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Autore: ONLYKORINE    11/05/2020    4 recensioni
Allison deve lavorare al progetto per la Sunfun in tre giorni. E dovrebbe farlo con Joe, ma lei pensa che Joe sia come gli altri dello studio, che lasciano a lei tutto il lavoro. Invece Joe è molto carino e quando lei si ammala decide di presentarsi a casa sua per lavorare insieme.
Doveva essere una Os per un concorso su traccia... ma vabbè, questa è un'altra storia... :-)
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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01. Quando sei sola

Quando sei sola e ti viene l’influenza

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Allison starnutì per l’ennesima volta e si soffiò il naso: influenza. Le era venuta l’influenza. A lei, che non si ammalava mai. Che l’ultima volta che era successo era probabilmente ancora un’adolescente in casa con i suoi.

Si guardò intorno nel minuscolo appartamento e poi riguardò il termometro: trentotto. Trentotto di febbre. Cosa si faceva con la febbre? Telefonò alla madre e questa, dalla città vicina, le disse di prendere un antipiretico, di chiamare il dottore il giorno dopo, di stare al caldo e di non andare al lavoro.

Il lavoro! Allison si colpì la fronte con la mano. Il giorno dopo doveva per forza andare al lavoro, non poteva non presentarsi, in quanto aveva preso l’impegno con la Sunfun e doveva portarlo a termine entro quel venerdì. Avrebbe telefonato allo studio e avrebbe gestito il tutto da casa. Ma lo avrebbe fatto il giorno dopo, in quel momento voleva solo mettersi a dormire. Si sentiva stanca e aveva un gran freddo.

***

Il giorno dopo aveva ancora la febbre e telefonò al medico.

Il dottore le consigliò di rimanere a casa, ma il suo capo le disse che doveva assolutamente finire il progetto per la Sunfun, in quanto ci sarebbe stato l’incontro con i dirigenti tre giorni dopo. Le ricordò anche che il nuovo assunto, Parker, doveva lavorare in coppia con lei.

Allison sbuffò al telefono ma senza farsi sentire. I suoi colleghi odiavano lavorare con lei e la sceglievano solo quando non volevano lavorare: lei faceva il lavoro per tutti ed erano a posto così. Erano tutti degli scansafatiche, soprattutto quelli giovani: ragazzini usciti da poco da sotto la gonna delle maestre che non sapevano come funzionasse veramente la vita. Alla fine lei ignorava loro e loro ignoravano lei.

Allison non era bella, né slanciata e non si vestiva come le centraliniste dell’azienda quindi, a quei ragazzotti, lei non interessava; erano impegnati ad appagare più gli occhi che il cervello. Ma d’altronde la cosa era reciproca e alla ragazza stava bene così. Probabilmente anche Parker era uno di loro. Un neolaureato che l’unica cosa che voleva fare era divertirsi.

“Allora va bene se facciamo così?” le chiese Bill Young, il capoufficio.

Come? Allison dovette tornare alla realtà, si era persa nei suoi pensieri.

“Come facciamo?” Cercò di salvarsi per non ammettere che non lo stava ascoltando.

“Do il tuo numero a Joe. Così vi mettete d’accordo su come fare il progetto” dichiarò frettolosamente l’uomo.

“A chi?”

“Joe. Joe Parker. Ne abbiamo appena parlato… Sicura di poterlo fare?”

Oh, sì. Parker. Si chiamava Joe? Allison fece finta di niente e rassicurò Bill sul fatto che avesse solo un po’ di febbre.

“Le altre volte che hai lavorato con qualcuno, come avete fatto?”

“Ehm… Di solito lavoravamo in ufficio” rispose Allison, esitando. Di solito lei faceva il lavoro e aggiornava gli altri la mattina della presentazione.

“Stavolta dovete mettervi d’accordo e fare qualcosa. Non ho nessun altro libero per sostituirti. Farete del telelavoro o qualcosa del genere. L’importante è che non mi fate fare figure di merda con il cliente.”

“Ok. Ti prometto che non faremo brutte figure. E dai il mio numero al novellino. Non c’è problema” acconsentì alla fine la ragazza.

Allison aveva ventisei anni, ma lavorava in quell’agenzia da quattro anni. Era ormai considerata una veterana dagli stagisti e dai nuovi arrivati, che non la contraddicevano mai e non lo avrebbe fatto neanche il novellino.

La testa le faceva male, avrebbe chiuso gli occhi solo qualche minuto prima di accendere il pc, poi avrebbe iniziato a lavorare. Quando dopo venti minuti le arrivò un messaggio da un numero sconosciuto, si rese conto di essersi addormentata, perché si svegliò di soprassalto.

Guardò il display e sbloccò lo schermo. Parker, il novellino, le scriveva chiedendo come stesse. Ma davvero? Come se gli interessasse. Gli rispose velocemente, dicendo che aveva l’influenza.

Il messaggio successivo la fece sorridere di un ghigno strano e socchiudere gli occhi. Lui le chiedeva se avesse bisogno di qualcosa. Oh, faceva il finto carino. Fantastico. Gli scrisse che voleva solo dormire e pensò che sarebbe finita, ma ricevette un altro messaggio.

Lui si rendeva disponibile a portarle a casa tutti gli appunti sulla Sunfun e a buttare giù una bozza della presentazione. Allison si toccò la fronte. Quando avrebbe iniziato a fare effetto l’antipiretico? Scrisse un messaggio frettoloso in cui spiegava che non c’era bisogno e lei aveva tutto sotto controllo, ma poco dopo il telefono suonò per una chiamata.

“Sì?” rispose la ragazza, non riconoscendo il numero.

“Stai bene?” Riconobbe la voce di Parker e sbuffò. Ma cosa aveva quel ragazzo? Gli rispose un po’ in malo modo e lui si scusò, dicendo di aver ricevuto un messaggio incomprensibile e quindi voleva solo assicurarsi che fosse tutto a posto.

Allison sospirò e gli disse soltanto di aver bisogno di riposare. Gli spiegò che avrebbe fatto il lavoro lei e che aveva tutto il materiale sulla Sunfun nel pc di casa visto che lavorava spesso dalla sua abitazione. Lui rimase zitto e poi balbettò qualcosa su un incontro avvenuto quella mattina. Come, come?

“Cos’è successo stamattina?”

“Quelli della Sunfun sono venuti stamattina e hanno dato altre disposizioni. Io… ho preso appunti…”

La testa le stava scoppiando. Voleva dormire e non dover parlare al telefono con quel ragazzino. “Ascolta, dammi due ore. Appena le medicine faranno effetto, ti chiamo e mi detti tutto. Poi preparerò qualcosa e…”

“Ti detto? E come facciamo per la presentazione?” La voce di Parker era stupita.

“Perché, la vuoi fare insieme?”

“No? Ci hanno detto…”

“Senti, Parker, so cosa ci hanno detto. Ma di solito, chi sceglie di lavorare con me, non vuole lavorare e fa fare a me il lavoro, quindi…”

Ma il ragazzo la interruppe. “Io non voglio che lo faccia tu!”

Allison spalancò la bocca. “Davvero?”

“Pensavo lo facessimo insieme... Anzi, ho già buttato giù una scaletta… Cioè, io so che non è il massimo, è da perfezionare... Ma pensavo…”

“Ok, ok. Parker, fermati. Va bene. Sicuramente in questo stato un po’ di aiuto non mi guasta. Possiamo collegarci e lavorare in smart, o qualcos’altro, ma non adesso. Dammi due ore. Fra due ore ascolterò tutto quello che avrai da dirmi, ok? Ma adesso ho ancora la febbre e sono stanca.”

Allison sentiva gli occhi chiudersi e l’ultima cosa di cui avesse voglia in quel momento era discutere con qualcuno di qualunque cosa.

“Perfetto. Due ore e sono lì. Riposati.”

Quando si rese conto che aveva riagganciato, Allison rimase con la bocca aperta. ‘Sono lì’, dove? Che intendeva? Lo schermo del telefono tornò sulla chat dei messaggi e notò che effettivamente il suo ultimo messaggio era proprio incomprensibile. Parker aveva ragione. Sorrise, prima che gli occhi le si chiudessero da soli.

***

Il suono del campanello la svegliò di soprassalto. Allison si guardò intorno come se dovesse capire dove si trovasse e si tirò su dal letto. Il campanello suonò ancora. Strinse gli occhi e si alzò per andare ad aprire e, quando arrivò alla porta, guardò dallo spioncino: un ragazzo aspettava impaziente sullo zerbino e non stava fermo.

“Chi è?” chiese, prima di aprire; lui era girato e non riusciva a capire chi potesse essere.

“Sono Joe. Cioè… Sono Parker, sì… Joe Parker, dello studio…” Il ragazzo balbettò e Allison quasi rise a sentire la sua incertezza. Aprì la porta.

“Scusa il ritardo…” iniziò, ma si interruppe quando lei chiese nello stesso momento: “Che ci fai qui?”

La ragazza si sentì sotto esame quando lui non disse niente e la osservò; si era alzata dal letto ed era andata ad aprire senza neanche guardarsi allo specchio. Sentì le guance arrossarsi e loro rimasero lì a guardarsi in imbarazzo, senza dire niente.

Quando la sua vicina aprì la porta per uscire dall’abitazione, Allison si riscosse e si spostò per farlo passare. Notò con piacere che Parker si pulì le scarpe prima di entrare e disse: “Permesso”, prima di mettere piede in casa.

“Che ci fai qui?” richiese lei, mentre lo guardava appoggiare tutte le cose che aveva in mano sul tavolino che c’era nel soggiorno. Ma quanta roba aveva portato?

 “Hai mangiato?” le chiese invece lui, ignorando la sua domanda. “Ti ho portato del brodo di carne. Mia madre dice che è miracoloso…”

“Mangiato? Tua madre? Scusa mi sa che non…” disse Allison osservando tutto quello che lui stava tirando fuori dalle borse: contenitori di cibo, vasetti e materiale di cartoleria. Tanto materiale di cartoleria: cartoncini, pennarelli, post-it, evidenziatori, graffette, blocchetti e matite e penne in grande quantità.

“Sì, hai ragione, ho fatto tardi perché in studio mi hanno obbligato… Ehi… Ma ti ho svegliato? Hai dormito fino a ora?”

“Perché? Che ore sono?” chiese Allison guardando l’orologio appeso alla parete. Mentre realizzava che fossero già le due di pomeriggio, sentì il suo stomaco brontolare e si sentì di nuovo le guance rosse. Aveva dormito tutta la mattina? Non le era mai successo.

Parker, le spiegò che in ufficio lo avevano subissato di richieste e non era riuscito a passare da lei a metà mattina. Poi, quando era uscito, era passato da casa a prendere il brodo e un vasetto di miele, che le fece vedere, dicendole che quando lui aveva l’influenza era così che la curava.

La ragazza scosse le spalle. “Io uso le medicine”. Il ragazzo si mise le mani in tasca e rimase zitto, imbarazzato e senza saper cosa fare. Si sentì una vera maleducata.

“Ok. Va bene, scusami” disse, passandosi le mani fra i capelli. “Dammi dieci minuti. Mi… sistemo…” Allargò le braccia per indicarsi e continuò. “E iniziamo. Intanto… Grazie”. Sperò che bastasse e, velocemente, sparì in bagno.

Si guardò allo specchio mentre si lavava e si chiese ancora perché lui fosse lì. Non era mai successo. Nessuno dei suoi colleghi era mai stato così gentile. Cavolo, forse neanche nessuno dei suoi amici aveva mai osato portarle del brodo, consapevole che glielo avrebbe tirato dietro. Sorrise. Però era una cosa carina.

Quando uscì dal bagno, con una tuta pulita, sentì il profumo del brodo arrivarle alle narici e spalancò gli occhi quando vide che lui le stava scaldando il pranzo.

“Ma cosa…” iniziò, ma il ragazzo la interruppe e le disse che non avrebbero iniziato a lavorare prima che lei avesse mangiato, così ubbidì. Era strano: lui era gentile davvero. Mangiò con gusto, offrendone anche a lui, mentre lo ascoltava raccontare della sua famiglia: era cresciuto in una famiglia molto unita e con due sorelle più grandi di lui. Allison si scoprì curiosa: per la sua ragazza sarebbe stata una croce o una benedizione?

Finirono di mangiare e poi si misero al lavoro.

Parker non era male, dovette ammettere. Aveva una buona capacità di ascolto ed era bravo in quello che faceva. Aveva preso veramente appunti sulla Sunfun! E quella volta, la società di creme solari più importante della contea aveva veramente dato disposizioni particolari. Volevano delle cose impossibili secondo lei. Una pubblicità nuova. Per ogni mezzo disponibile: radio, televisione, internet e anche la possibilità di pannelli pubblicitari lungo la statale. Sarebbe stato impossibile. Impossibile riuscire a presentare tutto in tre giorni.

Per buona parte del pomeriggio trafficarono con foglietti e scarabocchi a matita, mentre uno dei cartelloni si riempiva di appunti e foglietti, scritte a pennarello e piccole figure stilizzate.

“Non ci riesco. Merda!” gridò Joe dopo sei ore di lavoro. Allison alzò lo sguardo dal cartoncino che stava imbrattando e gli andò vicino. Si erano appoggiati al tavolino basso del salotto. Nel suo bilocale non c’era molto spazio e il tavolo della cucina era troppo piccolo per la loro ingombrante creatività.

“Cosa non riesci a fare?” gli chiese quando gli fu alle spalle.

Lui sobbalzò, come se fosse sorpreso di trovarla lì. “Oh…” divenne rosso e si imbarazzò. Aveva imparato che era abbastanza timido e non si lasciava andare dicendo parolacce. “Scusa… Io…” Allison scosse le spalle e indicò il pc. “Quando sposto quest’immagine me la allinea qui da solo…” spiegò il ragazzo.

Lei si chinò su di lui, schiacciò un bottone e poi disse: “Prova ora”. Quando Parker ci riuscì, esultò con un pugno in aria e le diede una pacca sulla spalla.

“Grande!” Allison sorrise del suo gesto. Ci voleva poco a farlo contento.

Si allontanò e guardò l’orologio: doveva prendere l’antipiretico. Ormai doveva essere finito l’effetto dell’ultima pastiglia e sentiva la febbre salire. Quando lui la vide prendere le medicine si rese conto di quanto fosse tardi e si scusò.

“Salvo tutto e vado a casa, non avevo visto che fosse così tardi…” disse, salvando il file sulla chiavetta usb e iniziando a raccogliere le cose. Ehi!

“Cosa stai facendo?”

“Ehm… Finisco la presentazione a casa?” chiese, dubbioso.

“No, no. Il progetto non andrà via da qui.”

“Come?” domandò ancora lui, sempre più confuso. Allison gli spiegò che non gli avrebbe lasciato portar via il suo progetto. “Dovrò lavorarci, altrimenti non riusciremo a presentarlo, dopodomani” spiegò lui, corrugando la fronte.

“Vuoi lavorarci tu?”

“Tu hai l’influenza, non sei in…”

“Se vuoi dire che non sono in grado di farlo bene, ti tiro un pugno!” esplose lei. Parker scoppiò a ridere.

“Non mi sarei mai azzardato a dire una cosa del genere!” Rise ancora. “Intendevo che hai gli occhi lucidi per la febbre, non mi sembra il caso che tu ci lavori ancora su: dovresti riposarti”.

“Mi riposerò quando sarò morta. Non sto così male!”

“Lo dicevano, che eri una stacanovista!” esclamò il ragazzo, divertito. Allison sentì le guance andare a fuoco e si innervosì. Sicuramente dicevano di peggio. Iniziò a innervosirsi.

“Oh, lo so cosa dicono di me!”

“Cosa?” chiese lui, calmissimo.

“Che sono una stronza ed è impossibile lavorare con me. Io, carino, sono una stacanovista perché nessuno lì dentro sa fare il suo lavoro e devo costantemente parare il culo a tutti! Lo so che scelgono di lavorare con me così loro non devono fare niente!”

Parker si alzò dalla sedia e si strinse nelle spalle. “Non so quello che fanno gli altri. Ma io sono contento di essere stato assegnato a te. Sei molto in gamba e hai delle belle idee. Sai sempre come presentare al meglio le cose perché conosci i clienti e ci parli personalmente, trovo che sia istruttivo. Mi piace ascoltarti quando ragioni per farti venire un’idea. Ho imparato più da te questo pomeriggio che in tutto il tempo passato in studio!”

Oh. Allison sentì ancora il calore sulle guance, ma questa volta non era più arrabbiata. Davvero? Lui pensava che lei fosse brava? Sorrise senza rendersene conto.

“Ok. Ti lascerò lavorare al progetto. Ma qui.”

“Qui?”

“Qui. Finiamo tutto. Insieme. E venerdì lo presentiamo insieme. Anzi, potrai presentarlo tu, se lavorerai bene.”

“Davvero? Posso?” Gli occhi del ragazzo si erano spalancati. Cavolo. Neanche gli avesse detto che avrebbe passato la notte con una showgirl. Poi si pentì di averlo pensato. Annuì, togliendo lo sguardo.

“Guarda che ti faccio lavorare, però! E non sarò né gentile né accondiscendente. Dovrai sudartelo!” Lui rise. Dannazione! Non avrebbe dovuto almeno aver un po’ più paura di lei?

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