche ripulire la sua immagine; ha sentito quel discorso sull’eredità che lasciamo ai posteri».

   «Hm-hm» fece Hod.

   «Durante la Guerra delle Anomalie, Hortis ha sempre mantenuto il fair play, non solo con mio padre, ma con tutti gli avversari» ricordò la mezza Andoriana. «Ad esempio era l’unico leader del Fronte Temporale che accettava scambi di prigionieri e ci permetteva di raccogliere i feriti per curarli. Non credo che sia cambiato in questi aspetti».

   «Quindi dovrei affidarmi alla sua... cavalleria» disse il Capitano. «E i suoi alleati saranno altrettanto leali? Stando ai rapporti della Voyager, i Devore e la Gerarchia sono regimi totalitari. Quanto ai Vidiiani, sappiamo come si comportavano».

   «Se non facciamo questa cosa con loro, che altro dovremmo fare?» insisté Jaylah. «È colpa della Flotta Stellare se i Vaadwaur sono tornati ad affliggere la Galassia, quindi dobbiamo rimediare. Il piano di Hortis è l’unica occasione per privarli del loro vantaggio. E poi i Krenim non sono più un impero aggressivo. Adesso sono una fragile repubblica, che cerca di sopravvivere. Non dovremmo aiutarli, nell’interesse della democrazia?».

   Hod non rispose subito, ma fissò i meandri della nebulosa. Forse le delusioni che aveva avuto negli ultimi anni avevano compromesso la sua capacità di fidarsi del prossimo. Eppure la Federazione era nata così: con un pugno di ex avversari che avevano deciso di collaborare contro una minaccia comune. Si erano fidati, sebbene fosse un salto nel vuoto.

   «Valuterò quanto hai detto» disse infine l’Elaysiana. «Grazie della chiacchierata, ma ora vorrei riposare».

   «Certo, Capitano» disse Jaylah, alzandosi. «Buonanotte e scusi ancora se l’ho disturbata». Con queste parole, la mezza Andoriana lasciò l’alloggio, augurandosi di aver fatto breccia.

 

   Il giorno dopo, il Capitano Hod entrò in plancia con l’aria risoluta di chi ha preso una decisione inappellabile. Con lei c’era la dottoressa Mol. «Aprire un canale con l’Annorax» ordinò l’Elaysiana, senza nemmeno aver salutato i colleghi.

   L’Ammiraglio Hortis apparve prontamente sullo schermo. «Buongiorno, Capitano» esordì. «Allora, ha consultato i suoi superiori?» chiese vagamente divertito. I sensori Krenim non avevano rilevato nessuna trasmissione subspaziale dalla Keter.

   «Ho valutato la sua proposta» rispose Hod. «Distruggere la Rete Subspaziale è una soluzione drastica al problema dei Vaadwaur. Come Capitano della Flotta Stellare, ho il dovere di preservare le meraviglie naturali della Galassia e le opportunità di contatto fra le specie» disse lentamente. «Ma ho un dovere ancora più alto: quello di preservare la vita. I Vaadwaur stanno lasciando dietro di sé una scia di morti e distruzione. Quindi sì, vi aiuterò a eliminare i tunnel» dichiarò.

   «Magnifico!» si rallegrò Hortis. «Ma vorrei capire se parla solo della Keter o se l’Unione metterà in gioco un contingente più ampio».

   «L’Unione al momento è concentrata nelle faccende interne» disse Hod, evasiva. «Mi spiace informarla che nell’immediato futuro non è previsto l’invio di altre navi nel Quadrante Delta. Quindi siamo solo noi».

   Un mormorio costernato percorse gli ufficiali Krenim, che si aspettavano un aiuto più consistente. Hortis rifletté brevemente, con la fronte corrugata, ma non pretese chiarimenti sullo stato dell’Unione. «Un tempo avrei detto che non è molto. Ma ho appreso che una sola nave può fare la differenza, perciò siete i benvenuti» disse. «E la mia offerta resta valida: volete seguirmi su Vidiia Primo? Lei che è Vidiiana» si rivolse alla dottoressa «potrebbe scoprire perché la sua gente si sta tirando indietro, e magari convincerla a restare nell’Alleanza».

   «Posso provarci» disse Ladya, con un pizzico d’esitazione. Fare la portavoce federale, o peggio ancora la spia, non era nei suoi piani. Ma stavano affrontando un’emergenza che colpiva interi popoli. Se poteva fare la sua parte, non si sarebbe tirata indietro.

 

   Di lì a poco il Capitano e alcuni ufficiali – Norrin, Ladya e Vrel – erano di nuovo sulla Annorax. Stavolta l’Ammiraglio li condusse nel laboratorio astrometrico, un salone colmo di postazioni d’analisi e olo-proiettori. C’era molto personale all’opera e non tutti erano Krenim. Fra i tecnici spiccavano infatti due alieni bassi e tarchiati, imbacuccati in uniformi d’un grigio metallizzato, con enormi colletti rigidi. Avevano testoni glabri e paffuti, quasi da maiale, impressione accentuata dai nasi schiacciati e dal tono gutturale delle voci.

   «Vi presento i controllori Emk e Pemk, della Gerarchia» disse Hortis. «Sono con noi per scaricare i dati dalla loro sonda, combinandoli con quelli già in nostro possesso».

   «Già fatto, Ammiraglio» disse Emk, il più alto in grado. «Abbiamo espanso la nostra mappa di un buon 7%. Finalmente abbiamo le scansioni dei condotti da 242 a 279, e anche l’introvabile condotto 301. Ormai la Rete Subspaziale non ha più segreti» aggiunse compiaciuto.

   Mentre Emk parlava, il suo collega Pemk attivò un olo-proiettore al centro della sala. Apparve un’immagine tridimensionale della Via Lattea, con la Rete Subspaziale evidenziata in giallo. I condotti erano fittissimi in certi punti, molto più radi in altri. Per la maggior parte si concentravano nel Quadrante Delta, ma alcuni raggiungevano gli altri tre.

   «Nell’ultimo mese i Vaadwaur hanno spostato quindici sbocchi» proseguì Emk. «Come al solito, lo fanno per non essere inseguiti dopo una scorreria. Pemk, evidenzia gli Snodi!» ordinò. Il sottoposto eseguì prontamente. Tre punti rossi evidenziarono i luoghi in cui i tunnel spaziali convergevano maggiormente. Erano tutti nel Quadrante Delta, anche se molto distanziati fra loro.

   «Questa era la Rete prima delle ultime modifiche e questa è la sua configurazione attuale» spiegò Emk, indicando alcuni tracciati. I quindici condotti di cui aveva parlato si spostarono, talora accorciandosi, talora prolungandosi notevolmente. Molti di essi puntavano ora verso l’estremità più remota del Quadrante Delta.

   «I Vaadwaur vogliono espandersi qui?» chiese Norrin, notando la tendenza.

   «Probabile» confermò Emk. «Negli ultimi tempi i loro attacchi in questa zona si sono moltiplicati».

   «È qui che si trova Vidiia Primo?» si allarmò Ladya.

   «Sì» rispose Pemk, facendo udire per la prima volta la sua voce. Il tozzo alieno stava ancora manovrando i comandi, per cui gli era bastato un attimo per scorrere l’elenco dei pianeti in zona.

   «Taci! Sono io che parlo!» lo rimproverò il superiore. Dopo di che si rivolse a Ladya, con aria compunta. «Sì, il suo pianeta si trova in questa zona» confermò.

   Infastidito dai bisticci dei due alieni, Hortis si rivolse ai federali. «Come vedete, ci sono tre snodi in cui si concentrano i tunnel spaziali» disse, indicandoli in successione. «Lo Snodo 1 è vicino al pianeta Vaadwaur. Il 2 non è lontano dai nostri confini... all’apice dell’Impero Krenim era addirittura dentro. Il terzo snodo è oltre lo spazio Borg, verso la periferia galattica» concluse. «Quando abbiamo compreso com’è strutturata la Rete, abbiamo fatto delle analisi mirate. Ci siamo accorti che questi snodi sono essenziali per sorreggere l’impalcatura subspaziale. Questo li rende i bersagli perfetti. Se facessimo collassare un tunnel qualunque, per i Vaadwaur cambierebbe ben poco. Se colpissimo uno snodo minore, ne chiuderemmo una manciata. Ma se vogliamo eliminare l’intera Rete, dobbiamo colpire i tre snodi principali».

   «Colpirli con cosa?» volle sapere Hod.

   «Un impulso gravitonico di almeno quattro miliardi di terajoules» rispose Emk. «Se tre astronavi si mettono in posizione, ciascuna in uno snodo, e lanciano questi impulsi dal deflettore, la Rete Subspaziale collasserà».

   «Con le astronavi dentro» notò Vrel. «Quanto avremo per filarcela?».

   I due alieni si scambiarono un’occhiata meditabonda. «Quattro?» suggerì Pemk. Emk annuì e si rivolse di nuovo agli ospiti. «Tre, quattro minuti... ma sì, diciamo quattro. Abbastanza per metterci in salvo».

   «Se la Rete non è piena di navi Vaadwaur che ci sparano addosso» borbottò Vrel, per nulla rassicurato.

   «Non ho mai detto che sarebbe stato semplice, o sicuro» disse Hortis quietamente. «Ma le variabili fanno parte dell’equazione. E a noi Krenim piacciono le equazioni. Questa qui la stiamo calcolando da anni». Così dicendo si recò a uno schermo che mostrava file interminabili di calcoli matematici, estremamente complessi.

   «La Supremazia Vaadwaur non ha contiguità territoriale; è un insieme di colonie sparpagliate nella Galassia, collegate solo dai tunnel spaziali» spiegò l’Ammiraglio. «Senza di quelli, crollerà come un castello di carte. Le colonie non potranno più aiutarsi tra loro e nemmeno comunicare. Se vorranno sopravvivere, dovranno abbassare la cresta e smettere di aggredire tutti quelli che hanno intorno. I Vaadwaur sopravvivranno come specie, ma le loro velleità imperiali saranno stroncate per sempre».

   «I suoi calcoli sembrano molto precisi» notò Hod, accennando allo schermo pieno di equazioni. «Ha usato la sua tecnologia predittiva? Aveva promesso di non servirsene più».

   «L’emergenza mi ha costretto a fare un’eccezione» ammise Hortis. «Vedete, dovremo portare in battaglia almeno duecento astronavi per farci strada nei tunnel fino agli snodi. Con così tante forze in gioco, non possiamo andare alla cieca. Ci occorrono previsioni attendibili. Non crediate che sia facile! È quasi impossibile fattorizzare l’effettiva forza militare dei Vaadwaur, visto che di regola non attaccano in massa. Ma oltre una certa soglia non farà una gran differenza, perché resterebbero imbottigliati nei loro stessi tunnel. Probabilmente perderanno più navi nel collasso della Rete che non nell’effettiva battaglia. E questo è il rischio che corriamo anche noi, perciò dovremo andarcene alla svelta. Allora, siete sempre dell’idea di aiutarci?» chiese, scrutando i federali.

   «Siamo qui per fare la nostra parte» confermò Hod.

   «Allora non perdiamo tempo; andiamo a Vidiia» disse l’Ammiraglio, disattivando gli ologrammi. «Quel pianeta è molto lontano, oltre lo spazio Borg, per cui lo raggiungerò con una catapulta subspaziale. Suppongo che la vostra nave non ne abbia bisogno» aggiunse con una punta d’invidia. I Krenim non erano mai riusciti a padroneggiare la cavitazione quantica, tanto meno il propulsore cronografico. «Vi darò le coordinate, così ci rivedremo lì».

   «Potremmo portarla noi, se si fida» si offrì l’Elaysiana. «Così non dovrà sottoporre la sua nave ad altri due balzi».

   Hortis valutò attentamente l’offerta. Ogni salto con la catapulta subspaziale sottoponeva le astronavi a un fortissimo stress. L’Annorax aveva già fatto molti balzi, sia durante la Guerra delle Anomalie che negli ultimi anni, per cui era consigliabile limitarli il più possibile. «Accetto l’offerta» disse. «Sarà un piacere viaggiare su una nave federale... da incensurato» ironizzò.

 

   Mentre il Capitano e gli altri discutevano gli ultimi dettagli con i Krenim, Ladya si accostò al tecnico della Gerarchia di grado più basso. «Signor Pemk?» chiese timidamente.

   «Eh? S-sì, sono io» fece l’alieno, un po’ sorpreso.

   «La vostra mappa galattica è di una precisione strabiliante...» cominciò Ladya, cercando d’ingraziarselo.

   «Grazie. Nasce da anni di scrupolosa analisi della Rete Subspaziale» disse Pemk, visibilmente orgoglioso del suo lavoro.

   «Potrebbe farmi vedere Vidiia, per cortesia?» chiese la dottoressa.

   «Certo, mi segua». Il tozzo alieno si diresse a una postazione secondaria, con passo ondeggiante, e la Vidiiana lo tallonò. Presi i comandi, il tecnico mostrò sullo schermo il settore interessato. «Ecco qui. Forse non troverà ogni singolo avamposto, ma il suo pianeta è ben evidenziato» disse.

   Ladya lesse i nomi dei pianeti. C’erano Ocampa, Talax, Haakonia, i mondi dei Kazon... e finalmente eccolo lì, Vidiia Primo! Il suo cuore palpitò al pensiero che molto presto lo avrebbe visto con i suoi occhi. Il suo sogno di bambina stava per avverarsi. «Tornerò a casa, e sarà bellissimo».

 

   
 
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