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Autore: ShanaStoryteller    11/05/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Orfeo e Euridice e Ares e Ade
 


La prima volta che sentì Orfeo fu quando Ares venne da lui, in primavera, quando sua moglie non c’era. Ares veniva da lui solo quando sua moglie non c’era.

“Apollo ha un figlio.” Disse, gli occhi scuri che scrutavano i dintorni come se qualcosa lo stesse inseguendo. C’era sempre qualcosa che inseguiva il dio della guerra, e molti di loro ora risiedevano nel regno di Ade. Per quanto avesse tentato di rassicurare Ares del fatto che fosse al sicuro lì, non gli aveva creduto.

“Apollo ha molti figli.” Rispose, brusco. Allungò la mano e gli poggiò due dita sotto il mento, osservando il pallore osseo della sua pelle contro quella ramata del dio più giovane, e deglutì. “Sembri stanco.” Aveva due lividi violacei a mezzaluna scavati sotto gli occhi.

Ares non si scostò dal suo tocco, ma non vi ci si appoggiò nemmeno. “Io…” Finalmente incontrò il suo sguardo e Ade sorrise, benevolo. Le labbra di Ares ebbero un fremito, come se avesse voluto rispondergli allo stesso modo, ma non avesse potuto. “Non ho dormito. C’è una guerra a Est e mi invocano da settimane. Penso di doverci andare.”

Lo sapeva. Ogni giorno il suo regno accoglieva centinaia di nuove persone. Thanatos e Caronte non dormivano da settimane. Nemmeno lui, per quel che importava.

“Da cosa ti camufferai questa volta?” Mormorò. “Un altro generale?”

Fu la cosa sbagliata da dire. Lo sguardo di Ares si fece incredibilmente distante e la sua pelle assunse un colorito grigio e malato. Le sue mani non tremavano, dunque Ade non aveva motivo per prenderle tra le sue. Non riusciva a decidersi se la cosa lo deludesse o meno. “No. Io… no. Solo da soldato semplice. Provo meno rimorso. Meno… meno. Solo meno, a quel modo.”

Meno incubi, meno paura, meno sangue sulle mani. Meno di quel costante furore per la battaglia a cui non poteva sfuggire che lo teneva in vita, ma che gli impediva di dormire, anche nei giorni migliori. Quando Zeus aveva proclamato suo figlio dio della guerra, forse non era questo che aveva in mente.

Ade sperava che non lo fosse, perlomeno.

“Fai attenzione.” Disse, e Ares ebbe un fremito.

Afferrò il polso di Ade prima di andarsene, però, e lo strinse così forte da spezzarlo, se Ade fosse stato un uomo mortale.

Almeno quello.


 



Persefone non indossava il rosso sgargiante che la distingueva in qualità di regina degli Inferi, ma un verde tenue che la definiva figlia della primavera. Era seduta su una roccia liscia nel bel mezzo del mare, con i suoi capelli rosso scuro che le sfioravano le spalle nude. Era l’ultimo giorno d’estate. Sarebbe tornata a casa l’indomani.

Demetra non tentava più di tenere la figlia a sé come prima. Ora si accontentava di tenerla lontana da Ade.

“Hai aspettato a lungo?” Le chiese all’orecchio una voce come di onde lambenti, e Anfitrite si sedette alle sue spalle. Le posò un bacio sulla spalla e i suoi lunghi capelli verdi caddero a cascata lungo il petto di Persefone, confondendosi con la sua veste.

Lei inclinò la testa, lasciando che Anfitrite le posasse una serie di baci salati lungo il collo. “No. Hai avuto difficoltà a sfuggire a tuo marito?”

Lei sbuffò. “Io non gli sfuggo.”

“Avevi detto che avevi notizie da mio marito.” Le ricordò Persefone, rifiutandosi di farsi distrarre. Non ancora.

“Su, non da.” Usò uno dei suoi artigli per tagliare il retro del vestito di Persefone. Le cadde fino ai fianchi. “Si fanno la guerra da mesi. Una cosa sanguinosa e terribile. E si dice che Ares sia stato nel regno di Ade. La gente dice che Ares manda morti a tuo marito come tributo.”

La gente era stupida. Dopotutto, a lei Ares piaceva. Non le dispiaceva che facesse visita a suo marito; avrebbe solo desiderato che facesse visita anche a lei. “È tutto?”

Anfitrite alzò le spalle e le morse l’orecchio. “Non verresti nel mare con me? Nel mio palazzo ci sono molti luoghi più comodi di questa roccia.”

Si lasciò cadere all’indietro, trascinando Anfitrite con lei, e non le rispose.

Non era Poseidone. Non dimenticava che Anfitrite possedeva, ma non era da possedere, e non osava seguire la personificazione del mare stesso nel suo regno.

Anfitrite l’amava. Avrebbe potuto non restituirla.

Persefone non era nemmeno Elena. Non avrebbe scatenato nessuna guerra.


 



Thanatos, il ragazzo che Ade ancora chiamava Icaro, era seduto con la testa tra le mani. Ade allungò la mano e gliela passò con fare assente sulla schiena, pensando non per la prima volta che doveva essere stato magnifico da vedere con le sue ali dorate, in quel glorioso momento prima della caduta. “Persefone dovrebbe attraversare il fiume a breve. Non andresti ad aspettarla?”

“So cosa stai facendo,” disse, la voce ovattata, “la può riportare Stige. O potrebbe arrivare a piedi, visto che non c’è niente in questo regno che sia stupido abbastanza da attaccarla.”

Ade si sporse verso di lui e gli premette un bacio sulla parte alta della schiena. “Le piace quando ci sei per aiutarla a scendere dalla barca. Per favore?”

Icaro si voltò e gli rivolse uno sguardo truce. Ade lo baciò sotto il suo occhio sinistro, lasciando che le labbra esitassero su quella pelle delicata. “La stai tradendo,” lo accusò, le guance arrossate, “questo è tradire.”

“Smetti di lavorare per un paio d’ore e vai ad accogliere mia moglie.” Gli ordinò dolcemente. “Le orde di morti sconvolti saranno ancora qui al tuo ritorno.”

Icaro gli diede ascolto, finalmente, e si incamminò verso il fiume.

Ade riportò lo sguardo sulla mappa. Il problema con i morti era che non andavano mai da nessuna parte, dunque il suo regno diventava sempre più grande. Se continuava a quel modo, avrebbe avuto bisogno di Ecate perché potessero erigere insieme un’altra città.

Sentì una spinta nell’aria e sobbalzò. Nessuno entrava nel suo regno senza permesso, ma riconobbe il profilo della persona che tentava di entravi a forza, e glielo permise. Ares ruzzolò dal nulla, finendo tra le sue braccia. Era ricoperto di sangue, i lunghi capelli neri ne erano pregni.

“Non è tuo, immagino.” Gli chiese, afferrandogli gli avambracci. Era talmente teso che quasi vibrava.

Vorrei che fosse mio.” Disse, con una voce a metà tra un urlo e un singhiozzo. Ade desiderò che quella fosse la prima volta che Ares arrivava da lui in quello stato.

Ares gli avvolse le braccia intorno al collo e lo trascinò verso il basso, facendoli cadere entrambi al suolo con la sua foga. Premette la sua bocca contro quella di Ade, viscida e dal sapore di zolfo e metallo. “Devo tornare tra poco,” boccheggiò, trascinando le labbra lungo la linea della mandibola di Ade, “invocano il mio nome. Distraimi fino ad allora.”

Mancavano ancora ore perché Persefone tornasse a casa e non glielo avrebbe comunque negato. “Va bene.” Sussurrò, e quando invertì le loro posizioni non si trovavano più nel suo studio ma nel suo letto. Ares si tese e lottò per alzarsi verso Ade, ma questi afferrò i polsi del giovane dio e lo inchiodò al letto. “Non preoccuparti.” Disse, e l’intero corpo di Ares riluceva di rosso, di sangue che non era il suo. “Mi prenderò cura di te.”

Ares si rilassò appena al suo tocco.

Se lo sarebbe fatto andare bene.
 

 
Capì che Ares era stato in quel luogo prima ancora di mettere piede a palazzo e ne ebbe la conferma quando entrò nella sua camera da letto trovandovi suo marito nudo nel loro letto, coperto di sangue.

“Come sta?” Gli chiese, e lui si riscosse poiché era così preso dai suoi pensieri che non si era accorto di lei.

“Persefone.” La salutò e il suo volto si addolcì, mettendosi a sedere. Le porse una mano e lei non esitò, facendo scivolare al suolo il suo mantello e salendo sul letto per raggiungerlo. Si rimboccò la veste e gli cinse la vita con le cosce, passandogli le braccia dietro al collo. Lo baciò lentamente, passando la lingua nei punti in cui Ares gli aveva morso le labbra. “Mi sei mancata.”

Lei rollò i fianchi e si godette il modo in cui le mani di lui si strinsero attorno alle sue cosce. “Anche tu mi sei mancato, marito.”

Pulì il sangue mortale sulla sua pelle con i suoi baci e cercò di non preoccuparsi eccessivamente per l’uomo che l’aveva lasciato.

Era sopravvissuto a ogni battaglia dalla sua nascita, sarebbe sopravvissuto anche a quella.


 



Afrodite entrò nel suo regno, i capelli acconciati sulla testa e tenuti insieme da spille di rame a forma di fiori delicati. “Apollo ha un figlio,” Disse, mordendosi il labbro.

Lui e Persefone si scambiarono un’occhiata prima che Ade dicesse: “Apollo ha molti figli.” Aveva come la sensazione di aver già affrontato quella conversazione.

Lei sollevò le labbra in un mezzo sorriso: “Questo è diverso. Suona la lira, la suona perfino meglio di suo padre. La suona così bene che… che si dice che possa calmare qualunque fiera e addormentarla. E,” aggiunse, ancora più piano, “che perfino Ares ne tragga beneficio.”

“Perché ce lo dici?” Le chiese Persefone con freddezza. Ade posò una mano sulle sue.

A loro piaceva Afrodite, dopotutto.

“Perché so che Ares tiene a Ade,” il suo sguardo si posò su di lui, “e penso che anche Ade tenga a lui. Io… io non ho potuto accettare la sua proposta di matrimonio. Il mio amore non era la pace che sperava di trovare. Ma gli auguro il meglio.”

“Non possiamo né rapire né uccidere un figlio di Apollo.” Disse Persefone. Ade si sentì in obbligo di aggiungere che non avrebbero neanche dovuto volerlo, ma capiva che era una di quelle situazioni che gli sarebbe presto sfuggita di mano, se non era ancora successo.

Afrodite sollevò una mano per pettinarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio per poi abbassarla quando si rese conto che teneva i suoi capelli raccolti. “Ama una donna mortale, Euridice. Se lei dovesse morire, uscirebbe di senno per il dolore. Abbastanza da togliersi addirittura la sua stessa vita.”

“Ma davvero.” Disse Persefone in tono piatto.

Afrodite continuò: “Così diventerebbe un suddito del tuo regno. Potresti obbligarlo ad aiutare Ares, non è vero?”

“Ho sudditi, non schiavi,” disse, “non posso costringerlo.”

Persefone gli posò una mano sul braccio, gli occhi luminosi. “Ho un’idea migliore.”


 



Il piano di Afrodite era buono, ma quello di Persefone era migliore. Più furbo. Lasciava meno possibilità ad Apollo di adirarsi con loro, poiché era con la sua raccomandazione che suo figlio veniva da loro. Nonostante Apollo tenesse troppo alle sue membra per osare adirarla in ogni caso.

Orfeo stava negoziando con suo marito, a cui aveva dato istruzioni precise: Orfeo doveva accettare di suonare nel loro cortile per l’eternità se avesse fallito. Nemmeno Ade l’avrebbe fermata, anche se avrebbe voluto, anche se non era del tutto convinto di quel piano.

Quando l’aveva sposato, sapeva che aveva il cuore fin troppo tenero e questo andava a suo discapito. Era una delle ragioni per cui l’aveva sposato, dopotutto.

Si limitò a camminare intorno alla ragazza per cui il semidio era disposto a rischiare così tanto. Era abbastanza bella, ma banale, e non aveva talenti particolari né era dotata di grande arguzia. “Che cosa ti rende così speciale?” Le chiese quando appurò che aveva di fronte nient’altro che una normale giovane.

Euridice sorrise, ed era molto più carina a quel modo. “Mi ama.” Le rispose, arrossendo. Esitò, ma chiese: “Lascerete davvero che mi riporti indietro?”

“Fintantoché rispetterà i patti, fintantoché lascerà gli Inferi senza voltarsi per guardarti, sarai libera di seguirlo e di fare ritorno al mondo dei vivi.” Le confermò, ma sapeva che non sarebbe mai accaduto.

Orfeo l’amava troppo per rischiare di andarsene senza di lei e il dubbio avrebbe avuto la meglio sulla speranza. Si sarebbe voltato, rimanendo prigioniero negli Inferi per l’eternità.

 
 


La finestra di una delle stanze libere era aperta e lasciava entrare una musica stupenda. Ade era seduto al bordo del letto e allungò una mano per carezzare la guancia di Ares con il retro delle dita.

La guerra infuriava ancora. Le guerre infuriavano sempre. Eppure, Ares dormiva e le sue occhiaie si facevano meno scure a ogni giorno che passava.

Si voltò verso Ade, desiderando il suo tocco anche nel sonno. Ade esitò, ma il suo reame ora era abbastanza stabile. Si infilò sotto le lenzuola e Ares si accoccolò quasi subito al suo fianco, intrecciando insieme le loro gambe, appoggiando la testa sul suo petto. Ade poteva sentire il suo respiro umido sullo sterno.

Ci sarebbe sempre stata un’altra guerra e Ares non poteva restare. Ma per ora dormiva beatamente tra le sue braccia e se lo sarebbe fatto andare bene.


 

 

Persefone sedeva nel suo giardino in cortile, ascoltando la stessa stupenda canzone.

“Questa è la mia preferita.” Disse Euridice con un sorriso, seduta al suo fianco.

Rivolse uno sguardo a Orfeo, che sorrideva mentre si esibiva in una canzone d’amore per la sua adorata moglie. Alle sue spalle, in un angolo del cortile, si trovava la capanna dove vivevano lui ed Euridice.

“Anche la mia.” Disse lei.

Ade aveva il cuore troppo tenero e questo andava a suo discapito. Lo sapeva quando l’aveva sposato.




Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuta!

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