Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: Juliet8198    11/05/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
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-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"È Park Jimin." 

 

Era senza dubbio lui. Quegli occhi carichi di fuoco e pioggia, quel volto dai lineamenti dolci ma decisi e quella bocca voluttuosa li avrebbe riconosciuti ovunque. L'eccezionale vocalist dei BTS aveva una fisionomia troppo unica per poter essere confondibile. 

 

"Ma che cavolo, sono un'ARMY! Come ho fatto a non accorgermene? Era palesemente lui, anche con la maschera! Che diavolo sta succedendo?" 

 

-Sì, sono Park Jimin. E tu sei?- 

 

La voce del ragazzo la raggiunse accarezzandole le orecchie ma schiaffeggiando la sua mente, ancora incredula per la stupidità della situazione. Rimase qualche istante con la bocca leggermente aperta, cercando di fare ordine nel suo cervello.

 

"Chiudi quella fogna, ti ci entrano le mosche." 

 

Serrando le labbra di scatto, distolse gli occhi da quelli di lui e prese a studiare li arabeschi della carta da parati. 

 

-Chang Jein.- pronunciò velocemente, mangiandosi le lettere. 

 

Il suo interlocutore, allora, fece un passo avanti e piazzò il suo viso proprio davanti all'interessante visuale della ragazza. Sbattè le palpebre freneticamente, cercando di risultare impassibile, mentre un sorrisetto iniziava ad incurvare un angolo della bocca del suo seduttivo accompagnatore. 

 

-Ebbene, Chang Jein-ssi*...- iniziò  il ragazzo facendo scivolare la sua pallida mano su quella di lei -...se siamo entrambi padroni di questo sogno, come la mettiamo?- 

 

Quando ebbe terminato di pronunciare la domanda, Jein alzò un sopracciglio e gli rivolse un'espressione scettica. 

 

"La mettiamo che tra un po' mi sveglierò e tu sparirai." 

 

Aprì la bocca per dare forma ai suoi pensieri, quando fu interrotta da uno scoppio. Il rumore, simile ad un'esplosione lontana, riverberò nella stanza vuota e i timidi vetri delle finestre tremarono leggermente al suo cospetto. Istintivamente si girò verso Jimin, che la fissava con un interrogativo inespresso negli occhi. 

 

"Sei stata tu?" 

 

No, non era stata lei. E non era neppure la causa degli altri tre scoppi che riempirono subito dopo la stanza, ormai fredda a causa della mancanza di abitanti. Di tacito accordo, i due ragazzi si voltarono avvicinandosi alle imponenti porte finestre che davano sull'esterno. Quelle, come le porte del salone, si aprirono da sole, servendo una vista su un giardino di cui non si riusciva a scorgere il confine. Quando la mano di Jimin la incitò docilmente a proseguire, si affacciarono al bancone di pietra sospeso su un folto cespuglio di rose selvatiche. 

 

Gli occhi di Jein presero a studiare l'intricato labirinto creato dai cespugli, che ergevano imponenti muri di verde e convogliavano al centro in una fontana. La sua attenzione indugiò sulla statua di una donna dai tratti fastidiosamente famigliari che, piegata su se stessa, spendeva lacrime infinite che si raccoglievano nel bacino ai suoi piedi. Per qualche motivo, quella vista le strinse lo stomaco e le provocò un vago senso di sofferenza nei recessi della sua coscienza. Il dolore nei suoi occhi e nelle sue rughe appena accennate insieme alla disperazione delle sue mani, ancorate alle sue spalle nel tentativo di racimolare un briciolo di calore e serenità, sembravano parlare direttamente a lei, sua unica spettatrice. Un senso di nausea le stuzzicò la gola, ma non ne comprese il motivo. 

 

 

-Guarda.- 

 

Jimin la strappò dalla sua silenziosa contemplazione sfiorandole leggermente la mano e facendole sollevare lo sguardo sul cielo notturno, dello stesso colore del suo abito. In quella tela scura, comparve improvvisamente un fiore di fuoco, che esplose con lo stesso scoppio che avevano sentito in precedenza e fece scivolare le sue ceneri sopra la linea dell'orizzonte. 

 

-Fuochi d'artificio.- disse lei semplicemente. 

 

-Già.- replicò il ragazzo. 

 

-Vediamo se...- 

 

Lo spazio vuoto lasciato da quelle parole inespresse fu colmato poco dopo da una nuova esplosione nel cielo. Questa volta, al posto di un fiore, comparve una scritta netta e perfettamente leggibile, che lasciò dietro di sé una striscia di fumo che ne imitava la forma. Jimin. 

 

Il ragazzo si voltò verso di lei con un'espressione curiosa, quasi come se desiderasse vederla impressionata, e prese a dondolarsi sulle piante dei piedi come un bambino. 

 

-Allora? Chi è il padrone di questo sogno?- 

 

Jein lo  guardò alzando nuovamente il sopracciglio con scetticismo e studiando la soddisfazione che trasudava dai suoi occhi e dalla smorfia della sua bocca. Senza accorgersene, si ritrovò ad emettere uno sbuffo divertito. 

 

"Va bene. Vuoi la guerra?" 

 

Quando riportò lo sguardo sul cielo, le bastò pensare a ciò che desiderava e questo prontamente apparì illuminando i loro visi. Non appena le luci esplosero prendendo i contorni del volto di Jimin e delineando la stessa espressione che le aveva mostrato qualche istante prima, la ragazza vide il suo sguardo mutare da giocoso a stupito. Le stelle di fuoco che illuminavano i suoi occhi si spensero e lui si voltò per osservarla con circospezione, ricevendo un'occhiata derisoria. 

 

"Dilettante." 

 

Il ragazzo, che non sembrava soddisfatto, riportò lo sguardo davanti a sé con determinazione. Nel giro di un secondo, una nuova esplosione nacque di fronte ai due e sembrò volere imitare il viso di lei, caratterizzato da un'espressione fiera. Impaziente, Jimin si girò verso la ragazza per studiare la sua reazione. 

 

-Allora?- 

 

Alla sua domanda, lei alzò semplicemente le spalle. 

 

-Allora cosa?-

 

"Continui ad essere uno scherzo della mia mente." 

 

Le spalle di Jimin si abbassarono sotto il peso della sua delusione dopo aver visto che lei era irremovibile e un piccolo broncio fece capolino dalle sue labbra. Davanti a quell'espressione così buffa e infantile dipinta su un viso tanto elegante, Jein non poté trattenere una risatina divertita, che mascherò voltando la testa dalla parte opposta. Dopo qualche istante di silenzio, sentì la sua mano venire afferrata con determinata gentilezza e alzando lo sguardo, incontrò una giocosa dichiarazione di guerra in quello di Jimin. 

 

-E va bene allora.- 

 

Senza aggiungere altro, la trascinò dietro di sé riportandola alle porte finestre da cui erano usciti in precedenza. Al posto di incontrare alte vetrate incorniciate d'oro però, si trovarono di fronte due semplici e piccole porte basculanti in legno. Lei piegò leggermente la testa confusa, ma il suo accompagnatore si fece prontamente avanti spalancando le porte con entrambe le mani e abbracciando l'ambiente che si presentò davanti a loro. Quando alle orecchie della ragazza giunsero le note di una salsa vivace spalancò gli occhi, inorridita. 

 

La scena che le si aprì dinnanzi presentava una sala assai più piccola rispetto al salone da ballo di cui aveva preso il posto, ma ancora più gremita di gente. Queste scivolavano sul parquet consunto facendo ticchettare le scarpe da ballo e volteggiando sensualmente strette fra le braccia del partner. 

 

"Non è possibile." 

 

Continuava a fissare la scena scioccata e incredula, cercando di ignorare l'insistente tromba che le perforava i timpani. 

 

"Io odio la musica latina. Odio i balli latini. Perché sono nel mio sogno?"

 

Desiderò ardentemente che sparissero ma, con sua grande delusione, così non fu. Invece, i ballerini proseguirono imperterriti nella loro danza sfrenata, totalmente indifferenti alla loro presenza. Sentendo uno sguardo insistente su di sé, Jein si voltò e puntò gli occhi su Jimin. Lui, con un sorrisetto furbo sulle labbra attendeva impazientemente una sua reazione. 

 

"Ok. Devo ammettere che c'è qualcosa di strano." 

 

-Ebbene?- 

 

La domanda di Jimin fu accompagnata dalla sparizione del sua abito elegante, che si plasmò prendendo la forma di un paio di pantaloni attillati, molto attillati, e una camicia bianca con qualche fronzolo sul petto. Con uno sbuffo, la giovane incrociò le braccia sotto al seno e contemplò il tacito invito del suo accompagnatore, che la guardava con aspettativa. 

 

-Avanti, lasciati andare.- disse lui, riuscendo a sovrastare a malapena la musica. 

 

Jein strinse le labbra, cercando di nascondere l'irritazione, e  alzò gli occhi al cielo. Al suo comando, le morbide onde del suo vestito si ritirarono accorciandosi fino al ginocchio e trasformandosi in piccole balze. Il blu della stoffa si accese in un tramonto rosso che le raggiunse le spalle e le raccolse i capelli. Jimin la fissò per un istante con un'espressione indecifrabile negli occhi prima di allungare la mano verso di lei. Quando la afferrò, lasciandosi condurre al centro della pista, sentì una fastidiosa sensazione che le stuzzicava la mente dalla prima volta che aveva accettato il suo invito. Quella mano, per qualche motivo, le dava un senso di estraneità che non riusciva a spiegare. 

 

 

Jimin era come il vento che ondeggiava fra le fronde degli alberi. Era come un fiume che zigzagava fra i massi nel suo letto. Il suo corpo era acqua che scivolava indomabile sulle note della musica, le sue mani erano aria che la afferrava leggera e la faceva volare. Il fastidio causato dalle note ripetitive della salsa passò nell'istante stesso in cui il ragazzo iniziò a ballare, trascinando il corpo di lei in quella bellissima follia. Da quando i suoi piedi avevano preso il comando, i suoi occhi non la avevano lasciata per un istante. Le coppie che si agitavano intorno a i due presero a sbiadire nei contorni della sua visuale. In quel momento, esisteva solo lui. Una bellissima stella che brillava più di quanto potesse immaginare. 

 

Dopo un tempo indefinito, si avvicinarono ad un bancone e iniziarono a bere un liquido dal colore scuro in due bicchieri già presenti davanti a loro. Doveva essere scotch o rum, ma Jein non aveva mai bevuto quelle bevande in vita sua e in generale non apprezzava particolarmente l'alcol, perciò quando il liquido scuro toccò le sue papille gustative assunse le note dolci del caramello. 

 

-Allora...- iniziò Jimin, nascondendo la bocca con una sorsata. 

 

-Allora?- chiese lei osservandolo di traverso. 

 

-Ti ho portato in un posto creato da me.- disse, osservandola con attenzione. 

 

Dopo un istante in cui i loro occhi si studiarono, la ragazza appoggiò rumorosamente il bicchiere sul bancone. 

 

-E va bene, ammetto che questo sogno ha qualcosa di strano.- 

 

Dopo aver affermato ciò, si alzò e prese la mano del giovane, come aveva fatto lui in precedenza. 

 

-Ma adesso sarò io a dirigere i giochi.- 

 

Voltandosi dopo aver intravisto un'espressione confusa sul volto di lui, prese la direttiva e si avvicinò alle porte basculanti  che li avevano condotti lì. Cercò qualcosa nei recessi della sua memoria che avrebbe potuto aiutarla a decidere dove andare, ma sembrava che la sua mente fosse priva di idee. Perciò, senza riflettere, aprì le porte e si affacciò sulla scena che le si propose davanti.

 

 

*-ssi: onorifico formale generalmente tradotto in signore o signora.

   
 
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