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Autore: TazzaBlu    14/05/2020    1 recensioni
Doveva essere quello, il vero amore, sì.
Eppure, quel mutare di rosso, viola, verde, giallo… qualcosa le diceva che non era normale, che non era quello il suo posto, che era infelice.
Ma nessuno doveva sapere. Non si doveva intuire che il suo sorriso, quello che indossava davanti agli altri, che teneva sempre in un cassetto per le occasioni speciali, era finto. Va tutto benissimo, andava dicendo a tutti quelli che glielo chiedevano.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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DISCLAIMER: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, e che Remus Lupin mi perdoni. 

 
Nymphadora girò la chiave nella serratura del bagno, per sicurezza. Prese un respiro profondo, ma le costole le dolevano, e si ritrovò a inalare fra i denti. Sentiva il sapore metallico del sangue in bocca, probabilmente aveva un labbro spaccato. Fece qualche passo in avanti, aprì il rubinetto, e appoggiò i palmi delle mani sul lavandino, mentre l’acqua scorreva con un lieve gorgoglio. Non avrebbe voluto guardarsi allo specchio, ma la parte curiosa di lei ebbe la meglio, forse quella che si autocommiserava un po’. Sollevò lo sguardo. Tutto sommato, la volta prima era andata peggio, si disse.
Si spostò leggermente il collo della maglia, per scoprire una clavicola. Aveva segni rossi anche lì.
Presto sarebbero diventati viola, poi verdi, poi gialli. Poi sarebbero scomparsi, tentando di portare con loro anche la memoria ad essi legata, ma quella non se ne andava mai del tutto.
Teddy era al sicuro, si ripeté nella testa, lui era al sicuro, dalla nonna. Almeno quella sera, non aveva visto niente, nulla di quello che aveva fatto suo padre avrebbe solcato la sua mente, lasciando profonde cicatrici. Era meglio che restassero a lei, quelle.
Aveva le spalle larghe, Nymphadora, ne aveva passate tante, e questo era solo un altro piccolo capitolo della sua vita, sarebbe passato, le cose sarebbero migliorate. Il mostro che viveva in Remus sarebbe stato eradicato, ne era sicura. Lui gliel’aveva promesso, tante volte, aveva la volontà di cambiare.
E ad essere onesti, un po’ se l’era cercata. Davvero, non avrebbe dovuto rispondergli in quel modo sgarbato, sapeva che aveva passato una giornata stressante al lavoro. Avrebbe dovuto avere più sensibilità.
Che sciocca, Nymphadora.
Mise le mani a coppa, prese un po’ dell’acqua che scorreva nel lavandino, e si bagnò copiosamente il viso, irrigidendosi appena, quando sentì l’acqua fredda bruciare sui graffi sanguinanti. Vide delle goccioline rosate cadere sulla porcellana, per poi essere portate via dal flusso di acqua cristallina.
«Dora».
Ebbe un sussulto, gli occhi le si spalancarono per il terrore.
«Dora, ti prego. Mi dispiace. Apri la porta».
Le lacrime le offuscarono di nuovo gli occhi, le umiliazioni di poco prima ancora urenti.
«Dora, perdonami. Non so cosa mi sia preso, ho perso il controllo. Dora, amore».
«E’ t-tutto a posto», udì la sua voce come aliena.
«Ti prego, apri».
Nymphadora fece dei passi incerti, annebbiata dal dolore e dalla paura. Girò la chiave nella serratura e si ritrovò fra le braccia del marito, stretta in un abbraccio.
«Mi dispiace, mi dispiace. Lo sai che ti amo, Dora. Lo sai, vero?»
«S-sì» disse lei, tremando leggermente.
«Chiederò aiuto, Dora, te lo giuro».
«Fallo p-per Teddy, fallo per t-tuo figlio. Lui non deve v-vedere». Oramai singhiozzava incontrollatamente.
Remus le accarezzava gentilmente la testa, ma lei non riusciva più a provare niente, eccetto repulsione, verso quelle mani, le stesse che l’avevano massacrata.
«Teddy è s-solo un bambino, Remus. N-non è giusto».
«Shh, calmati. Non accadrà più, te lo prometto».
E lei, ancora una volta, si attaccò a quella promessa con tutte le sue forze. Non poteva privare suo figlio di suo padre, non finché Remus aveva una possibilità di migliorarsi. Non poteva permettere a sé stessa di vedere il fallimento della famiglia felice che aveva tanto lottato per costruire. No, avrebbe atteso, lo avrebbe aiutato. Lo doveva a Remus, che non meritava di essere abbandonato, in balia del suo mostro. Lo doveva a sé stessa, al loro matrimonio, che meritava una possibilità in più.
A volte si chiedeva, rifacendo il letto, se avrebbe resistito altri dieci, venti, cinquant’anni. Altre volte, mentre cullava Teddy in salotto, per non far svegliare Remus, stremata, si chiedeva se fosse quello l’amore vero. Lei si stava annullando, per lui. Nymphadora Tonks non esisteva più, era diventata la balia di Teddy, la domestica, la cuoca, la governante, la concubina. Assumeva tanti ruoli, tutti portati avanti perfettamente. La casa risplendeva, Teddy scoppiava di salute, dalla cucina usciva sempre il buon odore di manicaretti. Remus era soddisfatto, coccolato, viziato. Il capofamiglia lavorava, tutto il giorno, era lui a mandare avanti la baracca, non sarebbe stato appropriato fargli trovare un capello fuori posto. Era tutto maniacalmente preciso, al suo posto, e Nymphadora era persa, in un limbo imprecisato. Talvolta, bastava poco, il mostro si risvegliava, la bestia dagli occhi gialli che viveva dentro Remus si ridestava, cercava di divorarla. Puttana, le gridava. Non vali niente, le ripeteva.
Rosso, viola, verde, giallo.
Sei una merda.
Rosso, viola, verde, giallo.
Sei una fallita, senza di me non riusciresti ad andare da nessuna parte.
Goccia dopo goccia, giorno dopo giorno, Nymphadora, guardandosi allo specchio, cominciò a vedere una puttana che non valeva niente, una fallita, una merda.
Doveva essere quello, il vero amore, sì.
Eppure, quel mutare di rosso, viola, verde, giallo… qualcosa le diceva che non era normale, che non era quello il suo posto, che era infelice.
Ma nessuno doveva sapere. Non si doveva intuire che il suo sorriso, quello che indossava davanti agli altri, che teneva sempre in un cassetto per le occasioni speciali, era finto. Va tutto benissimo, andava dicendo a tutti quelli che glielo chiedevano. Sono felice, mamma, aveva detto convintamente ad Andromeda, quando gliel’aveva chiesto. E intanto, qualcosa di lei moriva, un pezzo alla volta, rattrappito e impallidito, come una pianta priva di luce.
Talvolta guardando Teddy, suo figlio, che amava così visceralmente, concludeva che per lui, per la sua serenità, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Le bastava questo, per andare avanti.
 
 
Nymphadora era una donna forte e paziente. Avrebbe aspettato, si ripeteva, tutto il tempo necessario a Remus per guarire, per uccidere la bestia dentro di lui.
Non importava che fosse Natale, e aveva le ginocchia che facevano male per quante faccende aveva dovuto fare. Non importava che, sotto allo strato di fondotinta che Remus stesso aveva aiutato a stendere, ci fosse un occhio nero. Tutto era perfetto, tutto meraviglioso.
Solo lei avrebbe potuto vedere i colori dei suoi lividi che mutavano come le stagioni, andava bene così.
Ti amo, le diceva lui. Doveva per forza essere vero.
Quando arrivarono i parenti, si mostrò più raggiante che mai, mentre reggeva Teddy su un fianco. Lui aveva visto. Mai sarebbe stato ancora innocente, ma non parlava ancora.
Per lui, solo per lui, pensava di potersene andare ma poi… Remus sarebbe stato in difficoltà senza di lei. Era questo il modo in cui si sosteneva il proprio coniuge nei momenti di difficoltà?
Nymphadora, una pessima moglie.
 
 
Le urla di Teddy le squarciavano le orecchie, mentre cominciava a vedere macchie nere nel campo visivo. Le mani forti e mostruose di Remus attorno al suo collo. La vita le scivolava via.
Drin. Drin.
Sentì la presa allentarsi.
Drin. Drin.
La vista si fece più chiara.
Drin. Drin.
«Pronto? Ciao, mamma. Sì, tutto a posto».
Non appena si sentì le gambe abbastanza forti, si precipitò da Teddy, che ancora stava piangendo in preda al terrore. Lo prese fra le braccia, stringendolo forte, quello si calmò. Un lampo di consapevolezza attraversò Nymphadora: suo figlio l’aveva quasi vista morire.
«Certo che veniamo a pranzo domenica. Ora lo dico a Dora, che non deve preparare».
Nymphadora agì d’impulso. Scalza, coi vestiti sgualciti, segni rossi sul collo, aprì la porta di casa e scappò, il suo bambino in braccio. Più forte che poteva. Attraversò il giardino, arrivò alla strada. Corse, corse, corse, dimentica delle sue cose, alle sue spalle, della sua casa, di suo marito. Corse fino a che l’asfalto non le consumò i piedi, fino a che non ebbe la certezza che Remus non potesse più raggiungerla. Corse, lontano dal mostro dagli occhi gialli.
   
 
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