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Autore: Parmandil    08/05/2020    1 recensioni
Abolita la Prima Direttiva per ragioni umanitarie, l’Unione Galattica è sprofondata nel caos. Le civiltà precurvatura abusano delle tecnologie loro donate e un terzo dei sistemi federali è pronto alla secessione, concretando il rischio di una guerra civile.
Dopo un violento attacco alieno, la Keter si reca nel Quadrante Delta, ripercorrendo la rotta della Voyager in cerca di riposte. Qui troverà vecchie conoscenze, come i Krenim e i Vidiiani, che si apprestano a colpire un nemico comune, incautamente risvegliato dalla Voyager secoli prima. I nostri eroi dovranno scegliere con chi schierarsi, in una battaglia che deciderà le sorti del Quadrante. Ma la sfida più ardua tocca a Ladya Mol, già tentata di lasciare la Flotta per riunirsi al suo popolo. Dopo una tragica rivelazione, la dottoressa dovrà lottare contro un morbo spaventoso; la sua dedizione potrebbe richiederle l’estremo sacrificio.
Nel frattempo i Voth, un’antica specie di sauri tecnologicamente evoluti, sono giunti sulla Terra per stabilire una volta per tutte se questo sia il loro mondo d’origine. Sperando d’ingraziarseli, le autorità federali li accolgono in amicizia, senza riflettere sulle conseguenze del ritorno dei “primi, veri terrestri” sul pianeta Terra.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Borg, Dottore, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 9: L’Uno e il Molteplice

 

   Riavendosi gradualmente dalla botta in testa, Ki’Lau trasse alcune deduzioni. Primo: non era morto. Già questa era una buona notizia. Secondo: era ancora padrone di se stesso. Questa era una notizia anche migliore, sebbene in realtà non potesse esserne del tutto certo. Chissà come si sentivano Jaylah e gli altri mezzi droni? Avevano coscienza di quel che facevano? O la loro mente era, per così dire, in stand-by?

   Con uno sforzo di volontà, lo Xaheano si rimise seduto. La testa gli faceva un male cane; massaggiandosi il cuoio capelluto ci trovò un grosso bernoccolo. Si guardò attorno: era ancora nella giunzione dei tubi di Jefferies, anche se tutto vorticava. Probabilmente aveva perso i sensi per poco tempo, forse solo qualche secondo; ma chi l’aveva colpito? Il federale continuò a guardarsi attorno, mentre la vista si schiariva, finché scorse una sagoma acquattata nella penombra a pochi passi da lui. Il cuore gli sussultò nel petto. Con un gemito strozzato, si rintanò nell’angolo più lontano della giunzione.

   «Ehi, capo, tutto a posto?» chiese la figura, con voce familiare. «Scusi per la bottarella... con questo buio non l’avevo riconosciuta. Le ho fatto male?». L’aggressore venne in una zona più illuminata: era Xandrix. In mano aveva ancora l’arma del delitto, uno strumento simile a una chiave inglese.

   «Che domanda è?! A momenti mi rompevi la testa, pezzo di cretino!» sbottò Ki’Lau, massaggiandosi il cranio dolorante. In realtà era confortato dalla presenza di un collega, per quanto non dei più svegli. «Che ci fai qui?» volle sapere.

   «Mi nascondo» rispose il Rhaandarite, un po’ sorpreso dalla banalità della domanda. «Perché, lei che ci fa?».

   «Mi nascondo anch’io» borbottò Ki’Lau controvoglia. «Quei mezzi droni ci hanno colti di sorpresa... hanno preso il controllo della plancia!» disse, passando dalla rabbia alla disperazione.

   «Si sono impadroniti anche della sala macchine» sospirò Xandrix. «Ormai controlleranno tutta la nave. Chi l’avrebbe mai detto?».

   «Nessuno... non se n’era accorto nessuno, nemmeno gli ufficiali superiori» rabbrividì lo Xaheano, vedendo cadere tutti i suoi punti fermi. «I mezzi droni ci stanno portando verso lo spazio Borg; dobbiamo fermarli prima di arrivarci. Quanti saranno? Vediamo... gli Agenti Temporali sono trenta. Quelli della Sicurezza ordinaria sono centocinquanta, ma non tutti hanno le nanosonde. A conti fatti... uhm... saranno cento, centoventi avversari» calcolò. «Sempreché non si siano messi ad assimilare gli altri. Frell, non ce la faremo!» imprecò.

   «Eh già, siamo in un bel guaio» convenne Xandrix, parlando tuttavia con un certo distacco, come se la cosa riguardasse altri.

   Ki’Lau lo fissò stralunato. D’un tratto lo agguantò per il bavero e lo sbatté contro la paratia. «Questo non è un gioco! Vuoi capirlo che diventeremo droni, oppure cadaveri?!» ringhiò.

   «Calma, capo» fece il Rhaandarite, senza nemmeno cercare di difendersi. «Se bisticciamo fra noi, andrà a vantaggio del nemico».

   A queste parole, lo Xaheano lo mollò. «Già, già... scusa, non ero in me» ammise, ricomponendosi. «Dobbiamo fermare questa dannata nave, prima di raggiungere lo spazio Borg. Che ne dici di mettere fuori uso il deflettore?».

   «Bella idea... ma non si può fare» disse l’ingegnere. «La sala controllo e i condotti circostanti sono presidiati dai mezzi droni. Non si passa».

   «E allora che facciamo? Hai qualche idea?» chiese Ki’Lau, prossimo alla disperazione.

   «Quando l’ho incontrata, stavo andando a sabotare le bobine quantiche» spiegò Xandrix. «Se vuole può assistermi».

   «Oh, sì!» esclamò lo Xaheano, rianimandosi. «Questo per quanto bloccherà la nave?».

   «Se riesco a metterle davvero fuori uso, almeno dodici ore» spiegò l’ingegnere. «Nel frattempo potremo escogitare altre contromosse».

   «Magnifico! Ma non è rischioso ficcare le mani là dentro, senza gli strumenti adatti?».

   «C’è una cassetta degli attrezzi nella giunzione 42, pensavo di prenderla strada facendo» disse il Rhaandarite. «Comunque sì, il minimo errore distruggerebbe la nave. Ma non si preoccupi, sono un ingegnere esperto. Si fidi di me!» disse con un ottimismo tutto suo. Afferrò la scaletta e cominciò a salire di buona lena.

   «L’hai già fatto altre volte?» chiese Ki’Lau, venendogli dietro.

   «Cosa, smontare le bobine? Certo!» garantì l’ingegnere. «Però non le ho mai sabotate» si corresse. «Oh, beh, non sarà difficile! Stia tranquillo, signore... con me è in buone mani!».

   Lo Xaheano lo seguì con il sorriso sulle labbra. Aveva letto da qualche parte che, se il volto sorride, la parte inconscia del cervello si auto-convince che vada tutto bene.

 

   Presa la cassetta degli attrezzi, i due raggiunsero le bobine di cavitazione. Per farlo dovettero strisciare in condotti strettissimi che si trovavano poco sopra la sala macchine. Qui Xandrix scoperchiò le bobine e ci trafficò dentro, a volte con i suoi strumenti, a volte persino a mani nude. Ogni tanto strappava un componente e se lo gettava distrattamente alle spalle, dove c’era Ki’Lau. Ad ogni strappo lo Xaheano chiudeva gli occhi, aspettandosi l’esplosione. A un certo punto Xandrix gli diede delle cesoie e gli fece tagliare alcuni fili, mentre lui controllava un’altra porzione delle bobine.

   «Tagli il filo rosso, signore».

   «Intendi quello arancione?».

   «Sì, sì, quello».

   «Ma ce ne sono due!».

   «Allora cominci da quello blu».

   Beep! Beep!

   «Fatto! Cos’è questo suono?».

   «Niente... però tagli i fili arancioni. In fretta, per favore».

   «Fatto. Non si sente più nulla... cos’era quell’allarme?».

   «Nulla d’importante, le dico. Procediamo».

   Dopo una mezz’ora d’istruzioni come queste, i federali deposero gli strumenti e si asciugarono il sudore dalla fronte. Le bobine quantiche davanti a loro erano sventrate e inerti. «Che strano» commentò Ki’Lau, osservandole pensieroso. «Non riesco a capacitarmi del fatto che siamo ancora vivi. Dev’essermi sfuggito qualcosa».

   «Andiamo, signore. I mezzi droni arriveranno da un momento all’altro» lo sollecitò Xandrix. Salì sulla scaletta, ma lì si fermò.

   «Beh, che aspetti? Vai!» lo esortò lo Xaheano, che non poteva andarsene se l’altro non si muoveva.

   «Dove dovrei dirigermi? Non ci abbiamo ancora pensato» notò il Rhaandarite.

   «Via di qui, intanto! No, aspetta... l’infermeria. Andiamo in infermeria» decise Ki’Lau. «Solo i dottori possono aiutarci contro questi mezzi droni. Si erano preparati all’eventualità di un attacco Borg. Magari hanno già la contromisura pronta» disse, aggrappandosi all’ultimo filo di speranza.

 

   Molte scalette e molti angusti condotti dopo, i due raggiunsero l’infermeria. Sbucarono da un portello rasoterra, si acquattarono dietro una mensola e solo con cautela osarono sbirciare al di là. L’infermeria era deserta. Qua e là c’erano strumenti rovesciati e altri che sembravano essere stati lasciati precipitosamente. Il silenzio e l’aria d’abbandono erano opprimenti.

   «È come temevo. I mezzi droni sono passati di qui e hanno assimilato o messo in fuga i dottori» mormorò Ki’Lau, alzandosi. «Adesso non so proprio che fare». Sedette su un bio-letto, con la testa fra le mani. Era l’immagine dell’afflizione.

   Anche Xandrix si raddrizzò e si guardò attorno perplesso, ma poi un dolore alla mano destra richiamò la sua attenzione. Mentre sabotava le bobine si era graffiato il dorso della mano. Lì per lì non ci aveva fatto caso, ma ora che si trovava in infermeria avrebbe voluto curarsi. L’ingegnere si guardò attorno, in cerca di un rigeneratore dermico, ma il disordine gli impedì di trovarlo. Pensò di chiederlo a qualcuno che fosse pratico dell’infermeria. «Computer, attivare il Medico Olografico» disse.

   «Precisare la natura dell’emergenza...» cominciò il dottor Joe, apparendo fra loro, ma poi si arrestò. «Scusate, le vecchie abitudini» disse. In quella notò lo stato dell’infermeria. «Ma che è successo?! Per quanto sono stato disattivato?» si allarmò.

   «Dottore! Come sono felice di vederla!» esclamò Ki’Lau. Si slanciò contro l’ologramma e lo abbracciò stretto, mettendolo in imbarazzo. «Siamo in piena emergenza! I Borg controllano la nave e cercano di trascinarci nel loro spazio! Hanno neutralizzato gli ufficiali superiori e mezzo assimilato quelli della Sicurezza! Abbiamo perso la plancia e la sala macchine, il nemico è ovunque! Io e Xandrix abbiamo sabotato le bobine quantiche, ma questo non li fermerà a lungo. Ci aiuti, dottore!». Lo Xaheano teneva ancora l’MOE per le spalle e lo scrollava a ogni frase.

   «È peggio di quanto pensassi» disse Joe, liberandosi dalla stretta. «Poco fa un paio di agenti della Sicurezza sono entrati in infermeria. Uno di loro mi ha disattivato... non mi capitava da anni, avevo quasi dimenticato com’era. Dev’essere stato subito prima dell’attacco. Avranno assimilato o messo in fuga i miei colleghi. Presto, non c’è un secondo da perdere! Chiami il Tenente Chase e la sua squadra» disse, avviandosi a una consolle.

   «No, non capisce!» gridò Ki’Lau, inseguendolo. «Loro sono stati i primi a trasformarsi! I Borg hanno inviato un segnale subspaziale che ha alterato le loro nanosonde. La trasformazione è stata così impercettibile che non ce ne siamo accorti. Niente impianti cibernetici, solo un’influenza mentale. Quando hanno pensato che fosse il momento adatto, sono scattati».

   Gli occhi del dottor Joe si riempirono d’orrore. «Oh, no... la Collettività si è evoluta» mormorò. «Agenti in sonno... perché non ci ho pensato?!» si rimproverò, camminando nervosamente avanti e indietro. D’un tratto si bloccò, fissando Ki’Lau. «In quanti siamo?» chiese con urgenza.

   «Non saprei» rispose mesto lo Xaheano. «Ci sono certamente molti altri, ma si nascondono in giro per la nave. Non possiamo contattarli, perché abbiamo gettato i comunicatori per non farci tracciare». Così dicendo si recò alla porta, bloccandola con un codice di sicurezza.

   «Male... molto male» disse il Medico Olografico, sconfortato. «Io e la dottoressa Mol non avevamo previsto questa modalità d’attacco. La nostra strategia si basava sull’uso di armi a raggi Omicron, per distruggere le nanosonde, senza compromettere i tessuti organici delle vittime». Così dicendo si accostò a uno strano strumento. Aveva la forma di un disco, tenuto a un metro e mezzo d’altezza da un sostegno a forcella che permetteva d’inclinarlo a piacimento. Sulla faccia anteriore del disco c’erano una ventina di emettitori scarlatti, disposti a distanza regolare.

   «Questo è un prototipo dell’arma, pensato per irradiare grandi aree» spiegò Joe. «Ne abbiamo preparati quattro. Ovviamente sono poco pratici per affrontare droni o mezzi droni nei corridoi. Così avevamo realizzato delle armi portatili, simili ai fucili phaser. Se solo...». Corse a un armadietto, lo aprì e chinò il capo sconsolato. L’armadietto era vuoto. «Se la Collettività è efficiente come al solito, li avranno distrutti in tutta la nave» mormorò. Si recò a una consolle e visualizzò la banca dati del computer. «Hanno anche cancellato i progetti, per impedirci di replicare nuove armi» disse costernato.

   «Allora è finita?!» chiese Ki’Lau, vedendo sfumare anche l’ultima speranza.

   «Non lo dica nemmeno!» ribatté l’MOE, con gli occhi luccicanti di sdegno. «Ho già affrontato situazioni del genere. Una volta mi trovai sulla Prometheus invasa dai Romulani, col solo aiuto di un inesperto MOE modello 2. Ne venimmo fuori diffondendo un sedativo nell’aria».

   «Può farlo anche stavolta?» si animò Ki’Lau. Nel frattempo Xandrix aveva trovato un rigeneratore dermico e si stava curando da solo la mano, visto che il dottore lo ignorava.

   «Vediamo...» disse il dottore, visualizzando una schermata dopo l’altra. «Da quel che vedo, negli alloggi è già stato diffuso un potente sedativo, la neurazina. Vuol dire che i vostri colleghi degli altri turni sono vivi, anche se fuori combattimento».

   «Ci contavo... i mezzi droni vogliono assimilarci, non ucciderci» disse lo Xaheano, sollevato. «Presto, c’immunizzi contro la neurazina e poi la diffonda nel resto della nave».

   «Ci sto provando, ma l’impianto d’aerazione è bloccato» disse Joe, lottando con i comandi. «Gli ugelli sono sigillati, non riesco a sbloccarli neanche fingendo che ci sia un’emergenza biologica in corso. Accidenti... questi mezzi droni hanno previsto ogni scenario!» si lamentò.

   «Sono agenti della Sicurezza, sanno il fatto loro» commentò Ki’Lau, cupo. In quella udì il suono di un portello che si apriva: lo stesso portello da cui erano entrati lui e Xandrix. «Arriva qualcuno!» sussurrò, acquattandosi dietro una consolle. Impugnò il phaser, pronto a vendere cara la pelle. Dietro di lui anche il dottore e l’ingegnere si nascosero.

   «C’è nessuno? Attenti... siamo armati e pericolosi!» disse una voce stridula. Era Ennil, che cercò di uscire dal condotto, ma restò incastrata a metà operazione per via dei fianchi generosi. Dovette deporre il phaser e far forza con le mani.

   «Urgh... ma cos’hai mangiato, un targ?» chiese Mo’rek, che le stava dietro. Accantonando ogni pretesa di cortesia, il Klingon le dette una poderosa spinta, che la proiettò fuori dal portello e la fece capitombolare in avanti. La Barzana si rialzò un po’ ansimante, col phaser in pugno, e si guardò attorno. «Signore! È davvero lei?» esclamò, scorgendo Ki’Lau.

   «Ennil... dimmi che gli altri sono con te» disse lo Xaheano, avvicinandosi.

   «Ci siamo, sì!» grugnì Mo’rek, uscendo a sua volta dal condotto. Aveva ancora il braccio rotto per lo scontro con Jaylah. Dopo di lui uscirono Orlon e Smig; quest’ultima richiuse il portello.

   «Capitate a fagiolo» li accolse Ki’Lau. «Abbiamo manomesso le bobine quantiche per fermare la nave. Questo ci darà un po’ di tempo per... ehi!» protestò. Mo’rek aveva strappato il phaser a Ennil, con la mano sana, e glielo aveva puntato contro.

   «Fermo, creatura! Cosa ti ho detto venerdì scorso, subito prima di smontare dal turno?» chiese il Klingon, tenendolo sotto tiro.

   «Ehi, ehi!» fece lo Xaheano, alzando le mani. «Non mi ricordo tutte le fesserie che mi hai detto. E anche se mi ricordassi, non dimostrerebbe nulla. I mezzi droni non perdono la memoria».

   «Ah, già» ammise Mo’rek, abbassando l’arma. «E allora non muoverti!» intimò, rialzandola subito.

   «Aiuterebbe se facessi l’esame del sangue a tutti?» suggerì il dottore, spazientito. «Così potrò dire se ci sono nanosonde. Quanto a me, non corro rischi. Non ho sangue da infettare» ricordò l’ologramma.

   «D’accordo, ma spicciati!» ordinò il Klingon.

   Gli ufficiali restarono divisi in due gruppi, che si guardavano in cagnesco, schierati sui lati opposti dell’infermeria. Da un lato c’erano Ki’Lau e Xandrix; dall’altro si raccoglievano Orlon, Mo’rek, Ennil e Smig. Il dottore fece la spola, prelevando i campioni di sangue, che poi osservò al microscopio. Uno dopo l’altro dichiarò i federali fuori pericolo. «Bene... ora che siete rassicurati, potreste aiutarmi a salvare la nave?» chiese in tono di sopportazione.

   «Ma siamo solo in sei! E Mo’rek ha un braccio rotto!» obiettò Ennil.

   «A questo si rimedia» disse Joe. Fece sedere il Klingon su un lettino e lo curò più in fretta che poteva. Nel frattempo gli altri ufficiali si recarono alle consolle, per capire le condizioni della nave.

   «Il vostro sabotaggio ha funzionato, siamo fermi» disse Ennil. Visualizzò un’immagine dello spazio circostante. La Keter si trovava in una nebulosa violacea, che in alcuni punti si accendeva di toni gialli e arancioni. «Siamo nella Distesa di Nekrit, una vasta regione attraversata da tempeste di plasma, turbolenze elettrodinamiche e radiazioni» lesse la timoniera.

   «La ricordo bene» disse il Medico Olografico, ancora intento a curare Mo’rek. «La Voyager l’attraversò nel terzo anno di viaggio. Ci volle un mese per percorrerla tutta. È una delle regioni più selvagge e pericolose che incontrammo».

   «Figurarsi se capitavamo in un posto tranquillo» borbottò Ki’Lau. «Va bene, qui l’esperto di Borg è lei. Cosa pensa che faranno i mezzi droni?».

   «Vediamo... se non riescono a far ripartire la Keter, potrebbero chiamare i Borg» ragionò il dottore.

   «Oh-oh» fece Smig, che stava ancora controllando lo status della nave. «Abbiamo appena lanciato un messaggio subspaziale diretto oltre la Distesa, verso lo spazio Borg».

   «La Distesa non dovrebbe interferire con le comunicazioni?» chiese Ennil.

   «Dovrebbe, sì... ma vedo che i mezzi droni hanno usato un impulso del deflettore per potenziare l’onda portante del segnale, evitando che si degradi» lesse la Ferengi. «Non credo che la Distesa basterà a isolarci» concluse, sconfortata.

   «Frell, sono sempre un passo avanti a noi!» imprecò Orlon. «Che ci resta da fare?».

   Gli ufficiali fissarono Ki’Lau, in attesa di una risposta. Ma lo Xaheano non sapeva che pesci pigliare. I mezzi droni conoscevano alla perfezione la Keter: avevano neutralizzato ogni resistenza, previsto ogni loro mossa. E presto sarebbero arrivati i Borg veri e propri, con forze schiaccianti. «Io...» mormorò il federale, passandosi una mano tra i capelli. «Io non lo so».

   «Bel comandante!» lo rimbrottò il Teenaxi.

   «Allora è finita?» chiese Ennil, guardando smarrita i colleghi. «Ci assimileranno tutti?».

   «Non assimileranno me» disse Mo’rek, con voce bassa e ringhiosa. Respinse il dottore, che stava finendo di curargli il braccio, e si rialzò. «Ho perso molto del mio onore quando sono stato retrocesso al vostro turno. E ho perso il resto quando non sono riuscito a difendere la plancia. A questo punto non mi resta che l’Hegh’bat».

   «Sarebbe?» chiese Ennil.

   «Il suicidio rituale Klingon» spiegò il dottore, sprizzando disapprovazione. «Non consentirò questa pratica barbara».

   «La decisione non spetta a lei!» berciò Mo’rek. «L’Hegh’bat è un’antica e onorevole tradizione. Quando un guerriero non può più affrontare i nemici, ed è diventato un peso per i compagni, può decidere di togliersi la vita».

   «Io le ho curato il braccio! Lei non è più un peso per i colleghi!» si sdegnò Joe.

   «Ma ora che siamo di fronte alla sconfitta, non me ne andrò nel disonore. Non diventerò un miserabile drone!» insisté il Klingon. «Per compiere l’Hegh’bat mi servirebbe un pugnale rituale, ma purtroppo non ce l’ho. Dovrò accontentarmi di questo» disse, soppesando il phaser. «Dovrei chiedere a un parente stretto o un compagno d’armi di colpire. Purtroppo ci siete solo voialtri» aggiunse, squadrando i colleghi. «E va bene, mi rivolgerò al più onorevole tra voi» disse avviandosi.

   Ki’Lau tirò indietro le mani, per rifiutare, ma il Klingon gli passò accanto senza badargli e si fermò solo davanti a Xandrix. «Sei stato un degno avversario sul ring. Sarai tu a restituirmi l’onore» dichiarò. «Dopo aver colpito, lancia un urlo di battaglia, affinché coloro che stanno nello Sto-vo-kor sappiano che è in arrivo un guerriero». Così dicendo gli mise in mano il phaser. Il Rhaandarite lo osservò incerto.

   «Non gli spari, è un ordine!» esclamò Ki’Lau. «Siamo già fin troppo pochi. Se poi ci ammazziamo fra noi...!».

   «Se... cosa?» lo riprese il Klingon. «Siamo già spacciati! Anche tu hai ammesso che non sai cosa fare!».

   «Ora no, ma se mi dai un po’ per pensarci...» si difese lo Xaheano.

   «Fra un po’ saremo droni! Non ascoltarlo, Xandrix! Sparami, se mi sei amico!» gridò Mo’rek, spalancando le braccia e gonfiando il petto, per fare da bersaglio.

   «Ora basta, tutti quanti!» esclamò il dottore, frapponendosi. «Cos’è questa farsa? Siete ufficiali della Flotta Stellare, perbacco! Comportatevi come tali!».

   «Siamo ufficiali del turno di notte» corresse Ennil. «Siamo buoni a tenere la rotta e fare il check-up, non a combattere i Borg. Non siamo preparati!» disse sconsolata.

   «Perché, noi della Voyager lo eravamo? Eravamo pronti ad affrontare le insidie del Quadrante Delta, quando lasciammo Deep Space Nine? Neanche sapevamo che ci saremmo finiti!» obiettò il dottore. Vedendo che aveva attirato l’attenzione, proseguì il discorso.

   «Voi che avete letto dei miei colleghi sui libri di storia, o che li avete visti negli olo-romanzi, potreste pensare che erano nati eroi. Non è così. Io li ho conosciuti ben prima che lo diventassero. Chakotay e B’Elanna erano dei ribelli Maquis di poco conto. Tom Paris era un pilota fallito, in libertà vigilata, mentre Harry Kim era un novellino appena uscito d’Accademia. Kes era una ragazzina ingenua, che liberammo dai Kazon. E Neelix, beh... era stato molte cose, ma nessuna particolarmente lusinghiera. Non erano eroi! Nessuno di loro!» ribadì il dottore. «Io, poi, ero solo un MOE modello 1. Somigliavo più a questo tricorder che non a una persona!» esclamò, agitando lo strumento. «Tutto a un tratto ci trovammo nei guai fino al collo. Persi all’altro capo della Galassia, senza un piano per tornare. Abbiamo dovuto arrabattarci con quello che avevamo. Inventarci modi assurdi di far funzionare le cose. Imparare a fare squadra, sebbene tra federali e Maquis non corresse buon sangue. Siamo diventati eroi? Forse! Ma è stato solo un effetto secondario dell’essere sopravvissuti. Questo è ciò che abbiamo fatto, ed è ciò che vi si chiede ora. Se i vostri colleghi più esperti non sono qui a salvarvi, allora trovate voi il modo! Io vi aiuterò quanto posso. Sono sopravvissuto già una volta al Quadrante Delta, e che sia dannato se non tornerò di nuovo!».

   Di fronte a questo discorso, pronunciato con fervore, i sei ufficiali scalcagnati restarono attoniti. Ciascuno di loro si rispecchiava in quelle parole, come se fossero destinate a lui in particolare. Ciascuno sentì smuoversi qualcosa nel profondo: una fierezza a lungo sopita, un’ardente brama di lottare sino in fondo.

   «Sì...» disse Ki’Lau, con una nuova luce negli occhi. «Sì, per le stelle! Siamo ufficiali della Flotta Stellare. I colleghi hanno bisogno di noi; non li deluderemo. Siete con me?!».

   «Io ci sono» disse Mo’rek, facendosi avanti solennemente. «Comunque vada, mi batterò con onore».

   «Eccomi» disse Xandrix con semplicità.

   «Ci sono anch’io!» fece Orlon, saltando su un lettino per non essere troppo in basso rispetto agli altri.

   «E io» disse Ennil.

   «Pure io... vi serve qualcuno coi lobi» concluse Smig, accarezzandosi le grandi orecchie da Ferengi.

   «Bene, bene!» ridacchiò Orlon. «Ora che siamo tutti d’accordo, come sconfiggiamo i Borg?».

   «Dobbiamo pensare in modo creativo... fare qualcosa d’inaspettato» rimuginò Ki’Lau. «Conoscendoci, i mezzi droni si aspetteranno che proviamo a liberare gli altri ufficiali, o a chiamare aiuto, o al limite a fuggire con una navetta. Non si aspettano un attacco. Ma se attacchiamo, dobbiamo essere certi di contrastarli efficacemente. Mi ripugna l’idea di uccidere i nostri colleghi... non c’è modo di liberarli dall’influsso delle nanosonde?» chiese al dottore.

   «Questo è sempre stato difficile» sospirò Joe. «Avevo puntato tutto sulle armi a raggi Omicron, ma coi fucili distrutti e i progetti cancellati ci restano solo quattro di quelli» disse, accennando al proiettore nell’angolo.

   «Uhm...» rimuginò Ki’Lau. «Invece di distruggere le nanosonde potremmo drenarle, separarle a forza dai nostri colleghi» suggerì. «Dottore, che lei sappia le nanosonde hanno proprietà magnetiche?».

   «Non nel senso di una comune calamita» rispose il Medico Olografico. «Ma sono sensibili a certe polarizzazioni».

   «Xandrix, questo lo chiedo a lei: è possibile polarizzare i pavimenti della Keter?» chiese lo Xaheano.

   «Beh, non ci ho mai pensato» ammise il Rhaandarite. «Ma in teoria... diffondendo la giusta carica elettrostatica in tutta la nave... sì».

   «Allora mettiamoci al lavoro» ordinò Ki’Lau, emozionato.

   «Ehm, vi faccio notare che alcune stanze hanno l’isolante» avvertì Orlon, accennando al pavimento dell’infermeria, rivestito da una sottile moquette bianca. «Come facciamo coi mezzi droni che sono lì?».

   «Uhm... ci serve un piano B» mormorò Ki’Lau, osservando il proiettore di raggi Omicron.

 

   La sala controllo ambientale era deserta, durante il turno di notte. Ki’Lau, Xandrix e Joe la raggiunsero tramite i tubi di Jefferies. Fuori, dai corridoi, veniva rumore di scontri: ronzii di phaser, scalpiccio di piedi, voci che gridavano. Lo Xaheano aveva contattato gli agenti della Sicurezza ancora in sé, mandandoli ad attaccare la sala macchine e il controllo deflettore. Era solo un diversivo, infatti gli agenti avevano l’ordine di ripiegare non appena i mezzi droni avessero contrattaccato. Ki’Lau sperava che nel frattempo lui e i suoi ufficiali passassero inosservati.

   «Via libera!» disse lo Xaheano, accertatosi che la stanza era vuota. Uscì per primo dal condotto, col phaser in pugno. Lo aveva regolato su frequenze casuali, come i colleghi che combattevano fuori, per renderlo più efficace contro i mezzi droni; ma non sapeva per quanto avrebbe funzionato il trucco. Corse alla porta e la bloccò, restando di guardia.

   Nel frattempo Joe e Xandrix raggiunsero i comandi. Per polarizzare le piastre dei pavimenti bisognava aggirare alcuni meccanismi di sicurezza. L’ingegnere cominciò a inserire codici a una velocità sorprendente. Intanto il dottore calcolava la potenza necessaria per rimuovere le nanosonde dai corpi degli infetti. «Sarà un intervento traumatico» disse, rabbuiato. «In molti casi la brusca rimozione romperà le pareti cellulari».

   «I nostri colleghi sopravvivranno?» chiese Ki’Lau.

   «Sì, ma gli servirà un po’ per riprendersi» spiegò Joe.

   «Continui».

 

   Tre ponti più su, il resto della squadra strisciava ancora nei tubi di Jefferies. Orlon era in testa; date le sue dimensioni ridotte era l’unico che poteva camminare normalmente. Seguivano Mo’rek, Ennil e Smig, tutti armati.

   «Ci siamo!» disse il Teenaxi, aprendo un portello. Erano in una zona in cui anche i tecnici si recavano di rado. Somigliava a un pozzo rettangolare, che attraversava tutti i livelli dell’astronave. Verso la cima c’era il generatore autonomo che alimentava le piastre di gravità. Sporgeva a semicilindro da una delle pareti ed era accessibile tramite una scala che saliva a vite lungo le pareti del pozzo. Un camminamento con balaustra gli correva intorno a semicerchio, permettendo di accedere ai comandi. I condotti energetici scendevano lungo le pareti del pozzo, diramandosi nei ponti della Keter, per alimentare le piastre gravitazionali.

   «Presto!» disse Mo’rek, impaziente. Uno dopo l’altro i federali lasciarono il condotto e salirono le rampe di scale fino al generatore. Solo il Klingon restò poco più sotto per fare la guardia. Gli altri tre osservarono il generatore, ricordando le istruzioni di Xandrix. C’erano sei iniettori di particelle posti a semicerchio, simili a cilindri che brillavano di luce gialla. Bisognava sganciarli dai loro alloggiamenti, nel giusto ordine, ricalibrarli e inserirli di nuovo.

   La prima a entrare in azione fu Smig, che inserì alcune istruzioni sulla consolle. «Energia al minimo, ganci magnetici disattivati. Possiamo staccare gli iniettori».

   «Cominciate da quello» disse Orlon, indicando il cilindro più a sinistra.

   Toccava a Ennil, la più alta dei tre. Staccò l’iniettore dal suo alloggiamento e prese subito a ricalibrarlo, sotto gli occhi di Orlon, che le dava consigli. Infine lo rimise a posto. L’iniettore brillò di luce azzurra e il ronzio del generatore cambiò tonalità.

   «Sbrigatevi, i mezzi droni se ne accorgeranno da un momento all’altro!» li esortò Mo’rek.

   Ennil ripeté l’operazione con il secondo iniettore. Anche quello splendette d’azzurro, modificando ulteriormente il timbro del generatore. La timoniera stava per procedere con il terzo componente, quando un raggio phaser la mancò di un soffio. Ennil strillò e si rattrappì, ma non c’erano nascondigli su quel ballatoio sospeso nel vuoto.

   «Yotz!» imprecò Mo’rek, rispondendo al fuoco. Alcuni mezzi droni erano sbucati silenziosamente da un condotto, molti piani più giù. Si accese la sparatoria. Raggi phaser e polaronici balenarono lungo il pozzo, rischiando di colpire il generatore. Se ciò fosse accaduto, l’esplosione avrebbe ucciso tutti i presenti e la Keter avrebbe perso la gravità artificiale. Peggio ancora, non ci sarebbe stato più modo di drenare le nanosonde. Consapevole di questo, Mo’rek lanciò un grido di battaglia Klingon e si mosse lungo la scala, per non fare da bersaglio, mentre rispondeva al fuoco dei mezzi droni. Smig e Orlon scesero ad aiutarlo. Non avevano la stessa mira, ma il loro fuoco di copertura rallentò comunque gli assalitori.

   Intanto Ennil continuava a destreggiarsi con gli iniettori. Sganciò il terzo, lo ricalibrò più in fretta che poteva e lo reinserì, sincerandosi che funzionasse a dovere. Quando passò al quarto, sentì gridare i colleghi. Guardò solo per un attimo verso il basso e si avvide che la situazione stava peggiorando. Altri avversari erano sbucati dai condotti che si aprivano a ogni piano. Alcuni restavano lì, sparando un colpo per poi ritrarsi, mentre altri si avventuravano sulla scala.

   «Sono troppi, non li tratterremo a lungo! Sbrigati!» gridò Mo’rek, sparando a più non posso.

   Col cuore che batteva a mille, Ennil ricalibrò anche il quarto iniettore e lo rimise a posto. Ormai le luci azzurre prevalevano su quelle gialle e il tono del generatore era molto cambiato. La Barzana procedette col quinto iniettore, sapendo che i nemici erano sempre più vicini; ogni tanto qualche raggio le ronzava accanto. «E cinque!» esclamò, vedendo il penultimo iniettore illuminarsi di azzurro. Staccò il sesto e ultimo, con le mani tremanti per l’emozione. Ancora pochi secondi...

   Un boato risuonò nel pozzo. Ci fu un’esplosione e la passerella s’inclinò, mentre alcune giunzioni si deformavano per il peso eccessivo. Ennil capì che gli avversari avevano colpito gli agganci della scala con un’arma ad alta energia, forse un fucile phaser. Scivolò lungo il piano inclinato, con l’iniettore ancora tra le mani, e si arrestò contro la balaustra. Con la schiena dolorante per l’urto, terminò di ricalibrare l’iniettore; ma da quella posizione non poteva più reinserirlo nel suo alloggiamento. La passerella si era troppo inclinata, impedendole di raggiungere il generatore.

   «Vieni via!» gridò Orlon da sotto.

   «Ma devo sistemare l’iniettore!» obiettò Ennil, cercando di rialzarsi. In quella però le ultime giunzioni cedettero e la passerella si rovesciò, restando incastrata tra le pareti del pozzo. La Barzana fu sbalzata nel vuoto. Ebbe la fortuna di atterrare sulle scale, qualche metro più giù, ma da lì rotolò fino al ripiano sottostante prima di fermarsi. Scioccata e dolorante, cercò di raccapezzarsi. Aveva ancora l’iniettore, avendolo stretto con tenacia durante la caduta. Senza nemmeno rialzarsi, lo esaminò rapidamente: non sembrava rotto. Poteva ancora farcela... se riusciva a reinserirlo. Ma come arrivare al generatore, ora che la passerella era crollata? Tra il punto più alto raggiungibile a piedi e gli iniettori c’erano quattro metri.

   D’un tratto la Barzana si sentì mancare il respiro. Sulle prime lo imputò allo shock della caduta, ma col passare dei secondi le sue condizioni peggiorarono. Ennil rantolò, cercando d’inspirare, ma aveva la sensazione che l’aria non le arrivasse ai polmoni. Assalita da un orribile sospetto, si tastò i lati della bocca e ne ebbe conferma: aveva perso il respiratore. Senza quel piccolo, ma vitale strumento, che emetteva composti solforosi,  non poteva sopravvivere nell’atmosfera standard. Le restava forse un minuto prima di perdere i sensi e pochi altri prima di morire.

   A quel pensiero la timoniera, ancora distesa dopo la caduta, rialzò la schiena di scatto. Si guardò attorno con frenesia, in cerca del respiratore, ma non lo vide. Era un congegno piccolo, difficile da scorgere nella penombra. La Barzana prese a gattonare, tastando la superficie metallica del ripiano. Il suo respiro era sempre più affannoso. Non c’era traccia del respiratore: forse era rotolato più in basso. O forse era precipitato nel pozzo, nel qual caso era spacciata.

   «Ehi, tutto a posto?» chiese Orlon, che si trovava poco più sotto.

   «Il respiratore... non riesco a...» rantolò Ennil, indicandosi la gola.

   Il Teenaxi capì subito qual era il problema. Si guardò rapidamente intorno, ricorrendo anche al fiuto, finché trovò il respiratore. Era caduto molto più in basso, fermandosi su un altro ripiano. Orlon stava per correre a prenderlo, quando uno dei mezzi droni uscì dal tubo di Jefferies più vicino, frapponendosi. Alzò il phaser, pronto a colpire.

   Orlon non ebbe tempo di pensarci. Si appallottolò alla maniera dei Teenaxi e rotolò giù per le scale, evitando di un soffio i colpi nemici. Passò tra le gambe dell’avversario, raggiungendo il ripiano alle sue spalle. Qui si riaprì, agguantò il respiratore e si girò. Ora doveva risalire, ma non poteva farlo con altrettanta rapidità. Il mezzo drone si era già voltato e lo stava prendendo di mira. In quella però fu colpito alla schiena da Smig e cadde lungo disteso in avanti.

   Il Teenaxi non perse un istante. Risalì di corsa le scale, scavalcando l’avversario stordito, e in pochi secondi fu da Ennil. La Barzana era diventata cianotica. Appena Orlon le fu accanto gli prese il respiratore, sistemandoselo in fretta e furia. Il congegno riprese a soffiare composti solforosi e la Barzana li inspirò affannosamente, riprendendo colore. La testa le girava e i polmoni sbuffavano come mantici, ma era salva.

   «L’iniettore!» strillò Orlon, richiamandola al dovere.

   Ennil afferrò il congegno e si rialzò a fatica, reggendosi alla balaustra. Risalì le scale fin dov’era possibile, ma da lì non poteva raggiungere il generatore, quattro metri più in alto. Era la fine.

 

   La porta della sala controllo cedette di schianto e le schegge volarono in tutta la sala. Ma Ki’Lau era pronto. Quando si era accorto che i mezzi droni la stavano forzando, si era nascosto dietro una consolle. Appena l’ingresso fu abbattuto sparò nel varco, riuscendo a stordire un paio di avversari. Gli altri si ritirarono. «Allora, quanto ci vuole?!» chiese a Joe e Xandrix, ancora affaccendati alla consolle.

   «Non dipende da noi. La squadra 2 deve ancora sistemare gli iniettori» spiegò l’ingegnere.

   «Avanti, ragazzi, non deludetemi» pensò Ki’Lau, con la fronte sudata. Vide un avversario che faceva capolino dall’ingresso e subito gli sparò, colpendolo di striscio. Il mezzo drone indietreggiò, ma rimase in piedi. «Ahi... forse si stanno adattando» si disse lo Xaheano. Se lo stordimento non funzionava più, avrebbe dovuto regolare le armi su uccisione, sperando che anche quella non diventasse inefficace.

   «Il vostro tentativo di sabotaggio è fallito, i vostri complici sono stati sconfitti» disse una voce femminile dal corridoio. La voce di Jaylah, riconobbe Ki’Lau con un tremito. «Arrendetevi... non avete più motivo di resistere. Non vogliamo uccidervi; vogliamo rendervi parte di qualcosa di più grande» disse la mezza Andoriana.

   «Io appartengo già a qualcosa di grande; la Flotta Stellare!» gridò lo Xaheano, sparando nel varco della porta, sebbene nessuno vi si affacciasse. «Come tu, del resto. Cerca di ricordarlo!».

   «La Flotta Stellare mi aveva delusa già prima che sentissi il richiamo della Collettività» rivelò Jaylah. «È ora di finirla con la corruzione e i raggiri. Presto nessuno potrà più mentire». La mezza Andoriana si sporse, sparando un colpo che fece esplodere la consolle. Ki’Lau rotolò all’indietro, ferito al petto e al volto. Il suo sangue arancione e fosforescente macchiò il pavimento. Jaylah aggiustò la mira per stordirlo, ma subì il fuoco di copertura di Xandrix e del dottor Joe, che la costrinse a ritrarsi.

   «Sto bene» disse Ki’Lau, rialzandosi. In realtà si sentiva uno straccio, ma a una prima impressione le sue ferite erano superficiali. Corse a nascondersi dietro l’angolo della stanza, che aveva forma a L. Joe e Xandrix erano lì. Il dottore lo esaminò subito e gli iniettò uno stimolante.

   «Signore, pensa che abbia ragione riguardo la squadra 2? I nostri compagni hanno fallito?» chiese l’ingegnere.

   «Voglio sperare di no» rispose lo Xaheano. La speranza era tutto ciò che gli restava.

 

   La passerella schiantata e messa di traverso cigolava nel pozzo del generatore di gravità, minacciando di cadere ancora più in basso. Respinti nella parte più alta della scala, ma impossibilitati a sistemare l’ultimo iniettore, i federali erano in trappola.

   «Avanti, il capo conta su di noi... dobbiamo fare qualcosa!» esclamò Orlon.

   Accanto a lui, Mo’rek osservò le strutture che li sovrastavano. C’era ancora un troncone della passerella agganciato alla parete; poco più che una trave affacciata sul vuoto. Il Klingon respirò a fondo, preparandosi a un’azione che poteva facilmente costargli la vita. «State pronti a lanciarmi l’iniettore» disse, infoderando il phaser.

   «Come, a lanciarti?! Che vuoi...» cominciò Ennil, ma lui non le dette il tempo di finire.

   Raccolte tutte le energie, Mo’rek spiccò un balzo portentoso al di sopra dell’abisso. Afferrò la trave con una mano, restando precariamente appeso, mentre gli avversari da sotto cercavano di colpirlo. Allora i compagni fecero fuoco di copertura.

   «Kahless!» invocò Mo’rek. Afferrò la trave anche con l’altra mano e riuscì a issarsi a forza di braccia. Adesso era in piedi sulla sporgenza. Sotto di lui si spalancava l’abisso, da cui salivano i colpi dei nemici. Qualche metro più avanti c’era il generatore con i cinque iniettori già collocati e l’alloggiamento vuoto che aspettava il sesto. Il Klingon indietreggiò più che poteva, per prendere la rincorsa. Scattò in avanti, con gli occhi fissi all’obiettivo. E spiccò il salto.

   I tre compagni più in basso alzarono gli occhi, seguendo quel balzo fenomenale sopra le loro teste. Mo’rek raggiunse il generatore e lo afferrò, restando abbarbicato alla superficie inclinata. Appena fu certo di non scivolare staccò una mano. «L’iniettore!» gridò.

   «Eccolo!» gridò Ennil. Girò su se stessa per acquistare spinta inerziale e poi scagliò il cilindro verso l’alto, con tutte le sue forze. L’iniettore arrivò quattro metri più su, dove Mo’rek lo afferrò con la mano libera e lo collocò immediatamente al suo posto. Anche quello si accese di luce azzurra, dando al generatore un timbro del tutto diverso da quello che aveva all’inizio.

   «Qapla’!» esultò Mo’rek. Poi guardò sotto di sé, prendendo le misure per scendere. Si spostò di lato, aggrappandosi alle sporgenze del generatore, e infine si lasciò cadere, atterrando accanto ai colleghi. «Ora è tutto nelle mani dei nostri compagni» disse, impugnando di nuovo il phaser. I quattro federali ripresero a fare fuoco di copertura.

 

   «Capo, ci siamo!» esclamò Xandrix, indicando una spia che si era accesa sulla consolle. Significava che gli iniettori erano stati riposizionati. Il problema era che per inserire la sequenza d’avvio bisognava raggiungere il quadro comandi, esponendosi al fuoco nemico.

   «Vado io» disse Ki’Lau, ricorrendo all’abilità occultante degli Xaheani. L’effetto fu guastato dalle lievi ustioni che aveva sul volto, ancora distinguibili mentre il resto di lui era invisibile.

   «No, lo farò io» decise il dottor Joe. Il Medico Olografico balzò coraggiosamente allo scoperto e raggiunse la consolle, mentre i compagni facevano un serrato fuoco di copertura. Molti colpi lo attraversarono, senza danneggiare la sua matrice olografica. Ma se i mezzi droni gli avessero centrato l’Emettitore Autonomo che portava al braccio, lo avrebbero ucciso.

   Sapendo di avere i secondi contati, il dottore inserì precipitosamente gli ultimi comandi. «Fatto!» esultò, attivando la polarizzazione. In quella un raggio phaser gli sfiorò l’Emettitore, facendogli sfrigolare tutto il corpo. «Computer, trasferire l’MOE in infermeria!» ordinò Joe per salvarsi. Pochi attimi dopo l’Emettitore fu colpito in pieno ed esplose.

   «Dottore!» gridò Ki’Lau.

   «Dovrebbe essere salvo, se ha completato il trasferimento» lo rassicurò Xandrix. Sfortunatamente non potevano accertarsene subito, essendosi disfatti dei comunicatori.

   «Controlleremo appena possibile» si ripromise Ki’Lau. Gli spari erano cessati; in compenso dal corridoio venivano grida rantolanti. Lo Xaheano si avvicinò con cautela, stando rasente al muro, e sbirciò all’esterno. I mezzi droni si contorcevano al suolo, in preda a dolori lancinanti. Le loro mani, puntellate sul pavimento, si erano annerite: lì si concentravano le nanosonde, attratte dalle piastre polarizzate.

   «Ah! Ora sapete che si prova a fare gli zerbini!» infierì Ki’Lau.

   «Capo... i Borg!» avvertì Xandrix alle sue spalle.

   «Tranquillo, ormai sono inoffensivi» lo rassicurò lo Xaheano.

   «Non mi sono spiegato... sono arrivati i Borg, quelli veri» disse il Rhaandarite, chino sulla consolle. «Tre Cubi sono usciti dalla transcurvatura e ci vengono contro».

 

   Appollaiati in cima alla scala semidistrutta, con i nemici che li attaccavano dal basso, i quattro ufficiali del turno di notte erano in trappola. «Beh, ragazzi... è stato un onore» disse Mo’rek in tono d’addio.

   In quella una scarica elettrostatica si diffuse per la scala, facendogli rizzare tutti i peli. Subito i mezzi droni caddero sugli scalini e le passerelle, contorcendosi come in preda a un attacco epilettico.

   «Ha funzionato!» gioì Ennil. «La scarica si è estesa alla scala... siamo salvi!».

   «Non è ancora finita» ricordò Orlon. «Andiamo in plancia, presto».

   Gli ufficiali scesero frettolosamente le scale, fino al condotto più vicino. Una volta entrati, si divisero in due gruppi. Mo’rek ed Ennil uscirono rapidamente dai tubi di Jefferies, tornando nei corridoi, e da qui presero il turboascensore per il ponte di comando. Orlon e Smig restarono invece nei tubi, raggiungendo la sala tattica. Da lì sbirciarono in plancia. I mezzi droni erano a terra, ormai privi di sensi.

   «Che nessuno si muova!» ordinò Mo’rek, uscendo dal turboascensore col phaser spianato.

   «Calma, genio. Questi sono tutti fuori combattimento» disse Orlon, entrando a sua volta in plancia.

   «Abbiamo vinto?» chiese Smig, incredula. Seguì il Teenaxi, muovendosi con più cautela tra i mezzi droni accasciati.

   «Ci puoi scommettere!» esclamò Mo’rek, e rise forte. «Dai, Ennil, che fai sulla porta?!» chiese, invitandola a uscire dal turboascensore.

   «Ragazzi... abbiamo un problema» disse la Barzana, indicando in avanti col dito tremante. I colleghi seguirono il suo gesto, girandosi verso lo schermo principale. Sullo sfondo violetto della Distesa di Nekrit campeggiavano tre cubi Borg. Come quello incontrato in precedenza avevano lo scafo liscio e corazzato, anziché il vecchio groviglio di travi e tubi. Il Cubo al centro, più vicino, emise un raggio traente verde brillante che agganciò la Keter, facendola tremare.

   «Gli scudi!» gridò Mo’rek, precipitandosi alla consolle tattica. Anche gli altri corsero alle loro postazioni.

   «Scudi alzati» disse il Klingon. «Attivo le armi».

   «Non ci hanno abbordati» riferì Smig, sollevata.

   «Suggerisco comunque di andarcene» disse Orlon.

   «Non si può!» avvertì Ennil, seduta al timone. «Le bobine quantiche sono ancora fuori uso e per il propulsore cronografico servirebbe un pilota abilitato».

   «Sto armando i siluri transfasici» ringhiò Mo’rek. «Distruggerò il Cubo centrale, o almeno gli metterò fuori uso il raggio traente. Tu sta’ pronta coi motori a impulso».

   «Ki’Lau a plancia, ci siete?» risuonò in quel momento la voce dello Xaheano.

   «Sì signore, abbiamo preso il controllo» rispose prontamente Smig. «Ma sono arrivati i Borg, quelli veri! Tre Cubi davanti a noi!».

   «Me ne sono accorto. Alzate gli scudi, ma non attaccate e non cercate nemmeno di fuggire» raccomandò Ki’Lau. «Questa è una battaglia che non vinceremo con la forza».

 

   Con uno sforzo doloroso, Jaylah si rimise in piedi. Sentiva le nanosonde che venivano drenate dal suo corpo e sapeva che le restava poco tempo, ma nella mente le risuonava ancora l’ordine imperioso della Collettività: «CONSEGNARE LA NAVE».

   Il modo più semplice per ottemperare era accedere alla sala del processore e infettare direttamente le gelatine bio-neurali con le nanosonde. A quel punto nessuno avrebbe potuto strapparle il controllo della nave, nemmeno dalla plancia. Ma la sala del processore era dieci ponti più giù, vicino alla sala macchine. Con i pavimenti polarizzati, non ci sarebbe mai arrivata in tempo. Doveva teletrasportarsi. Presa questa risoluzione, la mezza Andoriana si recò barcollando verso la sala teletrasporto più vicina. Sentendo dei passi alle sue spalle, si girò e sparò un colpo, mancando di poco Ki’Lau.

   «No, ferma!» le gridò lo Xaheano. Rispose al fuoco, colpendola alla spalla, ma lo stordimento non bastò a fermarla.

   «CONSEGNARE LA NAVE» ribadì la Collettività.

   Jaylah entrò trafelata nella sala teletrasporto, impostò le coordinate sulla consolle e si affrettò alla pedana. Aveva ancora il piede sul gradino quando Ki’Lau varcò la soglia. Lo Xaheano si era reso invisibile, anche se le lievi ferite permettevano d’intravederlo, specialmente quando si muoveva. Avendolo scorto con la coda dell’occhio, la mezza Andoriana si girò e gli sparò un colpo. Dopo di che prese posizione sulla pedana.

   Ki’Lau si tuffò in avanti, evitando di un soffio il raggio phaser. Rotolò a terra e si nascose dietro la consolle.

   «Troppo tardi» disse Jaylah, dissolvendosi nel raggio azzurro. Non si accorse che lo Xaheano aveva premuto alcuni tasti sul pannello di controllo.

 

   Appena si materializzò nella sala del processore, Jaylah si sentì meglio. Quella stanza era provvista di moquette isolante, così che la polarizzazione del pavimento non poteva più nuocerle. Le nanosonde le riaffluirono subito al cervello, dandole come una sferzata. «CONSEGNARE LA NAVE» insisté la voce dei Borg, irresistibile.

   Per prima cosa Jaylah attivò un campo di forza che isolava gran parte della sala, per proteggersi da eventuali attacchi. Poi si accostò alla parete, s’inginocchiò e rimosse un pannello, mettendo a nudo una fila di sacche contenenti gelatina bluastra. Era il gel bio-neurale su cui si basava, in gran parte, il processore principale della Keter. In linea di principio non era diverso dai neuroni che componevano il cervello umanoide, anche se non era dotato di autocoscienza. Una volta iniettate le nanosonde, sarebbe diventato un’estensione della Collettività.

   In quella Ki’Lau si teletrasportò nella stanza. Sparò immediatamente a Jaylah, ma il raggio si estinse contro il campo di forza. «Non farlo!» gridò lo Xaheano. «Ci condannerai tutti!».

   «Non è una condanna, è il prossimo stadio dell’evoluzione» disse Jaylah. «Prima o poi ci arriveremo comunque».

   «Questa è la voce dei Borg, non la tua» obiettò Ki’Lau. Si avvicinò per quanto possibile, ma dovette arrestarsi davanti al campo di forza. «Sai, ho sempre ammirato voi Agenti Temporali. Vi consideravo il meglio della Flotta Stellare. Dimostrami che ho ragione... resisti alla Collettività».

   Combattuta, Jaylah guardò alternativamente lui e la sacca di gel bio-neurale. La sua mano, già tesa per infettarla, tremava. «Sei un ingenuo» disse con un filo di voce. «La Flotta cade a pezzi, l’Unione sta scivolando nell’anarchia e nella guerra civile. Ci serve ordine... del tipo che solo la Collettività può dare. Lì sono tutti uguali e nessuno prevarica sugli altri».

   «Nessuno prevarica perché tutti valgono zero!» obiettò Ki’Lau. «Io voglio avere un valore, e credo che lo voglia anche tu. Tutti quanti vogliamo contare qualcosa... sentirci parte di qualcosa. Sai, un’antica leggenda del mio popolo narra che noi Xaheani nascemmo assieme al nostro pianeta, nello stesso istante. Quindi siamo tutti suoi fratelli e sorelle».

   «Che assurdità» commentò Jaylah. «La formazione di un pianeta dura milioni di anni e l’evoluzione di vita complessa ne richiede addirittura miliardi».

   «Lo so, ma il senso del discorso è che siamo tutti parte di un insieme più vasto. Non serve la Collettività per fare squadra!» insisté Ki’Lau, accorato. «Ritira la mano, ti prego, e torna con noi» la supplicò.

   Per un attimo sembrò che le sue parole avessero fatto breccia. Ma poi gli occhi azzurri di Jaylah divennero verdi, per l’enorme concentrazione di nanosonde, e il suo volto si fece inespressivo. «Il tuo discorso è irrilevante. La resistenza è inutile. Noi siamo i Borg; voi sarete assimilati» disse meccanicamente. Senza la minima esitazione accostò la mano alla sacca azzurra. Dagli spazi tra le nocche scaturirono i tubuli di assimilazione, che si piantarono nella gelatina bio-neurale. Le nanosonde si riversarono a miliardi, tingendola di un verde spettrale. Il contagio si estese a vista d’occhio alle gelatine adiacenti. Le consolle impazzirono, gli allarmi squillarono e l’illuminazione della sala sfarfallò.

   Nello spazio, il Cubo che aveva agganciato la Keter cominciò ad attirarla. Ora che Jaylah aveva infettato le gelatine, i Borg non temevano più attacchi. Un enorme ingresso a diaframma si aprì sulla superficie del Cubo, rivelando un hangar tanto grande da accogliere la nave federale.

   «Frell» imprecò Ki’Lau, indietreggiando. «Speravo che ti saresti opposta. E va bene... ci vogliono le maniere forti. Computer, apri l’ingresso!» ordinò.

   La porta alle sue spalle svanì, rimpiazzata da un ingresso ad arco molto più grande. Lo Xaheano continuò a indietreggiare finché il portone si schiuse, permettendogli di uscire nel corridoio che c’era fuori.

   «Ma cosa...» mormorò Jaylah, confusa da quella strana trasformazione dell’ambiente. D’un tratto capì. Quella non era la sala controllo del processore, bensì il ponte ologrammi. Ki’Lau aveva dirottato il teletrasporto mentre lei era smaterializzata, forse tenendola sospesa nel raggio mentre preparava la destinazione. «No!» gridò la mezza Andoriana, slanciandosi in avanti, ma fu bloccata dal campo di forza che non le rispondeva più.

   «Mi spiace... spero che non ti faccia troppo male» disse lo Xaheano, mentre il portone si chiudeva tra loro. Appena fu sigillato la camera del processore si dissolse. Jaylah si ritrovò in una sala molto più grande, rivestita da un reticolo uniforme. Come temeva, era il ponte ologrammi. E nei quattro angoli si trovavano i generatori di raggi Omicron.

   Gli occhi di Jaylah brillarono verdi per le nanosonde. Poi i quattro generatori si attivarono, con un ronzio sincronizzato. Gli emettitori sulla loro superficie splendettero rossi, inondando il ponte ologrammi di raggi Omicron.

   La mezza Andoriana si portò le mani alla testa ed emise un grido lacerante. Aveva la sensazione che ogni cellula del suo corpo stesse bruciando. In realtà erano le nanosonde a disgregarsi: i raggi Omicron le distruggevano senza intaccare i tessuti organici. Pochi secondi di esposizione bastarono a fare piazza pulita, ma per sicurezza i generatori restarono accesi più a lungo. L’urlo di Jaylah si arrochì e la sala con i generatori sfavillanti sembrò vorticarle attorno, finché l’Agente Temporale si accasciò a terra, priva di sensi.

 

   Sulla plancia della Keter, i quattro ufficiali osservavano con ansia crescente il Cubo sempre più vicino. Ormai riempiva tutto lo schermo, come se davanti a loro ci fosse un muro. L’hangar dall’imboccatura rotonda sembrava una bocca verdastra, pronta a ingurgitarli. I federali avrebbero voluto difendersi, ma attendevano l’ordine.

   «Ki’Lau a plancia, fuoco!».

   «Assimilate questi!» esclamò Mo’rek, lanciando una salva di siluri transfasici nell’hangar spalancato. I siluri giallo oro colpirono le pareti interne, provocando immani esplosioni. Il raggio traente sfarfallò e si spense, mentre le esplosioni a catena dilagavano sulle facce del Cubo, schiantando la corazza dall’interno.

   «Liberi!» gioì Ennil, attivando i motori a impulso. Fece sterzare la nave, per allontanarla dai Borg, ma prima di poterli distanziare i due Cubi rimanenti l’agganciarono con i loro raggi traenti. «Oppure no» si corresse la timoniera, mentre il sorriso svaniva. Diede più energia ai propulsori, ma i potentissimi raggi Borg trattennero l’astronave. Nello stesso momento i due Cubi aprirono il fuoco. Raggi trancianti e siluri verde fiele tempestarono gli scudi della Keter.

   «Scudi al 90%, non resisteremo a lungo!» avvertì Smig.

   «Lancio ancora i missili» disse Mo’rek prendendo di mira il cubo più vicino. I siluri transfasici andarono a bersaglio, ma stavolta si arrestarono contro gli scudi verdastri del Cubo.

   «Frell, si sono adattati!» ringhiò il Klingon.

   In quella Ki’Lau si teletrasportò in plancia. «Rapporto!» chiese, scendendo dalla pedana.

   «Ho disabilitato un Cubo, ma gli altri due hanno alzato gli scudi. Le nostre armi sono inefficaci, anche i siluri transfasici!» riferì Mo’rek.

   «Non riesco a liberare la nave dai raggi traenti» aggiunse Ennil. «Che facciamo?».

   «Aprire un canale» ordinò Ki’Lau, sedendo sulla poltrona del Capitano.

   «NOI SIAMO I BORG. VOI SARETE ASSIMILATI» tuonò la Collettività.

   «Come, non eravate diventati carini e pacifici? Non assimilavate solo chi si offriva volontario?» li derise Ki’Lau.

   «ASSIMILEREMO LE VOSTRE PECULIARITÁ BIOLOGICHE E TECNOLOGICHE. LA RESISTENZA È INUTILE» proseguirono i Borg.

   «Oh però, siete duri di testa» commentò lo Xaheano. «V’informo che distruggerò questa nave con tutto ciò che contiene, piuttosto che consegnarvela. Così non assimilerete un bel niente. Allora? Non è illogico continuare ad attaccarci, visto che in ogni caso non ne ricaverete nulla?» chiese, speranzoso.

   «LA VOSTRA CIVILTÁ SARÁ ASSIMILATA» risposero i Borg, lapidari.

   «Hanno chiuso il canale» mormorò Smig. «Gli scudi sono al 50% e continuano a scendere».

   «Ehi, capo... quel discorso sul distruggere la nave era un bluff, vero?» chiese Orlon. Dal tono non sembrava molto sicuro.

   «Vuoi diventare il primo Teenaxi assimilato? Non saresti un bello spettacolo» ribatté Ki’Lau. Nel frattempo rifletteva sul significato dell’ultima minaccia Borg. «Non noi, ma la nostra civiltà sarà assimilata... vogliono attaccare l’Unione» pensò con un brivido. «Quindi ci distruggeranno per impedirci di avvisarla». Si chiese se l’attacco era imminente. Forse no: nelle loro fasi di espansione, i Borg avevano così tanti fronti aperti che tra una minaccia e la sua attuazione potevano passare anni. «Tempo utile per prepararci... se sopravviviamo per dare l’allarme. E posto che l’Unione ci ascolti» si disse.

   «Signore?!» chiese Ennil, voltandosi verso di lui con aria disperata.

   Vedendo che il tempo stringeva, lo Xaheano premette un comando sul bracciolo. «Ki’Lau a Xandrix, questo sarebbe il momento» disse.

   «Sì, sì, ci sono, state pronti» rispose il Rhaandarite, col solito tono distratto. «Meno tre... due... uno... via!».

   Non accadde nulla.

   «Beh, che doveva fare?» chiese Orlon.

   Ki’Lau non rispose, ma si massaggiò la fronte, sconfortato.

   «Scudi al 10%!» squittì Smig, terrorizzata. La Keter tremava sempre più forte sotto il micidiale attacco Borg. Mo’rek continuava a far fuoco sui Cubi, ma non riusciva a penetrare i loro scudi.

   «Scusate, ora ci riprovo» disse Xandrix, attraverso il canale ancora aperto. Si schiarì rumorosamente la voce. «Meno tre... due... uno...».

   I Cubi scomparvero, assieme alle nubi violette della Distesa di Nekrit. Ora la Keter era nello spazio aperto. A giudicare dalle stelle rade, si trovava nella periferia galattica.

   «Ah, lo sapevo!» si rianimò Ki’Lau, dando un pugno sul bracciolo. «Buon vecchio Xandrix... lo sapevo che avevi abbastanza materia grigia da usare il propulsore cronografico. Riposo, signori; la battaglia è finita» disse ai colleghi che erano con lui. «Ora accertiamoci che tutti i mezzi droni siano neutralizzati. E apriamo quei benedetti alloggi, così potremo svegliare gli ufficiali superiori».

   «Hod a plancia... che succede?» risuonò la voce impastata del Capitano. In parte doveva essere ancora sotto l’effetto del gas soporifero. «Non capisco, avrei dovuto svegliarmi mezz’ora fa. Mi è sembrato di sentire degli scossoni, anche se ora non li sento più. Cos’è successo?».

   «Nulla di rilevante, Capitano» rispose Ki’Lau, scambiando uno sguardo di trionfo con i colleghi. «È stato solo un normale turno di notte».

 

   Nelle ore successive tutto il personale dei turni Alfa e Beta fu svegliato e informato dell’accaduto. Gli agenti della Sicurezza stanarono gli ultimi mezzi droni, liberandoli dalle nanosonde. Nel frattempo gli ingegneri riparavano i danni alla nave, fortunatamente limitati, e i medici curavano gli ex droni e tutti gli altri feriti.

   Appena possibile gli ufficiali del turno di notte si recarono in infermeria, dove Ki’Lau era stato ricoverato per le ustioni al volto. Lo trovarono perfettamente guarito, intento a conversare con Xandrix, che invece era ancora a letto, sotto osservazione.

   «Ah, eccovi!» li accolse lo Xaheano. «Venite... e ringraziate il nostro ingegnere. Se non avesse attivato il propulsore cronografico, ora saremmo tutti droni».

   «Ben fatto!» si complimentò Mo’rek, dandogli una gran pacca sulla spalla. Il Rhaandarite si piegò in avanti per l’irruenza del colpo e tossì.

   «Calma, calma!» intervenne Ki’Lau, segnalando agli altri di aspettare. «È ancora debilitato per lo sforzo. Usare il propulsore cronografico richiede un’immensa energia mentale».

   «Ah, quindi finora la stavi risparmiando!» ridacchiò Orlon, balzando sul comodino accanto al letto. «Scherzi a parte... ottimo lavoro. Non sapevo che voi Rhaandariti poteste usare quell’affare».

   «Pochi ci riescono» confermò Xandrix, parlando con voce bassa e stentata. «Io non l’avevo mai fatto. È stato, beh... indescrivibile. Per un istante mi è sembrato d’essere ovunque, in tutto l’Universo. In un certo senso è stato affascinante... ma spero di non doverlo rifare».

   «Cosa fate tutti qui? Fuori... non sono ammesse visite!» li rimproverò il dottor Joe, avvicinandosi con qualche difficoltà a causa della calca di medici e pazienti.

   «Dottore! Sta bene? Ho sentito che le avevano colpito l’Emettitore» disse Ennil, un po’ in ansia.

   «Fortunatamente mi sono trasferito in tempo» spiegò il Medico Olografico. «La mia memoria è intatta e ho già replicato un nuovo Emettitore. Grazie dell’interessamento, ma se non vi serve nulla, dovreste proprio andare. Il signor Xandrix ha bisogno di riposo. E come vedete, qui siamo pieni di lavoro».

   In effetti l’infermeria traboccava di ex droni che dovevano essere visitati. Molti erano malconci per la brutale rimozione delle nanosonde, o anche per essere stati colpiti da armi tarate su massimo stordimento. Quali che fossero le loro condizioni, tutti passavano per una saletta in cui erano stati collocati i generatori di raggi Omicron. Così i medici si accertavano che non restasse nemmeno una nanosonda. Anche chi aveva naniti più semplici, non mutuati dai Borg, ne veniva comunque privato in via precauzionale. Per ordine del Capitano nessuno ne avrebbe più fatto uso, finché la Keter fosse rimasta nel Quadrante Delta.

   «Torneranno a posto?» chiese Ennil, notando che alcuni ex droni sembravano conciati male.

   «Torneranno come nuovi... fisicamente parlando. Sono le conseguenze psicologiche a preoccuparmi di più» confessò il dottore. «L’assimilazione è un trauma che segna tutta la vita. Almeno sono scampati alle mutilazioni e agli innesti cibernetici. Penso che siccome non avevano ancora sviluppato nodi corticali, e nell’astronave non c’era un vinculum che la collegasse alla Collettività, non siano stati veramente connessi alla mente alveare. Più che altro agivano secondo un programma stabilito dalle nanosonde».

   «Spero che lei abbia ragione, dottore. Se i Borg avessero acquisito le conoscenze dei nostri ufficiali tattici, compresi gli Agenti Temporali, sarebbe drammatico» commentò Ki’Lau. Il suo sguardo passò da un lettino all’altro, in cerca di volti familiari, finché trovò quello che più gli premeva. Jaylah Chase giaceva ancora priva di sensi su un bio-letto; i suoi segni vitali erano stabili. «In conclusione, pensa che si riprenderanno?» mormorò lo Xaheano.

   «Col tempo» sospirò il dottor Joe, che aveva seguito il suo sguardo.

 

   Qualche ora dopo gli ufficiali del turno di notte furono convocati nell’hangar. Era già il primo pomeriggio e tutti loro stavano per andare a dormire, perciò si chiesero il motivo della chiamata. Incontrandosi nel corridoio che portava all’hangar, si scambiarono le loro impressioni.

   «Anche voi qui?».

   «Sì, ci hanno chiamati tutti».

   «Almeno vi hanno detto il perché?».

   «Macché! Io – yahwn! – ero già a letto quando mi hanno chiamato».

   «Non ci sarà mica un’altra emergenza? O una missione?».

   «Che ne so... tutto può essere. Domani attaccheremo la Rete Subspaziale».

   «Forse c’è da fare una ricognizione. Se è così, io prendo il posto accanto al finestrino».

   «Buoni, tra poco lo sapremo» li richiamò Ki’Lau. Con sorpresa videro arrivare anche Xandrix, appena dimesso dall’infermeria, con Joe che lo accompagnava.

   «Anche voi qui!» si stupì lo Xaheano. «Voglio proprio vedere che... succede...». La sua voce si smorzò, mentre il portone davanti a loro si sollevava. L’hangar navette – l’ambiente più vasto della Keter – era gremito. Anche se molti pazienti erano ancora in infermeria e un certo numero d’ingegneri proseguiva le riparazioni, il resto dell’equipaggio si era radunato.

   «Benvenuti! Venite avanti» li accolse il Capitano Hod, che attendeva in fondo all’hangar con gli altri ufficiali superiori. La folla si divise in due ali, consentendo agli ufficiali del turno di notte di avvicinarsi. Il loro passaggio fu salutato con scroscianti applausi. Con loro venne anche il dottor Joe, che un po’ sorreggeva Xandrix, ancora convalescente.

   «Capitano?» chiese Ki’Lau incredulo, quando le fu davanti.

   «Scusate se ho fatto le cose in modo affrettato, senza darvi il tempo di riposare» disse Hod. «Ma domani ci aspetta la battaglia nella Rete Subspaziale. Prima di allora, volevo ringraziarvi per quanto avete fatto. Non mi riferisco solo all’eroismo che avete dimostrato la notte scorsa, quando ci avete salvati dai Borg. No, parlo dell’impegno e della costanza con cui avete svolto il turno di notte in questi anni. Troppo spesso noi degli altri turni dimentichiamo a chi sono affidate le nostre vite, mentre dormiamo. Lo spazio non conosce orari; il pericolo può arrivare in qualunque momento. Eppure voi che disponete di un equipaggio ridotto e che – mi vergogno a dirlo – siete spesso svalutati ci avete sempre protetti, dimostrando le più alte qualità della Flotta Stellare. A riprova di questo, vi insignisco della Medaglia al Valore!» dichiarò solennemente. Appuntò le medaglie agli sbalorditi ufficiali, mentre il resto dell’equipaggio applaudiva con calore. Per dare la medaglia a Orlon dovette chinarsi. Infine indietreggiò di qualche passo e fece segno alla folla di quietarsi.

   «Su questa nave le possibilità di rimpasto sono limitate e al momento non me la sento d’invertire il vostro turno con il Beta» proseguì il Capitano. «Tuttavia, quando torneremo all’Unione, credo che per voi si apriranno opportunità di trasferimento al secondo turno – o anche al primo – su altre astronavi. Cosa che mi rincresce, perché significherà perdere degli ottimi elementi».

   A questo punto Ki’Lau sentì di dover dire qualcosa. Fece un passo avanti e si schiarì la voce, un po’ imbarazzato da quella visibilità a cui non era abituato, e ancor più dagli elogi. «Grazie, Capitano. Sarò felicissimo se i miei ufficiali si avvarranno di queste opportunità, ma per quanto mi riguarda non c’è altra nave su cui vorrei prestare servizio» dichiarò a sorpresa.

   «Vale lo stesso per me» disse Orlon, affiancandosi a lui.

   «E per me».

   «E per me».

   «E per me».

   «E per me».

   Uno dopo l’altro Mo’rek, Ennil, Xandrix e Smig si fecero avanti, manifestando la loro intenzione di restare sulla Keter. Accettare trasferimenti su altre navi significava dirsi addio, mentre loro volevano restare insieme.

   «Con questa scelta mi confermate, ancora una volta, la vostra professionalità e il vostro spirito di squadra» sorrise Hod. «Però vorrei insistere almeno con lei, signor Mo’rek. Qualche settimana fa l’ho retrocessa al turno di notte dopo la sua reazione avventata coi Krenim. Mi sembra chiaro che da allora ha imparato a controllarsi. E mi è stato riferito che ieri notte ha dato prova di grande valore. Quindi che ne dice di tornare al turno Alfa?» propose.

   Il Klingon considerò brevemente la questione. Dette un’occhiata ai colleghi, che gli facevano segno di sì. Dopo di che si rivolse all’Elaysiana, con l’aria sorniona di un vecchio gatto che ha mangiato il topo. «Grazie, Capitano. Sono onorato di quest’opportunità, ma non posso accettarla. Deve pur restare qualcuno di sveglio, nel turno di notte».

   «Come vuole, signor Mo’rek» disse Hod, commossa. E ancora più commossi erano i suoi colleghi. Sapevano che nessun Klingon avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, che a trattenerlo dagli onori era la volontà di restare con quelli a cui era affezionato.

 

   Terminata la cerimonia, gli ufficiali del turno di notte poterono finalmente tornare nei loro alloggi a riposare. In tutta la nave però fervevano le riparazioni, nonché i preparativi per l’assalto alla Rete Subspaziale.

   Quella sera, verso le 10:30, Ki’Lau e i suoi ufficiali si ritrovarono in sala mensa, a fare quella che per loro era la colazione. Di lì a poco avrebbero ripreso servizio. Il sollievo per essere scampati ai Borg stava già lasciando il posto alla tensione per la battaglia imminente.

   «Buon appetito!» ironizzò Orlon, quando Ennil si unì alla tavolata. Più che una colazione, la Barzana si era procurata un pranzo abbondante.

   «Che c’è? Le battaglie mi mettono fame» si giustificò la timoniera. «E poi da domani comincio la nuova dieta».

   «Uhm, sì. Quella di cui mi parli da quando ti conosco» ridacchiò il Teenaxi. «Comunque non sarai tu a pilotare la nave. Dovremmo perdere due timonieri, prima che tocchi a te».

   «E quanti ufficiali dovremmo perdere, prima che chiamino te in plancia?» chiese la Barzana.

   «Quattro, sigh» rispose Orlon, dopo di che si concentrò sul suo piatto.

   «Combattere assieme ai Krenim... mah!» commentò Mo’rek, che come tutti i Klingon era lento al perdono. «Vedremo se si batteranno con onore».

   «L’Ammiraglio Hortis sembra sapere il fatto suo. Comunque noi ci uniremo alla flotta della Gerarchia» ricordò Smig. Dopo di che si rivolse a Xandrix, che le sedeva accanto. «Tu che sei bravo coi calcoli... quante probabilità di vittoria credi che abbiamo?».

   «Eh?» fece il Rhaandarite, colto un po’ alla sprovvista. «Dipende da cosa intendi per “vittoria”. Potremmo far collassare uno snodo o due, ma eliminare tutta la Rete sarà difficile, ora che i Vaadwaur sono di nuovo in forze».

   Ricordando i loro fallimenti con le simulazioni della battaglia, i colleghi proseguirono la colazione in silenzio. Di lì a poco Ki’Lau notò con la coda dell’occhio che l’ingresso della sala mensa si era aperto e qualcuno indugiava sulla soglia. Si girò a guardare: era Jaylah. «Tenente Chase, sta bene?» s’interessò. A quel nome tutti i commensali deposero tazze e posate, concentrandosi sulla nuova arrivata.

   «Sì, il dottor Joe mi ha appena dimessa» confermò Jaylah, avvicinandosi finalmente al loro tavolo. C’era qualcosa di titubante, persino d’imbarazzato in lei. «Io, ehm, volevo scusarmi per tutti i guai che vi ho causato ieri notte. E vorrei ringraziarvi per avermi salvata dai Borg. La vostra strategia per riconquistare la nave è stata brillante. Grazie a tutti... e a lei in particolare» disse, fissando Ki’Lau. «Quelle cose orribili che le ho detto... la prego, cerchi di dimenticarle» mormorò, distogliendo lo sguardo per la vergogna.

   «Non si preoccupi. So bene che non era in sé» assicurò lo Xaheano. Avrebbe tanto voluto sapere se il pessimismo di Jaylah riguardo alla Flotta Stellare e a tutta l’Unione era preesistente all’influenza della Collettività. Però si astenne dal chiederlo, sia per riguardo verso l’Agente Temporale, sia perché temeva una risposta affermativa.

   «Okay... grazie ancora a tutti, e buon lavoro» disse la mezza Andoriana, imbarazzata. Girò sui tacchi e si allontanò a passo svelto. Quand’era già sull’uscio tuttavia si fermò brevemente e rivolse un’ultima occhiata agli ufficiali. «Sapete... siete i miei eroi» rivelò, e scomparve.

   Gli ufficiali del turno di notte si scambiarono occhiate incredule. Loro, gli eroi di un’Agente Temporale?! Poteva essere stata solo una cortesia da parte della mezza Andoriana, o un modo per incoraggiarli alla vigilia di una battaglia durissima. Ma quale che ne fosse il motivo, dette loro una soddisfazione che non se ne sarebbe andata tanto presto.

 

   
 
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