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Autore: Panterah    08/05/2020    0 recensioni
La storia si colloca all'inizio della terza stagione, quando Bellamy si unisce a Pike per uccidere i 300 terrestri accampati fuori Arkadia. Visto che guardando la puntata della serie non potevo fare altro che urlare mentalmente a Bellamy FERMATI, ho deciso di rimediare così, scrivendo una versione dei fatti alternativa. Premetto che il personaggio di Gina non è presente, includo invece il punto di vista di Kriss, personaggio nuovo, un'amica di Bellamy che sarebbe stata con i 100 dall'inizio.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abigail Griffin, Bellamy Blake, Marcus Kane, Nuovo personaggio, Octavia Blake
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando Octavia mi chiamò, semplicemente decisi di non crederle. Continuai a rammendare gli abiti strappati degli abitanti di Arkadia come mi era stato ordinato, ostinata. Non poteva essere possibile. Punto. Ne ero fermamente convinta.
Eppure, l’idea che Bellamy, in quel momento, stesse marciando armato insieme a Pike, diretto al cancello e ai trecento terrestri accampati all’esterno per proteggerci, rendeva ogni mio movimento più nervoso e difficile. Mi trafissi l’indice con l’ago ancora prima di sentire lo sparo e i rumori della ribellione, e la mia goccia di sangue non era ancora caduta a terra, che io ero già fuori dall’edificio.
E fu nel vedere Octavia, Kane e Abby tentare di fermare il contingente di Pike, che desiderai scomparire all’istante, semplicemente dimenticata dall’universo.
Era vero.
Bellamy era con loro, negli occhi opachi una scintilla che avevo visto solamente in un’altra occasione: quando, istigato dal gruppo, stava per far pendere Murphy impiccato da un albero.
Provai paura, solo un secondo, però.
Cercavano di fermare gli uomini di Pike con la forza, trattando Bellamy come uno qualunque di loro, ma io ero di un altro avviso. Mi diressi verso di lui con la precisione di una freccia scagliata da un arciere terrestre, come se il resto della ribellione non esistesse, limitandomi a schivare chiunque rischiasse di travolgermi nel tumulto.
Bellamy era bravo a combattere, dovevo ammetterlo, quando arrivai a lui si era appena divincolato dalla presa di Kane, già occupato a fermare qualcun altro. Era libero, e non si aspettava minimamente il mio arrivo, così non mi fu difficile spedirlo fuori dalla calca con uno spintone deciso. Stava già per menare le mani, ma si accorse che ero io e si bloccò, la confusione che gli si dipingeva sul volto tipo warpaint colato.
“Kriss, cosa ci fai qui?” la sua voce così fredda, arrabbiata, calcolata come se fosse stato un automa controllato da un computer, mi diede il via libera. Gli sganciai un pugno ben assestato in faccia, facendolo barcollare all’indietro per la sorpresa. Mi feci male un male cane alla mano, ma che importava? Doveva svegliarsi, prima che fosse troppo tardi.
Lo vedevo chiaramente: moriva dalla voglia di reagire, non gli importava di niente, si tratteneva solo perché aveva me davanti. Da qualche parte, in quello sguardo oscurato che non riconoscevo, c’era un animale ferito che non comprendeva appieno il mio gesto. Fu a lui che mi rivolsi.
“Cosa diavolo TI SALTA IN MENTE???!!!” mi trattenni dal gridare e ne uscì una specie di ruggito, non mi sarei fermata finché quell’estraneo non fosse scomparso restituendo il Bellamy che conoscevo, a costo di farlo sanguinare fuori. Il pugno ci aveva allontanati, mi avvicinai a lui in un lampo, bloccandolo contro la parete di una costruzione ed incatenandolo con gli occhi. Per ora li sostenne, ancora convinto di essere nel giusto, evidentemente. Si era fumato il cervello.
Attesi qualche istante infinito, per essere sicura che non facesse qualcosa di stupido. Si limitò a guardarmi, pensava di avere il controllo della situazione ed era disposto ad ascoltarmi, quasi per curiosità. Il pugno non gli era bastato.
“È da Mount Weather che provo a farti capire che non sei un mostro dopo quello che hai fatto, che puoi essere perdonato e che meriti ancora di essere amato.” nessuna reazione. Divenni una furia.
“E tu? Tu decidi di credere a quel pezzo di merda che è qui da cinque minuti e non sa NIENTE, ripeto NIENTE di quello che abbiamo passato! E che ti dice cosa? Che è giusto uccidere in una guerra che sai BENISSIMO essere sbagliata! Che uno STERMINIO è bene! Che sei un assassino!”
Abbassò lo sguardo solo un secondo. Fu probabilmente solo la mia fiducia in lui che mi fece vedere la cortina di fumo che lo annebbiava diradarsi un po’.
Non avrei permesso che diventasse il giustiziere di Pike contro i terrestri. Significava perdere chi era in nome del dolore.
Senza che lo volessi, la mia voce perse un po’ della sua pesantezza, cercando di raggiungerlo.
“Davvero ti è più facile accettare QUESTO?”
Bellamy aveva ripreso a guardarmi negli occhi, e sentii, nel vedere i suoi lucidi, che lo stavo perdendo. Non sapevo in quale senso, però.
Intorno a noi, il disordine si stava lentamente calmando, ma nessuno ci raggiunse. Dovevano aver capito che non gli conveniva intervenire, ero la prima che in quel momento l’avrebbe impedito.
Quando lui parlò, mi si strinse lo stomaco con una fitta lancinante. Si era indebolito, ma il tono era sempre lo stesso di prima: quello di chi sta mentendo a se stesso, prima che agli altri, ripetendosi la propria idea così tante volte da farle perdere ogni senso.
“Non capisci, Kriss. Non è così semplice. Pike…”
No. Oh, no.
Poteva anche giustificarsi, ma provare a farmi cambiare idea era oltre i miei limiti di comprensione. Gli arrivò uno schiaffo senza nemmeno che nella mia mente si fosse formato il pensiero di agire. Ora Sì che sembrava un animale ferito, la testa bassa, recidivo. Se non fossi stata io, probabilmente si sarebbe ribellato. Al momento, però, stava ancora realizzando la situazione, o almeno così speravo.
Lo costrinsi a guardarmi piantando le mani contro parete dietro di lui, ai lati della sua testa. Doveva starmi a sentire.
“Non nominarmi Pike. In questi mesi hai creduto di poter gestire il tuo dolore da solo, e a tutti sembrava che ce la stessi facendo. Invece per Pike è stato così FACILE giocarci, Bellamy. Ti ha manipolato, è riuscito a sfruttare la tua debolezza per metterti in testa le sue idee. A TE, che sei sempre stato il primo a rifiutare ogni autorità.”
Come richiamato da questo promemoria, Bellamy si mosse leggermente contro la mia presa, sollevandosi un po’ per sostenere meglio il mio sguardo. A quel punto, si stava lasciando dire tutto, e sperai potesse essere un buon segno. Non sembrava aver più voglia di combattere. Forse si sarebbe semplicemente arreso.
“Ma ti sei sentito? Uccidere trecento terrestri, tra cui innocenti e feriti, perché siamo in guerra e questa terra è solo della gente dell’Arca?
Finalmente, una breccia. I suoi occhi abbandonarono un attimo i miei, ancora più lucidi, e capii che le idee di Pike in lui si stavano aprendo come un sipario di fumo, per lasciare spazio al puro e solo dolore bruciante che c’era dietro.
“Io volevo solo…”
“No.” lo bloccai subito, doveva lasciare andare il rancore contro se stesso, contro tutto e tutti, ed era vicino alla rottura. “Non voglio sentire altro. Posso capire cosa ti ha portato fino a qui, ma se vai oltre… questo potrebbe essere il punto di non ritorno, e non solo per te. Per tutti noi.”
Bellamy si passò una mano sul volto, improvvisamente esausto, tutto il peso della situazione che gli piombava addosso in un battito di ciglia.
Era completamente svuotato.
“Cosa dovrei fare, allora?”
Non lo stava chiedendo a me. Nemmeno mi stava guardando, stava fissando un punto indefinito al suo fianco. La domanda era per lui stesso.
Si era perso, ma proprio questo mi avrebbe permesso di ritrovare il vero Bellamy. Lui era prigioniero in un labirinto, e, forse, potevo guidarlo verso la giusta via d’uscita.
Mi ritrovai semplicemente ad abbracciarlo. Lo tenni stretto nonostante si fosse irrigidito come non mai, e non lo avrei lasciato nemmeno se mi avesse respinta. Lui rimase dov’era, le poche forze rimastegli che lo abbandonavano pian piano ad ogni battito del cuore. Lo sentii calmarsi contro di me e, nonostante non lo stesse ricambiando, stava accettando il contatto. Con esso, speravo, anche il mio aiuto.
Decisi di allontanarmi lentamente nell’istante in cui, da sopra la mia spalla, sentii il suo sospiro spezzato, come se stesse lasciando andare qualcosa che teneva dentro.
Fu allora che, richiamandomi indietro, ricambiò l’abbraccio, senza che me l’aspettassi.
“Grazie.” lo sussurrò “Cosa stavo facendo?” la consapevolezza lo aveva travolto.
Sorrisi, stringendolo di nuovo a me con tutta la mia forza.
“Bellamy, è finita. Conta solo questo.”
   
 
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