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Autore: Parmandil    08/05/2020    1 recensioni
Abolita la Prima Direttiva per ragioni umanitarie, l’Unione Galattica è sprofondata nel caos. Le civiltà precurvatura abusano delle tecnologie loro donate e un terzo dei sistemi federali è pronto alla secessione, concretando il rischio di una guerra civile.
Dopo un violento attacco alieno, la Keter si reca nel Quadrante Delta, ripercorrendo la rotta della Voyager in cerca di riposte. Qui troverà vecchie conoscenze, come i Krenim e i Vidiiani, che si apprestano a colpire un nemico comune, incautamente risvegliato dalla Voyager secoli prima. I nostri eroi dovranno scegliere con chi schierarsi, in una battaglia che deciderà le sorti del Quadrante. Ma la sfida più ardua tocca a Ladya Mol, già tentata di lasciare la Flotta per riunirsi al suo popolo. Dopo una tragica rivelazione, la dottoressa dovrà lottare contro un morbo spaventoso; la sua dedizione potrebbe richiederle l’estremo sacrificio.
Nel frattempo i Voth, un’antica specie di sauri tecnologicamente evoluti, sono giunti sulla Terra per stabilire una volta per tutte se questo sia il loro mondo d’origine. Sperando d’ingraziarseli, le autorità federali li accolgono in amicizia, senza riflettere sulle conseguenze del ritorno dei “primi, veri terrestri” sul pianeta Terra.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 6: Tsunka, tsunka!

 

   Spinto dalla tremenda pressione del nucleo stellare, il plasma incandescente usciva a getto continuo dal wormhole. Una parte di esso si disperdeva nello spazio, ma il resto cadeva su Vidiia Primo, attirato dalla gravità. Solo lo Scudo Planetario proteggeva il pianeta dalla marea infuocata. Tutti i generatori lavoravano al massimo per tenerlo attivo, ma le riserve energetiche si stavano prosciugando rapidamente. Gli effetti dell’attacco erano già visibili. I magnifici anelli planetari si erano in gran parte dispersi: il ghiaccio era sublimato e le rocce venivano soffiate via dalla pressione del plasma. Le due lune, un tempo chiare, erano diventate nere come il carbone. Le rocce in superficie cominciavano a fondersi: la lava riempiva i crateri e scorreva nei canyon. Gli abitanti, fortunatamente pochi, erano già stati trasferiti nelle colonie. Ma il grosso della popolazione, che risiedeva sul pianeta, non poteva essere evacuato in tempo.

   Reduce dalla missione diplomatica per conto dell’Alleanza, la Keter si avvicinò a Vidiia, tenendosi sul lato opposto del pianeta rispetto alla fontana di plasma. I federali chiamarono le autorità, senza avere risposta. L’analisi sensoriale confermò che il pianeta era nel caos. Gli abitanti assaltavano gli spazioporti nel tentativo di mettersi in salvo, contendendosi selvaggiamente ogni navetta e capsula spaziale. Le autorità però stavano cercando di requisirle, per evitare che chi fuggiva le tenesse poi con sé, anziché metterle a disposizione per altri viaggi. Gli spazioporti erano così diventati campi di battaglia, con la polizia e l’esercito che usavano lacrimogeni e armi paralizzanti per trattenere le folle disperate.

   A un tratto un settore quadrato dello Scudo Planetario si aprì, permettendo l’uscita di un convoglio di astronavi. Erano perlopiù vascelli diplomatici, con un po’ di scorta. Il capitano Hod li osservò accigliata. «Chiamiamoli» ordinò.

   Dopo qualche minuto di chiamate insistenti, uno dei vascelli rispose. L’ambasciatore Dallorath apparve sullo schermo. Aveva i capelli arruffati e l’abito spiegazzato. «Keter... siete tornati nella nostra ora più tragica. Ho pochissimo tempo da dedicarvi» disse.

   «La situazione è chiara, ambasciatore. È opera dei Vaadwaur, vero?» chiese Hod.

   «Già... quelle serpi hanno trasformato i tunnel spaziali in un’arma di sterminio» confermò il Vidiiano. Notando che accanto al Capitano c’era l’Ammiraglio Hortis, si rivolse a lui. «Come sono felice di rivederla! Voi... intendo l’Alleanza... dovete aiutarci con l’evacuazione!».

   «Al tempo» disse l’Ammiraglio, squadrandolo con durezza. «L’Alleanza aiuta i suoi membri... ma non è ancora chiaro se volete farne parte».

   «Ma sì, sì! Siamo con voi, faremo tutto quello che volete!» gridò Dallorath, con gli occhi febbricitanti. «Adesso però aiutateci!».

   «Volentieri, ma resta da vedere qual è l’aiuto più efficace» spiegò Hortis. «La vostra popolazione è troppo numerosa per evacuarla in tempo».

   «Sono 4 miliardi e 235 milioni di persone» avvertì Zafreen, che aveva scansionato il pianeta.

   «Quanto reggerà lo Scudo Planetario?» chiese l’Ammiraglio.

   «Trenta giorni al massimo» rivelò Dallorath, asciugandosi il sudore dalla fronte. «Abbiamo richiamato le nostre navi, ma anche con l’intera flotta potremo salvare pochi milioni di persone. Non sappiamo nemmeno dove trasferirle: le colonie sono troppo piccole per accogliere un tale flusso di rifugiati».

   «Un momento» intervenne il Capitano Hod. «Dopo avervi attaccati, i Vaadwaur vi hanno inviato messaggi? Ultimatum, richieste?».

   Dallorath tacque per un tempo stranamente lungo. Sembrava combattuto. «No» disse infine. «Nessuna comunicazione. Ma non serve, il loro intento è chiaro. Vogliono sterminarci!» ripeté.

   Il Capitano e l’Ammiraglio si scambiarono un’occhiata. Ciascuno dei due lesse il sospetto negli occhi dell’altro: l’ambasciatore non la raccontava giusta.

   «È strano che i Vaadwaur vi abbiano attaccati così ferocemente, proprio ora che vi stavate ritirando dall’Alleanza» notò Hortis. «Sarebbe stato più sensato colpire noi. Oppure i Devore e la Gerarchia, che ci hanno appena confermato il loro appoggio».

   «Forse toccherà anche a voi» avvertì Dallorath. «Ma fino ad allora, v’imploro di aiutarci con l’evacuazione».

   «Se i Vaadwaur sono determinati a uccidervi, apriranno altri tunnel presso le vostre colonie, o in qualunque luogo vi porteremo» obiettò l’Ammiraglio. «Solo distruggendo la Rete Subspaziale avremo la certezza di eliminare queste armi-tunnel. Quindi è più che mai importante e urgente che uniate la vostra flotta alla nostra, nell’attacco alla Rete».

   «Ancora con questa storia?!» protestò Dallorath, esasperato. «Glielo dirò chiaro e tondo: non ci fidiamo del suo piano. Se mandiamo la flotta nella Rete, potrebbe restare imbottigliata, alla mercé del nemico. O potrebbe finire dispersa all’altro capo della Galassia, senza mezzi per tornare. Anche se riuscissimo nel piano, chi ci assicura che le astronavi non saranno distrutte dal collasso dei tunnel? No, Ammiraglio... quelle navi ci servono per evacuare quanta più gente possibile. Se volete esserci amici, aiutateci col trasferimento. Ma se andate a ficcarvi in quel labirinto, lo fate a vostro rischio e pericolo. Noi non vi seguiremo».

   Hortis scosse il capo, deluso. «La vostra ostinazione mi mette con le spalle al muro» avvertì. «Conferirò con gli alleati. Ma sono quasi certo che opteranno per attaccare al più presto. Se avremo successo, la Rete collasserà e voi sarete salvi. Tutti quanti, non solo i pochi milioni di persone che vi aiuteremmo a trasferire».

   «Allora possiamo solo sperare nella vostra vittoria» disse Dallorath, facendo già il gesto di chiudere la comunicazione. «Addio, e buona fortuna».

   «Un momento!» intervenne Hod, avvicinandosi allo schermo. «Ambasciatore, sebbene siano momenti concitati per voi, vi chiedo restituirci la dottoressa Mol».

   «La dottoressa?» fece il Vidiiano, colto alla sprovvista. «Ah, già... la dottoressa». Il suo viso si rabbuiò ed egli distolse lo sguardo. «Nella confusione ho perso i contatti con lei. Non so dove si trovi adesso».

   «Non rilevo il suo comunicatore» avvertì Zafreen. «Sto cercando d’isolare i suoi segni vitali, ma è difficile distinguerla da milioni di altri Vidiiani. Frell!» imprecò.

   Hod scambiò un’occhiata con Norrin. In anni di peripezie, non aveva mai visto tanto terrore sul volto dell’Hirogeno. Si rivolse di nuovo a Dallorath, stavolta con freddezza. «Ci eravamo fidati di voi, lasciandovi la dottoressa. Le avevate dato un appartamento nel quartiere governativo, a poca distanza dai vostri. E non mi è sfuggito che lei, ambasciatore, era particolarmente legato a Ladya. Quindi perché non l’ha portata con sé?» inquisì.

   «Io... non devo rendere conto a voi!» esclamò Dallorath, facendosi paonazzo. «A terra era un delirio, tutti correvano verso le astronavi. Io e Ladya ci siamo persi di vista, mi spiace. Se volete ritrovarla, aiutateci con l’evacuazione; altrimenti levatevi di mezzo».

   «Se crede...» cominciò il Capitano, ma il Vidiiano troncò la comunicazione. Sullo schermo riapparve la sua nave, che accese i motori a impulso per allontanarsi.

   «Eh no, non finisce così!» sbottò l’Elaysiana, perdendo per un attimo la compostezza. «Fermate quella nave col raggio traente! E portate Dallorath a bordo. Abbattete gli scudi, se necessario, ma lo voglio qui!».

   Norrin non se lo fece ripetere. Appena la nave vidiiana fu immobilizzata, la colpì con precisi raggi anti-polaronici, finché gli scudi cedettero. Dallorath fu subito teletrasportato in plancia.

   «Ma che... aiuto! Rapimento!» gridò il Vidiiano. Scattò verso il turboascensore, ma si appiattì il naso contro il campo di forza che circondava la pedana e cadde all’indietro.

   Nel frattempo le navi da guerra vidiiane, accortesi dell’attacco, stavano convergendo sulla Keter. I primi colpi scossero la nave federale, che aveva rialzato gli scudi. «Via di qui, torniamo nello spazio Krenim» ordinò il Capitano, sdegnata. Il propulsore cronografico traslò istantaneamente la Keter, sottraendola all’attacco.

   In fondo alla plancia, Dallorath si rialzò dolorante. Vedendo che le navi da guerra erano svanite dallo schermo e anche le stelle erano mutate, capì di essere lontanissimo da Vidiia. «Avete rapito un ambasciatore... la pagherete cara» minacciò. «Io godo dell’immunità diplomatica!».

   «Lei si trova a 15.000 anni luce dalla sua gente» avvertì Norrin, avvicinandosi con fare minaccioso. «Non credo che la sentiranno strillare».

 

   Poche ore dopo, Hod e Norrin sedevano in sala tattica con l’Ammiraglio Hortis. «Signori, vi esprimo il mio cordoglio per quanto accaduto» disse il Krenim. «Non immaginavo che i Vidiiani fossero così meschini. Infettare i Vaadwaur... almeno ora molte cose si chiariscono. Compreso il rapimento della dottoressa Mol».

   «Se trovassimo una cura, potremmo farci restituire Ladya. E magari far cessare l’attacco a Vidiia» suggerì Norrin, ma anche lui ci credeva poco.

   «Non abbiamo neanche un campione di virus da studiare» sospirò il Capitano. «Cercheremo di farcelo consegnare dai Vidiiani, in cambio della restituzione dell’ambasciatore. Ma anche avendolo, non dobbiamo aspettarci miracoli. Ci vollero le più grandi menti della Galassia per sconfiggere la Phagia nella sua vecchia forma. Questo ceppo mutato sarà ancora più difficile da battere».

   «Allora facciamola finita» disse l’Hirogeno, cupo. «Attacchiamo la Rete Subspaziale secondo il piano. Se è vero che i Vaadwaur sono per metà infetti, opporranno una debole resistenza. La Rete collasserà e i Vidiiani saranno salvi».

   «Posto che meritino la salvezza» disse Hortis con voce amara. «Ma sì, è l’unica linea d’azione che ci resta».

   «Così però i Vaadwaur resteranno in preda alla Phagia» notò il Capitano. «Potrebbero estinguersi».

   «Nessuno li rimpiangerà» disse Norrin, pensando a ciò che Ladya stava passando nelle loro grinfie.

   «Capitano, so che per la Flotta Stellare anche la vita dei nemici va protetta» disse Hortis. «Vi ammiro per questo. Se troveremo una cura, la trasmetteremo ai Vaadwaur. Ma dobbiamo comunque attaccare la Rete prima che Vidiia sia distrutto».

   Hod guardò con apprensione Norrin, che fissava la superficie scura del tavolo senza più parlare. «Anch’io voglio salvarla» disse a bassa voce.

   «No, Capitano» rispose l’Hirogeno, il volto duro come pietra. «Non le chiederò di lanciare una missione di recupero. Non possiamo scombinare i piani dell’Alleanza per salvare una sola persona... per quanto cara».

   «Se solo sapessimo dove cercarla!» sospirò l’Elaysiana. «Nella Rete? Sulle colonie Vaadwaur? Abbiamo poco tempo... ma glielo giuro, Norrin. Se avremo il minimo indizio sulla posizione di Ladya, autorizzerò la missione di recupero».

   «Chiamo subito la Gerarchia» disse Hortis. «Se c’è qualcuno capace di rintracciare una persona scomparsa, sono quei nanerottoli. Riescono a intercettare ogni trasmissione subspaziale e a ricostruire la rotta di ogni nave». Ciò detto l’Ammiraglio lasciò la sala tattica, per tornare alla sua nave.

   Il Capitano si trattenne brevemente, osservando con apprensione il suo Ufficiale Tattico. Norrin era sempre stato padrone di sé, anche nei momenti peggiori. Ma ora che ne andava di Ladya, c’era il rischio che perdesse la lucidità, proprio in vista della più grande battaglia che la Keter avesse mai affrontato. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma nulla poteva confortarlo in quel momento, per cui tornò in plancia, lasciandolo ai suoi pensieri.

 

   Quella sera Norrin sedeva nel suo alloggio, con le luci basse, ascoltando una lenta nenia triste. Andava con la memoria a tutte le volte che aveva fatto qualcosa di bello con Ladya, o che avevano superato insieme un ostacolo. Il pensiero che non l’avrebbe rivista gli schiacciava il cuore come un macigno. Continuava a chiedersi se aveva sbagliato qualcosa, se avrebbe dovuto insistere di più per trattenerla. E soprattutto si chiedeva dove fosse lei in quel momento. I Vaadwaur potevano averla portata ovunque. Stando alla confessione di Dallorath, era probabile che l’avessero rapita affinché curasse la loro malattia. Ma se non ci fosse riuscita? Se la Phagia fosse progredita e l’Alleanza avesse attaccato la Rete, non era da credere che i Vaadwaur si sarebbero sbarazzati di lei? Forse erano in procinto di farlo... forse l’avevano già fatto. A questo pensiero Norrin si sentì afferrare dalla disperazione.

   Il segnale dell’ingresso lo distolse dai tetri pensieri. Dapprima l’Hirogeno non rispose, sperando che il seccatore se ne andasse. Ma i secondi passavano e la porta continuava a trillare. «Via! Non ci sono per nessuno!» berciò l’Ufficiale Tattico.

   Il visitatore doveva essere sordo o molto insistente, perché la porta continuò a suonare. Deciso a non cedere, Norrin alzò il volume della musica e sedette dando le spalle all’ingresso. Cercò di concentrarsi sulle note, anziché sui fastidiosi be-beep. Ma a un certo punto udì un deciso bussare alle sue spalle. «Computer, fine musica. Avanti!» esclamò. Si alzò di scatto, deciso a dirne quattro al seccatore, ma voltandosi si trovò davanti al Comandante Radek.

   Il Rigeliano aveva con sé una bottiglia piena di un liquido verdissimo e un paio di bicchieri. «Alla buon’ora» disse, entrando nell’alloggio. «Cominciavo a pensare che ti fossi addormentato».

   «No, la prego!» fece Norrin, sapendo che il Comandante aveva un debole per i liquori. «Non ho bisogno di annegare i miei dispiaceri».

   «Sicuro? A vederti si direbbe il contrario» notò Radek, dirigendosi spedito verso il tavolino. «Questo è whisky di Aldebaran, ricordo che ti piace. Mio nonno riusciva a indovinare l’annata al primo sorso. Io non sono alla sua altezza, ma mi considero comunque un estimatore». Così dicendo stappò la bottiglia e iniziò a riempire i bicchieri.

   «Comandante, posso sapere che le prende? In cinque anni ha sempre mantenuto le distanze dai colleghi» disse l’Hirogeno, confuso dal suo atteggiamento.

   «Ultimamente mi sono trovato a pensare che troppa formalità non fa bene al morale» spiegò il Rigeliano, porgendogli il bicchiere pieno. «In orario di servizio dobbiamo essere d’esempio per la ciurma, ma quando si smonta possiamo sfogarci un po’. Su, vecchio mio... è quasi mezzanotte, i gradi non esistono. Siamo solo due veterani che vogliono farsi una bevuta» insisté.

   «E va bene» si arrese Norrin, prendendo finalmente il bicchierino colmo di liquore verde. «Solo un goccio, però».

 

   «... e poi c’è stata quella volta nel Melange» disse Norrin, con voce strascicata. «Se Ladya non avesse fatto esplodere la bomba al thalaron, che fine avremmo fatto, eh?! Saremmo polvere spaziale!» esclamò, agitando il bicchiere.

   «Giusto! Un brindisi per il suo coraggio!» biascicò Radek, agguantando la bottiglia semivuota. Ebbe qualche difficoltà a centrare i bicchieri, che cominciavano a sdoppiarsi davanti a lui. Un po’ di whisky andò versato, ma alla fine ci riuscì. I due ubriachi levarono i bicchierini, facendoli tintinnare sonoramente, e li svuotarono d’un sorso. Poi li sbatterono sul tavolo.

   «Ah!» fece Norrin, inclinando all’indietro la sedia, finché poggiò contro la paratia. «Non so dire quand’è che ho cominciato ad amare Ladya. Penso sia stata una cosa graduale. La vedevo sempre così dedita al prossimo, così dimentica di sé! E non parlo solo del suo lavoro. Ogni volta che c’è un bisticcio, lei calma gli animi. Ogni volta che qualcuno si sente disperato, lei ha parole di conforto. È la persona più genuina che abbia mai conosciuto. Come lei ce n’è una su un milione... una su un miliardo... hic!». Passata la fase dell’esaltazione, l’Hirogeno stava scivolando nella sbronza triste.

   «Su con la vita! Non è finita, finché non è finita!» lo incoraggiò il Rigeliano. «Ladya è ancora là fuori, da qualche parte. Aspetta solo che andiamo a prenderla» disse, indicando vagamente attorno a sé.

   «Ma può essere ovunque... l’avranno rinchiusa su un’astronave...» frignò Norrin.

   «Con un’epidemia in corso? La terranno in una colonia, dove può visitare più pazienti e ha più strumenti a disposizione» obiettò Radek, riacquistando in parte la lucidità. «L’Alleanza ci dirà dov’è più probabile che sia».

   «E poi che faremo? L’Alleanza vuol colpire la Rete, non una colonia. Saremo soli. E i Vaadwaur la useranno come scudo!». L’Hirogeno dette un gran pugno sul tavolo.

   «Dovrà essere un’infiltrazione. Saremo io, te e pochi ragazzi fidati» spiegò il Comandante.

   «Tu?» si stupì l’Ufficiale Tattico.

   «Certo, perché? Mi prendi per uno di quelli che non rischiano? Lo faccio, quando c’è un buon motivo» spiegò Radek. «Appena avremo una pista verrò con te. Vedrai, la salveremo, costi quel che costi!» s’impegnò.

   «Grazie» farfugliò Norrin, commosso. «Ti avevo mal giudicato. Sei un vero amico».

   «Ah, lascia stare» si schermì il Rigeliano. «Ve lo devo, per tutte le volte che tu e Ladya avete salvato la baracca». Muovendosi quasi a tentoni, afferrò la bottiglia. Erano rimaste solo due dita di whisky. «Ah, guarda... ce n’è per l’ultimo brindisi. A che brindiamo?».

   «Non so, fa’ tu» disse l’Hirogeno, cercando di sedere più compostamente.

   «Al salvataggio!» propose Radek, esaltandosi. «Niente e nessuno ci fermerà! Saremo la miglior squadra che... oops!». Aveva inavvertitamente fatto cadere il proprio bicchiere, che si ruppe. Il Comandante si abbassò per raccogliere i cocci, anche se non aveva un tovagliolo, né una paletta.

   «Lascia stare, ci penso io domani» lo fermò Norrin. «Scolati la bottiglia».

   «Eh, eh...». Rialzatosi, il Rigeliano gli riempì a mezzo il bicchiere e tenne per sé la bottiglia con l’ultimo dito di whisky. L’agitò per rimescolare il liquore e infine la svuotò d’un sorso, mentre l’Hirogeno faceva lo stesso con il bicchierino. Rumori di gola sancirono il patto tra i due ufficiali della Flotta Stellare.

 

   «Tsunka! Tsunka!» gridò la folla esagitata. Le luci stroboscopiche danzavano sulle superfici argentee dell’arena, sui corpi dei lottatori e sui volti accalorati del pubblico. Una musica incalzante, simile al rullo di tamburi, scandiva le fasi dello scontro. Lo Tsunkatse era uno sport apprezzato da secoli, su Norcadia e in tutto il circondario. Due lottatori, vestiti con tute argentee, si battevano in una piccola arena circolare, dalle pareti inclinate che consentivano di avvantaggiarsi con salti e acrobazie. Tutt’intorno la folla assiepata sugli spalti poteva incoraggiarli con grida e applausi, o al contrario esprimere disappunto. Lo stile di combattimento era eclettico: fondeva tecniche di pugilato e lotta libera, anche se in linea di massima si privilegiavano colpi rapidi, anziché prese.

   I lottatori, un massiccio Pendari e una più agile Norcadiana, s’interruppero brevemente per riprendere fiato e rivedere le loro strategie. La vittoria, infatti, non era questione di pura forza. Ogni combattente portava dei piccoli disgregatori polaronici agganciati ai guanti e alle scarpe. Le tute argentee erano isolanti, ma in corrispondenza del petto e della schiena c’erano due piccoli sensori rotondi, che invece erano di materiale superconduttore. Scopo del gioco era colpire i sensori dell’avversario, trasmettendogli la scossa, senza esporre i propri al contrattacco. Lo scontro proseguiva finché uno dei contendenti crollava per le troppe scosse e non riusciva più a rialzarsi.

   Il Pendari tornò all’attacco, con una combinazione di calci e pugni. Più che ai sensori dell’avversaria mirava alla sua testa, per stordirla a furia di sberle. Questo genere di attacchi non era espressamente vietato dal regolamento, ma avrebbe dovuto essere limitato il più possibile. Percuotere direttamente l’avversario, anziché stordirlo con gli impulsi, era considerato un modo di giocare “sporco” e poco professionale. Il pubblico fece prontamente udire il suo scontento.

   Sentendo i versi di disapprovazione, il Pendari alzò gli occhi a una finestrella posta sopra l’ingresso dell’arena. Il suo capo era lì a osservarlo. A giudicare dall’espressione, anche lui era contrariato.

   Il Pendari pensò che era meglio tornare a una strategia più ortodossa. Ma approfittando della sua distrazione, la Norcadiana gli assestò un calcio, cogliendo il sensore toracico. La violenta scossa azzurrina attanagliò il petto del Pendari, che si piegò e incespicò in avanti. Prima che potesse riaversi, la Norcadiana gli sgusciò dietro e lo colpì al secondo sensore, tra le scapole. Al primo colpo ne seguì un secondo e poi un terzo, in rapida successione. Il Pendari sentì che le ginocchia gli cedevano e cadde in avanti. Una volta a terra si rotolò, evitando un altro colpo. Adesso era supino e vedeva l’avversaria che incombeva su di lui. Cercò di falciarla con le gambe, ma lei sfuggì con un salto. Allora allungò un calcio, mirando al sensore anteriore. Lo mancò di poco.

   Colpita allo stomaco, la Norcadiana accusò il colpo; ma in assenza della scossa si riprese subito. Colpì il sensore toracico del Pendari con un calcio, facendolo tremare da capo a piedi. Poi si gettò su di lui, abbrancandolo, e lo colpì ripetutamente al petto. Uno, due, tre... al quarto colpo il Pendari giacque privo di sensi. La Norcadiana si rialzò, sudata e dolorante, ma anche inorgoglita dalla vittoria. Alzò le braccia, invitando la folla a far udire gli apprezzamenti, e si guardò attorno, assaporando il suo momento di gloria.

   Gli spettatori si alzarono, sollevando i pugni chiusi per salutare il vincitore. «Tsunka! Tsunka!» gridarono decine di voci aliene. Alcuni però non erano affatto soddisfatti del risultato. Erano gli scommettitori che avevano puntato sul Pendari, rassicurati dalla sua prestanza fisica, e avevano perso. Prima ancora di lasciare gli spalti, i creditori vennero da loro, per rammentargli quanto dovevano sborsare. Le scommesse sugli incontri di Tsunkatse costituivano un notevole giro d’affari su Norcadia. Grandi fortune si accumulavano e sfumavano con altrettanta rapidità, in base all’esito delle lotte.

   Due inservienti muniti di barella salirono sull’arena, per portare via il Pendari privo di sensi. Gli era andata bene: era un incontro blu, in cui allo sconfitto era dato di riprendersi per gareggiare ancora. Negli scontri rossi, invece, al vincitore era consegnata una vibro-lama con cui sferrare il colpo mortale. Questa tipologia di scontri era rara, dato che addestrare un campione costava tempo e risorse; farselo uccidere costituiva uno spreco. Ma era innegabile che attirassero più pubblico, non solo su Norcadia, ma anche sui mondi vicini: i combattimenti erano trasmessi via subspazio in tutto il settore. Gli ologrammi dei lottatori erano proiettati nelle arene locali, in tempo reale, così da non inficiare le scommesse.

   Ricevuto l’omaggio della folla, la Norcadiana lasciò l’arena. A questo punto anche gli spettatori abbandonarono gli spalti, scambiandosi pareri sullo spettacolo. Molti concordavano sul fatto che il Pendari avesse avuto quel che si meritava. «Qualche anno fa era un grande campione, ma ormai è sul viale del tramonto» commentò un Nygeano.

   «Dieci giorni di ricerche, e guarda dove siamo finiti» mugugnò Norrin, guardandosi attorno schifato.

   «Coraggio, amico. Siamo sulla pista giusta» lo confortò Radek. «Guarda, il nostro contatto».

   Un Norcadiano con un fiore purpureo all’occhiello venne verso di loro. «Non ci sono più i campioni di una volta» commentò. Era la frase di riconoscimento.

   «Su con la vita; c’è ancora valore nell’arena» gli rispose Radek a tono.

   Udendo la risposta concordata, il Norcadiano si rilassò. «Benvenuti, amici. Finalmente c’incontriamo di persona».

   «Era ora» disse Norrin. «Cominciavo a pensare che non ti saresti presentato».

   «C’è stato un cambio di programma» avvertì l’alieno. «Il mio capo vuole occuparsi direttamente dell’affare. Quindi vi accompagnerò da lui».

   «Non erano questi i patti» s’insospettì l’Hirogeno. Si portò la mano in tasca, dove teneva il phaser di tipo 1.

   «O si fa così, o potete andarvene» ribatté il Norcadiano. «Il capo non ha bisogno di voi, ma voi avete bisogno di lui, quindi vi consiglio di accettare».

   «E va bene» brontolò Norrin, ritirando la mano. «Vediamo il tuo capoccia».

 

   I due federali furono circondati da un gruppetto di guardie, di varie specie, che li scortarono fuori dal salone. Erano ancora nel palazzotto in cui si svolgevano gli spettacoli, un edificio basso e largo che sorgeva in una zona malfamata della capitale. Da una finestra Norrin intravide alcuni palazzi abbandonati e le ciminiere della zona industriale.

   Il gruppetto oltrepassò gli sportelli in cui si gestivano le scommesse. C’era una fila di scommettitori, in attesa di versare o incassare la loro quota. Gli animi erano accesi: molti gridavano ed erano sul punto di venire alle mani, tanto che dovettero intervenire i sorveglianti per riportare la calma. Norrin e Radek però seguirono il loro contatto, fino a raggiungere un ascensore.

   «Su di qua» disse il Norcadiano. «Ma prima, abbiate pazienza...». Le guardie perquisirono i federali, disarmandoli. «Le vostre cose vi saranno restituite all’uscita. Sono certo che comprenderete».

   «Hm-hm» fece Norrin, augurandosi di non finire in trappola.

   Salirono tutti sull’ascensore, che li portò qualche piano più in alto. Qui c’era una zona lussuosa, con uffici e aree ristoro. Sempre scortati dalle guardie, i federali giunsero in un attico particolarmente sontuoso. Un’olo-parete proiettava paesaggi più gradevoli delle ciminiere circostanti. Una segretaria norcadiana, il cui abbigliamento si addiceva più a una discoteca che a un ufficio, si stava ridipingendo con gran cura le unghie ad artiglio. E in fondo all’ufficio, dietro una scrivania iper-tecnologica, c’era il capo dell’organizzazione.

   Era un Norcadiano vestito in modo appariscente, con lunghi baffi impomatati. All’arrivo degli ospiti si alzò in piedi, scrocchiandosi le dita piene di anelli. «Benvenuti, signori! Io sono Erlik e mi pregio di gestire questa piccola azienda sportiva, tra le altre cose. Ho sentito che venite da molto lontano. Posso offrirvi qualcosa?» chiese, accennando al replicatore placcato d’oro incassato nella parete.

   «Molto cortese, ma preferiamo venire subito agli affari» disse Radek. «Ci è giunta voce che lei intrattiene rapporti coi Vaadwaur».

   «Davvero? E chi ve lo ha detto?» chiese Erlik, aggirando la scrivania per accostarsi agli ospiti. Quando venne in piena vista, le sue scarpe luccicarono: anch’esse erano placcate d’oro.

   «Amici di amici» rispose il Comandante, evasivo. «Pochi hanno il fegato di commerciare coi Vaadwaur, da quando il suo governo ha decretato l’embargo. Ma lei gli spedisce regolarmente viveri, componentistica per astronavi... e ultimamente medicinali. Alcuni dicono che gli vende anche armi, ma sono certo che si tratta di malelingue» ironizzò.

   «Ogni onesto imprenditore deve confrontarsi con le fake news» disse il Norcadiano, scrutando l’ospite. «Il mondo degli affari è spietato, sapete. Non c’è l’onore che troverete in un’arena di Tsunkatse».

   «Nondimeno, lei sa dove si trova la capitale Vaadwaur» proseguì Radek. «E può fornirci la copertura per arrivare fin laggiù. Ci basterà unirci ai suoi corrieri, quando gli spedirete il prossimo carico».

   «Mi chiedete molto» notò Erlik. «Se si trattasse solo di fornirvi le coordinate, non avrei problemi. Ma se vi mando là coi miei ragazzi, e voi attaccate briga coi Vaadwaur, metto a repentaglio la mia organizzazione. Sapete, i Vaadwaur non sono teneri con chi li tradisce. E non c’è luogo della Galassia che sia fuori dalla loro portata».

   Radek e Norrin si scambiarono un’occhiata. Dopo di che fu l’Hirogeno a prendere la parola. «Visto che un “onesto imprenditore” come lei conosce il valore delle informazioni, gliene darò una gratis. La buona stella dei Vaadwaur sta per tramontare. Si sono messi di nuovo contro tutti e stanno per pagarne le conseguenze. La prossima spedizione che gli farete sarà con ogni probabilità l’ultima. Questo indipendentemente dal fatto che ci aiutiate o meno» avvertì.

   Erlik lo fissò per qualche secondo, aggrottando la fronte alta e squadrata da Norcadiano. Poi si ritrasse e confabulò con un paio di collaboratori. Gli bisbigliò degli ordini e questi lasciarono rapidamente l’ufficio. Infine si rivolse di nuovo ai federali. «Sono curioso di vedere se avrete ragione» disse. «Per quanto riguarda la vostra richiesta, ci possiamo accordare».

   «Avevamo già raggiunto un accordo col suo tirapiedi» notò Radek, passeggiando accanto alla sua scrivania. «Duecento barre di latinum, venti kg di dilitio e la tecnologia per smaltire le scorie di antimateria. Per un imprenditore come lei, ansioso di mostrare la sua onestà, non c’è business più indicato di quello ecologico. Passerà alla storia come un filantropo» disse, sempre ironico. In passato gli ufficiali di Flotta non avrebbero potuto cedere così facilmente le loro tecnologie. Ma ora che Rangda aveva abolito la Prima Direttiva, c’erano ben pochi limiti agli scambi. Restava il veto sulla vendita di armi, ma per il resto potevano agire a loro discrezione.

   «Uhm, sì, mi ci vedo nel ruolo» sorrise Erlik, scoprendo i denti non proprio puliti. «Sono tentato di accettare. Ma devo chiedervi un’altra cosa... consideratelo un favore personale».

   «Sentiamo» disse Radek, preparandosi a un altro esborso. Per fortuna il Capitano Hod gli aveva garantito tutte le risorse della nave per completare la missione.

   «Come avete visto, ho una grande passione per gli incontri di Tsunkatse» spiegò il Norcadiano. «È con questi che ho iniziato la carriera, anche se ora costituiscono solo una percentuale dei miei introiti. Dovete sapere che da tempo i miei spettatori chiedono a gran voce di veder combattere un Hirogeno» rivelò, concentrandosi su Norrin. «Quelli della sua specie sono ottimi lottatori, ma raramente si lasciano coinvolgere nel nostro sport. Perciò le chiedo di calcare l’arena, per uno scontro indimenticabile».

   Norrin ebbe una sgradevole sensazione allo stomaco, come un senso di vertigine. Aveva visto con quanta violenza i lottatori si erano colpiti nell’arena, finché uno era stramazzato. E anche se quello era uno scontro blu, senza sangue, sapeva degli scontri rossi che terminavano con l’uccisione del perdente. Incrociò lo sguardo con Radek, che scosse la testa in modo appena percettibile. Ma l’Hirogeno non se la sentiva di mollare la loro unica pista. «Accetto solo a due condizioni» disse. «Primo: che si tratti di uno scontro blu, in cui non muore nessuno. Secondo: che sia un’unica esibizione. Niente repliche, niente rivincite».

   «Peccato... sono certo che un tipo ben piantato come lei avrebbe una carriera luminosa» disse Erlik, osservando il fisico muscoloso dell’Hirogeno così come un Ferengi avrebbe osservato una pila di latinum. «E va bene, ha la mia parola; ma lei veda d’impegnarsi. Dovrà essere un’esibizione indimenticabile!» esclamò, gesticolando animato.

   «La organizzi al più presto. Abbiamo molta fretta» disse Norrin, temendo che la cosa andasse per le lunghe.

   «Beh, mi ci vorrà qualche giorno per fare pubblicità» si cautelò il Norcadiano «Anche se posso contare su un pubblico di appassionati, gli eventi speciali vanno reclamizzati. Attira gli scommettitori!» gongolò, fregandosi le mani. «Nel frattempo i miei campioni le spiegheranno i rudimenti dell’arte. Suppongo che lei, in quanto Hirogeno, conosca già varie tecniche di lotta...».

   «Sì, ma non quelle tipiche della mia gente» spiegò l’Ufficiale Tattico. «La mia formazione è stata diversa».

   «Fa lo stesso... quando pratichi la lotta, è più facile imparare nuove mosse» disse Erlik, facendo spallucce. «Bene, amico mio. Siccome il tempo stringe, ti chiedo di restare mio ospite fino al giorno dell’incontro. Così potremo cominciare subito ad addestrarti. Quanto a lei, signor Radek... la rivedrò volentieri a cose fatte» promise, girandosi verso il Rigeliano.

   «A quel giorno, allora» disse il Comandante, allontanandosi dalla scrivania. «Le verserò il compenso dopo aver recuperato il mio socio. Una piccola precauzione, sono certo che capisce».

   «Ma sicuro» fece il Norcadiano, contrariato. «Spero che assisterà anche lei allo spettacolo. E se vuol fare scommesse, non si faccia problemi. Può depositare un fondo presso il nostro banco. La base di partenza è mille crediti norcadiani, facilmente convertibili».

   «Adesso non esageri» disse Radek, avviandosi all’uscita. «Le do tre giorni per allestire l’incontro; poi verrò a recuperare il mio socio».

 

   Furono i tre giorni peggiori che Norrin avesse passato da molto tempo a quella parte. L’Hirogeno fu condotto nei livelli inferiori del palazzo, dove si trovavano i dormitori e le sale d’addestramento dei lottatori. Qui fu presentato ai combattenti e gli fu data una tuta della sua taglia. Poiché lo scontro si sarebbe tenuto di lì a pochi giorni, l’addestramento cominciò subito. I suoi insegnanti furono, a turno, i lottatori professionisti. Alcuni sembravano infastiditi dalla sua presenza e gli dissero il minimo indispensabile. Altri furono insegnanti migliori, più per correttezza professionale che per simpatia. Nelle poche occasioni in cui riuscì a fare conversazione, Norrin scoprì che alcuni di loro praticavano quel mestiere da anni. Questo lo confortò, perché significava che si poteva sopravvivere a molti scontri. I suoi insegnanti confermarono che i combattimenti all’ultimo sangue erano rari, perché la morte di un campione rappresentava una perdita notevole per gli organizzatori.

   L’Hirogeno si avvide che i lottatori vivevano in una condizione paragonabile alla schiavitù: non potevano allontanarsi dalla struttura, né rifiutarsi di tenere uno scontro. Il loro prestigio, determinato dal numero di vittorie e dal favore del pubblico, si traduceva in privilegi oltre che in denaro. Un campione aveva cibo migliore, passatempi, e se veniva ferito riceveva cure appropriate. Al contrario un lottatore scadente era trattato sempre peggio, cosa che certo non lo aiutava a migliorare. I più sfortunati erano destinati agli scontri rossi, perché il gestore aveva deciso di sbarazzarsi di loro. Solo chi vinceva molti scontri, e resisteva alla tentazione di sperperare le vincite in scommesse e piaceri, poteva alfine comprarsi la libertà.

   L’unica consolazione di Norrin era che, come aveva detto Erlik, chi è addestrato a lottare impara più facilmente le nuove mosse. Come Ufficiale Tattico, l’Hirogeno padroneggiava molti stili di combattimento. Già da ragazzo aveva imparato qualcosa dai suoi simili, prima di essere separato da loro. Poi aveva superato il rigoroso addestramento d’Accademia. Anche negli anni seguenti si era sempre tenuto allenato. Così molte mosse dello Tsunkatse facevano già parte del suo repertorio, anche se le chiamava in modo diverso. In altri casi c’erano piccole differenze, tanto da poterle considerare varianti delle tecniche note. Le mosse davvero nuove che dovette imparare furono poche. La principale preoccupazione era non scoprire i propri sensori, mentre si cercava di colpire quelli dell’avversario. Una volta che si subiva un colpo bisognava ritrarsi subito, per non permettere all’opponente di assestarne altri, anche se già dopo la prima scarica i muscoli erano intorpiditi. Norrin si ripromise di stare molto attento.

   «Te la caverai» gli disse la sua ultima insegnante, la Norcadiana che aveva visto combattere nell’arena. Era la sera prima dell’incontro e si erano allenati per ore, fino a ritrovarsi in un bagno di sudore. «Combatti meglio di molti professionisti. Se restassi qui, saresti un campione» disse la lottatrice, asciugandosi il volto con un panno.

   «Ah, ne sono lusingato» disse Norrin, andando a sedersi in panchina. «Ma ho altri progetti». Bevve un po’ d’acqua dalla borraccia, per dare sollievo alla gola riarsa. Dopo una giornata d’intensi allenamenti aveva male dappertutto. Non vedeva l’ora di ficcarsi in brandina.

   «Peccato... cominciavi a piacermi» ammiccò la Norcadiana, passandosi la mano su un fianco.

   Norrin la squadrò da capo a piedi. Aveva il fisico muscoloso e indurito di una lottatrice, ma a suo modo era attraente. L’Hirogeno sarebbe stato un bugiardo, se avesse detto che lo lasciava insensibile. Ma era in missione per salvare Ladya; sarebbe stato poco coerente prendersi una sbandata strada facendo. No: voleva arrivare dalla Vidiiana, guardarla negli occhi e dirle che non desiderava nessun’altra. «Scusa, ma ora devo riposare» disse, andando verso il dormitorio. «Domani avrò una giornata impegnativa».

 

   Le luci stroboscopiche spazzarono l’arena, mentre dagli altoparlanti saliva il ritmo incalzante. Gli spettatori si accalcarono sugli spalti, presagendo uno scontro particolarmente avvincente. Per la prima volta da anni, un Hirogeno sarebbe sceso sul campo. Il pubblico conosceva quei famigerati Cacciatori; molti ne avevano un autentico terrore. Ma l’idea di vederne uno che si batteva nell’arena, dove non poteva far loro del male, era stuzzicante. Presto dal pubblico salì un coro: «Hirogeno! Hirogeno! Dateci l’Hirogeno!».

   «Li senti, amico mio?» chiese Erlik. «Vogliono te... non sei ancora sceso in campo e hai già la fama di un campione!».

   «Merito della tua campagna pubblicitaria» rispose Norrin. L’Hirogeno era stato convocato nell’ufficio del Norcadiano, per scambiare qualche parola prima dell’incontro. Dall’oloschermo parietale poteva vedere la folla sempre più carica.

   «In parte» gongolò Erlik. «Ma molto lo devo alla fama del tuo popolo. Perciò il tuo scontro sarà il piatto forte della giornata».

   Al centro dell’arena comparve lo speaker, sotto forma di ologramma. «Benvenuti, amanti della lotta! Oggi vi offriamo degli spettacoli eccezionali! Saranno prove d’abilità, di coraggio, di sacrificio!» proclamò, alzando le braccia per aizzare il pubblico. «So cosa volete... l’Hirogeno! Ma quello, signori, verrà per ultimo. Fino ad allora, restate con noi e fate le vostre scommesse!».

   «Signore, uno scommettitore dell’ultimo minuto vorrebbe fare un deposito» avvertì la segretaria. «Chiede anche di vedere l’Hirogeno, per farsi un’idea».

   «È uno straniero, vero? Credono che siamo tutti al loro servizio» borbottò Erlik. «Caccialo via. Digli che è tardi, il banco è chiuso».

   «Eccellenza, è un Voth. E vuole depositare diecimila crediti».

   «Uh, allora è diverso. Accoglilo pure!» disse il Norcadiano, con sguardo cupido. Spense l’oloschermo, proprio mentre lo speaker annunciava l’ingresso dei primi due sfidanti. I Voth erano rispettati in tutto il Quadrante Delta per la loro fantastica tecnologia e la grande ricchezza. Uscivano raramente dal loro spazio, ma quando lo facevano erano accolti con tutti gli onori.

   L’ingresso si aprì e il Voth entrò con piglio deciso. Era alto e massiccio, con le scaglie di un verde intenso, screziato di giallo. I suoi abiti erano a dir poco estrosi: un’accozzaglia di colori pacchiani e stridenti. «La ringrazio per avermi ricevuto all’ultimo momento. Quei buffoni della dogana mi hanno trattenuto così a lungo che temevo di perdermi il divertimento» si lamentò, con voce un po’ stridula.

   «Non c’è problema, signor...?» chiese Erlik, venendogli incontro.

   «Santo Brachiosauro, ma dove ho la testa? Mi chiamo Othnielia, lieto di conoscerla» disse il Voth, stringendogli energicamente la mano. «E cos’abbiamo qui? Il campione di cui tutti parlano!». Othnielia piroettò su se stesso e si avvicinò con passo molleggiato a Norrin. «Che emozione... ti esibirai oggi, vero?».

   «Sì» rispose Norrin.

   «E hai già partecipato a molti scontri?» indagò il Voth, sedendo indecorosamente sulla scrivania di Erlik.

   «No».

   «Ehm, interrogare i lottatori sarebbe contro le regole» tossicchiò Erlik. «Non se ne abbia a male».

   «No, si figuri!» trillò Othnielia, tornando in piedi. Si rivolse di nuovo a Norrin, mentre lo osservava da capo a piedi. «Bene, bene... un campione alle prime armi. Ma conosco la tua specie, so di cosa siete capaci. Sì, credo che scommetterò forte su di te. Ah ah!». Così ridacchiando il Voth tornò da Erlik, che nel frattempo si era munito di un apparecchio per le transazioni. «Vorrei aprire un deposito da diecimila crediti, così, tanto per iniziare. Se ci prenderò gusto, aspettatevi depositi ben più cospicui. Trasferisco tutto dalla Banca Centrale Norcadiana, dove ho aperto un conto stamane».

   «Certo, non si preoccupi... qui siamo abituati a depositi di questa natura» garantì Erlik. Offrì l’apparecchio al Voth, che digitò il suo codice personale. Dopo di che lo riprese, sincerandosi dell’avvenuta transazione. «Deposito effettuato. È stato un piacere, signor Othnielia. Dopo gli incontri, spero che si tratterrà per un rinfresco».

   «Se avrò tempo» disse il Voth, dirigendosi già verso la porta. «Scusi, ma devo scappare! Il primo incontro è già iniziato e io devo ancora piazzare le mie scommesse. A dopo!». Corse via, facendo svolazzare l’abito ampio.

   «Avete dei bei soggetti» commentò Norrin.

   «Vero? Quello è il tipico pollo» sogghignò Erlik. Andò alla scrivania, aprendo un canale audio con i suoi allibratori. «Occhi aperti, ragazzi. È in arrivo un gonzo Voth pieno di soldi, che si crede un gran scommettitore. Andateci piano, per oggi, così tornerà nei prossimi giorni. E perderà cifre più importanti».

   Sistemata questa faccenda, il Norcadiano tornò da Norrin. «È meglio se vai a prepararti. Fra poco entri in scena» lo informò. «Ti do solo qualche raccomandazione. Primo: quando entri rivolgiti agli spettatori. Osservali, salutali... fa’ vedere che sei lì per loro. Senza esagerare, ovviamente; non fare il buffone. Secondo: attieniti a quel che ti hanno insegnato i miei campioni, anche se conosci altri stili. Come hai visto al tuo arrivo, il pubblico non apprezza le improvvisazioni. Lo Tsunkatse è un’arte antica, bisogna rispettarla».

   «Lo terrò a mente» promise Norrin, avviandosi all’uscita.

   «Ah, un’ultima cosa» lo richiamò Erlik. «Il tuo avversario sarà il Pendari. È un buon lottatore, ma ultimamente ha incassato delle sconfitte che lo hanno screditato. Con quest’incontro voglio riportarlo in auge. Ho già sguinzagliato i miei prestanome. Abbiamo un sacco di scommesse su di te. Quindi, per farci incassare, devi perdere l’incontro. Mi sono spiegato?».

   «Sì» sospirò Norrin, lasciando l’ufficio.

 

   «Siamo arrivati al grande evento! Lo avete atteso... lo avete sognato... e ora ci siamo! Dalle remote profondità dello spazio, ecco a voi il guerriero perfetto! Norrin, erede di una lunga e ininterrotta stirpe di spietati Cacciatori! Per centomila anni gli Hirogeni si sono addestrati al combattimento. Vivono per cacciare, uccidere... e ora per esibirsi davanti a voi!».

   Quando Norrin entrò nell’arena, gli spettatori balzarono in piedi, agitando i pugni e gridando il mantra: «Tsunka! Tsunka!». Il rullo di tamburi salì di tono e anche il ritmo delle luci divenne più incalzante. Ricordando le istruzioni di Erlik, Norrin salutò il pubblico con un ampio gesto, facendo salire ancor più l’eccitazione. Tra gli spettatori notò Othnielia, il Voth che aveva promesso di scommettere su di lui.

   «E chi oserà sfidare l’Hirogeno?» chiese retoricamente lo speaker. «Magari qualcuno che non conosce la paura e ha piegato gli avversari più duri! Una roccia, una montagna vivente! Salutate Rimush, l’Inconquistabile!».

   Il secondo ingresso dell’arena si aprì e una figura massiccia emerse dalle ombre. Come annunciato era il Pendari. Era umanoide nelle linee generali, ma assolutamente fuori dal comune per lo spessore dei bicipiti e lo sviluppo toracico. Al suo ingresso levò le braccia, ricevendo una buona dose di applausi e incoraggiamenti. Solo Othnielia e gli altri che avevano scommesso contro di lui fecero udire versi di disapprovazione.

   «Il capo ti ha detto cosa devi fare, vero?» sogghignò Rimush, facendosi avanti con fare bellicoso.

   «Sì, devo convincere gli spettatori che vali ancora qualcosa» rispose Norrin in tono misurato. «Ma non te la renderò troppo facile». Si portò un dito alla fronte, facendo il segno obliquo che solitamente i Cacciatori si tracciavano sul casco con la pittura, prima di uno scontro.

   «Non importa se collabori o meno; ti schiaccerò lo stesso!» ringhiò il Pendari, partendo all’attacco.

   Norrin deviò il colpo diretto al suo sensore toracico e rispose di sinistro, mirando allo stesso bersaglio. Mancò di poco il sensore, colpendo invece il petto dell’avversario; fu come centrare un muro.

   Il Pendari grugnì e tornò all’attacco. Lo scontro si accese: gli avversari non lesinavano colpi, cercando se possibile di beccarsi i sensori, ma non esitando ad assestare sberle più tradizionali. Rimush era avvantaggiato dalla maggior esperienza, mentre Norrin compensava con uno stile più eclettico, pur cercando di non deviare troppo da quanto gli era stato insegnato in quei giorni. Con il progredire della lotta, la differenza caratteriale fra i due divenne evidente. Il Pendari era costantemente all’attacco, mentre l’Hirogeno si teneva sulla difensiva, contrattaccando solo quando vedeva uno spiraglio nelle sue difese.

   «Tsunka! Tsunka!» scandì il pubblico. Norrin pensò che fosse ora di lasciar vincere l’avversario. Lo aveva appena pensato che ricevette un calcio sul sensore toracico. La scossa lo attraversò da capo a piedi, lasciandolo irrigidito e senza fiato. L’attimo dopo ricevette un gancio destro che lo fece barcollare. Si ritirò verso il bordo inclinato dell’arena, arrampicandosi per quanto possibile. Da quella posizione soprelevata assestò un calcio all’avversario, cercando di colpirlo al sensore toracico. Ma Rimush schivò e gli afferrò la gamba, scaraventandolo a terra. Poi si gettò su di lui, per chiudere la partita. Norrin rotolò al suolo nel tentativo di allontanarsi, ma fu colpito sul sensore dorsale, proprio in mezzo alle scapole. Boccheggiò e per un attimo vide le stelle.

   Ormai debole, l’Hirogeno si tirò in piedi e si lanciò in un ultimo attacco. Il Pendari scartò di lato e lo agguantò, bloccandogli il braccio dietro la schiena. Lo colpì più volte tra le scapole, centrando sempre il sensore, e infine lo scaraventò a terra. Stavolta Norrin non riuscì a rialzarsi. Le gambe non gli rispondevano, tutti i muscoli dolevano per le scosse. Le luci stroboscopiche sparate in faccia quasi lo accecavano e la musica martellante si confondeva con le grida indemoniate del pubblico. Capì che lo scontro era finito. Ne fu sollevato, perché aveva fatto la sua parte fino in fondo. Ora gli inservienti lo avrebbero portato via, per poi aiutarlo a riprendersi...

   «Tsunka! Tsunka!» gridarono gli spettatori, sempre più esaltati. Si erano alzati in piedi e agitavano i pugni, invitando a colpire. Norrin si accorse che le luci, fino a quel momento in prevalenza blu, erano virate verso il rosso.

   «Il gioco è finito» disse Rimush, incombendo su di lui. Lo schiacciò a terra con un ginocchio e levò il pugno, nel quale ora brandiva una vibro-lama. Gli angoli della sua bocca s’incresparono in un sorriso crudele, mentre si accingeva a sferrare il colpo mortale.

   «Tsunka! Tsunka!» incalzarono gli spettatori, ormai in delirio. Solo il Voth se n’era andato. Il Pendari vibrò il colpo, mirando alla gola dell’Hirogeno, non protetta dalla tuta.

   «Ci sono i tempi supplementari» grugnì Norrin. Aveva afferrato il braccio dell’avversario, riuscendo a bloccarlo. La punta della vibro-lama gli dardeggiò a un centimetro dalla gola.

   Rimush ringhiò e spinse con più forza, per portare a fondo il colpo. La lama calò fino a sfiorare la gola di Norrin. All’ultimo istante l’Hirogeno riuscì ad allungare un dito, disattivandola. L’attimo dopo il pugno dell’avversario gli calò sulla gola, levandogli comunque il fiato.

   Prima che il Pendari potesse riattivare la vibro-lama, Norrin l’afferrò per il bavero e gli diede una violenta testata. L’avversario cercò di rialzarsi, ma l’Hirogeno gli sgusciò alle spalle e lo afferrò da dietro, torcendogli le braccia fin quasi a stroncargliele. Lo piegò in avanti, con la faccia al suolo, e gli colpì il sensore dorsale con una ginocchiata. Reiterò il colpo finché lo vide semi-stordito, dopo di che lo gettò a terra. Allora raccolse la vibro-lama, la ripiegò e infine la spezzò.

   «Non mi servono armi, per annientarti!» ringhiò il Pendari. Si rotolò a terra e si rialzò, già pronto a riprendere la lotta.

   «Finora c’ero andato piano con te» disse Norrin, strappandosi i sensori dal petto e dalla schiena. «Vediamo che succede se mi batto sul serio».

 

   Quello che seguì non poté dirsi un combattimento di Tsunkatse fatto secondo le regole, dato che gli avversari si erano strappati i sensori. A peggiorare le cose c’erano parecchie mosse irregolari. Però anche gli spettatori più incalliti dovettero ammettere che la lotta aveva un suo fascino. Calci, salti e giravolte c’erano ancora. La differenza principale era che adesso ogni parte del corpo costituiva un bersaglio, dato che non si mirava più ai sensori.

   Ben presto fu chiaro che gli avversari puntavano soprattutto alla faccia. Lo scontro somigliava sempre meno alla lotta e sempre più al pugilato. Norrin non restava più sulla difensiva; dopo ogni parata sferrava un contrattacco. Un gancio particolarmente energico fece saltar via un dente al Pendari. Questi emise una specie di muggito e si gettò in avanti a testa bassa, cercando di atterrare l’Hirogeno. Norrin resse l’attacco, arretrando fino a puntare i piedi contro la parete inclinata. Colpì l’avversario alla schiena e poi con una ginocchiata in faccia, che lo fece barcollare all’indietro. A questo punto Norrin partì con l’attacco finale. Sferrò una serie di colpi così rapidi che l’avversario non riuscì a pararli, né a schivare; men che meno a rispondere. Tra pugni e calci rotanti, mise a segno non meno di venti colpi consecutivi. Smise solo quando le braccia gli fecero troppo male per continuare.

   Il Pendari era ancora in piedi, anche se da un pezzo aveva smesso di reagire. Barcollava come un ubriaco, guardandosi attorno con vago stupore. «Sciono un campione di Tsciunkatse» biascicò, con voce alterata dalla perdita del dente. I suoi occhi si arrovesciarono ed egli franò in avanti. Giacque bocconi sull’arena, mentre Norrin si scrocchiava le dita indolenzite. Dagli altoparlanti risuonò l’inno di vittoria. Gli spettatori andarono in delirio, acclamando a gran voce il campione che si era guadagnato un posto nei loro cuori.

   «Beh, non hanno combattuto esattamente secondo le regole... diciamo pure che se ne sono infischiati... ma signori, che lotta! Questa ce la ricorderemo per un pezzo!» disse lo speaker, cercando di salvare i cocci. «Acclamiamo il nuovo campione dell’arena: Norrin il Terribile!».

   «Tsunka! Tsunka!» ripeté la folla estasiata. Il grido ritmico continuò a essere scandito anche dopo che Norrin ebbe lasciato l’arena.

 

   «Idiota!» ringhiò Erlik, marciando contro Norrin. Non avendo la pazienza di aspettarlo nel suo ufficio gli era corso incontro, raggiungendolo in un corridoio. «C’erano scommesse per un milione di crediti! Dovevi perdere, lo capisci?! Perdere!» gridò, con la bava alla bocca. Le due guardie del corpo estrassero i disgregatori e presero di mira l’Hirogeno, pronte a ucciderlo.

   «Avevamo un accordo» ribatté Norrin. «Lo scontro doveva essere blu, non rosso. Se avessi saputo che era rosso, non mi sarei certo lasciato atterrare. Che ti è saltato in mente?! Ti avevamo offerto un cospicuo pagamento e una tecnologia che ti avrebbe reso miliardario. Ora non avrai nulla. E ovviamente il mio socio non ti avrebbe pagato nemmeno se io fossi morto».

   «Non ci arrivi, vero?!» fece il Norcadiano, sfrigolante di rabbia. «Il latinum e il dilitio che mi avevate offerto valevano meno delle scommesse per questo scontro. Per non parlare dei guadagni che avrei fatto ridando fama a Rimush. Quanto alla tecnologia per riconvertire le scorie radioattive, non m’interessa: gestisco già lo smaltimento illegale. Ma soprattutto, non ho mai avuto intenzione di mettermi contro i Vaadwaur solo perché voi due volete fare una scampagnata sul loro pianeta».

   «Quindi hai preferito farmi uccidere» disse Norrin. «Visto che potevi usarmi una volta sola, tanto valeva farlo bene. Sconfiggere un Hirogeno avrebbe ridato lustro al tuo campione, ma uccidermi... lo avrebbe reso leggendario. Speravi che me ne accorgessi troppo tardi o che non avessi la forza di rialzarmi. Beh, hai fatto male i conti».

   «Mi hai fatto perdere una barca di soldi» disse Erlik, fissandolo con odio. «Ora devi rimediare. Resterai qui, combattendo per me, finché avrai risarcito l’ammanco. Con gli interessi. Ora che sei un campione, il pubblico smania di vederti nuovamente all’opera».

   «Eh no, caro mio. Qui non ci resto un minuto di più» avvertì Norrin. «Ho scoperto che lo Tsunkatse non fa per me».

   «Non sei tu a decidere!» ringhiò il Norcadiano, mentre le sue guardie del corpo accorciavano le distanze, per essere certe di non sbagliare il colpo. «O combatti per me, o ti facciamo saltare le cervella».

   «Se non saltano prima le tue» disse una voce alle sue spalle. Othnielia, lo scommettitore Voth, si era presentato con un phaser in mano. «A proposito, ti piacerà sapere che ho vinto le scommesse. Ho triplicato il mio deposito. Ora però devo andare. Quindi sono qui per ritirare i soldi».

   «E lo chiedi con quello?» chiese Erlik, fissando il phaser.

   «Solo quando tratto con la feccia. Il mio socio ha ragione... facevi meglio a rispettare l’accordo». Così dicendo il nuovo arrivato disattivò il proprio travestimento olografico. Svanite le sembianze da Voth, il Comandante Radek fronteggiò gli alieni. «Gettate le armi, forza!» intimò alle guardie del corpo.

   «Fate come dice» mugugnò Erlik. Le guardie eseguirono. Norrin si affrettò a prendere i disgregatori, uno per mano; poi si affiancò a Radek.

   «Grazie, amico. Ma speravo che saresti intervenuto prima, quand’ero nell’arena» commentò l’Hirogeno.

   «Scusa. Quando mi sono accorto che era uno scontro rosso ho provato a teletrasportarti via, ma il raggio della navetta non ti agganciava. L’arena dev’essere schermata» si giustificò il Comandante.

   «Fa niente, l’importante è che sei qui» disse Norrin.

   «Vi conviene andarvene, finché potete» consigliò Erlik. «Quando il resto delle mie guardie verrà qui, non avrete scampo».

   «I nostri affari non sono terminati» obiettò Norrin. «Avevamo un accordo. Io ho fatto la mia parte, battendomi nell’arena. Se poi tu sei stato sfortunato con le scommesse, è un problema tuo».

   «Ora tocca a te» proseguì Radek. «Ci dirai dove si trova il pianeta dei Vaadwaur e ci fornirai anche la copertura per raggiungerlo».

   «Questa è buona!» fece il Norcadiano, sprezzante. «Perché dovrei?».

   «Perché altrimenti il tuo pubblico saprà come gestisci le scommesse» rispose il Comandante, con un sorriso perfido. Cavò di tasca un piccolo congegno, delle dimensioni di un’unghia.

   «Che roba è?» chiese Erlik, con un orribile presentimento.

   «Una cimice audio-video. L’ho piazzata nel tuo ufficio già durante il nostro primo incontro e poi l’ho recuperata quando mi sono presentato travestito» spiegò Radek, compiaciuto. «Ha registrato tutto ciò che hai detto e fatto negli ultimi giorni. Comprese le chiamate ai prestanome da cui si evince che gli scontri sono pilotati. Credo che la polizia norcadiana darebbe un certo peso a questa prova, se dovesse entrarne in possesso». Così dicendo si rimise in tasca la microspia. Intanto, con l’altra mano, teneva sotto tiro il Norcadiano.

   «Anche la mia testimonianza varrà qualcosa» aggiunse Norrin. «Finalmente si farà luce sui tuoi “onesti affari”, caro il mio imprenditore».

   «Groan... avete vinto» si arrese Erlik. «Vi darò la navetta con il carico e le coordinate. Non vi affannate a riportarmela. Quando avrete fatto quello che dovete... qualunque cosa sia... sparite. Non tornate mai più su Norcadia».

   «Ora sì che ragioniamo» sorrise Radek. «Bada a non fare scherzi. Passeremo la navetta al setaccio, prima di partire. Se troveremo che l’hai manomessa... o se le coordinate non saranno giuste... daremo la cimice alla polizia» avvertì.

   «E se i Vaadwaur ci beccheranno perché li hai avvertiti, i nostri amici gliela daranno comunque» rincarò Norrin. «Qualcuno di loro potrebbe anche venire da te, per esprimerti personalmente il suo disappunto» aggiunse, pensando a Jaylah. «Quindi non cercare di fregarci ancora, perché non saranno i tuoi lottatori, né i tuoi scagnozzi a proteggerti».

   «Okay, un veterano sa riconoscere la sconfitta» disse il Norcadiano, che ormai si considerava fortunato a uscire vivo da quell’affare. «Dovete avere un grosso conto in sospeso coi Vaadwaur, per essere così decisi a scovarli. Che vi hanno fatto?» chiese.

   «Nulla che ti riguardi» rispose Norrin, fissandolo con aria minacciosa. Il pensiero di Ladya nelle loro grinfie non l’aveva mai abbandonato, neanche mentre le buscava nell’arena. «Ma se facessero l’irreparabile, rimpiangeranno d’essere nati».

 

   
 
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