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Autore: platinum_rail    08/05/2020    2 recensioni
Sono passati quattro mesi dalla fine della Guerra dei Titani.
Percy ed Annabeth salvano Piper, Leo e Jason al Grand Canyon, senza sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova guerra.
Percy scompare la notte successiva, ma quando mesi dopo arriva al Campo Giove non ha perso la memoria. Ha un passato diverso da quello che conosciamo, e dei poteri incredibilmente pericolosi.
(IN FASE DI RISCRITTURA)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Calamità

 Leo aveva lo sguardo basso, incapace di sostenere quello di chiunque altro sulla nave. Era appoggiato all’albero maestro con una borsa del ghiaccio premuta sulla nuca, e Annabeth gli si era accovacciata davanti e lo guardava con quello sguardo solenne e attento che Leo non riusciva mai a sostenere. Frank era in piedi vicino a loro, e lo guardava con più curiosità che rancore.
-Mi racconteresti cosa è successo, esattamente? – gli chiese Annabeth.
-È complicato… - mormorò lui. -Era come se avessi perso completamente controllo su me stesso, come se potessi solamente guardarmi mentre facevo fuoco sulla città. –
Hedge stava borbottando mentre girava per la nave con un secchio d’acqua in mano, incaricato di spegnere tutti i focolai rimasti.
Leo lo sentì lamentarsi dicendo: -Abbiamo finalmente ritrovato Jackson, e mandano me a spegnere il fuoco. –
Annabeth sospirò, prima di scivolare accanto a lui e sedersi al suo fianco.
Leo alzò lo sguardo di lei stupito, e per un istante si perse a guardarla: la ragazza aveva la maglietta del Campo Mezzosangue addosso, dei pantaloncini corti di jeans e i ricci biondi sciolti lungo la schiena. Era incredibilmente bella, ma il suo sguardo la rendeva troppo intimidatoria perché Leo osasse guardarla un secondo di più.
-Percy è abbastanza sicuro che tu sia stato posseduto. E da quello che hai raccontato tu, potrebbe essere l’unica spiegazione. – disse lei, e con una dolcezza che Leo non si aspettava.
-Sì ma da cosa? –
-Non lo sappiamo. – rispose Annabeth. -Ma qualunque cosa fosse potrebbe tornare. –
Leo stava per chiederle come riuscisse ad essere così tranquilla mentre lui invece stava per avere un crollo nervoso, ma Percy urlò da sottocoperta:
-Annabeth, avremmo bisogno di te! –
Leo si tese come una molla, sobbalzando sul posto.
Vi prego, fate che stia bene.
Fece per tirarsi in piedi, ma Annabeth gli posò una mano sul petto.
-Resta qui, vado io. – gli disse, e come sempre Leo non riuscì a contraddirla.
La ragazza si alzò, sorridendogli gentilmente quando lo vide guardarla con tanta angoscia.
-Non preoccuparti, sta bene. Sai meglio di me che ci vorrebbe molto più di un mattone per metterlo in pericolo di vita. – gli disse sorridendo, prima di correre via.
Leo si accasciò di nuovo contro all’albero maestro, la testa che gli lanciava fitte allucinanti ogni volta che respirava.
Dopo pochi istanti si ricordò della presenza silenziosa eppure stranamente confortante di Frank, e Leo aprì gli occhi per osservarlo.
Il ragazzo lo stava osservando con curiosità, e nonostante Leo avesse appena bombardato la sua casa lui sembrava piuttosto calmo.
Frank gli si avvicinò lentamente: -Ehi. Per caso ti chiami Sammy, di secondo nome magari? – fu la prima cosa che gli chiese.
Leo lo guardò perplesso: -Non mi sembra proprio. Perché, scusa? –
-Niente, non preoccuparti. – rispose frettolosamente l’altro ragazzo. -Comunque, mi spiace che tu sia stato posseduto. Deve essere stato spaventoso. –
Leo lo guardò sorpreso, e le sue labbra si tesero automaticamente in un sorriso.
-Già, non parliamone mai più. – commentò ridacchiando, ma poi un’altra scarica di dolore gli attraversò il cranio facendolo gemere e costringendolo a serrare gli occhi.
Frank davanti a lui sembrò preoccuparsi.
-Cosa ti è successo per ridurti così? –
Domanda sbagliata, pensò Leo.
Ricordava di aver lanciato solo due colpi di fuoco greco, prima che Percy gli si gettasse addosso. Ricordava di aver cercato di spingerlo via, ma il ragazzo aveva una mole e forza che lui non avrebbe mai potuto contrastare. Il figlio di Poseidone gli aveva senza troppo sforzo afferrato la nuca e gli aveva sbattuto la testa contro la balista.
La testa gli fece ancora più male al solo pensiero.
- È stato Percy, quando mi ha fermato dal bombardare ulteriormente la città. – spiegò, cercando di alzarsi.
Non fu difficile come aveva creduto, ma stare in piedi non fece che peggiorare la sensazione di avere centinaia di chiodi piantati nel cervello.
-Dai vieni, chiediamo a Festus come è messa la nave. – disse al figlio di Marte avviandosi verso prua.
Frank lo guardò stranito, ma lo seguì comunque.
-Chi è Festus? –
Leo sorrise appena, avanzando lentamente e tenendosi il ghiaccio premuto sulla nuca.
-Il mio drago di bronzo. Dovevi vederlo quando era ancora tutto intero, era veramente magnifico. Ma abbiamo avuto un incidente, e sono riuscito a salvare solo la testa che ho messo come polena. – spiegò.
Frank annuì come se la cosa non lo stupisse.
Quando arrivarono a prua, il drago voltò la testa a cento ottanta gradi, osservandoli con i suoi scintillanti occhi rossi e sbuffando fumo dal naso di metallo.
Leo gli posò una mano sul muso, godendo del calore del bronzo celeste che gli rivestiva il corpo e sorrise quando il drago emise un gorgoglio di apprezzamento.
Festus emise poi un’altra serie di cigolii, e Leo annuì grave.
-Capito. Grazie Festus. – rispose, e quando si voltò verso Frank lo vide osservarlo incredulo.
-Festus dice che Hazel è qua sotto, ci sta seguendo a cavallo. – disse cercando di suonare rassicurante. -Dobbiamo atterrare per riparare la nave, e Festus ha trovato tutto ciò che ci occorre per le riparazioni al Great Salt Lake, perciò… -
-Hazel sta bene quindi? – chiese l’altro semidio improvvisamente agitato.
Leo sogghignò: -Sì, non preoccuparti. È la tua ragazza? –
Il ragazzone annuì e, in profondo contrasto con il suo portamento, riuscì ad arrossire. Se Leo fosse stato appena più in confidenza, gli avrebbe strizzato le guance.
Ma non ebbe modo di dire altro, perché sentì le scale cigolare alle sue spalle.
Percy ed Annabeth risalirono sopraccoperta parlandosi a bassa voce, e Leo si affrettò verso di loro buttando a terra il ghiaccio.
-Ehi! Come sta Jason? Sta… –
Si bloccò sul posto però, ammutolendo, quando Percy alzò lo sguardo su di lui.
Leo deglutì pesantemente.
Il figlio di Poseidone sembrava arrabbiato, e i suoi soli occhi fecero nascere in lui l’istinto di allontanarsi da lì il più in fretta possibile.
-Sì, sta bene. Ora sta riposando, c’è Piper a tenerlo d’occhio. – rispose Annabeth. -Immagino che la nave avrà bisogno di riparazioni, giusto Leo? –
Leo annuì abbassando gli occhi: -Sì. Tutto ciò che ci serve è al… al Great Salt Lake. E insomma, menomale, dato che possiamo permetterci un solo atterraggio. –
Frank al suo fianco annuì.
-Il drago di Leo ha detto che Hazel ci sta seguendo con Arion, è appena sotto di noi. Potrei scendere ed avvertirla. – propose.
-Buona idea. – commentò Percy facendo un passo avanti, e Leo se lo ritrovò a meno di un metro di distanza.
Il figlio di Poseidone mantenne gli occhi su di lui, e Leo desiderò solo poter scomparire.
-Qualunque cosa ti abbia posseduto potrebbe tornare. – disse con calma il più grande. -Perciò, se ti capita di sentirti strano, dillo. –
Leo annuì vigorosamente, azzardandosi ad alzare lo sguardo su Percy, e tutta la sua angoscia scomparve.  
Il ragazzo gli rivolse un ghigno, prima di tendere la mano verso di lui.
-Mi spiace per la botta in testa. –
 
Quando arrivarono alla meta, l’atterraggio non danneggiò ulteriormente la nave solo grazie a Percy.
Le acque del lago lambirono i lati della nave rallentandola gentilmente, accompagnando il suo atterraggio finché non rimase a dondolare lievemente nel mezzo del lago.
Con un potente ronzio le eliche aeree assunsero la loro forma nautica. Tre file di remi meccanici si tuffarono in acqua spingendo la nave in avanti.
-Grazie amico. – disse Leo rivolto a Percy. -Ottimo lavoro Festus! Portaci alla riva meridionale. –
Hedge al loro fianco sbuffò: -Jackson, il tuo atterraggio mancava completamente di pericolo e dolore. –
Percy sorrise a Leo, prima di guardare il satiro con un’espressione piacevolmente divertita.
Diede poi una pacca sulla spalla al figlio di Efesto, prima di dileguarsi sottocoperta.
Un secondo dopo, Hazel comparve sul ponte della nave. Scese dal cavallo con eleganza, sfilandosi l’elmo e svelando la cascata di ricci castani che le contornarono il bel viso.
Leo rimase leggermente a bocca aperta.
-Ma siamo in mezzo a un lago! – esclamò Leo, cercando di concentrarsi su quello e non su di lei. -Quel coso vola? –
Il cavallo nitrì pestando gli zoccoli sul legno.
Hazel sorrise: -No, però può correre su qualunque superficie. Perfino l’acqua, o le pareti verticali. – rispose, prima di fermarsi ad osservare il ragazzo.
Leo si sentì a disagio sotto lo sguardo della ragazza. Sembrava nervosa, ma lo guardava con una strana intensità, come se cercasse disperatamente qualcosa nei suoi occhi.
I suoi occhi dorati erano belli come pochi altri Leo avesse mai visto.
-Va tutto… bene? – chiese insicuro il ragazzo, e questo sembrò far riscuotere la ragazza.
-Oh, sì scusa. È solo che assomigli molto ad una persona che conoscevo… - disse con triste sorriso. -Mi faresti vedere la nave? Sono tanto curiosa. –
Il figlio di Efesto annuì con esagerata convinzione, prima di condurre entrambi sottocoperta.
Aveva costruito la nave come un’antica trireme greca, solo due volte più grande. Il motore magico si trovava nel ponte inferiore, insieme alla cambusa, all’infermeria e ad una scuderia.  Alla fine del giro Leo la guidò attraverso un lungo corridoio, su cui si affacciavano otto cabine, una per ognuno dei semidei e per il Coach, finchè non arrivarono alla mensa dove Frank, Annabeth e Percy si erano accomodati.
Percy si era seduto a capotavola, ed Annabeth aveva trascinato una delle poltroncine il più vicino possibile a lui. Si era sporta verso il ragazzo appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre lui le stringeva la vita con una mano e le accarezzava la gamba con l’altra.
Il figlio di Poseidone aveva però lo sguardo puntato sui muri intorno a lui, ad osservare con nostalgia le vivide immagini del Campo Mezzosangue che le pareti mostravano.
Leo poté solo immaginare come si dovesse sentire il ragazzo.
Anche Frank osservava le pareti incantate stancamente, seduto accanto a loro.
Li raggiunsero.
-Siamo atterrati. – commentò Annabeth. -Ora che facciamo? –
-Potremmo cercare di capire la profezia che ha recitato Ella? – propose Frank.
Annabeth aggrottò la fronte: -Quindi era davvero una profezia. –
Hazel annuì: -Ella ha un talento. Tutto ciò che legge lo impara perfettamente a memoria. L’abbiamo trovata quando siamo partiti per l’Alaska, e pensiamo che in un punto imprecisato del suo passato abbia letto i Libri Sibillini. –
-Eh?! – disse Leo.
-Sono dei libri romani che contengono tutte le profezie mai recitate, e si pensava fossero andati distrutti. Ma Ella li deve aver letti, e imparati a memoria. –
Percy annuì grave: -È molto sensibile. E Ottaviano farebbe qualunque cosa per mettere le mani su quei libri, e non potevo permettere che Ella finisse tra le sue grinfie. – disse, prima di abbassare lo sguardo. -Comunque, ho detto a Tyson di portarla al Campo Mezzosangue. –
Annabeth sospirò, senza mai allontanarsi dal ragazzo o alzare la testa dalla sua spalla.
-Lasciate la profezia a me. Per ora dovremmo preoccuparci delle condizioni della nave. –
Leo si raddrizzò sulla sua sedia come una molla:
-Abbiamo bisogno di catrame, calce, e bronzo celeste. Il catrame possiamo trovarlo facilmente in città, mentre il resto si trova in una piccola isola in mezzo al lago, secondo Festus. -
-Perfetto. – disse Annabeth. -Possiamo andare a coppie, faremo più in fretta. –
Tutti al tavolo asserirono senza particolare entusiasmo.
 
Piper sentì tutta l’angoscia e la paura scivolarle dal corpo quando Jason si svegliò.
Era rimasta al suo fianco da ormai ore, aspettando con ansia che riprendesse coscienza. Si perse ad osservarlo, beandosi del suo splendido volto rilassato dal sonno. Tese una mano ad accarezzargli i capelli color dell’oro, scostandoglieli dalla fronte, facendo scendere poi le dita a sfiorargli la linea della mascella.
Nonostante il suo non fosse che un tocco quasi impercettibile, Jason spalancò gli occhi all’improvviso.
-Jason! – sussultò Piper, e prima ancora che il ragazzo potesse metterla a fuoco lei gli gettò le braccia al collo ridendo.
Il ragazzo sembrò riprendersi dopo pochi istanti, perché rispose all’abbraccio dandole un bacio sulla guancia.
-Ehi Pips. – la salutò con voce roca.
-Oh dei, grazie al cielo stai bene. – mormorò la ragazza.
Vennero interrotti da un tonfo sopraccoperta, e poco dopo davanti alla porta comparve Percy, che si fermò di fronte all’entrata reggendo stretto al petto un enorme barile maleodorante. Aveva la maglietta e il viso macchiati di nero, ma sorrise comunque in modo quasi abbagliante.
-Ehi Jason! Ciao Piper. – li salutò, e alle sue spalle comparve Annabeth.
-Bentornato tra noi, Jason. – commentò la ragazza sorridendo, sfoggiando anche lei la faccia e i capelli sporchi di quel liquido nero e appiccicoso.
Frank si sporse a sua volta nella stanza rivolgendo ai due un piccolo sorriso.
Piper li guardò ridacchiando: -Catrame? –
Annabeth alzò gli occhi al cielo ridendo in risposta.
-Non parlarmene. –
Poi fu il turno di Hazel e di Leo di arrivare, e Piper li sentì precipitarsi giù per le scale col fiatone prima di ammassarsi insieme agli altri davanti alla porta dell’infermeria.
-Ah bene, ci siamo tutti. – disse Leo guardandosi intorno. -Dobbiamo andarcene in fretta, delle ninfe rabbiose ci hanno inseguito. –
Fece appena in tempo a dirlo, che la nave si inclinò bruscamente sul fianco. Percy rischiò di rovesciare il barile.
-Come sarebbe a dire che delle ninfe rabbiose vi hanno seguito? – esclamò Annabeth cercando di mantenere l’equilibrio.
Hazel sorrise furbamente: -Leo le ha sedotte e poi ingannate. –
Tutti gli altri si scambiarono degli sguardi perplessi, finché la nave non venne nuovamente scossa.
Percy sospirò, prima di passare il barile al figlio di Marte di fianco a lui:
-Va bene. Vado io. -
Frank barcollò sotto al peso del secchio che il ragazzo gli mollò improvvisamente tra le braccia, ma seguì Leo che lo incitava a seguirlo in sala macchine con Annabeth al seguito.
Hazel presto si congedò con una sfumatura verdognola in volto, e Piper rimase a reggersi alle sponde del letto di Jason per non rotolare a terra.
Dal ponte poteva sentire Percy urlare al Coach di tacere e un secondo dopo rivolgersi alle ninfe con ammaliante dolcezza. Le onde si infrangevano contro lo scafo, mentre dalla sala macchine arrivavano dei rumori assordanti.
Sembrarono passare ore, prima che la nave si risollevasse in aria riportando calma e soprattutto silenzio.
Leo riemerse dalla sala macchine esultando, con Annabeth e Frank che lo seguivano sgranchendosi la schiena. Erano lerci, ma sorridevano.
-Doccia! – urlò Annabeth, correndo verso il bagno. -Ci vediamo a cena. -
 
Quando furono tutti insieme per la cena, Piper non si sentì felice quanto avrebbe sperato.
Hedge era rimasto al timone, lasciando loro sette da soli per la prima volta.
Piper aveva creduto che la cosa l’avrebbe resa felice, ma vederli riuniti in un posto solo non faceva che rammentarle che la profezia si stava avverando.
Non bisognava più aspettare che Leo terminasse la nave. Erano finiti i giorni sereni al Campo Mezzosangue, a fingere che il futuro fosse ancora lontano. Ormai erano salpati, e con i Romani assetati di vendetta alle spalle. E nelle antiche terre, la loro destinazione, c’erano i giganti ad aspettarli insieme a Gea. E, a meno che non avessero concluso con successo quell’impresa eroica, il mondo sarebbe stato distrutto.
La ragazza si rese conto che il suo sentimento sembrava condiviso, ma anche che l’elettricità nella stanza non stava aiutando.
Piper sospettava che fosse a causa di Jason e Percy, da quando avevano entrambi cercato di sedersi sulla stessa sedia a capotavola. Dalle dita di Jason erano volate scintille e Percy lo aveva guardato dritto negli occhi sorridendo maliziosamente, come se trovasse il tentativo di Jason adorabile, e patetico.
Annabeth aveva osservato la scena quasi allibita, prima di farsi strada tra i due e accomodarsi lei stessa a capotavola.
-Non ci pensate nemmeno. – aveva intimato quando i due l’avevano guardata sorpresi.
La cena incominciò.
-Quindi, ora che si fa? – chiese Leo, addentando un pezzo di pizza. -Ho dato un’aggiustata ai danni più gravi, ma prima di attraversare l’Atlantico devo riparare ancora parecchie cose. –
Percy stava trangugiando una fetta di torta completamente blu quando prese parola.
-Frank ha visto delle aquile sopra a Salt Lake City. Dobbiamo allontanarci quanto più possibile dai Romani. –
-E dobbiamo sbrigarci. – concordò Hazel. -Nemesi ha detto a me e Leo che abbiamo sei giorni prima che Nico muoia e Roma venga rasa al suolo. –
-Intendi la vera Roma? – chiese Jason, e la ragazza annuì.
Piper sospirò, prendendo coraggio: -A questo proposito… ho visto delle immagini nel mio pugnale. –
Tutti si bloccarono a guardarla in silenziosa attesa. Percy fu l’unico a continuare a mangiare nonostante stesse mantenendo gli occhi su di lei.
-Ecco… c’erano due giganti, gemelli. –
Annabeth annuì con lo sguardo corrucciato.
-Come diceva la profezia di Ella. Devo capirne i versi al più presto. –
Percy smise improvvisamente di mangiare, e quando guardò la sua ragazza Piper si rese conto che c’era tristezza nei suoi occhi.
-La figlia della Saggezza da sola camminerà. – recitò il figlio di Poseidone. -Giunone mi ha detto che tua madre ti avrebbe dato un compito, e che… -
Tutti aspettarono che continuasse, ma quando Piper vide la scintilla di rabbia nei suoi occhi decise di non chiedere altro. Anche Annabeth gli rivolse uno sguardo preoccupato, ma nemmeno lei lo spinse a continuare.
-Credo abbia a che fare col Marchio di Atena che brucerà su Roma. Al Campo, Reyna mi ha detto di una antica leggenda, che parla di un torto che i Romani fecero ai Greci e che causò l’odio eterno tra le due potenze. Il torto aveva a che vedere con un tesoro, e con Atena, ma Reyna non è riuscita a dire altro. – disse la figlia di Atena.
Leo ed Hazel si guardarono automaticamente, qualcosa di impressionante contando che si conoscevano da mezza giornata.
-Anche Nemesi ha nominato un antico torto che doveva essere raddrizzato. – aggiunse Hazel, pensierosa.
Percy annuì, prima di volarsi verso Jason.
-Tu sei stato pretore insieme a Reyna per anni. Ne hai mai sentito parlare? –
Jason guardò Percy per un istante, per poi concentrarsi sul suo piatto.
-Io…non saprei. Non ne sono sicuro. –
Piper lo guardò confusa dalla chiara bugia. Percy rimase ad osservare il figlio di Giove per pochi secondi, ma contrariamente a quello che Piper avrebbe predetto il ragazzo non incalzò il biondino.
-Stai bene? – gli chiese invece Percy.
Jason alzò gli occhi sul ragazzo sorpreso, come se non si aspettasse che il figlio di Poseidone potesse preoccuparsi per lui.
-Sì… sì, grazie. – rispose, e il corvino gli sorrise lievemente.
-Poco male. – commentò poi Leo. -Dove atterriamo quindi? –
Piper ripensò alla visione nel suo pugnale, all’uomo vestito di viola.
-Vi andrebbe il Kansas? –
 
La mattina dopo, Piper venne svegliata dalle urla del Coach Hedge.
-Siete senza pudore! – lo sentì gridare, gli zoccoli che sbattevano duramente frenetici sul legno del corridoio.
Piper gemette, prima di tirarsi a sedere sbadigliando. Qualcuno bussò alla porta.
-Avanti. – borbottò la ragazza, e Leo fece capolino.
-Ehi, raggio di sole. – la salutò. -Bello il pigiama dei Power Rangers. –
La ragazza si stropicciò gli occhi: -Non sono Power Rangers, sono aquile. – rispose, alzandosi lentamente dal letto con le palpebre che faticavano a restare aperte.
-Perché il Coach Hedge sta sbraitando di prima mattina? – chiese.
Leo sfoderò un enorme sorriso: -Ha trovato Annabeth e Percy nello stesso letto. Non ti dico che spasso. –
Piper sorrise divertita, e in quello stesso istante sentì il satiro urlare: -Chirone fa finta da anni di non vedere che fate queste zozzerie, ma se vi pesco di nuovo a dormire insieme ci vengo io a stare nello stesso letto con te, Jackson! -
Leo scosse la testa ridendo e appoggiandosi allo stipite della porta: -Comunque stiamo per atterrare, quindi magari dovresti renderti presentabile e venire su. –
Il Coach comparve alle sue spalle, aveva la mazza da baseball stretta in mano.
-Valdez! – gli urlò contro, facendolo sobbalzare. -Ho già esaurito la pazienza per colpa di quegli svergognati di là, sparisci dalla stanza di McLean prima che ti colpisca. –
Leo la guardò fintamente impaurito, prima di dileguarsi con il Coach al seguito.
Quando Piper finì di lavarsi e vestirsi, agguantò una ciambella dalla mensa e si diresse sul ponte. Erano tutti lì, a guardare il campo di girasoli su cui stavano atterrando.
Percy era seduto sul bordo della nave con tranquillità, e aveva un braccio posato sulle spalle di Annabeth. Fu il primo ad accorgersi di lei, e le sorrise.
Era raggiante, con addosso la maglia del Campo Mezzosangue e la collana del campo a svettare sulla sua pelle bronzea. Annabeth aveva il suo stesso sguardo brillante, e sorrise a sua volta nel vederla arrivare.
-Finalmente! – la salutò, rubandole un morso dalla ciambella. -Qual è il piano signorina McLean? –
Piper ridacchiò, colpendole con un lieve schiaffo la mano.
-Dobbiamo andare all’autostrada — disse Piper. — Starei cercando un cartello con su scritto TOPEKA 50. –
Leo annuì disegnando un cerchio con il telecomando: -Dovremmo esserci vicini. Cosa dovresti trovarci là? –
Piper spiegò dell’uomo vestito di viola, con un calice in mano e i tralci di vite sul cappello che aveva visto nel suo pugnale.
-Sembrerebbe il Signor D. – mormorò Percy, sorridendo con sarcasmo. -Lo abbiamo finalmente ritrovato. –
-Chi? – chiese Jason.
-Sta parlando di Dioniso. O Bacco, per i Romani. – spiegò Annabeth.
Jason annuì: -Bacco non è male. Gli ho fatto un favore una volta. –
-Perfetto. – disse Leo. -Divertitevi. Io rimango qui a riparare il tutto. Annabeth, resteresti a darmi una mano? Sei l’unico vero cervello che abbiamo. –
Annabeth si voltò verso Percy rivolgendogli un sorriso di scuse: -Ha ragione, è meglio se lo aiuto. –
-Tornerò da te. – disse il ragazzo, baciandole la guancia. -Promesso. –
Piper li guardò adorante. Erano una coppia invidiabile.
Frank ed Hazel si offrirono di perlustrare la zona, la ragazza a cavallo e il figlio di Marte in forma di uccello.
-Allora rimaniamo noi tre. – disse Piper, guardando Percy e Jason.
Il figlio di Poseidone scese dal bordo della nave: -Perfetto allora, a te il comando Piper. Speriamo che Jason vada più d’accordo col Signor D. di quanto non faccia io. –
 
Camminarono in mezzo ai campi per un’ora prima di raggiungere l’autostrada.
Piper era in testa, seguita alle spalle dai due ragazzi. Percy aveva la spada infilata nel fodero che aveva legato diagonalmente sulla schiena, e Jason teneva il gladius al fianco. Entrambi sembravano perfettamente a proprio agio con le armi in vista e a portata di mano.
Quando sbucarono sulla strada, un cartellone pubblicitario gli indicò che la prima uscita per Topeka era a sessantacinque chilometri.
-Bene. – esordì Percy con sarcasmo. -Mancano solo quindici chilometri. –
Jason si guardò intorno: -E non c’è l’ombra di una macchina. – disse avvilito.
Piper gli rivolse un’occhiata perplessa. Sperò che il suo ragazzo non avesse davvero avuto l’idea di fare autostop.
-Però potrei chiamare un amico per farci dare un passaggio. – continuò il figlio di Giove.
Percy accanto a lui ghignò, inarcando le sopracciglia: -Ah si? Anche io potrei. –
-Allora vediamo chi arriva prima. – lo incalzò Jason, prima di fischiare.
Piper si voltò incuriosita verso Percy, vedendolo chiudere gli occhi.
Per un momento, si fermò a guardarlo.
Insieme ad Annabeth, Percy Jackson era stato il primo semidio del Campo Mezzosangue che lei avesse mai conosciuto. E nonostante fossero stati loro a portarla al campo, lei aveva trascorso con Percy un solo giorno prima che lui partisse.
In quel momento, rifletté sul ragazzo per la prima volta.
Percy le era piaciuto fin dall’inizio. Era divertente, gentile, un ragazzo che sembrava pronto a fare qualunque cosa per gli altri.
Ma c’era qualcosa in lui, dietro a quel bellissimo ragazzo dal sorriso da piantagrane, qualcosa che Piper temeva.
Dopotutto, Percy di per sé sapeva essere incredibilmente intimidatorio. Bastava il suo sguardo quando era serio, così tumultuoso ed impenetrabile, a farla irrigidire.
Ma la cosa che metteva Piper veramente a disagio, era quanto stargli accanto le ricordasse avere di fronte un dio. La figlia di Afrodite aveva sempre percepito la potenza antica e incommensurabile che irradiavano gli dei, qualcosa che spesso l’aveva fatta arretrare di fronte a loro, e con Percy era la stessa cosa.
Lui era un mortale che sprigionava la stessa energia di un dio, un semidio che combatteva come un demonio, scatenava terremoti e controllava le acque.
Ovunque Piper mettesse piede, il suo nome lo precedeva. Tutti lo consideravano una leggenda, un eroe tra i mortali, il semidio più potente che avesse mai camminato sulla terra.
E Piper quasi temeva di scoprire il perché.
Un tuono scosse la vallata, distraendola dai suoi pensieri.
Jason sorrise: -Sta arrivando. –
-Troppo tardi, bello. – rispose Percy, indicando ad est.
Piper sgranò gli occhi, vedendo la magnifica creatura nera che stava calando in picchiata verso di loro. Rimase a bocca aperta.
Il grande pegaso spalancò le ali per atterrare di fronte a loro, e pestando gli zoccoli sull’asfalto nitrì maestoso.
Era completamente nero, dalle enormi ali piumate fino alle forti zampe.
Aveva la criniera corta e il muso come quello dei cavalli arabi, gli occhi affilati, i muscoli possenti che si gonfiavano sotto al manto corto e lucido.
La creatura si avvicinò a Percy, e scalpitando gli spinse ripetutamente la testa contro al petto.
Percy rise, accarezzandogli il collo. -Ehi, Blackjack. – disse, e quando l’animale si voltò verso di loro il ragazzo sorrise. -Loro sono Piper e Jason. -
l cavallo alato nitrì di nuovo, e Percy lo guardò ridendo giocosamente:
-Magari dopo bello. –
Piper ricordò di quando Percy aveva parlato ai pegasi che avevano trainato la loro biga fino al Campo Mezzosangue il giorno che arrivarono. Si avvicinò interessata:
-Non avevo mai visto un pegaso nero. Cosa ti ha chiesto? –
-Delle ciambelle, come sempre. –
Improvvisamente, l’aria si fece gelida.
Un fulmine si schiantò vicino a loro, e un piccolo ciclone si creò intorno ad esso. Un istante dopo, assunse la forma di un cavallo: uno stallone fatto di vapore e percorso dall’elettricità.
-Tempesta! – lo chiamò Jason con un sorriso.
Il cavallo scosse la testa prima di impennarsi nitrendo facendo arretrare Blackjack nervosamente.
Percy accarezzò il collo del pegaso per tranquillizzarlo, prima di rivolgere un’occhiata impressionata a Jason.
-Complimenti Grace. -
Il ragazzo sorrise, quasi timidamente: -Accetta di aiutarmi ogni tanto, dopo che abbiamo fatto amicizia durante la nostra impresa alla Casa del Lupo. –
Percy gli sorrise genuinamente, prima di montare sul suo pegaso con maestria. Piper guardò Tempesta, incerta, ma non rifiutò la mano che Jason le porse.
Sfrecciarono lungo la strada, e in pochi minuti furono a destinazione.
Percy atterrò esattamente al loro fianco con Blackjack, scrutando attentamente la vallata.
Il pegaso nero nitrì.
-Già. – replicò Percy. -Il tizio del vino non si vede. –
-Tizio del vino?! – tuonò una voce dai campi.
I due cavalli si voltarono così velocemente che Piper si spaventò. Dal campo di frumento comparve un uomo, esattamente quello che aveva visto in sogno.
Un trentenne con la maglia viola e le guance arrossate, i capelli ricci e castani nascosti sotto al capello percorso da tralci di vite.
-Di grazia, chi sareste voi per permettervi di chiamarmi il… tizio del vino? – disse indignato, strascicando le parole. -Io sono Bacco, il magnifico. –
Percy incitò il pegaso ad avanzare verso il dio, e Piper vide i suoi occhi scintillare.
-Che carino Signor D., è dimagrito! – esultò con un ghigno.
Il dio lo guardò con gli occhi assottigliati, come se non riuscisse a vederlo bene:
-Chi saresti tu? Vi ha mandato Cerere? –
-No, mai sentito parlare di questa Cece. – rispose Percy.
-Cerere. – lo corresse Jason. -La dea dell’agricoltura. Voi la chiamate Demetra. –
Il figlio di Giove rivolse al dio un cenno rispettoso del capo: -Si ricorda di me, divino Bacco? Le ho dato una mano col leopardo scomparso a Sonoma. –
Bacco dal canto suo lo guardò senza particolare interesse.
-Vagamente. Allora, dov’è Cerere? Dovevamo incontrarci per discutere della guerra vegetale. Sapete, con Gea e tutto, le piantagioni stanno morendo e dobbiamo prepararci alla battaglia. –
Percy trattenne malamente una risata: -La guerra… vegetale? –
Il dio lo guardò quasi ringhiando, e Piper si rese conto che il dio sembrava in vena di attaccar briga tanto quanto Percy.
-Si ragazzino. – sibilò l’uomo. - Anche la tua arroganza mi sembra familiare, ti ho mai incontrato? –
Percy non rispose, probabilmente decidendo che fosse la cosa migliore, e si voltò verso Jason e Piper.
La ragazza si fece avanti, smontando dal cavallo.
-Divino Bacco, siamo venuti in cerca del suo prezioso aiuto. – disse, e nonostante non lo avesse fatto apposta la sua voce era impregnata di magia.
Il dio infatti la guardò con curiosità:
-Sei brava con le parole ragazza. E sembri educata, a differenza di quel Perry lì. –
Piper vide l’uomo puntare a Percy, e lei si voltò confusa verso l’amico, ma lui si era appoggiato con rassegnazione al collo del pegaso, la testa adagiata sulle braccia conserte. Le fece cenno di non preoccuparsi.
-Ehm… grazie. Senta, siamo in missione, e io ho avuto una visione che riguardava lei, divino Bacco. – incominciò la ragazza, parlando della loro storia, del motivo del loro viaggio, quello che Nemesi gli aveva detto sulla distruzione di Roma, e della sua visione dove Bacco le offriva un calice.
-Non ti offrirò nessun calice signorina, Giove mi ha proibito di offrire alcolici ai minori. Ma riguardo ai giganti, li conosco bene. C’ero anche io a combattere nella Prima Guerra dei Giganti. –
-Impressionante… - mormorò Percy, guardando il dio con un sorrisino.
Bacco lo guardò con una luce violacea negli occhi: -Lo ero! Combattei a fianco di quell’altro figlio di Giove, Ernesto, contro due dei giganti. –
-Parla di Ercole? – suggerì Jason educatamente.
-Sì lui. Uccidemmo i gemelli Efialte e Oto. –
Piper sussultò, lo sguardo illuminato dalla realizzazione.
-Ma certo! – esclamò la figlia di Afrodite. -Lei fa parte della nostra impresa! –
Bacco la guardò scettico e sorridendo per la prima volta, ma lei sospettò che fosse un sorriso di scherno.
-Non pensarci nemmeno ragazza. Io non sono più un semidio, e queste imprese eroiche non sono più affar mio. –
-Piper parla del fatto che i giganti si possono uccidere solo da un dio e da un eroe, insieme. – si intromise Percy, improvvisamente pacato. -E visto che i due gemelli ci aspettano a Roma, che per la cronaca vogliono distruggere, potremmo fermarli grazie al suo aiuto. –
Bacco lo guardò irritato: -Il mio aiuto ha un costo: un tributo adeguato. –
-Cosa intende per adeguato? – lo incalzò il figlio di Poseidone.
-Nulla che tu ti possa permettere. – rispose il dio. –Ma vi darò un consiglio. Forco è un figlio di Gea, ma ha sempre odiato sua madre e i suoi fratelli. Lo troverete ad Atlanta, lui vi aiuterà, forse. Cercate l’acqua salata. –
-Acqua salata. Ad Atlanta. – ripeté Percy. -È sicuro di essere completamente sobrio? –
-Sì ragazzino insolente. – ribatté Bacco.
Poi il dio alzò gli occhi verso il cielo, all’improvviso. Piper fece lo stesso, ma non vide nulla. Un’improvvisa angoscia le serrò però il cuore, quando il dio sospirò.
-Qualcosa non va. Devo andare. – mormorò il dio quasi sovrappensiero. -E voi dovreste fare lo stesso. –
Jason sgranò gli occhi: -Cosa…? –
-Non è da Cerere fare tardi. Dovete andarvene, marmocchi. – fu tutto ciò che disse il dio, prima che il suo corpo incominciasse a scintillare.
-Aspetti! – lo richiamò Jason, ma era tardi.
Il dio scomparve in un bagliore di luce.
Piper guardò incredula il punto in cui pochi secondi prima c’era Bacco. Ma nonostante il suo sgomento, il peggio doveva ancora arrivare.
Il vento si sollevò improvvisamente, troppo freddo per un caldo giorno d’estate.
Piper si voltò allarmata, e vide che Percy si guardava intorno con gli occhi spalancati. Sembrava inorridito.
-Dobbiamo andarcene subito. – mormorò il figlio di Poseidone. -Lei… -
“È troppo tardi” replicò la voce di una donna.
Piper sobbalzò, e un brivido gelido le attraversò la schiena come un proiettile. Percepì il potere di Gea scorrere sotto il suolo e vibrare freddo nell’aria. Percy e Jason scesero da cavallo, e si avvicinarono entrambi a lei fermandosi al suo fianco. La ragazza li sentì estrarre le spade.
“I bambini degli dei, così belli e potenti, ma anche così pericolosamente fragili…” mormorò ancora la dea, con voce calda eppure raccapricciante all’udito. “Facciamo un gioco, vi va? Ho bisogno del sangue di un semidio, e di una semidea. Piper, scegli quale dei tuoi accompagnatori morirà con te. Odio gli sprechi.”
-Fatti avanti Gea! Smettila di nasconderti dietro ai tuoi stupidi giochi. – urlò Jason.
Una risata giunse alle loro orecchie: “Che caratterino, come ci si aspetta da un figlio di Giove. Ma anche Percy Jackson ha un fascino che non riesco ad ignorare. Se non sceglierai, Piper, lo farò io.”
Piper sentiva il cuore martellargli nel petto, sentì una frustrazione bruciante serrarle la gola.
-Tu sei pazza! – urlò.
Gea in risposta ridacchiò vaga nel vento.
E Jason, alle spalle di Piper, boccheggiò.
La figlia di Afrodite si voltò spaventata, e vide il ragazzo serrare gli occhi mentre il corpo gli si irrigidiva.
-Jason? – lo chiamò incerta, orripilata.
Il ragazzo sembrò rilassarsi.
Ma poi sollevò di scatto gli occhi su di lei, e Piper inorridì nel vederli brillare gialli come oro massiccio. Il suo sguardo era freddo e calmo come la morte.
-No… - mormorò spaventata, arretrando. -Percy… -
Jason fece per fare un passo avanti, con un inquietante ghigno sul viso.
Ma Percy le si parò davanti, frapponendosi tra loro, e puntò la spada verso Jason.
-Gea, vattene. – sibilò, la sua voce suonò così perentoria che Piper si chiese se anche lui possedesse un dono simile alla lingua ammaliatrice.
Jason ghignò con scherno, i suoi occhi brillarono.
-Non sai nemmeno chi hai davanti. – pronunciò il ragazzo con una voce che non gli apparteneva. Era sdoppiata e rimbombante, come se fossero diverse persone a parlare allo stesso momento. Diverse persone con voci sibilanti e orride all’udito.
-Chi siete? – chiese Piper.
-Siamo gli eidolon, spiriti degli Inferi. Non hai voluto scegliere, figlia di Afrodite, hai deciso di lasciare a noi il divertimento. –
E in quell’attimo, Percy urlò di dolore.
Non perse la presa sulla spada, ma si portò la mano sinistra alla testa e vacillò pericolosamente.
Piper si allontanò da lui spaventata, lo sguardo disperato che saettava dal ragazzo a Jason.
Ma il figlio di Giove semplicemente ghignò, e si accanì su Percy. Sguainò la spada, la sollevò sopra la sua testa, e balzò sul il figlio di Poseidone pronto a calarla su di lui.
Ma non ci riuscì.
Percy scartò di lato all’ultimo, con gli occhi ancora serrati ed il corpo tremante ma i riflessi sorprendentemente pronti.
Ma alla fine smise di lottare contro la forza degli spiriti, e dovette aprire gli occhi mostrando le iridi che scintillavano dorate.
Jason si voltò con rabbia, e si lanciò di nuovo verso il figlio di Poseidone.
Piper corse, cercando di mettersi in mezzo, ma Percy la spinse di lato facendola sbattere dolorosamente sul ciglio della strada. Piper rimase a terra, a guardarli impotente.
E lo scontro incominciò.
Jason attaccava Percy con straordinaria velocità, menando un colpo dietro l’altro con inarrestabile violenza. Piper per un istante temette che Percy sarebbe morto in pochi secondi.
Ma il figlio di Poseidone smise presto di limitarsi a parare i colpi. E fu allora che la ragazza capì che Jason non aveva speranza contro di lui.
Il Percy incominciò ad attaccare Jason con tale rapidità da essere difficile da seguire con lo sguardo. Gli danzava attorno agile e letale, quasi come se giocasse con lui.
Jason era veloce, ma Percy lo era di più.
Jason era scaltro, ma Percy più di lui.
La tecnica sua tecnica era ineguagliabile. Sembrava nato per combattere con la spada.
Le loro lame si incrociarono, e fu lì che Percy sorrise con un ghigno raccapricciante. Ruotò il polso, ruppe la guardia del figlio di Giove, e spinse la lama in avanti a ferirgli di taglio la pelle del fianco.
Jason lasciò andare la spada d’istinto, e Percy non attese oltre.
Con una mossa rapida della gamba lo spinse a terra, raccolse il gladio d’oro imperiale e incrociò entrambe le spade contro la gola delicata del ragazzo.
Piper boccheggiò. -Fermi! – urlò disperata.
Percy si voltò verso di lei improvvisamente, e il suo sguardo parve sorpreso, ma nonostante questo ghignò. La cicatrice che gli attraversava il viso si tese all’angolo delle labbra.
-Povera figlia di Afrodite… - sibilò il ragazzo con cattiveria. -Come speri di… -
Un tuono scosse il cielo. Gli occhi di Jason scintillavano.
-Jason no! – tentò di fermarlo Piper.
Ma, nonostante ciò, un fulmine si schiantò sul corpo di Percy facendolo volare a diversi metri da Jason.
Piper si portò le mani tremanti a coprirle la bocca: un fulmine simile avrebbe disintegrato qualunque cosa. Eppure, Percy si rimise in piedi facilmente. La maglietta era stata ridotta a pezzi e i capelli erano sparati in tutte le direzioni, ma il suo corpo non aveva nemmeno un graffio.
E sembrava furioso.
I suoi occhi brillarono pericolosamente, puntati su Jason, e Piper ebbe paura alla sola vista del suo sguardo.
Da lì, tutto degenerò in pochi istanti.
Piper percepì il potere del figlio di Poseidone irradiarsi verso di loro e lo sentì pugnarlarla attraverso la pelle come un coltello.
La ragazza spalancò la bocca, cercando di respirare, ma sembrava che la gola le si fosse stretta in un nodo. Sentì il sangue gelarlesi nelle vene, e il suo cuore smise improvvisamente di battere lanciandole una fitta lancinante attraverso le membra.
Per istinto cercò di portarsi la mano al petto, ma non c'era nulla che potesse fare.
Stava morendo, lentamente e nel modo più doloroso che potesse immaginare.
Ebbe paura come poche altre volte in vita sua.
Ma improvvisamente, il figlio di Poseidone indietreggiò serrando gli occhi, e gemette di dolore:
-Piper! –
La ragazza sentì il potere del ragazzo ritrarsi improvvisamente, il suo corpo si rilassò, tornò a respirare, il dolore scomparve.
Alzò gli occhi su Percy, guardandolo con ansia nonostante il profondo sollievo che provava.
-Percy... cosa... -
-Ti prego, digli di andarsene… - sibilò il ragazzo stringendosi le tempie. -I miei poteri… vi uccideranno. –
Piper guardò Jason, che inginocchiato a terra osservava Percy con quegli occhi gialli che ora però sembravano incerti, quasi impauriti.
E la ragazza temette per la vita di entrambi.
-Eidolon, andatevene! – urlò, e stavolta la lingua ammaliatrice investì entrambi i ragazzi come un fiume in piena. Tutta la sua paura alimentò la magia rendendola potente come poche altre volte.
Entrambi si voltarono immediatamente a guardarla con riverente attenzione.
-Vi ordino di andarvene di qui. – disse con la stessa determinazione. -E di non tornare. –
-Non tornare… - mormorò Percy, la sua voce che si mischiava a quella degli spiriti.
-Giuratelo sullo Stige! – urlò la ragazza. -Giuratelo! –
Jason abbassò lo sguardo, la fronte aggrottata e la voce che gli uscì quasi forzata:
-Lo giuriamo… -
Percy gemette, rovesciando le pupille:
-Sullo Stige. –
Poi caddero a terra, privi di sensi. Cadde il silenzio sulla vallata, il vento tornò caldo e l’aria smise di opprimerla.
Piper rimase per pochi secondi ad osservare i due ragazzi a terra con la gola soffocata dalla tensione.
Erano stati ad un soffio dall’uccidersi a vicenda. E lei era stata ad un soffio dal vedere il suo ragazzo morire insieme a lei.
Sentì un tocco gentile sulla spalla che la fece trasalire, e voltandosi si ritrovò faccia a faccia con un pegaso nero.
Blackjack la guardava con quei grandi occhi neri, se possibile con apprensione, le ali ripiegate sui fianchi. Poi il cavallo si affrettò al fianco di Percy, e Piper corse verso Jason.
La ragazza cercò di svegliarlo, senza successo. Ma non si lasciò prendere dal panico. Jason respirava, il suo battito era regolare. Stava bene.
Si voltò quindi verso Percy, e vide Blackjack spingere il muso sul viso del ragazzo.
Percy sobbalzò, improvvisamente, spalancando gli occhi e tirandosi a sedere con uno scatto. Guardò il suo pegaso all’inizio con paura, ma quando il pegaso scalpitò con quella che sembrava felicità il ragazzo si rilassò, accarezzandogli il muso.
Poi si alzò, e si voltò verso Piper. La raggiunse veloce.
-Sta bene? – chiese, e Piper lesse molta ansia nella sua voce.
-Sì… è solo svenuto. – mormorò la ragazza.
Percy rilassò le spalle, e le rivolse un piccolo sorriso: -Grazie per averci fermato. Sei stata fantastica. –
Piper lo guardò grata e ricambiò il sorriso con sincero sollievo.
Percy trascinò Jason fino a Blackjack, che si inginocchiò sulle zampe anteriori per aiutarli. Poi il ragazzo salì in groppa dopo di Piper, e volarono fino all’Argo II.
Quando atterrarono, tutti gli altri corsero sul ponte.
Frank e Piper portarono Jason in infermeria, e Annabeth corse ad abbracciare Percy non appena il ragazzo smontò stancamente dal pegaso.
-E lui da dove esce? – chiese Hazel, guardando con incanto il grande pegaso.
-E Blackjack. – mormorò Percy, stringendosi alla sua ragazza. -Il mio pegaso. –
Il figlio di Poseidone si voltò poi verso Leo.
-Bacco ci ha detto di fare rotta per Atlanta. – spiegò, e senza aspettare un secondo di più il figlio di Efesto corse ai comandi.
Annabeth, Hazel e Percy scesero quindi in infermeria, dove Jason si era già svegliato.
-Ehi, saetta. – lo salutò Percy. -Come ti senti? –
Jason lo guardò con un sorrisino: -Ho il mal di testa più forte degli ultimi due anni. –
Percy ridacchiò, scivolando debolmente a sedersi su una sedia.
-Che cos’è successo? – chiese Annabeth.
Piper si voltò verso Percy, e quando lui si rese conto dello sguardo della ragazza su di lui iniziò a raccontare.
Non fu una spiegazione dettagliata, ma l’aspetto sfinito del ragazzo bastava per giustificarlo.
Quando finì di parlare, Annabeth sospirò.
-Quindi gli stessi spiriti che hanno posseduto Leo sono tornati. – disse lei.
-Non succederà più. – ribatté Percy. -Piper gli ha fatto giurare sullo Stige che se ne sarebbero andati per sempre. –
Piper arrossì, suo malgrado, e il rossore sulle guance aumentò quando Annabeth le lanciò un’occhiata impressionata.
-Bravissima Piper. – la adulò posandole una mano sul braccio.
Quando Piper le rivolse un debole sorriso, la ragazza riportò la sua attenzione su Percy.
-Che ti è successo alla maglietta? –
Percy ghignò: -Il figlio di Giove mi ha fulminato. –
Jason si sollevò a sedere, guardandolo con le sopracciglia aggrottate:
-Percy mi spiace, davvero. Ma quel fulmine avrebbe dovuto carbonizzarti, e tu non hai nemmeno un graffio... –
-Pensavo che lo sapessero tutti. – lo interruppe Percy con un sorriso amaro. -È grazie alla maledizione di Achille. –
Piper lo guardò attentamente: -Parli dell'invincibilità? Hai fatto il bagno nello Stige?–
-Esatto. Chiunque sopravviva al fiume diventa impossibile da ferire, esattamente come Achille. – spiegò il ragazzo.
Jason lo guardò con strano interesse: -Ma hai un punto debole, giusto? –
Percy in risposta annuì, ma non aggiunse altro.
Piper invece guardò la cicatrice che gli solcava l'occhio e la guancia, tutti i tagli bianchi che gli attraversavano la pelle delle braccia e delle spalle, e un dubbio naque nella sua mente.
-Come puoi essere impossibile da ferire, e avere quelle cicatrici? - chiese la ragazza.
Percy la guardò con tale intensità da farle abbassare lo sguardo.
-Ho questa maledizione da meno di un anno. - disse.
Cadde il silenzio nella stanza, finchè Annabeth non prese parola.
-Quegli spiriti… sono riusciti ad usare anche i tuoi di poteri? – chiese rivolta a Percy.
Piper osservò sospettosamente lo sguardo così nervoso della ragazza.
-Ci hanno provato. Ma Piper li ha fermati in tempo. – disse lui.
Piper sapeva che non era la verità. Se Percy non fosse riuscito a sottrarsi al loro potere per qualche istante, lei sarebbe morta.
E ancora in quel momento, non riusciva a capire che cosa avesse fatto Percy per portarla ad un passo dalla morte senza toccarla, senza terremoti, e senza acqua.
Jason cercò di alleggerire la tensione: -Sarebbe potuta andare peggio se ci fossero stati oceani nel Kansas. –
Percy fu l'unico a sorridere, e senza divertimento, prima di alzarsi.
-Bene, io vado a lavarmi. Ci vediamo in mensa tra un quarto d’ora. –
 
Dopo cena, Jason aspettò Piper sul ponte.
La ragazza aveva voluto parlare con Annabeth, e lui era rimasto a godersi l’aria piacevolmente fresca della sera.
La sentì arrivare alle sue spalle poco dopo, nonostante lei avesse cercato di camminare silenziosamente in punta di piedi.
-Ehi Pip. – la salutò quando lei gli coprì scherzosamente gli occhi.
-Ciao. – rispose la ragazza scoccandogli un bacio sulle labbra.
Jason la guardò. La luce plumbea della sera le illuminava splendidamente il volto.
-Vorrei ringraziarti. Mi hai salvato, di nuovo. – disse, avvolgendole la vita con le braccia.
Piper sorrise appena, ma sembrava turbata.
Jason si abbassò di poco cercando di guardarla negli occhi nonostante lei tenesse lo sguardo basso.
-Che c’è? – le chiese dolcemente.
-Hai rischiato di morire. – mormorò la ragazza.
Jason la guardò incerto: -Sì, siamo stati posseduti da degli spiriti degli Inferi. Senza di te avremmo potuto morire entrambi. –
Piper scosse la testa, e puntò gli occhi su di lui. C’era una profonda tristezza nelle sue iridi.
-Ho voluto parlare con Annabeth per questo. Se non avessi scacciato quegli spiriti, ed ero ad un passo dal non farcela, tu saresti… - la ragazza non riuscì a finire, perché le si spezzò la voce.
Jason cominciò a capire.
-Pensi che non avrei potuto fermare Percy? – chiese, una punta di fastidio nella sua voce.
Piper non riusciva a sostenere il suo sguardo.
-Annabeth mi ha detto una cosa. – mormorò la ragazza. -Percy ha un potere che non avremmo mai potuto contrastare, e che gli eidolon hanno usato. Se Percy non si fosse ribellato, saremmo morti. –
-Di che parli Piper? – chiese Jason. -Cos’è questo potere che sembra terrorizzare tutti? Cos’è che lo rende così potente, perfino in confronto a me? Se parli della maledizione di Achille…–
La ragazza sorrise amaramente. Jason riusciva spesso a mettere da parte quel lato di lui, ma era estremamente competitivo. Soprattutto con Percy.
-No. Parlo del suo potere sull’acqua. –
-Piper, non c’era nemmeno… -
-Il suo controllo su di essa sembra non avere limiti. Annabeth ha detto che può piegare al suo volere qualunque tipo di liquido. Persino il sangue. –
Jason tacque. Sembrava inorridito.
-Non è possibile. –
-Capisci perché mi sono spaventata così tanto? Se quegli spiriti fossero riusciti ad usare questa sua capacità, ci avrebbero uccisi senza nemmeno doverci sfiorare. – disse Piper, e sentì parte della tensione nelle sue ossa allentarsi.
Dirlo ad alta voce le fece sentire il cuore meno pesante.
Jason la guardò, e sembrò capire.
-Ma se può davvero uccidere qualunque cosa semplicemente usando il suo stesso sangue… - provò a dire con incertezza.
Piper sorrise amaramente: -So cosa stai pensando, l’ho chiesto anche io. Ma Annabeth dice che è una parte del suo potere che perfino Percy teme. Per riuscire a fare una cosa simile deve perdere il controllo sulla sua energia, e lasciare che il suo potere dilaghi senza freni. –
Jason la abbracciò, e si chiese cosa fosse successo a quel ragazzo per sbloccare in lui un potere così pericoloso e distruttivo.
-Hai paura di lui? – chiese Jason.
Piper scosse energicamente la testa contro al suo petto: -No. È un buon amico. E non possiamo permetterci diffidenze tra di noi. –
Jason annuì. Anche lui sapeva che lui e Percy sarebbero potuti diventare veramente amici.
-Ci hai salvati tutti Piper. Dovresti essere orgogliosa di te, tanto quanto lo sono io. –
   
 
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