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Autore: hart    11/05/2020    2 recensioni
Nemmeno la Salvatrice può sfuggire al suo destino e, quando le spade si incontrano, la sua vita si spezza.
SwanQueen What if? ambientata durante e dopo la 6x22.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non ci ho mai fatto caso. Dico, come cazzo ho fatto a non rendermene conto prima? Ogni fottuta volta che mi arrabbiavo così tanto da star male, ogni volta che provavo un’emozione davvero, davvero forte, ogni cazzo di volta succedeva. Ora accade più spesso, certo, quindi è più facile farci caso. Però era ovvio. Anche mentre partorivo, le luci erano intermittenti. Si spegnevano e riaccendevano come se un nugolo di farfalle ci stesse passando davanti. Se non fossi così incazzata mi verrebbe da ridere. È sempre stato lì, davanti ai miei occhi, e non l’ho mai visto. Vorrei darti torto, lo vorrei davvero. Stavo per farlo, sai? Fino a un minuto fa, tipo. Però… Che senso avrebbe? Te l’ho detto, sono stanca di mentire a me stessa. Voglio cominciare ad accettare le cose come stanno, anche se è tardi. Soprattutto ora che è troppo tardi.

 

 

 

Capitolo 6

 

 

 

 

 

 

Regina era ferma nel buio dell’ingresso vuoto di casa sua. Si guardava intorno ma, per quanto si sforzasse, non c’era traccia della presenza di qualcun altro. Eppure lo sentiva, quel palpito dovuto alla magia. Alla sua magia.

Era la terza volta che lo percepiva da quando… da quella notte. Nella cripta era troppo sconvolta dal funerale per dargli peso. Si era mescolato alla nostalgia, al dolore e alla rabbia, e non lo aveva riconosciuto. Ma ora ne era certa. Ora, dopo quello che era successo alle miniere, ne era assolutamente certa. Lei era ancora lì. Le aveva salvato la vita, ancora una volta, senza esitare. Come sempre. Ma credeva davvero che l’avrebbe perdonata per essere svanita così nel nulla? Era lì, dannazione, che aspettava a mostrarsi e parlare con lei?!

«Emma!» urlò alla casa apparentemente vuota, gli occhi che dardeggiavano alla ricerca di un movimento, un luccichio, qualunque cosa le svelasse la sua posizione. Nulla le rivelò quel dettaglio, tuttavia le lampadine lampeggiarono debolmente in tutta l’abitazione. Un sorriso feroce le affiorò alle labbra.

«So che sei qui, Swan. Fatti vedere.»

Niente, neanche uno sbalzo di corrente. Regina serrò la mascella. Attese ancora, ma lei non si mostrò.

«Che diavolo stai facendo, Emma?» mormorò, aggrappandosi disperatamente alla rabbia che svaniva, lieve, come la sabbia scivola tra le dita, portata via dal vento. «Siamo solo io e te. Sai che non hai motivo di nasconderti, non con me.»

Una lampadina si illuminò più delle altre, fino a fulminarsi. Regina rimase a fissare quel punto per svariati minuti, anche dopo che le ombre tornarono a dominare interamente la casa, ma non ricevette mai una risposta.

 

 

 

 

 

Si svegliò di soprassalto, con la sensazione di aver sognato qualcosa di terribile, ma senza ricordare alcunché di quell’incubo.

Riprese fiato con gli occhi chiusi nella luce del giorno. Si voltò aprendo il meno possibile le palpebre e la sveglia inutilizzata la informò che erano le nove e ventotto. Tardissimo, rispetto ai suoi standard. Non che importasse, visto che non andava al municipio da giorni.

Sbadigliò e si alzò a sedere passandosi una mano tra i capelli ingarbugliati dalla notte agitata. Fece per alzarsi, ma si irrigidì, gli occhi spalancati, la mente improvvisamente lucida. Lì, a pochi passi da lei, sulla sua chaise-longue, la Salvatrice le stava rivolgendo uno sguardo di scuse.

Rimasero entrambe in un assoluto silenzio per almeno cinque minuti, immobili. Regina riusciva a malapena a respirare. Era lì, non se lo stava immaginando. Quella sensazione, le luci impazzite, lo sguardo del mostro, non si era inventata niente. Il dolore non l’aveva fatta impazzire stavolta, almeno di questo poteva rallegrarsi; certo, sarebbe stato più semplice se avesse smesso di soffrire così tanto per lei.

«Sei qui» riuscì a sussurrare, alla fine. Emma strinse le labbra in una linea sottile sul volto incredibilmente pallido e annuì. Regina sbatté le palpebre, il che, per qualche ragione, la liberò dall’immobilità. La vide, la vide davvero. Riusciva ad intravedere la finestra alle sue spalle, attraverso il suo corpo. Portava gli stessi abiti di quella notte, erano ancora sporchi di sangue, e sembrava fresco. Sentì la nausea assalirla a quella vista. Emma dovette accorgersene, perché abbassò gli occhi tristi sul suo ventre. Portò le dita alla ferita, nascosta dal tessuto nero della canottiera, e osservò i polpastrelli incorporei sporcarsi di sangue incredibilmente reale. Chiuse la mano a pugno e tornò a guardarla con gli occhi lucidi e l’aria afflitta.

«Non so come farla smettere» sussurrò. Regina sentì il fiato mancarle. Serrò le dita intorno alle lenzuola, stritolandole.

«Ti fa male?» chiese in un soffio. Emma scosse lentamente la testa. Provò anche a sorriderle.

«Non credo sia reale.»

Il Sindaco deglutì nel vano tentativo di scacciare la morsa che le serrava la gola.

«Io credevo…» speravo, avrebbe detto, ma avrebbe mentito. «…che stessi bene, ora» riuscì a dire, ma solo perché quel groppo le impedì di singhiozzare. Sentiva gli occhi pesare di lacrime, ma che amica sarebbe stata se avesse pianto? Lei era già affranta, non le serviva anche il suo dolore.

Emma abbassò lo sguardo. La vide asciugarsi gli occhi sebbene le lacrime non avessero ancora bagnato il suo viso. Scrollò le spalle.

«Non so perché sono ancora qui. Ho pensato che potessi dirmelo tu» si strinse di nuovo nelle spalle, le lanciò appena un’occhiata. «Magari ha a che fare con la magia. Non lo so, ma di solito tu queste cose le sai.» Di nuovo quel sorriso finto, triste, amareggiato. Regina represse il dolore che le provocò.

«Forse. Io non lo so, Emma. La tua magia la sento ancora, ma…» sospirò. Non voleva smettere di guardarla, non ora, che poteva essere l’ultima volta. Il pensiero la distruggeva. «Non lo so, non dovrebbe essere abbastanza per tenerti qui. Ma, se vuoi, posso provare a cercare una risposta. Un modo per… per farti stare bene.» Pronunciò a fatica quelle parole, dovette farsi violenza per riuscirci, ma lo fece a voce bassa, con gli occhi a terra, rinunciando persino al privilegio di poterla guardare ancora un po’. Voleva con tutta se stessa che restasse. Anzi, era l’unica cosa che voleva, in quel momento.

Il silenzio che seguì la mandò nel panico, ma quando rialzò lo sguardo lei era ancora lì, mezza affondata nella chaise-longue. Si guardarono ancora per un minuto.

«Eri tu, vero?» le chiese infine. La confusione sul viso di Emma sparì in pochi attimi, e annuì. «Come hai fatto?»

Lei scosse la testa.

«Sinceramente non lo so. Ho fatto tipo l’Esorcista, ma al contrario. Vi avrebbe uccisi, altrimenti» borbottò con l’ennesima scrollata di spalle. Regina si lasciò sfuggire un sospiro tremante, sentì il pianto bussare di nuovo alla sua porta.

«Emma…»

La Salvatrice la guardò negli occhi.

«Non so se è questo il motivo, e so che non è la stessa cosa, ma sono qui. Sarò sempre qui per proteggervi» mormorò, e lasciò andare le lacrime che stava trattenendo, come lei, e che scesero come perle lungo il suo viso, luminose come se la luce del sole le stesse illuminando. Regina riuscì a stento a trattenere un singhiozzo.

«Emma, te lo giuro, troverò un modo di riportarti indietro!»

«Non c’è un modo, ‘Gina» tra le lacrime, quel sorriso parve ancora più disperato, e ancora incredibilmente bello da far male. «E non dirlo agli altri, che mi hai vista. Loro non sono forti come te, non ce la farebbero a…»

«Io non sono forte, sono a pezzi!» le urlò contro, improvvisamente furiosa, in piedi, senza essersene accorta. Si fissarono per un momento, entrambe stupite, poi anche Emma si alzò in piedi. Scalza, Regina si rese inopportunamente conto dei centimetri che distanziavano i loro sguardi.

«Tu sei forte, Regina» Emma provò ad obiettare, ma per qualche motivo quelle parole fecero scattare qualcosa in lei, e qualsiasi argine stesse trattenendo le lacrime fu spazzato via dalla potenza di un pianto disperato e devastante. Emma spalancò gli occhi a quella reazione e si avvicinò. I suoi passi non facevano rumore sul pavimento, e quando provò a toccarle la spalla per confortarla, né l’una né l’altra poterono sentire quel contatto. La pelle di Regina fu attraversata dalle sue dita, eppure non sentì assolutamente nulla. Alzò lo sguardo esterrefatto sul viso della Salvatrice e vide lo sgomento, la frustrazione e la sofferenza in quegli occhi verdi e lucidi di lacrime. Scosse la testa, una protesta troppo debole: Emma arretrò rapidamente.

«Emma, no!» urlò, ma lei sparì nel nulla come se non fosse mai stata lì.

   
 
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