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Autore: Fanny Jumping Sparrow    13/05/2020    1 recensioni
Il malvagio ed affascinante Capitan Vegeta ha un cuore nero come gli abissi, è vittima di una maledizione e con la sua nave Bloody Wench semina morte e terrore per i sette mari; la bella e intrepida Bulma Brief è una coraggiosa avventuriera con l'umore mutevole come la marea che nasconde un singolare segreto. Entrambi attraversano gli oceani alla caccia dello stesso tesoro: le magiche sfere del Drago. Il giovane tenente di vascello Son Goku, fresco di accademia ed amico d'infanzia della ragazza, riceve l'incarico di catturare i due fuorilegge, che nel frattempo hanno stretto una difficile alleanza, e consegnarli al capestro...
Personale rivisitazione in chiave piratesca del celebre anime su suggerimento della navigata axa 22 (alla quale questa storia è dedicata;) e della mia contorta immaginazione. Possibili numerose citazioni e riferimenti ad opere letterarie e cinematografiche esterne. Gli aggiornamenti saranno dettati dalle capricciose onde dell'ispirazione. BUONA LETTURA! Se osate...
Quella tonalità era insolita, appariscente, innaturale. Non umana.
Contenne uno spasmo di eccitazione. “Troppa grazia”, obiettò pessimisticamente.
Aveva dato la caccia ad un colore simile innumerevoli notti, sondando bramoso il blu profondo.
Troppo facile, troppo assurdo che l’avesse proprio lei.

*CAPITOLI FINALI IN LAVORAZIONE*
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: 18/Crilin, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve gente! ^_^
Ho deciso di anticipare la pubblicazione di questo aggiornamento giacché lo avevo già pronto e il prossimo capitolo invece si preannuncia piuttosto complicato da scrivere e credo che non arriverà prima di fine mese (spero!).
Questa volta torniamo a vedere cosa combinano gli altri protagonisti della storia e in particolare Goku che avevamo lasciato alle prese con Re Kaio, ricordate?
Beh, come sempre ringrazio quanti leggono, seguono o inseriscono questa mia ff tra le ricordate/preferite: spero di non deludere le vostre aspettative e di riuscire a regalarvi qualche minuto di evasione :)
Al prossimo approdo!)


XXIX – ONE WAY OR ANOTHER

Sollevò con trepida lentezza prima una palpebra e poi l’altra. La patina impalpabile di quello stato di trance si dissolse gradualmente mentre anche i nervi, i tendini e le vene ricominciarono a formicolare, restituendogli pian piano la piena coscienza di sé.
Aveva perso la cognizione del tempo da che aveva iniziato quello strano addestramento, più mentale che fisico, di cui doveva ancora comprendere appieno l’utilità.
- Chi molto pretende, molto ottiene! – gongolò una voce esuberante e allegra, molto vicina al suo orecchio – Quando riesci a non farti condizionare dalla fretta e non ti lasci fuorviare da altri pensieri, hai una forza di volontà davvero straordinaria!
Goku trasalì lievemente, focalizzando un planisfero che galleggiava davanti ai suoi occhi e che sembrava essere proiettato come per magia da quella speciale bussola poggiata sul suo palmo. Sette luci sferiche arancioni lampeggiavano in quella ragnatela di meridiani e paralleli. La loro posizione era rimasta pressoché invariata rispetto a come l’aveva vista la prima volta, ma le lucine in movimento che si spostavano sensibilmente verso est erano ormai prossime a congiungersi.
- Adesso potrai pescare quei cacciatori! – tornò a parlare Re Kaio con uno dei suoi bislacchi giochi linguistici, spronandolo e dissipando la sua incertezza per ciò che stava osservando.
Il ragazzo restava però confuso e titubante: - Quindi significa che sono pronto per ripartire? Ho come l’impressione di trovarmi qui da un’eternità. Quante ore sono passate? – domandò guardandosi intorno spaesato, fiondandosi ad una finestra, provando una certa impazienza di rivedere il mare aperto.
Il Dio del Mare del Nord gli tenne dietro, seguendo con una leggera ansia quel suo incontrollato scalpitare, che sembrava avergli fatto passare di mente di avere tra le mani uno dei tesori più ambiti e fragili di tutto il cosmo: - Sei riuscito a padroneggiare questa tecnica in appena una settimana – gli rivelò con un sorriso compiaciuto, che stonava col tono serioso assunto.
Goku si raddrizzò sbattendo la testa contro il soffitto ribassato di quella curiosa abitazione: - Sono qui da una settimana?! – esclamò esterrefatto – Non posso più trattenermi, devo andare! – affermò concitato, richiudendo di scatto la scatoletta e precipitandosi alla porta che scardinò quasi con la sua irruenza.
Fuori l’aria era ancora pungente e rugiadosa, il barlume rosato dell’alba iniziava appena a rischiarare il cielo terso, mentre la terra rimaneva avvolta da dense ombre che nascondevano il tortuoso sentiero in discesa verso la costa.
- Frena, ragazzo! – lo ammonì in uno slancio severo il nume, tirandolo per la coda della giacca – Non posso permetterti di andare via senza averti affidato anche questa. Ti presento Kaioken, “Colpo del re dei mondi” – le sue solenni parole si accompagnarono alla comparsa di un lungo fodero di platino riccamente intarsiato da cui sguainò una lama lucente e affilatissima che lo superava in altezza.
Le pupille del giovane ufficiale scintillarono di meraviglia: - Wow! Dove la nascondevate? Io vado matto per le spade! – si entusiasmò come un bambino davanti ad un nuovo giocattolo, chinandosi a raccoglierla e rimirandola con grande emozione.
Re Kaio rimase impressionato dalla naturalezza fuori dal comune con cui il suo novello allievo riuscisse a maneggiare quell'arma per pochi: - Kaioken può essere brandita solo da un puro di cuore e il suo potere si accresce al pari della forza del guerriero che la brandisce.
- Senza offesa, signore, ma se avessi saputo sin da subito che in palio ci sarebbe stato questo gioiello, probabilmente sarei stato ancora più motivato! – si azzardò a rimbrottarlo Goku, continuando a provare varie mosse d’attacco e di autodifesa per prendere confidenza con la portentosa spada.
- Prima di poterla impugnare dovevi imparare a controllare la tua energia spirituale, altrimenti avresti rischiato di mutilarti o di distruggere tutto! E in ogni caso ti consiglio di usarla solo se non hai altra scelta, perché si nutre della tua aura! – puntualizzò a spiegargli pazientemente e austeramente la divinità, dovendolo rincorrere per tutto il prato, mentre quello, falciando erba, tronchi e massi, non cessava di sperimentare ancora l’effettiva potenza della lama che, entrando in sintonia con l’esuberante ki del suo detentore, aveva iniziato a risplendere di riflessi scarlatti.
Il ragazzo infine si fermò, inginocchiandosi e tenendo in equilibrio quel mirabile pezzo di metallo cesellato per il codolo: - Vi perdono. È davvero magnifica – mormorò appurando la perfezione della sua fattura e interrogandosi sulla sua origine, oltre che sulla particolare lega con cui potesse essere stata forgiata, non sembrandogli di riconoscerla tra quelle a lui già note.
Il Dio gli restituì la custodia, distraendolo dai suoi quesiti interiori: - Rammenta, figliolo: i tuoi avversari non sono semplici uomini. E neanche tu lo sei.
Goku rinfoderò la spada ricevuta, agganciandola a fianco di quella vecchia, insieme alla bussola prodigiosa, la sua espressione da spensierata divenne grave, riacquistando tutta la sua inappuntabilità di difensore del bene: - Quei lestofanti non riusciranno a spuntarla. Ce la metterò tutta – giurò intrepido, accomiatandosi con un mezzo inchino in segno di rispetto e cercando di orientarsi per ritrovare la strada del ritorno.
- Un’ultima cosa! – lo richiamò d’improvviso Re Kaio con una certa urgenza, inducendolo ad arrestare i suoi passi. Da dietro le sue lenti scure lo fissò per qualche secondo, assicurandosi che potesse sentirlo bene, poi soffocò la tentazione di lasciarsi scappare un risolino anzitempo e quindi declamò tutto d’un fiato: - Il marinaio spiegò le vele al vento, ma il vento non capì ...
Quella freddura su cui si arrovellava da parecchio, e che a suo giudizio avrebbe dovuto risultare esilarante, non produsse tuttavia l’effetto desiderato nel giovane dalla zazzera bruna, il quale si limitò a mostrargli i denti in un sorrisetto forzato: - Grazie di tutto! – rinnovò gli ossequi, incamminandosi speditamente nel folto della rigogliosa vegetazione tropicale.
Un rapido fruscio quasi impercettibile lo avvertì della presenza di qualcuno che stava spiando dall'alto i suoi movimenti: - Spero che un giorno non troppo lontano avremo occasione di sfidarci ancora – salutò benevolmente anche lui, avendolo identificato come il misterioso spadaccino che lo aveva accolto al suo arrivo sulla sommità di quell’isola fatata.
L’indecifrabile individuo non rispose, avvolgendosi ermeticamente nel suo mantello bianco e spiccando un grande salto con cui scomparve dalla sua visuale.
E Goku, seppur un po’ dispiaciuto dalla mancata replica dello straniero, riprese la sua discesa, imponendosi di non indugiare oltre e di essere più veloce dell’andata.

Re Kaio intanto rassettava la sua umile casetta, messa a soqquadro dalla pur breve permanenza di quell'incredibile saiyan, di cui già cominciava quasi a sentire la mancanza. Si augurò che riuscisse a trionfare davvero e che gli altri uomini saggi che lo avevano indirizzato a lui sapessero prendere le decisioni più giuste per scongiurare l’avvento di un’altra catastrofe bellica, così com'era accaduto qualche decennio addietro.
Un’aura alquanto tetra e ostile catturò la sua attenzione: - Visto, Pikkoro? Anche in quello che all'apparenza sembrerebbe un semplice umano, possono nascondersi eccezionali qualità sopite – sostenne con serafica convinzione.
- Perle ai porci – sbottò con molta meno fede il figlio del Supremo, dileguandosi in un lampo, offeso per essere stato formalmente escluso da quell'imminente battaglia cui si sentiva legittimato a partecipare.

Il sole levatosi dall'orizzonte ormai da un paio d’ore riverberava di mille pagliuzze dorate la superficie piatta del mare.
Una scialuppa con un solo vogatore stava approssimandosi sempre di più alla Castle of Fire, sui cui alberi, da che erano stati mollati gli ormeggi, i marinai facevano ininterrottamente la spola, avvicendandosi alle postazioni di avvistamento.
La più infaticabile delle vedette ripose il cannocchiale con un gridolino di gioia, lanciandosi su una cima e calandosi sul ponte, avviandosi di gran carriera agli alloggi degli ufficiali, impaziente di comunicare loro la tanto attesa notizia: - Il tenente Son è di ritorno!
Capitan Muten ruzzolò dalla branda, compiendo una capriola: - Misericordia, Crilin! Meriteresti una nota disciplinare! – borbottò ancora impastato di sonno, massaggiandosi la testa spelacchiata.
- Sono mortificato, signore – si scusò contrito il ragazzo, arrossendo e cercando di non badare ai mutandoni variopinti indossati dal suo superiore – Mi avevate raccomandato di informarvi seduta stante e così ho fatto.
L’anziano comandante sospirò di fronte a quella sincera difesa, appoggiandosi al bastone con cui gli rifilò un colpetto sulla schiena: - Su, aiutami a vestirmi – lo sollecitò burberamente.
Quando si riaffacciarono sul ponte, il loro valoroso compagno era già salito a bordo ed era stato circondato da mozzi festanti e incuriositi che lo travolgevano di domande.
- Tenente Son, ve la siete presa comoda! – lo richiamò con fare cordialmente autoritario il maggiore in grado, sottraendolo a quella calorosa accoglienza.
- Le mie scuse signore. Quel Dio del Mare del Nord è proprio un tipetto eccentrico, sapete! – abbozzò Goku con una risatina divertita, avvicinandosi poi al vegliardo e mostrandogli l’oggetto della sua missione – Comunque ce l’ho – dichiarò orgoglioso, aprendo la bussola magica tra lo stupore generale dei presenti che assistettero alla materializzazione di quell'intangibile mappa terracquea – Questi puntini luminosi sono i nostri obiettivi: Capitan Vegeta, Capitan Brief e Capitan Freezer. Stanno per raggiungere il Regno dei Diamanti Blu – illustrò lui con semplicità, indicando il quadrante cui si riferiva, accrescendo l’incredulo parlottio della ciurma.
Il Capitano Muten, a causa della sua vastissima conoscenza degli oceani, dei loro misteri e dei fantastici tesori che custodivano, non si mostrò particolarmente impressionato da quel prodigio. Riportò gli occhialetti sul naso, per essere certo di aver visto chiaro e si limitò a proferire in un misto di perentorietà e padronanza: - Dunque è laggiù che sono diretti ... Molto bene! Nostromo: correggete la rotta! Forza, pelandroni! Olio di gomito! Salpate le ancore e fatemi avere tutte le mappe più aggiornate della regione!
Impartiti questi ultimi ordini, si apprestò a prendere posto sul suo scranno situato sulla balconata del cassero, da cui avrebbe assistito a tutte le manovre. Ma, poco prima che potesse raggiungere la sua postazione, venne intercettato da uno dei passeggeri che avevano imbarcato sul loro vascello nella precedente sosta a Yammer e la cui sorte rimaneva ancora appesa ad una risoluzione definitiva.
- Se me lo consentite, vorrei unirmi a voi in questa spedizione – lo implorò umilmente e caparbiamente Yamcha – Posso esservi utile! Sono l’unico qui ad aver conosciuto di persona Capitan Vegeta. Ho trascorso parecchi giorni sul suo galeone, ne ho potuto vedere ogni angolo, studiarne i punti deboli e quelli vincenti – sostenne livido, stringendo i pugni e la mascella, ancora disgustato dal ricordo delle tante angherie cui aveva dovuto sottostare. - E poi voglio salvare Bulma! Non mi perdonerò di averla lasciata alla mercé di quella bestia! – si accalorò, lo sguardo carico di rimorso e rabbia, dimenando le braccia ancora serrate dalle catene.
Il vecchio Muten lo scrutò in un assorto silenzio per qualche secondo, mordicchiando il bocchino della pipa, ponderando tutti i pro e contro insiti nel riporre fiducia in uno scavezzacollo come quello, la cui condotta si era macchiata di crimini che avrebbe dovuto scontare, ma il cui ravvedimento ora sembrava sincero.
Non era uomo da farsi impietosire, né aveva la superbia di ergersi a giudice supremo, soprattutto in tempi come quelli, in cui gli ardimentosi scarseggiavano e a rischiare la pelle erano tutti. Bisognava fare buon viso a cattivo gioco. In lui prevalse perciò la clemenza.
- E sia! Sarai dei nostri, signor Yamko – gli accordò in un corrugato borbottio che bastò a distendergli i lineamenti e fargli comparire l’accenno di un sorriso – Ma vedi di non farmene pentire! O al primo passo falso ti spedirò per sempre in qualche prigione nel recesso più sperduto di tutto il creato! – lo minacciò senza mezzi termini, intimando ad uno dei sottoposti di rimuovergli le manette.
Il pirata con le cicatrici sul volto si massaggiò i polsi segnati e sgranchì le spalle, riassaporando la ritrovata libertà, malgrado si sentisse un po’ un reietto in mezzo a tutti quegli uomini in uniforme che chiacchieravano tra loro mostrando grande affiatamento.
Il suo osservare s’impigliò in particolare su due di loro che, pur non avendo lo stesso numero di mostrine, sembravano essere amici di lunga data.
- Hey Goku, e questa bellezza da dove proviene? – esclamò ammirato il piccoletto dal capo rasato all'indirizzo dello spilungone cui tutti parevano essere molto affezionati e riconoscenti.
Quello sciolse la bandoliera, sguainando una lunga e robusta sciabola: - Oh, lei è Kaioken. Un altro regalo di Re Kaio - rispose con altrettanta adorazione nei riguardi dell’arma in questione.
Dopo qualche minuto, sentendosi scrutati, i due si rivolsero a lui, andandogli incontro con atteggiamento aperto e cordiale, pur se ancora un po’ guardinghi.
- Benvenuto tra noi. Io sono Crilin – si presentò il più basso, porgendogli una mano – Ero certo che Capitan Muten ti avrebbe concesso una seconda possibilità.
- Può sembrare rigido, ma sotto sotto quel vecchio lupo di mare è un bonaccione – attestò con un pizzico d’ironia il tenente pluridecorato, smorzando la voce perché il comandante sopracitato non lo sentisse.
Yamcha si riebbe dal disagio provato sulle prime al loro cospetto: - Grazie – bisbigliò riconoscente, non risparmiando loro un’occhiata ancora lievemente insospettita.
- Allora, hai conosciuto Capitan Vegeta, giusto? Io ho scoperto da poco di appartenere alla sua stessa stirpe. Dimmi, com’è? Ci somigliamo? – lo incalzò Goku, le iridi limpide e palpitanti di una sana e incontenibile curiosità.
Il bucaniere rimase un po’ spiazzato dall'impazienza e dall'eccitazione che trasparivano da quelle domande. C’era una sincera voglia di misurarsi con lui e neanche la minima ombra dell’angoscia che invece ancora attanagliava leggermente le sue viscere quando ripensava che da lì a poco si sarebbero rincontrati: - Non proprio. Lui è un tale pescecane! – si ritrovò ad ammettere con una smorfia, suscitando il riso nervoso e sbigottito degli altri due.
Il nuovo trio, tra una mansione e l’altra, continuò a scambiarsi altre informazioni, aneddoti e opinioni fino all'ora del rancio.

Il Tenente Son Goku rientrò in cabina a pomeriggio inoltrato, congedandosi dalle innumerevoli richieste di racconti rivoltegli dai compagni di viaggio e alle quali si era prodigato a rispondere con la sua solita disponibilità e allegria. Dopotutto non capitava a tutti di poter fare conoscenza addirittura con una divinità ed essere suo ospite e discepolo per un’intera settimana. A ripensarci ancora quasi non ci credeva nemmeno lui.
Aveva fatto così tante scoperte in quegli ultimi giorni, su di sé e sul mondo in cui viveva, era come se non avesse mai saputo niente. Tutto adesso gli appariva diverso, più complicato forse di quanto aveva sempre creduto. Eppure lui non si sentiva molto cambiato. Non aveva mai avuto eccessive pretese o ambizioni spropositate. E appurare che neanche un potente Dio vivesse in un castello sfarzoso, servito e riverito così come aveva immaginato, in qualche modo lo rincuorava sulla bontà dei propri principi.
Di quelle fantomatiche sfere dei desideri a lui non importava affatto, le sue aspirazioni erano sempre state semplici, concrete, raggiungibili, sebbene in lui continuasse ad ardere un istinto selvatico che lo faceva rifuggire dagli agi della normalità e lo spingeva a voler sfidare i propri limiti e intraprendere imprese impossibili.
Sfilò da una tasca interna della giubba un piccolo ciondolo a forma di nuvola, dono di nozze della sua paziente e cocciuta sposa, che vi aveva fatto incastonare un proprio dolcissimo ritratto. I colori dell’immagine erano un po’ rovinati e anche l’argento si era annerito, nonostante fosse abbastanza recente. Colpa dell’acqua di mare che si era infiltrata e altrettanto della sua sbadataggine, che gli aveva anche fatto smarrire la catenina. Guardandola si domandò se lei avrebbe approvato la difficile decisione che aveva dovuto prendere, rischiando nel peggiore dei casi di perderla insieme al figlioletto che non sarebbe mai nato. Aveva preferito la rotta più pericolosa e incerta, invece di virare verso casa, ben sapendo che quegli spregiudicati predoni prima o poi sarebbero arrivati anche lì e forse qualcuno di loro poteva già essersi messo in viaggio in quella direzione.
Il turbinare dei suoi pensieri, mai tanto tormentati come in quel momento, fu interrotto dall'arrivo dell’Ammiraglio Giuma, il cui aspetto era ugualmente pensoso e preoccupato mentre si accomodava al grande tavolo ricoperto di carte, volumi e strumenti nautici.
Non era mai stato capace di grandi discorsi, ma si sentì in obbligo di chiarire le sue intenzioni e illustrare le sue ragioni: - Signore, desidero sappiate che se ho preso questa decisione, non è perché voglio inseguire la gloria. Ritengo che finché non avremmo assicurato quei fuorilegge alla giustizia, nessuno nei Sette Regni sarà al sicuro.
Il suocero rialzò il mento barbuto, usando un tono comprensivo e gioviale: - Non mi sarei aspettato niente di meno da te. Comunque ho già mandato una delle nostre navi in ricognizione nelle acque di casa nostra. Chichi è al sicuro.


Nell'emisfero opposto il buio era sceso col suo manto trapunto di miliardi di stelle che sembravano brillare di un bagliore ancora più intenso, giacché la luna era in fase calante.
Il profumo penetrante dello iodio e dei fiori notturni impregnava il venticello tiepido che s’infiltrava tra le pieghe della leggera veste da camera in cui era avvolta mentre, affacciata al balconcino, vagava con lo sguardo tra i vicoli rischiarati dalle fiammelle delle torce appese sulle facciate degli altri edifici o portate da qualche viandante, per poi spingersi oltre, perdendosi tra i riflessi argentei delle onde che s’infrangevano sui frangiflutti del molo in lontananza.
Era un paesaggio che conosceva a memoria e che non si stancava mai di contemplare. Tante volte le era stato di conforto, anche quando il cuore vacillava di fronte a quelle lunghe assenze colme di malinconia, angoscia e solitudine, ma adesso, c’era qualcos'altro che la opprimeva, una sorta di oscuro presentimento, un malessere che non la abbandonava, neanche lasciandosi cullare da quei profumi e da quei suoni così familiari.
All'alzarsi dello zefiro, Chichi si risolse a rientrare, serrando con cura le imposte perché non sbattessero o si riaprissero, quindi indugiò ancora per qualche istante a controllare che tutto in quella stanzetta fosse in ordine, stirando una grinza invisibile sulla coperta della culla che tra qualche settimana avrebbe accolto il suo bambino.
Si faceva sentire sempre di più, scalciando con una certa frequenza, irrequieto come il padre. Avvinta da un moto di tenerezza, si accarezzò la pancia arrotondata, con l’intenzione di rimettersi a letto e cercare di vincere quella fastidiosa insonnia.
Era appena arrivata a metà del corridoio quando d’un tratto avvertì un fracasso di vetri rotti, subito seguito da un attutito tramestio e da un rantolo strozzato. Col fiato sospeso, si protese a sbirciare, facendosi aiutare dal lanternino, notando delle ombre che si muovevano e cozzavano fra loro con veemenza. Ci fu un sibilo secco, un tonfo sordo e poi si vide rotolare tra le ciabattine quella che con orrore identificò come una testa mozzata. Soffocando un grido atterrito, si precipitò sulle scale ma, anziché uscire in strada a chiedere aiuto, si affrettò a recuperare il moschetto che teneva dentro una teca appesa sopra il caminetto, imbracciandolo, decisa a mettere in fuga chiunque avesse turbato la sua già precaria quiete con quella visita non gradita.
Ritornata in cima alle scale, sentì ancora del trambusto e un accanito sferragliamento. Facendosi coraggio, arrivò sulla soglia della cameretta e lì s’imbatté in un individuo alto e imponente, la testa fasciata da un turbante e un’ampia cappa bianca che dalle larghe spalle gli scendeva fin quasi ai piedi, uno dei quali era schiacciato sopra il torace di un uomo agonizzante, che non lesinò di infilzare un paio di volte.
Lo spadaccino misterioso si accorse all'istante della sua presenza, girando su se stesso e schermandosi con una lunga scimitarra grondante il sangue degli altri due intrusi che aveva appena trucidato.
Lei però s’impose di non farsi intimidire: - Chi siete? Come osate introdurvi a casa mia? – lo minacciò puntandogli contro la canna del fucile, facendone scattare la sicura.
L’estraneo abbassò leggermente la lama, gli occhi scuri erano fessure intinte di freddezza e reticenza: - Tu sei la moglie di Son Goku? 
- Lo conoscete? – gli chiese in un ansito di rimando, stringendo più forte l’imbracciatura dell’arma che sapeva usare con una certa abilità sin da ragazzina. Non stentava a credere che quello scapestrato di suo marito durante il suo viaggiare potesse intrattenere discutibili frequentazioni, ma quel brutto ceffo era davvero troppo inquietante, c’era qualcosa di sfuggente, di non umano in lui.
- Ci siamo scontrati pochi giorni fa … - fu la laconica risposta dello sconosciuto, mentre riponeva la spada e si alzava il collare del mantello sul naso, rendendosi imperscrutabile.
Chichi avanzò, scansando schifata i cadaveri crivellati che imbrattavano le assi del pavimento: - Come sta? Sono quasi tre mesi che non ho più notizie di quello zuccone!
I denti di Pikkoro stridettero incrociando il suo sguardo lucido. C’erano rabbia e apprensione nel timbro della sua voce. Quella donna era diretta e impavida e, a giudicare dal ventre accentuato che sbucava dalla vestaglia, prossima al parto. Fu involontariamente investito dalla considerazione che quel saiyan fosse un villano e un irresponsabile, ma il motivo per cui era giunto fino a lì non aveva a che vedere con la sua futura prole.
Ignorando la sua legittima domanda e la buona creanza, proseguì a rovistare tra bauli e cassettiere, rovesciando poi bruscamente il lettino: - Sono solo venuto a prendere questo – tagliò corto, afferrando un piccolo forziere che tentò subito di scassinare con un pugnale.
La giovane padrona di casa rimase a bocca aperta, attonita:- Che cos’è?
Il figlio del Supremo le fece cenno di tacere, tornando ad affacciarsi sul balcone, presentendo l’arrivo di altri aggressori: - Nasconditi – le intimò senza tante spiegazioni, affidandole lo scrigno e rimettendo mano all'elsa.
Uno scomposto vociare precedette l’irruzione di un secondo gruppetto di invasori che, inerpicandosi sui muri esterni della villetta per mezzo di rampini, si fiondarono all'interno attraverso le finestre delle stanze adiacenti che cominciarono a frugare e devastare.
Chichi sparò qualche colpo alla cieca, provocando più fragore che altro, al che il guerriero senza nome le si parò davanti, spingendola di lato e lanciandosi con foga contro i malintenzionati.
Lei, presa da un crampo improvviso, obbedì a quella scortese richiesta di farsi da parte, correndo a ripararsi dietro una porta da cui poté continuare a spiare le mosse di quello schivo, spietato e implacabile assassino. Nonostante l’impaccio del mantello, era rapidissimo nel distribuire stoccate e fendenti letali e in pochi minuti riuscì a neutralizzare tutti gli altri aggressori, accatastandoli uno sull'altro come fossero tonni appena pescati.
Quando per finire lanciò anche una gragnola di proiettili non meglio identificati, decise però di riuscire allo scoperto: - Basta! Non vi permetterò di insozzare la mia rispettabile dimora con altri luridi cadaveri! – gli urlò contro adirata e intimorita dalla furia che aveva scatenato, distruggendo anche buona parte del mobilio e dei muri.
Con un lieve ringhio di disappunto, Pikkoro si riappropriò del bauletto bronzeo che lei ancora reggeva: - Una volta portato via questo, nessuno verrà più a disturbarti – volle tentare a modo suo di tranquillizzarla, chinandosi e riprovando a forzarne l’apertura, o per meglio dire ad individuarla, non essendo così semplice come aveva creduto.
Quella donna, inoltre, non desisteva dal continuare a interrogarlo: - Che cosa c’è lì dentro? – si interessò sospettosa, facendogli luce con una lanterna.
- Sfere del Drago – gli sfuggì di rivelarle in un torvo bisbiglio, sperando inutilmente di scrollarsela. Sapeva che in quell'epoca non erano molte le persone a conoscere quella leggenda, tantomeno a crederci. Molti, per un connaturato istinto di conservazione, non volevano neppure sentirne parlare, perché si sapeva che il loro immenso potere, così conteso, fosse spesso fonte di sciagure per chi ne entrava in possesso.
Nella mente di Chichi però non c’era spazio in quel momento per tali riflessioni cupe e arzigogolate; a pungolarle il petto era piuttosto una spiacevole sensazione d’inganno e tradimento: - Come diamine se l’è procurate – chiese più a se stessa che all'ambiguo individuo di cui non conosceva ancora l’identità, piegandosi sulle ginocchia.
Quello, d’altra parte, sconoscendo i sentimenti della giovane donna, non si astenne dallo spifferarle la cruda verità: - Sono state rubate da una certa Bulma Brief – gracidò, accompagnando quella frase ad un’imprecazione nella sua lingua rivolta all'inventrice di quella diabolica cassaforte in miniatura.
- Cosa? Vorreste dire che mio marito è in combutta con quell'ignobile pirata?! – strepitò sconvolta la mora – Questo significa che è un traditore e un cospiratore! – si scandalizzò, agitando i pugni e colpendo involontariamente con un calcio la lampada, loro unica fonte luminosa in quella notte fosca.
Pikkoro inghiottì un’altra bestemmia, meditando di tornare di gran volata al Palazzo del Supremo, dove avrebbe potuto studiare meglio e con più calma il procedimento da usare per aprire quello scrigno apparentemente inespugnabile senza danneggiarne il preziosissimo contenuto, ma poi le sue orecchie si drizzarono da sotto il turbante, captando l’incombere di un nuovo pericolo.
Dei boati sinistri percorsero l’etere, ripetendosi a intervalli cadenzati e con un rimbombo crescente. Tutta la baia vibrò come scossa da un violento maremoto, uno stridente fischio parve trapassare lo spazio, schiantandosi verso di loro.
- Giù! – urlò d’impulso il combattente, afferrando la giovane e stendendosi sul pavimento, facendole scudo sotto di sé grazie al suo indistruttibile tabarro.
Delle palle di cannone si abbatterono in un frastuono assordante sul tetto dell’abitazione, scoperchiandola. Tegole e calcinacci crollarono tutt'attorno in una scrosciante tempesta di pietre e polvere e lo spostamento d’aria li sbalzò contro la parete opposta, insieme a schegge di mobili.
Allo stillicidio dei detriti subentrò un silenzio teso e innaturale, interrotto dai flebili singhiozzi della donna, che protestò per divincolarsi dalla prigionia delle sue nerborute braccia aliene, gemendo e tossendo.
Lui si rialzò e si ricompose, lievemente imbarazzato da quello slancio d’altruismo che non gli apparteneva, non riuscendo tuttavia a fare a meno di continuare a fissarla mentre si premeva il grembo custode di una nuova vita, con un cipiglio spaurito e scorato a distorcerle i delicati tratti del pallido viso.
- Non vi date pensiero. È ancora presto – mormorò Chichi con durezza sentendosi scrutare, fugando gli eventuali dubbi di quel sinistro forestiero che, seppure avesse fatto ricorso ad un approccio sconveniente, l’aveva strappata già per la seconda volta da morte certa. Nonostante ciò, il suo aspetto non le ispirava particolare fiducia né sapeva ancora come poterlo considerare, se un sicario senza scrupoli inviato da chissà chi per trafugare quel bottino di cui aveva appena appreso l’esistenza, oppure un disinteressato protettore dei più deboli che agiva sospinto da nobili ideali.
In quel momento sapeva solo di aver visto sbriciolarsi in un batter d’occhio il frutto di tanti anni di risparmi, fatiche e dedizione, e di non avere più un riparo in cui poter vivere e far crescere la famiglia che sognava di costruire con l’uomo di saldi e onesti principi che adesso temeva di non aver mai conosciuto per davvero.
Un pesante tanfo di zolfo e piombo appestava ancora l’atmosfera, l’eco di altre esplosioni si riverberava in ogni vicolo. A Pikkoro fu sufficiente una fugace occhiata data attraverso una delle aperture createsi con quella cannonata per intuire che la città era stata messa a ferro e fuoco da una ciurmaglia sbarcata con lo scopo di saccheggiare le Sfere del Drago. Dovevano essere gli scagnozzi di Freezer che, a quanto aveva udito, era anche lui sulle tracce di quel tesoro e disponeva di una sua piccola flotta.
- Servirebbero dei cannoni per annientare quei maledetti topi di fogna – osservò truce, stringendo a sé il forziere e aguzzando gli occhi dotati della sovrumana capacità di sondare anche nel buio i dettagli più piccoli e lontani.
Chichi lo spalleggiò: - Venite con me. Vi accompagnerò al forte – stabilì con rinnovata intraprendenza, precedendolo sulle scale pericolanti fino a raggiungere il pianterreno.
I cardini della porta cigolarono e non appena provò a spingerla cedette.
All'interno della sua cornice si stagliò la sagoma di un energumeno con una cresta di capelli rossicci e un ghigno freddo e indecifrabile.
- Dannato Goku! Se tornerà vivo, giuro che lo ucciderò con le mie mani! – si ripromise imbizzarrita la donna, prima di essere caricata rozzamente sulle sue spalle.

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