Quando
sei sola e ti viene l’influenza
Allison
starnutì per l’ennesima volta e si
soffiò il naso: influenza. Le era venuta
l’influenza. A lei, che non si ammalava mai. Che
l’ultima volta che era
successo era probabilmente ancora un’adolescente in casa con
i suoi.
Si
guardò intorno nel minuscolo appartamento e poi
riguardò il termometro:
trentotto. Trentotto di febbre. Cosa si faceva con la febbre?
Telefonò alla
madre e questa, dalla città vicina, le disse di prendere un
antipiretico, di
chiamare il dottore il giorno dopo, di stare al caldo e di non andare
al
lavoro.
Il
lavoro! Allison si colpì la fronte con la mano. Il giorno
dopo doveva per forza
andare al lavoro, non poteva non presentarsi, in quanto aveva preso
l’impegno con
la Sunfun e doveva portarlo a termine entro quel venerdì.
Avrebbe telefonato
allo studio e avrebbe gestito il tutto da casa. Ma lo avrebbe fatto il
giorno
dopo, in quel momento voleva solo mettersi a dormire. Si sentiva stanca
e aveva
un gran freddo.
***
Il
giorno dopo aveva ancora la febbre e telefonò al medico.
Il
dottore le consigliò di rimanere a casa, ma il suo capo le
disse che doveva
assolutamente finire il progetto per la Sunfun, in quanto ci sarebbe
stato
l’incontro con i dirigenti tre giorni dopo. Le
ricordò anche che il nuovo
assunto, Parker, doveva lavorare in coppia con lei.
Allison
sbuffò al telefono ma senza farsi sentire. I suoi colleghi
odiavano lavorare
con lei e la sceglievano solo quando non volevano lavorare: lei faceva
il
lavoro per tutti ed erano a posto così. Erano tutti degli
scansafatiche,
soprattutto quelli giovani: ragazzini usciti da poco da sotto la gonna
delle
maestre che non sapevano come funzionasse veramente la vita. Alla fine
lei
ignorava loro e loro ignoravano lei.
Allison
non era bella, né slanciata e non si vestiva come le
centraliniste dell’azienda
quindi, a quei ragazzotti, lei non interessava; erano impegnati ad
appagare più
gli occhi che il cervello. Ma d’altronde la cosa era
reciproca e alla ragazza
stava bene così. Probabilmente anche Parker era uno di loro.
Un neolaureato che
l’unica cosa che voleva fare era divertirsi.
“Allora
va bene se facciamo così?” le chiese Bill Young,
il capoufficio.
Come?
Allison dovette tornare alla realtà, si era persa nei suoi
pensieri.
“Come
facciamo?” Cercò di salvarsi per non ammettere che
non lo stava ascoltando.
“Do
il tuo numero a Joe. Così vi mettete d’accordo su
come fare il progetto”
dichiarò frettolosamente l’uomo.
“A
chi?”
“Joe.
Joe Parker. Ne abbiamo appena parlato… Sicura di poterlo
fare?”
Oh,
sì. Parker. Si chiamava Joe? Allison fece finta di niente e
rassicurò Bill sul
fatto che avesse solo un po’ di febbre.
“Le
altre volte che hai lavorato con qualcuno, come avete fatto?”
“Ehm…
Di solito lavoravamo in ufficio” rispose Allison, esitando.
Di solito lei
faceva il lavoro e aggiornava gli altri la mattina della presentazione.
“Stavolta
dovete mettervi d’accordo e fare qualcosa. Non ho nessun
altro libero per
sostituirti. Farete del telelavoro o qualcosa del genere.
L’importante è che
non mi fate fare figure di merda con il cliente.”
“Ok.
Ti prometto che non faremo brutte figure. E dai il mio numero al
novellino. Non
c’è problema” acconsentì alla
fine la ragazza.
Allison
aveva ventisei anni, ma lavorava in quell’agenzia da quattro
anni. Era ormai
considerata una veterana dagli stagisti e dai nuovi arrivati, che non
la
contraddicevano mai e non lo avrebbe fatto neanche il novellino.
La
testa le faceva male, avrebbe chiuso gli occhi solo qualche minuto
prima di
accendere il pc, poi avrebbe iniziato a lavorare. Quando dopo venti
minuti le
arrivò un messaggio da un numero sconosciuto, si rese conto
di essersi
addormentata, perché si svegliò di soprassalto.
Guardò
il display e sbloccò lo schermo. Parker, il novellino, le
scriveva chiedendo
come stesse. Ma davvero? Come se gli interessasse. Gli rispose
velocemente,
dicendo che aveva l’influenza.
Il
messaggio successivo la fece sorridere di un ghigno strano e
socchiudere gli
occhi. Lui le chiedeva se avesse bisogno di qualcosa. Oh, faceva il
finto
carino. Fantastico. Gli scrisse che voleva solo dormire e
pensò che sarebbe
finita, ma ricevette un altro messaggio.
Lui
si rendeva disponibile a portarle a casa tutti gli appunti sulla Sunfun
e a buttare
giù una bozza della presentazione. Allison si
toccò la fronte. Quando avrebbe
iniziato a fare effetto l’antipiretico? Scrisse un messaggio
frettoloso in cui
spiegava che non c’era bisogno e lei aveva tutto sotto
controllo, ma poco dopo
il telefono suonò per una chiamata.
“Sì?”
rispose la ragazza, non riconoscendo il numero.
“Stai
bene?” Riconobbe la voce di Parker e sbuffò. Ma
cosa aveva quel ragazzo? Gli
rispose un po’ in malo modo e lui si scusò,
dicendo di aver ricevuto un
messaggio incomprensibile e quindi voleva solo assicurarsi che fosse
tutto a
posto.
Allison
sospirò e gli disse soltanto di aver bisogno di riposare.
Gli spiegò che
avrebbe fatto il lavoro lei e che aveva tutto il materiale sulla Sunfun
nel pc
di casa visto che lavorava spesso dalla sua abitazione. Lui rimase
zitto e poi
balbettò qualcosa su un incontro avvenuto quella mattina.
Come, come?
“Cos’è
successo stamattina?”
“Quelli
della Sunfun sono venuti stamattina e hanno dato altre disposizioni.
Io… ho
preso appunti…”
La
testa le stava scoppiando. Voleva dormire e non dover parlare al
telefono con
quel ragazzino. “Ascolta, dammi due ore. Appena le medicine
faranno effetto, ti
chiamo e mi detti tutto. Poi preparerò qualcosa
e…”
“Ti
detto? E come facciamo per la presentazione?” La voce di
Parker era stupita.
“Perché,
la vuoi fare insieme?”
“No?
Ci hanno detto…”
“Senti,
Parker, so cosa ci hanno detto. Ma di solito, chi sceglie di lavorare
con me,
non vuole lavorare e fa fare a me il lavoro,
quindi…”
Ma
il ragazzo la interruppe. “Io non voglio che lo faccia
tu!”
Allison
spalancò la bocca. “Davvero?”
“Pensavo
lo facessimo insieme... Anzi, ho già buttato giù
una scaletta… Cioè, io so che
non è il massimo, è da perfezionare... Ma
pensavo…”
“Ok,
ok. Parker, fermati. Va bene. Sicuramente in questo stato un
po’ di aiuto non
mi guasta. Possiamo collegarci e lavorare in smart, o
qualcos’altro, ma non
adesso. Dammi due ore. Fra due ore ascolterò tutto quello
che avrai da dirmi,
ok? Ma adesso ho ancora la febbre e sono stanca.”
Allison
sentiva gli occhi chiudersi e l’ultima cosa di cui avesse
voglia in quel
momento era discutere con qualcuno di qualunque cosa.
“Perfetto.
Due ore e sono lì. Riposati.”
Quando
si rese conto che aveva riagganciato, Allison rimase con la bocca
aperta. ‘Sono
lì’, dove? Che intendeva? Lo schermo del telefono
tornò sulla chat dei messaggi
e notò che effettivamente il suo ultimo messaggio era
proprio incomprensibile.
Parker aveva ragione. Sorrise, prima che gli occhi le si chiudessero da
soli.
***
Il
suono del campanello la svegliò di soprassalto. Allison si
guardò intorno come
se dovesse capire dove si trovasse e si tirò su dal letto.
Il campanello suonò
ancora. Strinse gli occhi e si alzò per andare ad aprire e,
quando arrivò alla
porta, guardò dallo spioncino: un ragazzo aspettava
impaziente sullo zerbino e
non stava fermo.
“Chi
è?” chiese, prima di aprire; lui era girato e non
riusciva a capire chi potesse
essere.
“Sono
Joe. Cioè… Sono Parker, sì…
Joe Parker, dello studio…” Il ragazzo
balbettò e
Allison quasi rise a sentire la sua incertezza. Aprì la
porta.
“Scusa
il ritardo…” iniziò, ma si interruppe
quando lei chiese nello stesso momento:
“Che ci fai qui?”
La
ragazza si sentì sotto esame quando lui non disse niente e
la osservò; si era
alzata dal letto ed era andata ad aprire senza neanche guardarsi allo
specchio.
Sentì le guance arrossarsi e loro rimasero lì a
guardarsi in imbarazzo, senza
dire niente.
Quando
la sua vicina aprì la porta per uscire
dall’abitazione, Allison si riscosse e
si spostò per farlo passare. Notò con piacere che
Parker si pulì le scarpe
prima di entrare e disse: “Permesso”, prima di
mettere piede in casa.
“Che
ci fai qui?” richiese lei, mentre lo guardava appoggiare
tutte le cose che aveva
in mano sul tavolino che c’era nel soggiorno. Ma quanta roba
aveva portato?
“Hai
mangiato?” le chiese invece lui,
ignorando la sua domanda. “Ti ho portato del brodo di carne.
Mia madre dice che
è miracoloso…”
“Mangiato?
Tua madre? Scusa mi sa che non…” disse Allison
osservando tutto quello che lui
stava tirando fuori dalle borse: contenitori di cibo, vasetti e
materiale di
cartoleria. Tanto materiale di cartoleria: cartoncini, pennarelli,
post-it,
evidenziatori, graffette, blocchetti e matite e penne in grande
quantità.
“Sì,
hai ragione, ho fatto tardi perché in studio mi hanno
obbligato… Ehi… Ma ti ho
svegliato? Hai dormito fino a ora?”
“Perché?
Che ore sono?” chiese Allison guardando l’orologio
appeso alla parete. Mentre
realizzava che fossero già le due di pomeriggio,
sentì il suo stomaco
brontolare e si sentì di nuovo le guance rosse. Aveva
dormito tutta la mattina?
Non le era mai successo.
Parker,
le spiegò che in ufficio lo avevano subissato di richieste e
non era riuscito a
passare da lei a metà mattina. Poi, quando era uscito, era
passato da casa a
prendere il brodo e un vasetto di miele, che le fece vedere, dicendole
che
quando lui aveva l’influenza era così che la
curava.
La
ragazza scosse le spalle. “Io uso le medicine”. Il
ragazzo si mise le mani in
tasca e rimase zitto, imbarazzato e senza saper cosa fare. Si
sentì una vera
maleducata.
“Ok.
Va bene, scusami” disse, passandosi le mani fra i capelli.
“Dammi dieci minuti.
Mi… sistemo…” Allargò le
braccia per indicarsi e continuò. “E iniziamo.
Intanto…
Grazie”. Sperò che bastasse e, velocemente,
sparì in bagno.
Si
guardò allo specchio mentre si lavava e si chiese ancora
perché lui fosse lì.
Non era mai successo. Nessuno dei suoi colleghi era mai stato
così gentile.
Cavolo, forse neanche nessuno dei suoi amici aveva mai osato portarle
del
brodo, consapevole che glielo avrebbe tirato dietro. Sorrise.
Però era una cosa
carina.
Quando
uscì dal bagno, con una tuta pulita, sentì il
profumo del brodo arrivarle alle
narici e spalancò gli occhi quando vide che lui le stava
scaldando il pranzo.
“Ma
cosa…” iniziò, ma il ragazzo la
interruppe e le disse che non avrebbero
iniziato a lavorare prima che lei avesse mangiato, così
ubbidì. Era strano: lui
era gentile davvero. Mangiò con gusto, offrendone anche a
lui, mentre lo
ascoltava raccontare della sua famiglia: era cresciuto in una famiglia
molto
unita e con due sorelle più grandi di lui. Allison si
scoprì curiosa: per la
sua ragazza sarebbe stata una croce o una benedizione?
Finirono
di mangiare e poi si misero al lavoro.
Parker
non era male, dovette ammettere. Aveva una buona capacità di
ascolto ed era
bravo in quello che faceva. Aveva preso veramente appunti sulla Sunfun!
E
quella volta, la società di creme solari più
importante della contea aveva
veramente dato disposizioni particolari. Volevano delle cose
impossibili
secondo lei. Una pubblicità nuova. Per ogni mezzo
disponibile: radio,
televisione, internet e anche la possibilità di pannelli
pubblicitari lungo la
statale. Sarebbe stato impossibile. Impossibile riuscire a presentare
tutto in
tre giorni.
Per
buona parte del pomeriggio trafficarono con foglietti e scarabocchi a
matita,
mentre uno dei cartelloni si riempiva di appunti e foglietti, scritte a
pennarello e piccole figure stilizzate.
“Non
ci riesco. Merda!” gridò Joe dopo sei ore di
lavoro. Allison alzò lo sguardo
dal cartoncino che stava imbrattando e gli andò vicino. Si
erano appoggiati al
tavolino basso del salotto. Nel suo bilocale non c’era molto
spazio e il tavolo
della cucina era troppo piccolo per la loro ingombrante
creatività.
“Cosa
non riesci a fare?” gli chiese quando gli fu alle spalle.
Lui
sobbalzò, come se fosse sorpreso di trovarla lì.
“Oh…” divenne rosso e si
imbarazzò.
Aveva imparato che era abbastanza timido e non si lasciava andare
dicendo
parolacce. “Scusa… Io…”
Allison scosse le spalle e indicò il pc. “Quando
sposto
quest’immagine me la allinea qui da
solo…” spiegò il ragazzo.
Lei
si chinò su di lui, schiacciò un bottone e poi
disse: “Prova ora”. Quando
Parker ci riuscì, esultò con un pugno in aria e
le diede una pacca sulla
spalla.
“Grande!”
Allison sorrise del suo gesto. Ci voleva poco a farlo contento.
Si
allontanò e guardò l’orologio: doveva
prendere l’antipiretico. Ormai doveva
essere finito l’effetto dell’ultima pastiglia e
sentiva la febbre salire.
Quando lui la vide prendere le medicine si rese conto di quanto fosse
tardi e
si scusò.
“Salvo
tutto e vado a casa, non avevo visto che fosse così
tardi…” disse, salvando il
file sulla chiavetta usb e iniziando a raccogliere le cose. Ehi!
“Cosa
stai facendo?”
“Ehm…
Finisco la presentazione a casa?” chiese, dubbioso.
“No,
no. Il progetto non andrà via da qui.”
“Come?”
domandò ancora lui, sempre più confuso. Allison
gli spiegò che non gli avrebbe
lasciato portar via il suo progetto. “Dovrò
lavorarci, altrimenti non
riusciremo a presentarlo, dopodomani” spiegò lui,
corrugando la fronte.
“Vuoi
lavorarci tu?”
“Tu
hai l’influenza, non sei in…”
“Se
vuoi dire che non sono in grado di farlo bene, ti tiro un
pugno!” esplose lei.
Parker scoppiò a ridere.
“Non
mi sarei mai azzardato a dire una cosa del genere!” Rise
ancora. “Intendevo che
hai gli occhi lucidi per la febbre, non mi sembra il caso che tu ci
lavori
ancora su: dovresti riposarti”.
“Mi
riposerò quando sarò morta. Non sto
così male!”
“Lo
dicevano, che eri una stacanovista!” esclamò il
ragazzo, divertito. Allison
sentì le guance andare a fuoco e si innervosì.
Sicuramente dicevano di peggio.
Iniziò a innervosirsi.
“Oh,
lo so cosa dicono di me!”
“Cosa?”
chiese lui, calmissimo.
“Che
sono una stronza ed è impossibile lavorare con me. Io,
carino, sono una
stacanovista perché nessuno lì dentro sa fare il
suo lavoro e devo
costantemente parare il culo a tutti! Lo so che scelgono di lavorare
con me
così loro non devono fare niente!”
Parker
si alzò dalla sedia e si strinse nelle spalle.
“Non so quello che fanno gli
altri. Ma io sono contento di essere stato assegnato a te. Sei molto in
gamba e
hai delle belle idee. Sai sempre come presentare al meglio le cose
perché
conosci i clienti e ci parli personalmente, trovo che sia istruttivo.
Mi piace
ascoltarti quando ragioni per farti venire un’idea. Ho
imparato più da te
questo pomeriggio che in tutto il tempo passato in studio!”
Oh.
Allison sentì ancora il calore sulle guance, ma questa volta
non era più
arrabbiata. Davvero? Lui pensava che lei fosse brava? Sorrise senza
rendersene
conto.
“Ok.
Ti lascerò lavorare al progetto. Ma qui.”
“Qui?”
“Qui.
Finiamo tutto. Insieme. E venerdì lo presentiamo insieme.
Anzi, potrai
presentarlo tu, se lavorerai bene.”
“Davvero?
Posso?” Gli occhi del ragazzo si erano spalancati. Cavolo.
Neanche gli avesse
detto che avrebbe passato la notte con una showgirl. Poi si
pentì di averlo
pensato. Annuì, togliendo lo sguardo.
“Guarda che ti faccio lavorare, però! E non sarò né gentile né accondiscendente. Dovrai sudartelo!” Lui rise. Dannazione! Non avrebbe dovuto almeno aver un po’ più paura di lei?
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