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Autore: Parmandil    08/05/2020    1 recensioni
Abolita la Prima Direttiva per ragioni umanitarie, l’Unione Galattica è sprofondata nel caos. Le civiltà precurvatura abusano delle tecnologie loro donate e un terzo dei sistemi federali è pronto alla secessione, concretando il rischio di una guerra civile.
Dopo un violento attacco alieno, la Keter si reca nel Quadrante Delta, ripercorrendo la rotta della Voyager in cerca di riposte. Qui troverà vecchie conoscenze, come i Krenim e i Vidiiani, che si apprestano a colpire un nemico comune, incautamente risvegliato dalla Voyager secoli prima. I nostri eroi dovranno scegliere con chi schierarsi, in una battaglia che deciderà le sorti del Quadrante. Ma la sfida più ardua tocca a Ladya Mol, già tentata di lasciare la Flotta per riunirsi al suo popolo. Dopo una tragica rivelazione, la dottoressa dovrà lottare contro un morbo spaventoso; la sua dedizione potrebbe richiederle l’estremo sacrificio.
Nel frattempo i Voth, un’antica specie di sauri tecnologicamente evoluti, sono giunti sulla Terra per stabilire una volta per tutte se questo sia il loro mondo d’origine. Sperando d’ingraziarseli, le autorità federali li accolgono in amicizia, senza riflettere sulle conseguenze del ritorno dei “primi, veri terrestri” sul pianeta Terra.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 8: Il turno di notte

Data stellare 2590.159 (giorno 99 nel Quadrante Delta)

La Keter è presso la nebulosa planetaria

 

   «Capitano sul ponte!».

   «Comodi, signori» disse l’interessato, dirigendosi con passo spedito alla poltroncina. Era uno Xaheano alto e smilzo, con corti capelli neri sempre volti all’indietro, come per una folata di vento. Mentre attraversava la plancia osservò gli ufficiali a destra e a manca, accertandosi che fossero tutti ai propri posti e affaccendati. Soddisfatto da quel primo esame, sedette sulla poltrona di comando, accavallando le gambe. Guardò lo schermo davanti a sé: l’Annorax si stagliava contro la trama multicolore della nebulosa planetaria. Dopo aver rivelato il suo piano contro i Vaadwaur, l’Ammiraglio Hortis attendeva di sapere se la Keter lo avrebbe supportato. Era una decisione cruciale, da cui dipendeva il resto della missione nel Quadrante Delta. «Rapporto sezioni!» ordinò lo Xaheano.

   «Condizioni della nave regolari, Capitano» disse il Tenente Orlon, appollaiato sulla poltroncina del Comandante. Essendo un Teenaxi, d’aspetto simile a un cagnolino e alto una quarantina di centimetri, doveva allungare il collo più che poteva per leggere i dati sull’oloschermo.

   «Rotta regolare, Capitano. Cioè, rotta assente; siamo fermi» disse il Guardiamarina Ennil. Stravaccata sulla sedia del timoniere, la Barzana grassoccia si divertiva a muovere il sedile girevole con un piede, mentre sorseggiava la bibita che si era portata dietro.

   «Si dice “manteniamo la posizione”» la corresse il superiore.

   «Scusi, signore... manteniamo la posizione» disse Ennil in tono annoiato. Bevve rumorosamente dalla bottiglietta, stando attenta a non spostarsi i mini-respiratori che aveva a lato della bocca. Come tutti i Barzani, necessitava di un supporto respiratorio per sopravvivere nell’atmosfera standard delle navi stellari.

   «Letture dei sensori regolari, Capitano» disse il Guardiamarina Smig, una Ferengi bruttina e tracagnotta. «I Krenim non fanno nulla di sospetto e non ci sono navi in avvicinamento». Come faceva sempre quando prendeva servizio, la Ferengi stava disinfettando la postazione sensori e comunicazioni, essendo ipocondriaca.

   «Esegua delle scansioni anti-occultamento» raccomandò lo Xaheano. «La prudenza non è mai troppa. E lei, Mo’rek, cosa mi dice?» chiese, girandosi verso il massiccio Klingon a cui era affidata la postazione tattica.

   «Armi e scudi in piena efficienza» rispose Mo’rek. «Se i Krenim fanno strane mosse, li concerò come meritano».

   «Lei non muoverà un dito, senza il mio ordine» avvertì il superiore.

   Il Klingon gli lanciò un’occhiata al vetriolo. «Come vuole, Tenente» mugugnò.

   «Come-come?» lo richiamò lo Xaheano.

   «Come vuole, Tenente Comandante» si corresse Mo’rek, fissandolo con ancora più stizza. Certi ufficiali erano fissati con il proprio grado e non tolleravano che lo si dicesse a metà.

   «Lui vuol farsi chiamare Capitano, in queste ore» rispose svogliatamente Ennil, facendo un giro completo sulla sedia girevole.

   «Ma è assurdo!» insorse il Klingon. «Il Capitano è Hod. Lei, signore, dirige solo il turno di notte» si rivolse allo Xaheano.

   Il Tenente Comandante Ki’Lau, facente funzioni Capitano, scattò in piedi. Le palpebre interne gli velarono per un attimo gli occhi e i capelli corti parvero ancora più dritti del solito. Evitò a stento che le creste dorsali si rizzassero, forandogli l’uniforme. «Con questo cosa vorrebbe dire, Tenente? Che il nostro turno conta meno degli altri? O che il Capitano non mi ha delegato la sua autorità?!».

   «Niente di tutto questo» rispose Mo’rek, stupito da quella reazione. «Dico solo che ognuno ha il suo grado, che non cambia quando sopperiamo agli ufficiali superiori. Io la chiamerò “Tenente Comandante” o “signore”, ma giammai Capitano» dichiarò, incrociando le braccia con risolutezza.

   «Oh-oh, adesso ne vediamo delle belle» gongolò Ennil, girandosi con tutta la sedia per assistere. «Non sai contro chi ti sei messo, cocco».

   «Tenente Mo’rek, lei è stato retrocesso dal turno Alfa per motivi disciplinari» disse lo Xaheano, accostandosi al Klingon con studiata lentezza. «Ha proposto di aprire il fuoco sulla prima nave Krenim che abbiamo incontrato, senza provocazione, e più tardi ha avuto da dire col Comandante Radek. Ecco perché è finito qui. Per uno nella sua posizione, sarebbe meglio non discutere coi superiori. Altrimenti potrei intraprendere ulteriori provvedimenti disciplinari. Ad esempio potrei tagliarle le ore settimanali di ponte ologrammi».

   Il Klingon si sgonfiò all’istante. «No!» gemette. «Sono nel mezzo della campagna di Kahless contro Molor. Domani ho la battaglia nella grande sala Qam-Chee!».

   «Cos’è che aspetta con più ansia? La battaglia nel salone o i favori di Lady Lukara che verranno subito dopo?» lo derise Ki’Lau, che conosceva la storia Klingon. «Ma si guardi! Un guerriero Klingon che sbava per qualche ora sul ponte ologrammi! Dov’è finito il suo onore?».

   «Quello potrei averlo perso quando sono stato degradato» ammise Mo’rek, con il morale sottoterra. «Ecco perché farò di tutto per tornare al turno Alfa, quello in cui si combatte».

   «No, maledizione!» lo richiamò il superiore. «Lei fa il solito errore di credere che al turno di notte ci vadano gli scarti».

   «Perché è vero» commentò Ennil, rassegnata.

   «No che non lo è! Siamo ufficiali della Flotta Stellare, tanto quanto chi presta servizio negli altri turni» affermò Ki’Lau. «Abbiamo le stesse responsabilità. Anzi, in un certo senso ne abbiamo di più, visto che a quest’ora il Capitano sta riposando. Per questo non tollero lassismo né disfattismo. Quando sono al comando, la nave dev’essere al 100% dell’efficienza. Sono stato chiaro?».

   «Sì... Capitano» mugugnò il Klingon. Gli sembrava che lo Xaheano si fosse contraddetto, dato che poco prima aveva descritto il suo cambio di turno come una “retrocessione”, ma non gli andava di prolungare il battibecco.

   «Bene!» disse Ki’Lau, tornando impettito verso la poltroncina. «Qui facciamo tutti cose importanti, che i colleghi degli altri turni spesso dimenticano di fare. Il Guardiamarina Smig, per esempio, disinfetta sempre la sua postazione. Brava, Guardiamarina!».

   «Grazie, signore» disse la Ferengi, lieta d’essere notata per qualcosa. «Sto solo applicando la Regola dell’Acquisizione numero 23: Niente è più importante della tua salute, eccetto il tuo denaro».

   «Bene... anzi, sa che le dico? D’ora in poi tutti quanti disinfetteremo le postazioni, quando prendiamo servizio!» decise Ki’Lau. «Ora che siamo nel Quadrante Delta e interagiamo con specie sconosciute, la prudenza non è mai troppa» disse mentre si risedeva.

   «Grazie tante!» fece Ennil, lanciando un’occhiataccia alla collega ipocondriaca. Dopo di che prese la bottiglietta e si scolò un altro sorso.

   «Che sta bevendo?» s’insospettì lo Xaheano. «Non sarà mica un alcolico?».

   «Macché, è solo una Slug-o-Cola» si difese la Barzana, mostrando l’etichetta con una testa di Ferengi verde. «Me l’ha consigliata Smig».

   «La bevanda più viscida della Galassia!» ridacchiò la Ferengi, citando il motto della bibita, scritto anche sull’etichetta. «Dovreste berla tutti. Dà ai denti una deliziosa sfumatura verdastra. E poi è fatta con le alghe, quindi è dietetica».

   «Ah, credevo fosse fatta col muco di lumaca» commentò Orlon, grattandosi dietro l’orecchio con la zampa posteriore.

   «Quello è usato solo come addensante» spiegò Smig.

   A queste parole, Ennil sputò quanto aveva in bocca. Dopo di che dovette procurarsi un panno con cui pulire la consolle e il pavimento.

   «C’è una macchia lì... un’altra là» le indicò Ki’Lau, che non voleva lasciare una plancia imbrattata di verde agli ufficiali superiori. «Sa, Guardiamarina, non è la prima volta che la trovo a bere o mangiare in servizio. È un vizietto che dovrebbe perdere».

   «Grumble... sì, Capitano» mugugnò la Barzana, che in quel momento era china sotto la consolle per pulire il pavimento e quindi offriva ai colleghi la vista del generoso posteriore. «Non si preoccupi, da domani comincio la nuova dieta».

   «Hi-hi... è da quando la conosco che “domani” comincia la nuova dieta» ridacchiò Orlon. «Forse dovrebbe smetterla di aspettare domani, e iniziarla “oggi”» suggerì.

   Umiliata, Ennil finì di pulire e tornò seduta. In effetti il suo indice di massa corporea non era ottimale. Da quando aveva finito l’Accademia era sempre ai limiti del regolamento e a volte anche più in là. Ma che ci poteva fare, se le piacevano tanto i dolci? Più i superiori la riprendevano, più lei s’intristiva. E quando si trovava nel suo alloggio, triste e sola, il replicatore alimentare era la sua unica consolazione.

   Nel frattempo Ki’Lau stava contattando il personale che si trovava nelle altre zone della nave, per accertarsi che anche lì fosse tutto in ordine. «Plancia a sala macchine, rapporto» ordinò. Passarono i secondi, senza che giungesse risposta. Lo Xaheano tamburellò nervosamente sul bracciolo. «Plancia a sala macchine, rispondete» ripeté. Ancora nulla. «Allora, signor Xandrix, batte la fiacca?!» esclamò, visualizzando la sala macchine sullo schermo.

   Il salone era semivuoto, dato che durante il turno di notte, in mancanza di progetti particolari o di riparazioni da svolgere, il personale era ridotto al minimo. A terra però c’era un grosso pezzo di lamiera, con attaccati dei componenti elettronici. Una figura umanoide era china sul detrito, per analizzarlo. Sentendosi chiamare si girò verso lo schermo.

   «Chi mi vuole?» chiese. Era un Rhaandarite, dal cranio enorme con pochi capelli e gli occhi dorati privi di pupilla. Aveva l’aria trasandata ed era pieno di aggeggi diagnostici, infilati nelle tasche del camice da ingegnere che portava sopra l’uniforme. Aveva anche una chiave isolineare infilata dietro l’orecchio.

   «Sono Ki’Lau» sospirò il Tenente Comandante. «La chiamo sempre a quest’ora, per sentire il suo rapporto».

   «Ah, già, me n’ero scordato» disse Xandrix, dandosi un colpetto sulla fronte. «Sto analizzando un detrito dell’incrociatore Vaadwaur che abbiamo respinto l’altro giorno. Analizzo lo scafo per determinare quale frequenza delle armi è più efficace. Così saremo più preparati, se dovessimo scontrarci ancora».

   «Bella pensata!» approvò Mo’rek. «Lei è un tipo sveglio».

   «Grazie, signor Momik» sorrise il Rhaandarite, sbagliando il suo nome. «Quando avrò finito invierò i dati alla sua postazione».

   «Può capire anche quali sono le frequenze migliori per abbattere gli scudi Vaadwaur?» chiese il Klingon, dato che erano quelli il vero ostacolo. Una volta abbattuti gli scudi, lo scafo cedeva piuttosto facilmente.

   «Temo di no» disse Xandrix. «Comunque studierò le letture che abbiamo raccolto durante la battaglia. Se troverò qualcosa d’interessante, la informerò subito, signor Monk».

   «Per il resto nulla da segnalare?» chiese Ki’Lau, ansioso di continuare con l’ispezione.

   «No, signore» rispose il Rhaandarite. «Ora mi scusi, devo tornare al lavoro. Sto dissezionando un componente elettronico. Vediamo... dove ho messo la chiave isolineare? Che strano, ce l’avevo in mano un attimo fa!». L’ingegnere si frugò nelle tasche, senza esito, e poi ispezionò il pavimento attorno al detrito, disseminato di strumenti.

   «Non sarà quella cosa che ha dietro l’orecchio?» sospirò Ki’Lau, abituato alle sue stramberie.

   «Oh, già!» s’illuminò Xandrix, recuperando l’arnese. «Dove ho la testa? Grazie mille, Tenente. Ci risentiamo a fine turno!». Chiuse il canale, senza dare allo Xaheano il tempo di riprenderlo per quanto riguardava il grado.

   Ki’Lau sospirò. C’erano ancora parecchie sezioni da passare in rassegna.

 

   Era la maledizione del turno di notte, si disse lo Xaheano, quando più tardi si trovò a girarsi i pollici. Sulla Keter, come in tutte le navi della Flotta Stellare, l’equipaggio si suddivideva in tre turni di otto ore. Per praticità erano chiamati Alfa, Beta e Gamma. Il turno Alfa, o turno principale, era quello mattutino, in cui prestavano servizio il Capitano e gli ufficiali superiori. Qui si concentrava il grosso dei lavori e venivano prese le decisioni cruciali per la nave. Il turno Beta, quello pomeridiano, era destinato soprattutto a compiti di routine, come la cartografia stellare o le riparazioni. La maggior parte dei rimpasti di personale – con altre navi o interni al vascello – avvenivano tra questi due turni.

   Infine c’era il turno Gamma, il famigerato “turno di notte”, tanto inviso agli ufficiali. Non che ci fosse alternanza tra il giorno e la notte, nello spazio; era solo una convenzione di orologio, fatta per conservare i bioritmi dell’equipaggio. Durante questo turno alcuni sistemi della nave erano offline e tutto era gestito con personale minimo. Molte sale ausiliarie erano vuote, con le luci spente, e così alcuni corridoi, specialmente nei ponti inferiori. Anche gli incarichi erano ridotti all’osso: fare il check-up dei sistemi, mantenere la rotta, terminare eventuali lavori non conclusi dagli altri due turni. Ne derivava una regola informale, ma scrupolosamente applicata: al turno di notte finivano gli ufficiali meno qualificati. Essere destinati a quel turno era per definizione un fallimento, perché offriva scarse possibilità d’incontrare gli ufficiali superiori e quindi di mettersi in mostra. Il che si traduceva in scarsissime opportunità di fare carriera. Così gli ufficiali del turno di notte restavano inchiodati per anni negli stessi incarichi. Alcuni arrivavano al punto di accettare ruoli meno importanti, pur di essere trasferiti a un altro turno.

   Pensando a questo, Ki’Lau si promise di non abbassarsi mai a un tale compromesso. Ma lavorare nel turno di notte aveva un’altra conseguenza, ancor più spiacevole. Gli ufficiali di quel turno erano spesso derisi dagli altri, o trattati con superiorità. Erano destinati agli incarichi più umili – come spurgare i condotti del plasma – ed erano protagonisti delle barzellette sulla Flotta. Di conseguenza questi ufficiali erano i più frustrati e litigiosi, o i più apatici e rassegnati, in un circolo vizioso che manteneva scarsa la loro efficienza.

   Lo Xaheano ci faceva i conti tutti i giorni. Spronava i sottoposti a dare il massimo, nella speranza che tutti loro fossero trasferiti a un altro turno; ma di rado otteneva risultati. Spesso le sue esortazioni cadevano nel vuoto, o peggio ancora, la ciurma rispondeva sfottendolo. Certo, era difficile coinvolgere gli ufficiali quando il compito più emozionante era contare le particelle di pulviscolo spaziale per metro cubo. Non c’era da stupirsi che alcuni fossero nervosi, come Orlon e più ancora Mo’rek, né che altri fossero rassegnati, come Ennil e Smig. Quello che se la passava meglio di tutti era Xandrix. L’ingegnere aveva la testa così tra le nuvole che non si rendeva conto della sua sfortuna, il che gli risparmiava un bel po’ di ansie e frustrazioni.

   Senza farsi troppo notare, Ki’Lau attivò l’oloschermo del bracciolo e lesse l’ora, segnata in un angolo. Erano le due di notte; mancavano ancora cinque ore alla fine del turno. Cinque ore di ozio, a meno che non succedesse qualcosa di grave, come un attacco alieno; ma in quel caso avrebbe dovuto svegliare il Capitano e gli ufficiali superiori. Ad ogni minuto che passava, lo Xaheano si sentiva sempre più sprecato. Era un Tenente Comandante, lui. Aveva prestato servizio sulla Keter fin dal varo, superando momenti terribili. L’anno prima, al culmine dello scontro coi Na’kuhl, aveva partecipato all’abbordaggio della loro nave ammiraglia, il Reaper. Era uno dei sessanta che si erano teletrasportati a bordo e, cosa più importante, uno dei dieci che erano tornati per raccontarlo. Ma anche in quel frangente non era riuscito a mettersi particolarmente in mostra. Tutto ciò che ne aveva ricavato era il dubbio onore di comandare il turno di notte. E lì, probabilmente, sarebbe rimasto finché gli fossero venuti i capelli bianchi.

 

   Cinque ore dopo, il segnale automatico avvertì del cambio di turno. Puntuali come sempre, gli ufficiali superiori giunsero in plancia. Solo il Capitano era in ritardo.

   «Buongiorno» disse Radek, venendo a reclamare la sua poltrona. «Qualche novità?».

   «No, signore... tutto regolare» rispose Ki’Lau, come al solito. «I Krenim hanno mantenuto la posizione, senza inviare segnali. Non abbiamo rilevato altre navi».

   «Nessuna nuova, buona nuova» commentò Radek. «Ma oggi il Capitano annuncerà la sua decisione. Incrociamo le dita».

   Nel frattempo anche gli altri ufficiali del turno di notte stavano cedendo le loro postazioni. Mo’rek lasciò quella tattica a Norrin, con un mugugno che a voler essere fantasiosi poteva suonare come «Buongiorno». Smig salutò Zafreen con più cordialità, complimentandosi per la sua nuova acconciatura, cosa curiosa per una Ferengi priva di capelli. Ennil lasciò il timone e poi tornò a portar via la bottiglietta vuota, beccandosi un’occhiataccia da Vrel. Orlon si limitò ad appallottolarsi, alla maniera dei Teenaxi, e a rotolare nel turboascensore senza salutare nessuno.

   Siccome i colleghi avevano riempito l’ascensore, Ki’Lau attese il prossimo turno per scendere. Quando la porta si riaprì, ne uscì il Capitano. Aveva l’aria di chi ha dormito poco, ma in lei c’era l’aria risoluta di chi ha preso una decisione inappellabile. Con lei c’era la dottoressa Mol.

   «Aprire un canale con l’Annorax» ordinò l’Elaysiana, senza nemmeno aver salutato i colleghi.

   L’Ammiraglio Hortis apparve prontamente sullo schermo. «Buongiorno, Capitano» esordì. «Allora, ha consultato i suoi superiori?» chiese vagamente divertito.

   «Ho valutato la sua proposta» rispose Hod. «Distruggere la Rete Subspaziale è una soluzione drastica al problema dei Vaadwaur. Come Capitano della Flotta Stellare, ho il dovere di preservare le meraviglie naturali della Galassia e le opportunità di contatto fra le specie» disse lentamente. «Ma ho un dovere ancora più alto: quello di preservare la vita. I Vaadwaur stanno lasciando dietro di sé una scia di morti e distruzione. Quindi sì, vi aiuterò a eliminare i tunnel» dichiarò.

   A questa notizia, Ki’Lau si sentì attraversare da un brivido. Si apparecchiava una battaglia coi fiocchi. Come al solito se ne sarebbero occupati gli ufficiali del turno Alfa; ma le esercitazioni coinvolgevano anche quelli degli altri turni, che durante la battaglia sarebbero stati disponibili come personale ausiliario. Riflettendo sulle conseguenze, lo Xaheano entrò nel turboascensore e lasciò la plancia.

   Quel giorno il Tenente Comandante pranzò nel suo alloggio, anziché in sala mensa. Dopo di che si mise a consultare le procedure di sicurezza. Esaminò il rendimento del personale dei tre turni, nel corso degli anni passati. Quelli del turno Alfa avevano ovviamente i risultati migliori, quelli del Beta erano poco più sotto, ma come temeva il turno Gamma si distingueva per l’inadeguatezza. «Ora basta... le cose devono cambiare» si disse.

 

   Più tardi, nel primo pomeriggio, Ki’Lau si recò in sala mensa. Per quelli del suo turno era ora di cena. Trovò Ennil e Xandrix seduti con Smig, che raccontava loro gli ultimi pettegolezzi sull’equipaggio. Orlon era poco lontano, al tavolino basso costruito su misura per lui. Stava rosicchiando gli ultimi avanzi di carne attorno a un osso, con la voracità tipica dei Teenaxi. Mo’rek infine stava in un angolo, ombroso come al solito.

   «Venga con me» disse lo Xaheano, passandogli accanto.

   «Perché?» chiese il Klingon, sospettoso.

   «Perché è un ordine. Anche tu, Orlon... vieni qui!» fischiò Ki’Lau. Al richiamo del superiore, il Teenaxi lasciò perdere l’osso e rotolò presso gli altri. Si radunarono tutti intorno al tavolo. Anche Orlon sedette su una sedia, allungando il collo per vedere i colleghi. Ki’Lau si accomodò per ultimo.

   «Che succede, capo?» chiese Ennil, con la bocca ancora piena. Ora che era fuori servizio, non era più costretta a chiamarlo Capitano. Come suo solito quand’era in sala mensa, la Barzana aveva rinunciato a ogni parvenza di disciplina. Contravvenendo ai suoi propositi dietetici, si era presa un vassoio straripante di cibi ipercalorici e lo stava svuotando con gusto. Prese un tubetto di ketchup e lo spremette sopra il monumentale hamburger che si era preparata. Stava per afferrare il panino, quando Ki’Lau glielo sottrasse con tutto il vassoio.

   «Succede che da oggi si cambia andazzo» disse lo Xaheano, squadrando lei e gli altri con aria severissima. «Il Capitano ha deciso di aiutare i Krenim a distruggere la Rete Subspaziale. Questo significa che ci aspetta una grande battaglia contro i Vaadwaur».

   «E allora? Se ne occuperanno quelli del turno Alfa, come sempre» commentò Orlon.

   «È questo il problema!» sbottò Ki’Lau. «Ogni volta che c’è un problema, se ne occupano loro. Fra qualche anno saranno tutti Capitani... tranne Zafreen» concesse. Non riusciva proprio a figurarsela in quella veste. «Noi, invece, marciremo nel turno di notte finché la Keter sarà arrugginita».

   «Questo cosa c’entra col mio panino?» chiese Ennil, ancora affamata.

   «C’entra, perché un ufficiale sovrappeso è un ufficiale inetto!» rispose Ki’Lau, fulminandola con lo sguardo. «Ma guardate come ci siamo ridotti! Siamo ufficiali della Flotta Stellare, non un branco di...».

   «Perdenti» completò Smig.

   «Già» convenne lo Xaheano, assorbendo il colpo. «Sentite, è da quand’ero allo stadio larvale che sogno un incarico di responsabilità su una nave stellare. Suppongo che sia lo stesso anche per voi».

   «Io sognavo una montagna di latinum, ma... vabbé, la nave stellare veniva per seconda» disse la Ferengi.

   «È possibile che, nel corso di questa missione, capiti qualche emergenza notturna» proseguì Ki’Lau. «Di certo vedremo un po’ d’azione quando affronteremo i Vaadwaur. Voglio che, quando accadrà, il nostro rendimento non sia inferiore a quello del turno Alfa».

   «Magari del Beta? Meglio abbassare un po’ le pretese» suggerì Orlon.

   «No, non dobbiamo abbassarle! Dobbiamo alzarle al massimo!» insisté lo Xaheano, battendo il pugno sul tavolo. «Perciò da domani faremo esercitazioni di combattimento sul ponte ologrammi. Faremo anche del sano esercizio fisico, così quelli di noi che hanno dei chili di troppo li smaltiranno» disse, sempre fissando Ennil.

   «Sembra divertente... io ci sto» sorrise Xandrix, rompendo finalmente il silenzio.

   «Anch’io» disse Orlon. «Sono stanco di spulciarmi, mentre gli altri pensano a tutto e si prendono tutti i meriti».

   «Mo’rek?» chiese il Tenente Comandante, un po’ teso, dato che il Klingon era restato in silenzio.

   «Suppongo che mantenere i vecchi ritmi sarebbe onorevole» ragionò questi. «D’accordo, mi allenerò con voi. Così vi mostrerò come facciamo le cose nel turno Alfa». Pensava tra sé che la battaglia alle porte era una grossa occasione. Se fosse riuscito a mettersi in mostra, magari il Capitano gli avrebbe restituito il vecchio incarico.

   «Ottimo! E voi?» domandò Ki’Lau, osservando le ultime due colleghe.

   «Lo considererò un investimento a lungo termine. Ci sto» disse la Ferengi.

   «Io no» rispose Ennil con studiato distacco. «Sono in servizio per otto ore al giorno. Partecipo alle esercitazioni standard a cui è tenuto l’equipaggio. Il mio dovere lo faccio già. Se voi volete spaccarvi la schiena, siete liberi di farlo. Ma lo farete senza di me». Allungò una mano sopra la tavola, afferrò il vassoio e lo tirò nuovamente a sé. Prese il panino con ambo le mani e spalancò platealmente la bocca.

   «Lei ha già parecchie note di biasimo sulla sua scheda personale. Mi dispiacerebbe doverne aggiungere un’altra» disse Ki’Lau in tono soave. «Ricorda quella volta che per sbaglio ha ficcato la Keter in una breccia subspaziale? Ci ha quasi fatti ammazzare, fortuna che Vrel era ancora sveglio ed è venuto in plancia per tirarci fuori. Quella volta l’ha passata liscia, ma potrei tornare sulla decisione. Nel qual caso subirebbe un provvedimento disciplinare. In effetti, credo che le toccherebbe spurgare i condotti del plasma» disse con fatalismo.

   «No, i condotti del plasma no!» gemette Ennil. «Mi resta sempre quello schifo sotto le unghie. Ci vogliono giorni perché vada via».

   «E allora venga ad allenarsi con noi» insisté lo Xaheano. «Sarà divertente; magari ci conosceremo meglio».

   «E va bene» sospirò la Barzana. Depose il panino sbrodolante ketchup. D’un tratto le era passato l’appetito.

 

Data stellare 2590.164 (giorno 104 nel Quadrante Delta)

La Keter è presso Vidiia Primo

 

   «Forza, lumache! Siamo appena al terzo giro!» esclamò Mo’rek, correndo avanti al gruppo. Il Klingon aveva uno zaino da esercitazione in spalla, ma non sembrava avvertirne il peso. Guidava i colleghi da un corridoio all’altro, costringendo i passanti a schiacciarsi contro le paratie, e da un ponte all’altro, usando i tubi di Jefferies e le scalette anziché i comodi turboascensori. L’unico del suo gruppo che lo seguiva senza problemi era Orlon, che anzi spesso gli correva avanti, avvertendo i passanti di fare largo. Seguivano Ki’Lau, Xandrix e Smig, col fiato grosso. Per ultima, ansante e staccata dagli altri, veniva Ennil.

   Il gruppo seguiva un percorso appositamente studiato, che lo portava da un capo all’altro della nave, salendo ogni volta di un paio di ponti. Nei primi giorni andavano avanti e indietro sullo stesso ponte, ma poi si erano accorti che in questo modo Ennil rimaneva indietro fino a perdere dei giri, e protestava quando le chiedevano di completarli. Così avevano trovato questa soluzione. Ciò naturalmente accresceva il disagio per i colleghi, che se li vedevano correre addosso in tutta la nave. Mentre correva, Ki’Lau teneva il conto dei giri: tre, quattro, cinque... fra poco sarebbero giunti al termine. All’inizio degli allenamenti aveva cercato di risparmiarsi le corse, sostenendo d’essere già in forma. Ma ben presto si era accorto che se non dava l’esempio, i suoi sottoposti si sarebbero sbandati. Così eccolo lì, a sudare per i corridoi.

   «Su, ci siamo quasi!» li spronò Mo’rek.

   «Non vedo Ennil da un pezzo» ansimò Xandrix, che ogni tanto si guardava indietro. «Non dovremmo aspettarla?».

   «L’aspetteremo una volta arrivati. Non fermatevi!» esortò il Klingon, aumentando la velocità della corsa.

   Finalmente raggiunsero il termine del percorso, cioè la palestra. Si fermarono davanti all’ingresso, aspettando la collega ritardataria. Mo’rek e Orlon non sembravano stanchi, ma gli altri tre si piegarono in avanti, ansimando per riprendere fiato. Smig in particolare, che aveva le gambe corte, era provata. «Pessimo... investimento!» boccheggiò.

   Passarono i minuti. Gli ufficiali ormai si erano ripresi, ma della collega non c’era traccia. «Non le sarà venuto un infarto?» chiese Orlon.

   «Non credo» disse Ki’Lau, ma in effetti cominciava a preoccuparsi. «Ki’Lau a computer, localizzare il Guardiamarina Ennil» disse, premendosi il comunicatore.

   «Il Guardiamarina Ennil è sul ponte 8, sezione 14» fu la risposta. Era la stessa zona su cui si trovavano loro.

   «E respira?» chiese Orlon, ma in quella ebbe la risposta. La Barzana svoltò l’angolo e venne loro incontro, sbuffante come una locomotiva. Aveva una bibita ghiacciata in mano.

   «Quella dove l’ha presa?» chiese Ki’Lau.

   «Scusi, ho fatto una piccola deviazione in sala mensa» spiegò la Barzana. «Stavo morendo di sete!» si giustificò, fermandosi davanti a lui. Bevve un lungo sorso.

   «Ecco perché ci ha messo tanto. Non ci siamo, Guardiamarina; durante l’allenamento non sono consentite soste, né deviazioni» la rimbrottò lo Xaheano. Le strappò di mano la bottiglietta, prima che bevesse di nuovo. «Dentro, ora. Siamo solo all’inizio!». Precedette i colleghi nella palestra, un’ampia sala colma di strumenti ginnici. C’erano anche dei sensori che registravano le attività svolte e la quantità di calorie bruciate.

   Sotto la guida di Mo’rek, il gruppetto svolse vari esercizi, dalle flessioni al sollevamento pesi. Rispetto ai compagni, Orlon rappresentava un caso a parte, perché la struttura corporea dei Teenaxi li rendeva inadatti a svolgere la maggior parte degli esercizi pensati per gli umanoidi. Dopo averci pensato un po’, Mo’rek lo mise a correre dentro una ruota girevole. Poi tornò dai colleghi, che stavano facendo esercizi alla sbarra. I pali erano allineati sopra di loro: i federali dovevano afferrarli e sollevarsi a forza di braccia, fino a raggiungere col petto l’altezza della sbarra. Ki’Lau ci riuscì con qualche sforzo. Xandrix e Smig riuscirono ad appendersi, ma non a sollevarsi. Ennil non poté nemmeno reggere il proprio peso. Dopo essere caduta per la terza volta sul tappetino, se ne andò arrabbiata e depressa.

   «Ehi, ehi!» la richiamò Ki’Lau, correndole dietro. «Non faccia così. Queste sono le prime esercitazioni. Vedrà che andando avanti sarà sempre più facile».

   «Me lo dicevano anche all’Accademia, ma non è vero» ribatté la Barzana, sedendo stancamente su una panca.

   «Non si supera l’Accademia senza una forte motivazione» commentò lo Xaheano. «Se è qui, significa che si è impegnata».

   «Avevo un obiettivo, sì» ammise Ennil, asciugandosi il sudore con un panno. «Ma ora è tutto così confuso. La Flotta Stellare è mezza smobilitata. Che accadrà quando torneremo nell’Unione? Ci metteranno in congedo anticipato? Ci trasferiranno all’Ufficio di Primo Contatto?».

   «Non lo so» ammise Ki’Lau, a disagio. Osservò distrattamente Orlon, che a furia di correre nella sua ruota girevole aveva inciampato e ora continuava a vorticare per inerzia.

   In quella Jaylah entrò nella palestra. Vedendo gli occupanti, restò sorpresa: di rado incontrava gli ufficiali del turno di notte. «Oh, salve, Tenente... Tenente...» esitò.

   «Ki’Lau» sospirò lo Xaheano. Si chiese quanti, tra gli ufficiali superiori, ricordassero il suo nome.

   «Ah, già. Salve anche a lei, Guardiamarina» disse Jaylah, passando davanti a Ennil. Nel suo caso non provò nemmeno a chiamarla per nome, sapendo che non l’avrebbe azzeccato. Si recò invece alle sbarre, dove prese a fare degli esercizi. Prima si sollevò più volte fino al petto. Poi salì al di sopra e prese a camminare sulle mani, da una sbarra all’altra, tenendo il corpo dritto e rigido come un palo.

   Ennil osservò queste prodezze con occhi pieni d’invidia. «Non potrebbe scivolare e cadere di testa?!» borbottò, più come augurio che come timore.

 

Data stellare 2590.169 (giorno 109 nel Quadrante Delta)

La Keter sta trattando con i capi dell’Alleanza

 

   «Oggi studieremo la difesa personale» disse Mo’rek, passeggiando davanti ai colleghi, allineati nel dojo di bordo. «Chi vuole cominciare?».

   Ci fu un prolungato silenzio. Nessuno era ansioso di farsi malmenare da un Klingon frustrato e nervoso.

   «Coraggio! Chi si offre volontario venga avanti!» berciò l’ufficiale tattico, irritato dalla pusillanimità dei colleghi.

   Ki’Lau, Orlon, Ennil e Smig fecero tutti un passo indietro. Di conseguenza Xandrix restò un passo avanti a loro. Ma l’ingegnere era troppo perso nel suo mondo per rendersene conto.

   «Ah, signor Xandrix! Lei è un vero guerriero, me ne compiaccio! Venga, venga!» ghignò Mo’rek, facendogli segno di avvicinarsi.

   «Chi, io?» chiese il Rhaandarite, riavendosi dalle sue fantasticherie. Si guardò a lato, accorgendosi che gli altri erano arretrati. Smig allargò le braccia e inclinò la testa, come a dire: «Che ci vuoi fare?». Un po’ perplesso, l’ingegnere salì sul ring assieme al Klingon. «Ma io veramente non sono un ufficiale tattico...» mormorò.

   «La battaglia non guarda in faccia nessuno» tagliò corto Mo’rek. «Immagini di trovarsi davanti un Vaadwaur. Che fa?».

   Xandrix alzò subito le mani, in segno di resa.

   «No!» insorse il Klingon. «Deve lottare per difendersi!».

   «Ma se i Vaadwaur ci abbordassero, non saranno armati?» ragionò il Rhaandarite.

   «Faremo anche lezioni di tiro col phaser» spiegò Mo’rek, con tutta la pazienza di cui era capace. «Ora però siamo qui per perfezionare le tecniche di autodifesa». Indossò dei guantoni da boxe e li fece mettere anche all’altro. «Bene! Ora io cercherò di colpirla da destra. Lei deve bloccarmi e poi contrattaccare. Le mostro come». Gli fece vedere l’esatta sequenza di movimenti, prima eseguendoli lui stesso, poi affiancandosi all’ingegnere e accompagnandolo nei gesti. «Allora, si sente pronto?».

   «Come no, prontissimo» fece Xandrix, saltellando davanti a lui, con le mani alzate in posizione difensiva.

   «Bene» sogghignò Mo’rek. Senza altro preavviso gli sferrò un gancio sinistro, che lo prese in pieno volto e lo scaraventò all’indietro. I colleghi arretrarono, spaventati.

   «Aveva detto che mi avrebbe colpito da destra!» protestò l’ingegnere, strofinandosi il mento indolenzito con la mano ancora coperta dal guantone.

   «Lezione numero uno: mai fidarsi dell’avversario» spiegò l’ufficiale tattico. Gli porse la mano, aiutandolo a rimettersi in piedi, e lo sostenne mentre barcollava.

   «Il suo comportamento non mi sembra molto onorevole, Tenente» notò Ki’Lau. «Da un Klingon mi aspettavo altro».

   «In quel momento interpretavo un Vaadwaur» si giustificò Mo’rek. «Noi Klingon pratichiamo l’onore, ma siamo pronti ad affrontare avversari disonorevoli. Tutto a posto?» chiese, azzardandosi a mollare Xandrix.

   «Sì, sì...» fece lui. Tornò in fila con gli altri, un po’ frastornato.

   «Bene. Avanti il prossimo!» invitò l’ufficiale tattico, battendo i pugni per riscaldarsi.

   «Eccomi!» ululò Orlon. Con un fischio acutissimo, che solo i Teenaxi riuscivano a emettere, balzò addosso all’ufficiale tattico. Gli atterrò sulla spalla e da lì gli si arrampicò tutt’intorno, mordicchiandolo. Era così veloce che il Klingon non riusciva ad agguantarlo e si reggeva così forte ai suoi vestiti che non cadeva mai.

   «Argh, levati di dosso!» gridò Mo’rek, sorpreso da quell’assalto. Arretrò alla cieca, cercando di liberarsi, fino a urtare le corde del ring. Trascinato dal movimento, si arrovesciò all’indietro e cadde oltre le corde, atterrando di schiena. I colleghi lo raggiunsero, per accertarsi che non fosse ferito.

   «Ho... detto... levati!» tuonò il Klingon. Afferrato finalmente il Teenaxi, se lo strappò di dosso e lo gettò lontano. Orlon rimbalzò contro la parete come una palla di gomma e cadde sulle quattro zampe, illeso. In bocca aveva un ciuffo di lunghi capelli neri, strappati a Mo’rek. Era un po’ ansante, ma negli occhi gli brillava una feroce soddisfazione.

   «Mai sottovalutare un Teenaxi» commentò Ki’Lau. «Più sono piccoli, più sono micidiali». Vedendo il grosso Klingon ancora a terra, con l’uniforme strappata in più punti e una ciocca di capelli mancante, non riuscì a trattenere un sorriso divertito.

   «Sono lieto che lei prenda gusto a questa lezione, signore» disse Mo’rek, rialzandosi. «Ora tocca a lei».

   Lo Xaheano smise di sorridere.

 

Data stellare 2590.189 (giorno 129 nel Quadrante Delta)

La Keter attende il ritorno di Radek e Norrin

 

   «Bene, signori... oggi faremo un esercizio diverso dal solito» disse Ki’Lau, passando in rassegna la sua stanca truppa. Erano davanti all’ingresso ad arco del ponte ologrammi. «È una simulazione di battaglia contro i Vaadwaur, messa a punto dagli ufficiali superiori. Gli equipaggi degli altri due turni l’hanno già usata per esercitarsi. Ora tocca a noi».

   «Gli altri l’hanno vinta?» chiese Orlon.

   «Sì» rispose Ki’Lau in tono asciutto. «Da voi mi aspetto lo stesso».

   «Ma lei sa cosa fare?» insisté il Teenaxi.

   «Sarebbe contro lo scopo dell’esercitazione, non vi pare?» ribatté lo Xaheano, rivolto a tutti. «So solo che c’è modo di vincere, ma non so di preciso come. Dovrò improvvisare».

   «Fantastico» borbottò Ennil.

   «Su, animo!» la richiamò Ki’Lau. «Questa è l’occasione per dimostrare che non siamo da meno degli altri. Se vinciamo la simulazione, il Capitano ne sarà informata. E sarà informata anche se perdiamo, quindi vedete di non deludermi» ammonì.

   Detto questo, lo Xaheano attivò la simulazione. L’ingresso del ponte ologrammi si aprì, mostrando una perfetta replica della plancia. Gli ufficiali si recarono ciascuno al proprio posto. Anche Xandrix, pur essendo ingegnere, si accomodò lì, a una postazione laterale che gli dava la panoramica dei sistemi propulsivi. Quando la porta si richiuse fu coperta dall’ologramma del turboascensore, per completare la simulazione.

   «Bene, vediamo qual è la missione» disse Ki’Lau, attivando l’oloschermo del bracciolo. «Oh, si tratta di eliminare la Rete Subspaziale». Pensava che la simulazione avesse uno scopo più semplice, come sconfiggere una nave Vaadwaur o salvarne una dell’Alleanza. Ma in effetti il Capitano voleva eliminare la Rete, senza perdersi in obiettivi di minor conto. «Bene, allora. Tracci la rotta, Guardiamarina» ordinò lo Xaheano. Anche se era solo una simulazione, sentiva il cuore battergli forte.

   «Rotta inserita» disse Ennil, che aveva trovato le coordinate già impostate. «Siamo partiti, Capitano».

   «Abbiamo compagnia» notò Smig. Inquadrò le navi dell’Alleanza che circondavano la Keter.

   «Niente paura, sono amici» la tranquillizzò Ki’Lau. «Procediamo sull’obiettivo».

   In breve la flotta raggiunse l’imboccatura del tunnel spaziale. Il vortice arancione non era difeso. «Avanti a un quarto d’impulso» ordinò lo Xaheano.

   La Barzana eseguì. La Keter aveva quasi raggiunto l’imboccatura quando qualcosa la scosse con violenza. «Ci hanno colpiti! Scudi al 90%» avvertì Mo’rek.

   «Arresto totale. Cos’è stato?» chiese Ki’Lau, maledicendosi per aver già commesso il primo errore.

   «Una mina occultata, credo» ipotizzò il Klingon.

   «Scansione anti-occultamento» ordinò lo Xaheano. Le mine divennero visibili. Erano centinaia e circondavano il wormhole da tutte le parti.

   «Signor Mo’rek, fuoco sulle mine. Ennil, avanti a minimo impulso appena la via sarà libera» disse Ki’Lau. «Smig, avverta gli alleati di stare attenti e fare come noi. Se non riescono a rilevare le mine, gli dica di seguirci in fila indiana».

   «Sto distruggendo le mine» riferì l’ufficiale tattico. «Nel frattempo gli scudi si rigenerano».

   «Bene» si disse lo Xaheano. «Il primo ostacolo è superato senza troppi danni. Possiamo ancora vincere!».

   Aperta la via, la Keter e il resto della flotta entrarono nel wormhole, trovandosi in un dedalo di condotti arancioni.

   «Ho le coordinate dello Snodo 3, dirigo lì» disse Ennil.

   «Si tenga a un quarto d’impulso. Smig, occhio ai sensori: il nemico può attaccare in ogni momento» avvertì Ki’Lau.

   Non dovettero attendere a lungo. Per primi arrivarono gli incursori Pythus, poi le navi di maggior stazza. I loro attacchi scossero la Keter.

   «Mo’rek, risponda al fuoco. Cerchi di togliere la propulsione alle fregate, così potremo oltrepassarle. E adatti gli scudi alla frequenza delle loro armi» suggerì lo Xaheano.

   «Ennil, manovre evasive!» aggiunse Orlon, tanto per non fare scena muta.

   «Sì, signore» rispose la Barzana, tutta concentrata. Quando si trattò di premere i comandi, tuttavia, esitò. «Signore, che manovra dovrei fare?» chiese.

   «Boh, una qualunque! Sigma 9» rispose il Teenaxi, citandone una a casaccio.

   La timoniera ci provò, ma quella manovra era pensata per essere compiuta nello spazio aperto. Nel ristretto ambiente di un wormhole era fatale. La Keter urtò la parete del tunnel e vibrò, sul punto di perdere integrità strutturale.

   «No, così esplodiamo!» gridò Ki’Lau. «Tutto a tribordo!».

   «Ci provo» disse Ennil, lottando contro i comandi che rispondevano a fatica. Riuscì a staccarsi dalla parete del wormhole, prima che l’energia subspaziale lacerasse lo scafo. E urtò una nave della Gerarchia. La plancia sussultò; molte consolle sprizzarono scintille e si disattivarono.

   «Abbiamo perso la propulsione» avvertì Xandrix. «Danni dal ponte 4 al 9, energia al minimo».

   «Compensare coi generatori d’emergenza» ordinò Ki’Lau, passandosi la mano sulla fronte sudata. Le cose si mettevano molto male.

   «Abbiamo feriti... e vittime» avvertì l’ingegnere, leggendo i dati sulla consolle. Ovviamente erano tutti valori elaborati dal computer, trattandosi di una simulazione, ma era un preoccupante segno d’inadeguatezza. «La nave della Gerarchia è distrutta. Cerco di stabilizzare l’energia principale».

   «Gli scudi! Dammi gli scudi!» gridò Mo’rek, vedendo che la nave era indifesa.

   «Arriva l’artiglieria pesante» avvertì Smig. I grossi incrociatori di classe Astika uscirono dai tunnel laterali, circondando la Keter ormai alla deriva, e la colpirono da tutti i lati.

   «Rispondere al fuoco!» ordinò Ki’Lau, sempre più disperato. «Non c’è modo di riattivare i motori?».

   «Sono troppo danneggiati, signore» disse Xandrix, mentre la nave si scuoteva sempre più. «Il deflettore funziona, ma non abbiamo ancora raggiunto lo Snodo 3».

   «Via di qui, serpenti!» ringhiò Mo’rek, sparando a tutto spiano contro i vascelli nemici. Si concentrò su un incrociatore, riuscendo a disabilitarlo; ma senza la propulsione era una vittoria inutile. Le altre navi Vaadwaur si accanirono sulla Keter, danneggiandola sempre più, finché un lampo bianco avvolse la plancia. L’attimo dopo la simulazione si resettò. Lo schermo era vuoto e tutti i danni alle consolle erano svaniti.

   «Simulazione terminata» disse il computer. «Obiettivo fallito. Volete riprovare?».

   «Aspetta. Solo al mio ordine» disse lo Xaheano, con la bocca secca. Osservò i suoi ufficiali, leggendo lo sconforto sui loro volti. Il suo sguardo si fermò su Orlon. «La prossima volta che ordina una manovra evasiva, controlli che ci sia lo spazio per farla!» lo rampognò.

   «Buona questa, me la segno» promise il Teenaxi.

   «E adesso?» chiese Ennil.

   «Adesso ci riproviamo» disse Ki’Lau, determinato. «Computer, avvia simulazione».

 

   Quello che doveva essere un breve allenamento si trasformò in una maratona di parecchie ore. Ki’Lau lanciò una simulazione dopo l’altra, non sopportando l’idea di uscire da lì sconfitto. Non era solo una questione d’orgoglio personale: ne andava del morale dei suoi ufficiali. Se fossero riusciti a vincere, sia pur dopo vari tentativi, si sarebbero convinti che valevano qualcosa. Lo Xaheano cercò di far tesoro degli errori, per evitare di ripeterli; ma la simulazione presentava delle variazioni casuali, proprio perché non si vincesse dopo aver memorizzato le giuste mosse. A volte le mine occultate c’erano, a volte no. La conformazione interna della Rete cambiava ad ogni tentativo e così le tattiche difensive dei Vaadwaur. A volte gli alleati restavano fedeli fino all’ultimo; in altri casi si ritiravano quando la situazione peggiorava.

   «Stavolta ce la faremo» diceva Ki’Lau ad ogni tentativo. E puntualmente si sbagliava. Un paio di volte la Keter entrò in collisione con le pareti del tunnel spaziale. In un altro caso si trovò imbottigliata con le navi alleate in un condotto molto stretto, così che i Vaadwaur dovettero solo sparare nel mucchio. Per tre volte si perse nella Rete, raggiungendo lo Snodo sbagliato o non raggiungendolo affatto, finché il tempo utile si esaurì. Le poche volte che riuscì a raggiungere lo Snodo 3, fu sempre soverchiata dai Vaadwaur. Nel primo caso fu accerchiata e distrutta; nel secondo i Vaadwaur abbatterono gli scudi e teletrasportarono un siluro in plancia; nel terzo invasero la nave e la conquistarono dopo una breve lotta.

   «Basta!» esplose Ennil, dopo il decimo tentativo fallito. «Non ne posso più! È una perdita di tempo!» strillò, alzandosi di scatto; le sue mani tremavano.

   «I nemici sono troppi» convenne Mo’rek. «Almeno siamo morti da guerrieri».

   «Beh, io ne ho abbastanza di morire da guerriera!» ribatté la timoniera, sull’orlo di una crisi isterica. «Qui siamo sul ponte ologrammi, possiamo riavviare la simulazione tutte le volte che volete. Ma se fossimo davvero sul campo di battaglia, saremmo spacciati. È una fortuna che ci siano quelli del turno Alfa, perché se dipendesse da noi non ne usciremmo vivi».

   «Ma no, non sia così negativa» la esortò Ki’Lau. «Ad ogni tentativo accumuliamo esperienza. Proviamo ancora; sono certo che questa è la volta buona».

   «L’undicesima? Non credo proprio» disse la Barzana, guardandolo storto.

   «Se non possiamo sconfiggere i Vaadwaur, potremmo allearci con loro» suggerì Smig, col tipico opportunismo dei Ferengi.

   «Credo che questo vanificherebbe gli scopi dell’esercitazione» sospirò lo Xaheano.

   «Quindi che facciamo?» chiese Xandrix.

   Vedendo che l’ingegnere era troppo timido per proporre di rinunciare, Ennil decise che toccava a lei. «Io ne ho abbastanza; me ne vado» disse, marciando verso l’uscita. «Chi viene con me?». Tutti i colleghi la seguirono prontamente.

   «Alt! Fermi!» ordinò Ki’Lau, mettendosi davanti alla porta. «Non vi ho dato il permesso di uscire».

   «Sono le cinque del pomeriggio» protestò Smig. «Fra sei ore dobbiamo riprendere servizio. Abbiamo appena il tempo di mangiare qualcosa e dormire. Io non ce la faccio a restare... non mi reggo in piedi».

   «Nemmeno io» convenne Xandrix. «Siamo così stanchi che ormai non capiamo più quel che facciamo».

   «Questo vale anche per lei, signore» disse Ennil, fissandolo con durezza. «Non ha senso restare».

   Vedendo la loro determinazione, Ki’Lau sentì vacillare la propria. Però non voleva che uscissero da lì con la sconfitta che gli pesava sul groppone. Si chiese se poteva riprogrammare la simulazione, per renderla più facile. Probabilmente sì; ma non era una cosa fattibile su due piedi. Doveva esaminare i parametri tattici del programma e scegliere quali alterare. «La pensate tutti così? Orlon, Mo’rek?» chiese, rivolgendosi ai meno disfattisti.

   «Ci abbiamo provato e riprovato, capo. Ma a un certo punto bisogna accettare la sconfitta» rispose il Teenaxi. Mo’rek non disse nulla, perché un Klingon non poteva parlare di resa; ma restò accanto ai colleghi.

   «No, andiamo... non abbattetevi così...» farfugliò Ki’Lau, sempre più in difficoltà. «Domani ci riproveremo e vedrete che andrà meglio».

   «Perché lei avrà semplificato la simulazione» indovinò Ennil. «No grazie, Capitano. Preferisco fallire, piuttosto che vincere con questi mezzucci. Andiamo, ragazzi; è finita. Computer, fine programma».

   La plancia fittizia si dissolse, lasciando solo l’uniforme reticolo del ponte ologrammi. Gli ufficiali lo lasciarono in fretta, passando accanto a Ki’Lau senza guardarlo. Lo Xaheano fissò il pavimento, avvilito, finché udì la porta chiudersi alle sue spalle. Era rimasto solo. E anche se avrebbe rivisto i colleghi da lì a sei ore, per il turno di notte, sapeva che non sarebbe stato più come prima. Aveva perso la loro fiducia, il loro rispetto. Peggio ancora, aveva perso la fiducia in se stesso. Capì che non ci sarebbero state altre esercitazioni. Da quel momento tornavano alla solita routine, senza più illudersi che un giorno si sarebbero distinti per qualcosa.

 

Data stellare 2590.208 (giorno 148 nel Quadrante Delta)

La Keter è pronta a entrare nella Rete Subspaziale

 

   Soffocando gli sbadigli, Ki’Lau percorreva i corridoi vuoti della Keter, diretto in plancia. Al pensiero che lo attendeva un’altra giornata fatta di gesti ripetitivi, battutacce fra colleghi e noia, si sentì rivoltare lo stomaco. Non era a questo che pensava, quand’era entrato in Accademia. L’unica cosa che gli dava un fremito era il pensiero che, di lì a due giorni, la Keter sarebbe entrata davvero nella Rete Subspaziale. Allora sì che anche lui avrebbe visto un po’ d’azione, e forse avrebbe rimpianto i tranquilli turni di notte come quello.

   Strada facendo lo Xaheano incrociò Jaylah. Era strano; di solito non la vedeva mai in giro a quell’ora. «’sera, Tenente» la salutò.

   «Buonasera, signor Ki’Lau» rispose la mezza Andoriana. Aveva una strana voce incolore, ma almeno si era ricordata il suo nome. Ki’Lau pensò che fosse stanca, e forse anche preoccupata per l’imminente battaglia, quindi non stette ad attaccare bottone. Le passò accanto e proseguì dritto fino alla plancia, dove i colleghi si erano già sistemati.

   «Capitano sul ponte!» lo salutò Orlon, col suo tono che sapeva di derisorio.

   «Okay, finiamola con questa farsa» disse Ki’Lau. «Non sono il Capitano, quindi smettetela di chiamarmi così».

   «Signorsì, Capitano» annuì il Teenaxi, tutto serio. Gli altri ufficiali ridacchiarono.

   Lo Xaheano osservò la ciurma, trovandola ancora più deludente del solito. Ennil si era portata dietro un intero panino da sbocconcellare, Mo’rek e Smig avevano l’aria trasandata, mentre Orlon si grattava senza ritegno. Una volta li avrebbe richiamati all’ordine, ma ormai decise di lasciar correre.  «Rapporto sezioni» sospirò, accasciandosi sulla poltroncina di Hod.

   «Condizioni della nave regolari» disse Orlon.

   «Manteniamo la posizione» aggiunse Ennil, soffocando uno sbadiglio.

   «Letture dei sensori regolari» proseguì Smig.

   «Armi e scudi efficienti» concluse Mo’rek.

   Avevano già finito. Non restava che contattare le altre sezioni. «Plancia a sala macchine, rapporto» disse Ki’Lau. Come al solito dovette ripetere la chiamata. Stavolta però non bastò un secondo appello e nemmeno un terzo. «Ma che fanno laggiù?» si chiese lo Xaheano, seccato. In quell’attimo la Keter entrò in cavitazione.

   «Ehi, che succede?! Non sono stata io!» sobbalzò Ennil.

   «Arresto totale» ordinò Ki’Lau. «Si sbrighi!».

   La Barzana cercò di eseguire, ma scoprì che i comandi non le rispondevano. «Frell, qui è tutto bloccato!» imprecò. «Non riesco a fermare la nave e non controllo nemmeno la rotta!». A queste parole i colleghi si allarmarono.

   «Chi comanda la nave? Da dove?» chiese Ki’Lau con urgenza.

   «Se non siamo noi, devono essere gli ingegneri dalla sala macchine» disse Ennil. «Ma perché non ci rispondono?!».

   «Computer, chi c’è in sala macchine?» indagò lo Xaheano.

   «Impossibile accertare. I sensori interni sono disattivati» rispose il processore.

   «Non può essere!» protestò Smig. «Un attimo fa i sensori funzionavano, anche quelli interni!».

   «È un’avaria o un sabotaggio?» volle sapere Ki’Lau, col cuore in gola.

   La Ferengi si chinò sulla sua postazione, consultando una schermata dopo l’altra. A un tratto s’irrigidì e alzò lo sguardo ai colleghi, che pendevano dalle sue labbra. «Non può essere un’avaria» rivelò. «Mi hanno tagliata fuori dai comandi e li hanno criptati. La cifratura è di una complessità mai vista».

   Per qualche secondo regnò un orribile silenzio. Ormai era chiaro a tutti che la Keter era sotto attacco; ma da parte di chi? Gli ufficiali fissarono Ki’Lau, in attesa di ordini. Accorgendosi che toccava a lui tirarli fuori dai pasticci, lo Xaheano fu assalito dalle vertigini. Ecco com’era la vita degli ufficiali del turno Alfa. «Isolate le vostre postazioni con dei codici d’emergenza!» gridò, riavendosi dallo shock. «Dobbiamo mantenere il controllo della nave. Computer, Allarme Rosso! Allertare gli ufficiali superiori!».

   «Impossibile eseguire, la sua autorizzazione non è riconosciuta» rispose la voce lapidaria del processore.

   Ki’Lau si sentì come strozzare. La situazione stava precipitando alla velocità della luce. Volgendosi di qua e di là, vide che anche i sottoposti incontravano gli stessi problemi. Qualcuno cercava d’impadronirsi della nave, sistema dopo sistema. Il Tenente Comandante ragionò in fretta: quali erano i sistemi più importanti, in quel momento? «Isoliamo il supporto vitale! E anche i sistemi tattici. Orlon, mi aiuti!» ordinò, precipitandosi alla consolle dei sistemi ambientali.

   Il Teenaxi gli fu accanto in due balzi. «Guardi lì!» disse, additando uno degli oloschermi. «Qualcuno ha sigillato gli alloggi. Vogliono impedire agli altri di uscire».

   Per Ki’Lau fu un altro brutto colpo. Fino a quel momento aveva pensato che, una volta avvertiti gli ufficiali superiori, le cose si sarebbero risolte. O almeno non sarebbe stata colpa sua, se fossero peggiorate. Adesso però era chiaro che il loro misterioso nemico voleva impedirgli di chiedere aiuto ai colleghi più esperti. Tutto l’equipaggio del turno Alfa e gran parte di quello del Beta era intrappolato negli alloggi. Molti stavano dormendo e non si erano nemmeno accorti dell’attacco in corso. «Cerco di sbloccare gli alloggi» farfugliò il Tenente Comandante.

   «È inutile, non vede?! Hanno criptato i controlli» disse Orlon. «E ora che... oh, no. Sono entrati nei controlli ambientali, sistema di ventilazione. Stanno diffondendo un gas negli alloggi» disse, leggendo i dati.

   «Quale gas?! Fermiamoli!» si disperò lo Xaheano. Se si trattava di un composto letale... non voleva neanche pensarci. Trafficò per qualche secondo con i comandi, ma si accorse che era tutto bloccato. L’unica buona notizia era che il gas era stato liberato solo negli alloggi privati. Corridoi e ambienti di lavoro erano sicuri, compresa la plancia. Ma la situazione restava drammatica. Dato che stavano affrontando un rischio biologico, pensò di avvertire i dottori. «Ki’Lau a infermeria, siamo sotto attacco!» disse, premendosi il comunicatore. «Qualcuno soffia gas negli alloggi, dovete fermarlo! Infermeria, mi sentite?!».

   «Dren, sono entrati nella rete dei comunicatori!» imprecò Smig. «È meglio sbarazzarcene. Potrebbero usarli per tracciarci e persino per origliare». Gettò via il comunicatore e così fecero gli altri.

   «È inutile!» sbottò Ennil, rinunciando a riprendere il controllo del timone. «Il nemico ci conosce troppo bene».

   «Ma chi è questo nemico?!» ringhiò Mo’rek, furioso per la mancanza di un bersaglio.

   «Forse lo capiremo in base a dove ci sta portando» intuì Ki’Lau.

   Ennil consultò i comandi del timone. Anche se non poteva controllare la rotta, poteva pur sempre leggere quella che qualcun altro aveva tracciato.

   «Allora?» chiese Orlon, sulle spine.

   «Coordinate 862.959, distanza 3.000 anni luce» lesse la timoniera. «Oh, no...». Si girò verso i colleghi, pallida e con gli occhi spiritati. «Se le cose non sono cambiate dai tempi della Voyager, quello è spazio Borg».

 

   Un silenzio denso orrore calò sulla plancia. I Borg erano stati il nemico più insidioso e terrificante della Federazione, due secoli prima. Dopo alcune grosse sconfitte, però, erano scomparsi dalla circolazione. E il Cubo incontrato settimane prima dalla Keter sembrava confermare le voci secondo cui avevano smesso di assimilare in modo coatto altre specie. Ki’Lau non era in servizio, in quel frangente, ma aveva letto i rapporti. «Il Cubo!» comprese. «Ricordate il Cubo che abbiamo incontrato settimane fa?».

   «Quello che se n’è andato senza farci niente?» chiese Orlon.

   «No, qualcosa deve aver fatto» ribatté lo Xaheano, ragionando in fretta. «Non credo che abbia teletrasportato dei droni a bordo. Avevamo gli scudi alzati e comunque i Borg non avrebbero potuto nascondersi così a lungo. Ma forse il Cubo ci ha trasmesso qualcosa... un virus da computer, che si è fatto strada nei nostri sistemi».

   «Uhm, non so» fece Mo’rek. «Credo che un virus sarebbe stato ancora più rapido a impadronirsi della nave. Io invece ho mantenuto il controllo di armi e scudi».

   «Ottimo! Si assicuri di conservarlo» disse Ki’Lau, un po’ confortato. Anche se contrastava la teoria del virus, era la prima buona notizia dall’inizio della crisi.

   «Quasi quasi ci conviene sperare che siano i Borg» commentò Orlon. «Se sono interessati ad assimilarci, avranno diffuso negli alloggi un gas soporifero anziché uno letale».

   «Questo non spiega perché non l’hanno diffuso anche qui da noi» commentò Smig. «Se radunassimo tutti quelli che sono ancora in piedi...» disse, ma s’interruppe nell’udire il suono del turboascensore. «Arrivano!» sussurrò, terrorizzata.

   «Pronti alla difesa!» ordinò Ki’Lau. Aprì uno scomparto segreto accanto alla poltroncina e ne trasse due phaser. Uno lo tenne per sé, l’altro lo lanciò a Mo’rek, che lo prese al volo. Tutti quanti si nascosero alla bell’è meglio. Ennil si affiancò a Mo’rek dietro la consolle tattica. Orlon e Smig si acquattarono dietro la postazione sensori e comunicazioni, mentre Ki’Lau andò dietro al timone.

   Il turboascensore si aprì e ne uscirono tre ufficiali della Sicurezza, tutti del turno Alfa. Quella in testa era Jaylah. «Beh, che combinate?» chiese, notando i colleghi acquattati qua e là.

   «Tenente Chase!» squittì Ennil. «Che bello vederla!». Si rialzò, imitata dai colleghi. L’arrivo di ufficiali esperti era una boccata d’ossigeno, in quel frangente disperato.

   «Che ci fate in piedi a quest’ora?» chiese però Ki’Lau, squadrando i nuovi arrivati.

   «E me lo chiede? Siamo in piena emergenza» ribatté Jaylah. «Nell’ultimo quarto d’ora abbiamo perso il controllo di quasi tutti i sistemi».

   «Ce ne siamo accorti, eh!» sbottò Orlon. Accanto a lui, Smig aveva impugnato un tricorder e lo usava discretamente, tenendolo nascosto sotto la consolle.

   «E allora perché non l’avete impedito?» chiese la mezza Andoriana.

   «È successo tutto così in fretta... abbiamo perso un sistema dopo l’altro» spiegò Ennil. «Forse lei può aiutarci a riprendere il controllo».

   «Devo vedere i sistemi tattici» disse Jaylah, muovendo verso lei e Mo’rek.

   «Al tempo!» la richiamò Ki’Lau. «Non ha risposto alla mia domanda: perché era sveglia? Poco fa l’ho incontrata sul ponte 18, dove c’è la sala macchine. Ora che ci penso, stava andando proprio in quella direzione. Perché?».

   «Stavo rientrando dalla palestra» spiegò la mezza Andoriana. «Sapete che spesso mi alleno fino a tardi».

   «La palestra è sul ponte 8» obiettò lo Xaheano, con una smorfia di disgusto al ricordo di tutte le corse che aveva fatto su e giù per la nave. «Il suo alloggio, mi pare, è sul ponte 6. Quindi che ci faceva dodici ponti più giù?».

   «Non c’è tempo per queste sciocchezze» tagliò corto Jaylah. Si avvicinò alla consolle tattica, ma Ki’Lau le si parò davanti col phaser spianato.

   «Io dico di sì» fece lo Xaheano, fissandola con ostilità.

   «È impazzito? Le ricordo che sono un Agente Temporale» disse Jaylah con freddezza. «Ho affrontato minacce che lei non immagina nemmeno. La sua esperienza invece qual è? Sbadigliare durante il turno di notte? Giocare al Capitano sul ponte ologrammi?».

   Colpito, ma non affondato dalle sue parole, Ki’Lau la tenne sotto tiro. «Dimentica che c’ero anch’io, sul Reaper. Ho corso i miei rischi» disse. «La Jaylah Chase che conosco non è mai stata sprezzante coi colleghi. Sa, forse mi sbagliavo... i Borg non ci hanno trasmesso un virus informatico. Smig?».

   «I suoi livelli di nanosonde sono alle stelle» rilevò la Ferengi, che da un po’ l’analizzava col tricorder. «Vale per tutti e tre».

   «Tre agenti della Sicurezza» scandì Ki’Lau. «Tutti in piedi quando non dovreste. Tutti forniti di nanosonde che vi proteggono da ferite e patogeni. Se non erro è stata sua madre, la dottoressa Neelah, a modificare le nanosonde Borg a questo scopo».

   «Sì, lo ha fatto da giovane» confermò Jaylah. «Adesso ce le hanno tutti gli Agenti Temporali e molti della Sicurezza ordinaria. Dove vuole arrivare?».

   «Povera dottoressa Neelah» mormorò Ki’Lau. «Ha giocato troppo all’apprendista stregone, con quelle nanosonde. Credeva che non avrebbero più assimilato nessuno e forse aveva ragione, se fosse solo per quelle. Ma qualche settimana fa abbiamo incrociato un cubo Borg pieno di droni attivi. Credo sia stato quello il momento. I Borg hanno rilevato le loro nanosonde modificate e hanno inviato un segnale subspaziale che le ha riportate alla vecchia programmazione... con qualche upgrade. Non vi hanno riempiti d’impianti, perché così vi avremmo riconosciuti; ma hanno influenzato la vostra mente. Siete stati voi e i vostri colleghi a sabotare la Keter. E ora siete qui per finire il lavoro».

 

   Per un attimo regnò il silenzio. I tre agenti della Sicurezza fissavano i colleghi del turno di notte con sguardo inespressivo. «Se la sua teoria è corretta, deponga il phaser» lo invitò Jaylah. «Dovrebbe sapere che la resistenza è inutile».

   «Lo è?» chiese Ki’Lau, tremando appena nell’udire la famigerata frase. «Sa, in mancanza di nodi corticali e di un vinculum centrale, non credo che siate collegati alla Collettività. Penso che stabilirete il nesso solo quando raggiungeremo i Borg, il che mi dà un po’ di tempo per neutralizzarvi. O per distruggere la Keter, nel peggiore dei casi».

   «Il suo errore, Tenente, è credere di avere queste opzioni» disse Jaylah, o per meglio dire ciò che parlava attraverso di lei. Con gesto fulmineo estrasse il phaser, e così fecero i due agenti che l’accompagnavano.

   Mo’rek e Ki’Lau avevano già le armi in pugno e quindi spararono per primi. Il Klingon colpì uno degli agenti, riuscendo a stordirlo. Lo Xaheano centrò invece Jaylah, che barcollò all’indietro e cadde in ginocchio. L’altro agente tuttavia sparò, colpendolo al braccio. Ki’Lau gridò di dolore e si accasciò. Aveva perso la sensibilità al braccio colpito, ma non vide ustioni, segno che il phaser era settato su stordimento. I mezzi droni volevano assimilare, non uccidere.

   Con un fischio lacerante, Orlon balzò addosso all’avversario e gli azzannò il polso, un attimo prima che sparasse nuovamente. Il colpo andò a vuoto e il mezzo drone dovette agitare il braccio per scollarsi di dosso il Teenaxi. Al terzo scrollone ci riuscì. Scagliato via, Orlon rimbalzò su una parete e atterrò in piedi come al solito. Il mezzo drone lo prese di mira, ma fu colpito alla schiena da Mo’rek e cadde a terra, privo di sensi.

   «Bene... la resistenza non è poi così inutile» ansimò Ki’Lau, rialzandosi. Raccolse il phaser con la mano sinistra e si avvicinò guardingo a Jaylah, l’unica avversaria non del tutto stordita. Vedendo che si rialzava le sparò a distanza ravvicinata, facendole saltare via il phaser di mano. «Ci dia il controllo della nave!» intimò.

   «Altrimenti mi ucciderà?» chiese la mezza Andoriana, raddrizzandosi.

   «La Jaylah che conosco preferirebbe morire, piuttosto che diventare un drone» ribatté lo Xaheano. «Ma spero ancora di salvarla». Ciò detto le sparò una terza volta, per stordirla.

   Colpita in pieno, la mezza Andoriana sussultò, ma rimase in piedi. «Adattamento completato» disse con voce impersonale. «Le vostre armi non costituiscono più una minaccia».

   «Ehm, capo... che facciamo?» chiese Orlon, indietreggiando.

   «Frell, io credo che... ehm...» esitò Ki’Lau. Non voleva cedere la plancia a quei mezzi droni; ma se non erano in grado di difendersi, rischiavano d’ingrossare i loro ranghi.

   «Lo so io» disse Smig, precipitandosi alla pedana di teletrasporto. «Ritirata strategica!».

   «No, non possiamo lasciargli la plancia!» gridò Mo’rek, lanciandosi contro la mezza Andoriana. «Scusi, ma non ho scelta». Sferrò un poderoso gancio destro, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto stordirla.

   Veloce come un fulmine, Jaylah schivò l’attacco. Lo colpì al plesso solare, facendolo piegare in due, e poi gli assestò un uppercut che lo fece barcollare all’indietro.

   «Attento! Era pericolosa già prima di diventare mezza drone!» lo richiamò Ki’Lau.

   «Pericolosa, quello stuzzicadenti?!» ringhiò il Klingon, tornando all’attacco.

   Jaylah era pronta. Schivò un assalto dopo l’altro, muovendo solo il busto, e contrattaccò alla prima occasione. Colpì Mo’rek al collo col taglio della mano, mozzandogli il fiato. Dopo di che lo agguantò e lo trascinò a terra, immobilizzandolo. Si udì uno scricchiolio sinistro, seguito da un urlo smozzicato del Klingon. L’Agente Temporale gli aveva rotto un braccio. «Stai solo ritardando l’inevitabile» disse con calma. Non aveva nemmeno il fiatone.

   Mo’rek si agitò come un ossesso, cercando di liberarsi, ma con un braccio rotto non poteva fare più di tanto. Jaylah lo tenne schiacciato sul pavimento e quando vide che non si calmava gli affibbiò un colpo alla nuca, tramortendolo. Gli altri ufficiali osservarono la scena inorriditi. Mo’rek era il più forte e allenato del gruppo: se non aveva fermato la mezza drone, non ci sarebbero riusciti di certo loro.

   «Questo è il motivo per cui abbiamo scelto il turno di notte per assumere il controllo della nave» commentò Jaylah, rialzandosi. «Tra tutti gli ufficiali, voi siete i meno efficienti. Sapevamo che, con voi al comando, avremmo incontrato minima resistenza».

   Queste parole gettarono i federali nello sconforto. Ki’Lau si chiese se l’avversaria aveva ragione. Probabilmente sì; ma non le avrebbe reso le cose ancora più facili, arrendendosi. «Se sono così scadente, perché non mi affronti?!» esclamò, invitandola a farsi sotto. Aveva sfoderato gli artigli, cosa che gli Xaheani facevano di rado. Jaylah però non si fece intimorire e gli venne contro. Alle sue spalle, Ennil e Smig trascinarono faticosamente Mo’rek sulla pedana di teletrasporto, mentre Orlon inseriva le coordinate di destinazione. Non c’era un luogo sicuro in cui fuggire; potevano solo andare in un’altra sezione della nave.

   Volendo dare tempo ai colleghi, Ki’Lau cercò di mantenere le distanze fra lui e Jaylah. Si ritirò dietro la consolle del timone e le sparò ancora, sempre senza successo. Eppure la mezza Andoriana non era un drone vero e proprio, quindi non poteva resistere ad alti livelli d’energia. Lo Xaheano pensò che se avesse regolato il phaser al massimo l’avrebbe uccisa; ma non ebbe cuore di farlo. Quando l’Agente Temporale aggirò la consolle, lui si mosse dall’altra parte, così che la postazione restasse fra loro.

   «Vieni, capo!» gridò Orlon. Lui e gli altri erano sulla pedana di teletrasporto, pronti a filarsela. Ci avevano trascinato anche Mo’rek, ancora svenuto.

   «Voi andate, io vi raggiungo dopo» disse Ki’Lau, cercando di suonare fiducioso anche se in realtà era terrorizzato.

   I colleghi esitarono, ma in quella i due mezzi droni che erano stati storditi si rialzarono e ripresero le armi. Ai federali non restò che attivare il teletrasporto. Svanirono appena in tempo per sfuggire ai raggi stordenti.

   «La plancia è nostra» constatò Jaylah. «Come previsto, la vostra resistenza è stata inutile».

   «Avete vinto solo il primo turno» ribatté Ki’Lau. Indietreggiò verso la sala tattica, finché la porta si aprì alle sue spalle. E scomparve. Tra le capacità innate degli Xaheani, la più utile era indubbiamente quella di rendersi invisibili. Sapendolo, la Flotta Stellare li aveva forniti di uniformi speciali, con capacità occultanti. Ki’Lau si serviva raramente di questo talento, dato che gli sembrava d’essere già fin troppo “invisibile”. Stavolta però ringraziò Madre Natura per averglielo dato. La porta della sala tattica si richiuse, ma era impossibile dire se lo Xaheano l’avesse varcata o se fosse rimasto in plancia.

   «Il tuo mimetismo è irrilevante; anche tu sarai assimilato» disse Jaylah. Si recò alla postazione tattica, per acquisire il controllo degli armamenti, mentre i due colleghi sorvegliavano il teletrasporto e il turboascensore.

 

   Protetto dall’invisibilità, Ki’Lau si era ritirato in sala tattica. Come sperava, i mezzi droni non lo seguirono, preferendo sorvegliare la plancia. Questo gli permetteva di filarsela. Raggiunse un angolo della sala e sfilò un pannello raso terra, scoprendo l’ingresso di un tubo di Jefferies. Per fortuna stava già riacquistando la mobilità al braccio destro. Entrò nel condotto, più svelto che poteva, e si richiuse dietro il pannello. Solo allora esalò un sospiro di sollievo. Era salvo... ma per quanto? Presto la Keter avrebbe raggiunto i Borg. E lui non aveva idea di come riconquistarla prima di allora. Non sapeva dove fossero scappati i colleghi e non poteva nemmeno contattarli, dato che avevano gettato i comunicatori.

   «Calma... c’è sicuramente un modo razionale di procedere» si disse. Ora che si era allontanato dai mezzi droni tornò visibile, perché il mimetismo gli costava molte energie. Preferiva risparmiarlo per i momenti di estrema necessità. Prese a gattonare lungo il condotto: voleva allontanarsi, anche se era incerto su dove andare. Raggiunse la scaletta più vicina e si calò, rimuginando sulla prossima mossa.

   «Se raggiungiamo i Borg, è la fine. Quindi devo sabotare i motori» si disse. Bloccare la nave gli avrebbe fatto guadagnare tempo utile per liberare gli ufficiali superiori, se erano ancora vivi, o per escogitare qualche contromossa contro i mezzi droni. Già, ma come sabotare la Keter senza farla esplodere? Colpire il nucleo o le bobine quantiche era rischioso. Poteva danneggiare la griglia energetica, ma in quel caso i mezzi droni avrebbero deviato sui sistemi ausiliari.

   «Ci sono... il deflettore! Se lo metto fuori uso, la Keter dovrà uscire per forza dalla cavitazione». Presa questa decisione, Ki’Lau scese di parecchi livelli. Il braccio indolenzito però lo impacciava e in un paio d’occasioni lo tradì, lasciandolo precariamente appeso solo con il sinistro. A un certo punto dovette riposarsi. Sedette sull’orlo del pozzo della scaletta, con le gambe penzoloni, massaggiandosi il braccio per riattivare la circolazione. D’un tratto udì un sibilo alle sue spalle: il rumore di un portello che si apriva. Impugnò il phaser e si girò, pronto ad affrontare l’aggressore, ma non fu abbastanza rapido. Qualcosa di metallico lo colpì al cranio ed egli perse i sensi.

 

   
 
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