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Autore: MaxT    14/05/2020    6 recensioni
Questo racconto è basato su Somewhere only we know di marianna1317, rielaborato e completato da MaxT con l'aiuto dell'autrice originale.
Anni dopo essere morto nel mondo da incubo all'interno di un libro magico, Cedric redivivo si presenta alla porta della donna che ancora lo ama, la guerriera Orube.
Al rifiuto di dare spiegazioni sulla sua resurrezione si creano sospetti e incomprensioni, mentre le storie dei due personaggi si intrecciano con le realtà dei loro mondi natii, e con esuli che vivono in incognito nella città di Heatherfield.
Combattuti tra l'affetto per Orube e il loro dovere, le Guardiane e i saggi di Kandrakar cercano risposta a una domanda: c'è ancora una minaccia nascosta nel Libro degli Elementi?
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cedric, Orube
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto dei capitoli precedenti

 

Tre anni dopo essere morto all'interno del mondo nel magico Libro degli Elementi Cedric, ferito ed esausto, si ripresenta a Villa Rudolph.

Qui abita Orube, ancora innamorata di lui e tornata sulla Terra per riaprire la sua vecchia libreria.

La Saggia Yan Lin, informata, la incarica di chiedergli come ha potuto risorgere e uscire dal Libro degli Elementi, che Orube aveva riportato nello scantinato del Ye Olde Bookshop.

Il portale di Kandrakar viene spostato dallo scantinato al negozio di animali gestito da Matt Olsen.

Per un certo periodo Cedric e Orube convivono in modo apparentemente sereno gestendo la libreria e facendo vita ritirata, ma lui non risponde ad alcuna domanda sul suo ritorno.

Infine però si fa accompagnare nel seminterrato dove c'è ancora il Libro degli Elementi, ma davanti a questo ha una reazione che allarma Orube.

All'ennesimo rifiuto di Cedric di dare spiegazioni, lei lo lascia, ma decide di non raccontare a Kandrakar l'episodio per non peggiorare la situazione del suo ex.

Nel libro c'è tuttora lo spirito del defunto tiranno Phobos, che aveva assorbito energia magica dal portale di Kandrakar al quale era stato imprudentemente lasciato vicino da Orube.

Phobos aveva resuscitato Cedric per farsi aiutare a ricreare il suo corpo. Alla ritrosia di Cedric, lo spirito lo costrinse minacciandolo di nuocere a Orube, e facendogli indossare una magica veste nera. La prima missione di Cedric fu recuperare un'ampolla contenente lacrime di Phobos custodite in una cripta nel Metamondo; la seconda fu di procurarsi trecento bulbi di un particolare fiore, il kollatas, per trasformarli in altrettanti nuovi mormoranti.

Nel frattempo, i contatti tra le Guardiane e Kandrakar sono resi difficoltosi dalla collocazione del portale nel negozio di animali, e loro decidono di chiedere a Orube di spostarlo a casa sua, non più frequentata da Cedric. Le W.I.T.C.H. cominciano anche a mettere in dubbio il racconto di Orube sulla rottura.

A Kandrakar il Saggio Endarno, di ritorno da una convalescenza, mette in questione con gli altri Saggi la condotta di Orube e sollecita a indagare attivamente su possibili minacce ancora contenute nel Libro degli Elementi.

Su incarico di Kandrakar, Will entra di nascosto nella libreria di Cedric e vi nasconde cinque segnalibri rivelatori di attività magica.


 

Capitolo 10

Due Soli

 

La vede arrivare in distanza, tra la folla. Anche da lontano, il suo caschetto di capelli rossi è inconfondibile, perfino se abbinato a un anonimo giubbotto grigio topo.

E’ in anticipo, pensa Orube. Beh, del resto anch’io. Brutto segno.

Come pure l’appuntamento in un bar vicino all’università, in campo neutro.

 

“Ciao Rebecca”, la saluta Will arrivando vicino, “Non hai preso posto al tavolo?”.

“Preferisco che entriamo assieme”. La precede all’interno, e adocchia il tavolo più isolato in fondo alla sala. “Ti va quello?”.

“Perfetto”, risponde lei con un sorriso esagerato che Orube riconosce come forzato. “Grazie per aver accettato l’invito”.

 

Dopo avere ordinato due milkshake, Will esita brevemente, poi si decide. “Orube, devo parlarti di alcune cose importanti”.

“Ti ascolto”. Senza volerlo, Orube incrocia gambe e braccia.

“In primo luogo, dobbiamo rassegnarci: è impossibile tenere il portale nel negozio del signor Olsen. Lo hai visto anche tu qualche volta, è un disastro. Ora, dato che tu… che… che Cedric non frequenta più casa tua, credo che quello sia l’unico luogo ragionevole per tenere quell’oggetto e per sperare di farvi riunioni serie”.

Ineccepibile, pensa Orube. Purtroppo segna anche, in pratica, la fine delle sue speranze che Cedric torni a cercarla, dandole le risposte volute e riprendendo il suo posto accanto a lei. Una volta che il portale tornerà lì, la dimora non gli sarà mai più accessibile.

“Devo darti ragione, Will. Quella casa è davvero l’unico posto sensato per questo scopo, ormai. E non devi neanche chiederla: non è veramente mia, la occupo per gentile concessione della Congrega”.

La guardiana la ricambia con un sorrisone teso da orecchio a orecchio. “Perfetto. Grazie comunque. Se ti va bene, cercherò di organizzare il trasferimento per uno dei prossimi pomeriggi”.

“Un giorno vale l’altro”, risponde rassegnata.

“Perfetto!” ribadisce Will con troppo entusiasmo, poi qualcosa sembra restare in sospeso.

Orube interrompe quell’attesa ansiogena. “C’è anche qualcos’altro da dire, vero?”.

“Si…”. Will si torce brevemente nell’imbarazzo, poi inizia: “Sai, qualche giorno fa ho recapitato a Cedric il pacco che mi avevi affidato”. Vede che Orube la guarda immobile come una sfinge, e faticosamente continua: “Lui, sai, non mi ha detto molto… non sono la sua compagnia preferita, questo è certo. Però gli è scappato qualcosa come ‘suppongo che non cambierà più idea’. Ecco, questo non è ciò che mi sarei aspettato da qualcuno che ha preso la decisione di… di rompere un rapporto”. Tace, in attesa di una reazione.

E così Cedric mi ha sbugiardata, pensa Orube. No, non è neanche colpa sua: non sapeva cos’avrei raccontato. I terrestri dicono spesso che le bugie hanno gambe corte. Questo detto non esiste a Basiliade: il codice d’onore dei guerrieri le vieta completamente. E io l’ho violato.

“E quindi pensi che vi abbia mentito”.

“Mentito non proprio...”, minimizza Will agitando le mani davanti a sé “… ma magari sei stata imprecisa. Magari potresti spiegarmi meglio com’è andata...”.

“Com’è andata...”. Orube guarda fisso nel vuoto. Mentire è disonorevole. Rinunciare a una missione è disonorevole. Pietire scuse è disonorevole. Tradire Cedric… per lei sarebbe terribile.

“Will, devo ammetterlo. Per me, il conflitto tra le domande di Kandrakar e il suo continuo rifiuto di rispondere è stato insopportabile. Dopo l’ultimo, mi sono sentita così impotente che ho rinunciato. E l’ho fatto come una vigliacca, trovando una scusa perché non mi si potesse chiedere di ritentare. L’ultima cosa che gli ho detto è che avrebbe potuto tornare da me solo se avesse parlato, ma finora non l’ha fatto, e ormai non ci spero più”.

Will annuisce grave.

Orube è certa che l’altra già immaginasse una spiegazione simile. Quello però che non può immaginare è quanto accaduto nello scantinato della libreria, ma per lei l’idea di raccontarlo, aggravando i sospetti su Cedric, è insopportabile. “Mi dispiace, Will, purtroppo ogni volta che si parla di lui io sono troppo coinvolta per potervi essere utile”. Orube si chiude cupa nei suoi pensieri: sono stata debole e ho violato il Codice d’Onore, e ora non ho più né il mio amore, né la stima di Kandrakar. Me lo sono meritato. E me lo sto ancora meritando.

Will interrompe il suo cupo silenzio: “Non crucciarti troppo, Orube, non ti richiederemo più di metterti in una situazione così conflittuale. In futuro ci saranno di sicuro altre missioni in cui potrai essere utile. Missioni che non avranno niente a che fare con Cedric”.

Orube annuisce cupa. “Sai Will, ora come ora non so cosa fare. Sono incerta se mi faccia bene restare sulla Terra, ma non voglio tornare a Basiliade né a Kandrakar prima di avere avuto modo di riscattarmi in qualche modo. Però ora mi sento molto a disagio nell’essere mantenuta dalla Congrega”. Tamburella con le dita sulle ginocchia, pensando a come proseguire. “Insomma, ciò di cui sento il bisogno è una nuova motivazione per restare sulla Terra, che mi faccia uscire da questo momento di stallo”. Si china in avanti, sostenendosi il viso con il pugno.

“Vuoi lavorare?” chiede Will pensierosa. “Qual’è la cosa che sai fare meglio?”.

“Senza dubbio combattere, praticare le arti marziali”.

“Allora, perché non ti rivolgi a una palestra e ti proponi come istruttrice a pagamento?”.

Orube ci pensa un attimo, raddrizzandosi. “Sì, potrebbe essere una splendida idea!”. Si guarda in giro, nuovamente fiduciosa. “Dove posso rivolgermi?”.

 

 

“Eccoci arrivate”. Will indica il candido capannone davanti a loro. “Questa è la palestra 'Full Combat'”.

Le due osservano gli ampi lucernari smerigliati e l'ingresso evidenziato da eleganti linee curve con tutti i colori delle cinture marziali, dal giallo al nero. Sulle parti bianche delle pareti, sagome nere di combattenti si affrontano nelle pose plastiche caratteristiche delle discipline.

“Non sembra affatto male”, ammette Orube eccitata. “Entriamo!”.

 

Superato l'ingresso vetrato, si dirigono verso il lungo bancone della reception. Al di là, le attende un uomo di mezza età con il mento adornato da un pizzo, palesemente fuori forma ma con indosso la maglietta coi colori e il logo della palestra. “Buongiorno, signorine! Come posso esservi utile?”.

“La mia amica si interessa di arti marziali”, esordisce Will, “Volete spiegarle quali sono le discipline che insegnate qui?”.

Squadrata Orube dall’alto in basso, l’uomo fa strada verso l’area di allenamento. “Nella nostra palestra abbiamo corsi di karatè, judo, kung-fu, full contact e kickboxing. Per ogni disciplina, alleniamo una squadra di agonisti che portano i colori della nostra palestra ai campionati cittadini, di contea e di stato. Ci stiamo attrezzando per piazzare qualche nostro atleta anche ai campionati federali”.

Orube, alla quale l’elenco sciorinato dall’uomo non ha detto nulla, osserva brevemente gli atleti in allenamento; le sembra che il livello di tutti, compresi gli istruttori, sia estremamente modesto per i suoi standard.

L’uomo prosegue: “L’iscrizione alla palestra costa cinquanta dollari al mese e comprende un’assicurazione contro gli infortuni e l’accesso libero alla sala macchine, più cinquanta dollari al mese per ciascun corso frequentato, due lezioni di un’ora...”.

“Veramente non stavo pensando a iscrivermi come allieva”, chiarisce Orube, “Stavo cercando un posto come istruttrice”.

L’uomo resta sorpreso, poi chiede: “Istruttrice in quale disciplina?”.

“In tutte!”.

Dopo un attimo di stupore divertito, l’uomo le chiede: “Hai dei certificati sportivi, delle referenze?”.

“Che cosa sono?” chiede lei sospettosa. “Io ho imparato le arti marziali a partire dai sette anni di età in un luogo il cui nome non le direbbe niente”.

Lui scuote il viso, con una mal trattenuta espressione di disprezzo. “Non suona convincente, signorina. Se sei solo un’autodidatta, non credo che tu faccia per noi”.

“Perché non mi mette alla prova? Contro uno qualunque dei suoi istruttori?”.

“Senti, non abbiamo tempo per questo. Se ti interessa inscriverti...”.

Lei si accalora: “Le ripeto, mi metta alla prova e la stupirò”.

Will, accanto a lei, cerca di dissuaderla discretamente scuotendola per un braccio, ma senza riscuotere alcuna attenzione.

Lui la squadra. “Jeans, maglietta… Non hai neppure i vestiti adatti!”.

“Questi vestiti sono elasticizzati”, risponde Orube. Poi, alzando la voce: “Non è onorevole per un guerriero rifiutare una sfida leale!”.

La frase, scandita ad alta voce, sortisce l’effetto voluto: la maggior parte dei presenti in palestra, compreso l’istruttore e gli allievi, si fermano e si voltano a guardarla.

“Rebecca, lascia parlare me”, tenta di suggerirle Will a un orecchio, ma ancora una volta viene ignorata.

“E va bene, signorina, l’hai voluto!”, concede l’uomo a denti stretti. Si rivolge all’istruttore: “Roger, metti alla prova la signorina, e vediamo cosa sa fare”. Poi, avvicinandosi, gli suggerisce sottovoce: “Mettila a terra in fretta, questa presuntuosa, ma non farle male, anche perché non è assicurata”.

“Ma non è meglio rimandare a dopo la fine della lezione?”, chiede questo a bassa voce.

“L’hai sentita, sì? L’hanno sentita anche gli altri. Questa va stroncata subito, o penseranno che abbiamo paura di lei”.

In breve, gli allievi e gli altri presenti lasciano il centro del grande tappeto da allenamento a Orube, che depone le scarpe e altri oggetti che aveva nelle tasche, e all’istruttore in karategi e cintura nera e rossa.

“Chi dà il via?”, chiede Orube, osservando con sguardo critico il suo antagonista e la sua posizione di base.

“Iniziate!”, esclama il titolare con un gesto del braccio.

Orube aspetta che il suo avversario apra, e quando lo vede caricare un calcio circolare sa cosa fare: muovendosi con velocità fulminea, si abbassa e para il calcio deviandolo verso l’alto con l’avambraccio, poi gli passa alle spalle sotto la gamba alzata, gli preme una mano sul viso e gli falcia la gamba su cui si appoggia, sbilanciandolo all'indietro.

L’azione è stata fulminea, e non tutti sono riusciti a vederla e comprenderla pienamente; il risultato, il loro istruttore steso al tappeto con un’espressione disorientata, è invece sotto gli occhi di tutti. Un coro di commenti meravigliati accompagna la rapidissima fine dell’esibizione.

Dopo un attimo di stupore, il titolare si inalbera: “Fallo! Le mosse che hai usato non fanno parte del karatè. Signorina, dovresti sapere a che disciplina stai partecipando, mescolare tecniche diverse non è consentito!”.

“Come?”, chiede Orube incredula. “Perché delle regole dovrebbero vietare delle mosse?”. La sua vittoria schiacciante è sotto gli occhi di tutti. Perché quell’ometto cavilla trattandola come una senza onore?

“Si vede che non sai neanche di cosa parli! Sì, sei forte, sei veloce, ma sembra che tu abbia imparato la lotta su un altro pianeta!”.

Orube abbassa lo sguardo, scura in volto, e Will si avvicina dal fondo della palestra per sussurrarle qualcosa all’orecchio.

Un altro degli istruttori presenti in palestra, un uomo magro e completamente calvo, si avvicina al titolare e gli sussurra, a bassa voce: “Non era meglio rimandare questa prova a dopo la lezione? Avresti risparmiato una figura terribile a Roger. Non mi meraviglierei se questa fosse la figlia di Stan Luther. Ha anche lo stesso colore degli occhi”.

Lui la guarda ancora, torvo, e ammette: “E’ vero, ha gli occhi gialli come Stan!”.

Per le orecchie di Orube, non c’è bisbiglio così sommesso da non poter essere chiaramente udito.

“No, questo Stan non può essere mio padre. Lui è morto da quindici anni, e non è mai venuto su questo mon… da queste parti”.

“Occhi gialli? Un lottatore?”, chiede Will, insospettita. “Potete spiegarmi chi è quest’uomo, per piacere?”.

Il titolare la guarda storto senza degnarla di una risposta, ma l’altro uomo è più amichevole: “Stan Luther è stato istruttore in questa palestra due anni fa, per un breve periodo. Era un combattente estremamente abile, forte e agilissimo”.

Il titolare aggiunge, sprezzante: “Non è stato un successo. Mescolava discipline diversissime. Nonostante questo, ero stato ingannato dalle sue capacità e avevo pensato di poter correggere questo vizio, dandogli l’incarico di preparare la squadra di full contact per i campionati della contea. Non l’avessi mai fatto!”.

L’altro uomo completa: “Stan era così severo con i suoi allievi, e pretendeva così tanto da loro, che molti persero la fiducia in sé e lasciarono la squadra. Altri si impuntarono: ‘O lui o noi!’”.

“E naturalmente, fu lui a essere licenziato!”, completa il titolare. “E ci mancherebbe altro!”.

“Forse la signorina potrebbe trovarsi bene con lui”, azzarda l’altro uomo.

Gli occhi di Will brillano di curiosità.“Dove potremmo trovarlo?”.

“Stan ha aperto una palestra tutta sua. Ha pochi allievi ed è in ristrettezze economiche, ma tre dei suoi hanno avuto ottimi piazzamenti in kickboxing e full contact ai campionati cittadini, per cui sta cominciando ad acquisire un po’ di credibilità. Però la palestra è un buco scalcinato improvvisato in uno scantinato, e degli allievi che si iscrivono più della metà getta la spugna dopo un paio di settimane”.

“Mi interessa”, dice Orube, nuovamente eccitata, “Dove potremmo trovarlo?”.

“Ma fai pubblicità per lui?”, sbotta il titolare, “Quei suoi tre allievi ce li troveremo di fronte nei campionati della contea!”.

“Siate gentili”, prega Will, “Ancora un piccolo sforzo… Dove lo possiamo trovare?”.

“La sua palestra è in Jackson Avenue, e si chiama ‘Due Soli’”.

“Due Soli?!?”, ripete Orube sbalordita.

 

Mentre camminano velocemente verso la zona del porto, piuttosto a ovest della foce del fiume che attraversa Heatherfield, Will le rinfaccia: “Ho cercato di dirti di non umiliare l’istruttore, di non partire con quell’aria di superiorità. Avresti potuto iscriverti, tenere la testa giù per un po’ per capire le regole e le differenze tra le varie discipline, ed emergere poco a poco lasciandogli l’illusione di essere una sua creatura!”.

Orube annuisce senza guardarla. “Lo devo ammettere, Will, in quella palestra mi sono bruciata. Però è stata comunque una fortuna sfacciata!”.

“L’informazione su questo Stan Luther, dici. Occhi gialli come i tuoi… è un tratto diffuso a Basiliade?”.

“Abbastanza diffuso, sì. Ma è soprattutto il nome della palestra che mi rende sicura”.

“Due Soli. L’avevi già sentito?”.

“Sì, anch’io sono stata educata in un giardino con lo stesso nome… tradotto, ovviamente”.

Will sgrana gli occhi, stupita e confusa. “… Giardino? Lo stesso?”.

Orube capisce di dovere qualche spiegazione in più. “Nel mondo di Basiliade, i giardini sono delle accademie dove i giovani guerrieri vengono educati e addestrati. Il nome ‘Due Soli’ è di un ordine, una specie di catena di giardini diffusa in tutto il regno degli Asha. Quindi non è detto che sia lo stesso giardino”.

Will annuisce, poi torna a dare un’occhiata alla grossolana mappetta tracciata su di un foglio di notes. “Ecco, tra poco svoltiamo a destra...”.

 

Dopo qualche svolta, le strade si fanno sempre più squallide e mal tenute. Qualche capannello di individui poco raccomandabili sulla porta di un bar le guarda con interesse, ma senza creare nessun vero problema.

“Ancora un centinaio di metri, sulla sinistra”, dice Will, ripiegando poi il foglio e riponendolo nella tasca del giubbotto. “Eccoci”.

Il vecchio edificio di mattoni presenta un portone con dei campanelli, solo pochi dei quali accompagnati da cartellini con scritti dei nomi. Sotto ai campanelli, è appeso un cartello di lamiera dipinta a mano: ‘ Palestra Due Soli - Arti marziali – Maestro Stan Luther’. Più in piccolo, un’annotazione a pennarello indelebile con un errore di ortografia sommariamente corretto aggiunge: ‘scale a desttra in basso, in fondo al corridoio’.

Le due si guardano in faccia. “Scendiamo dunque”, dice Orube a Will, che sta esitando davanti all’ingresso poco invitante. La guerriera inizia a scendere le scale decisa, seguita dall'altra che non vuole mostrarsi da meno.

Se l’ingresso era triste, il lungo corridoio semibuio non è un progresso. Però in fondo si vede un chiarore proveniente da una porta socchiusa, e risuonano smorzati degli ordini urlati in tono marziale.

“Palestra Due Soli- Arti Marziali- Maestro Stan Luther”, ribadisce un secondo cartello dipinto a mano, sovrastato da due dischi, forse ricavati da coperchi di qualche fustino dipinti di giallo.

Da vicino, si vede che qualcuno ha disegnato degli occhietti puntiformi e una caricatura di bocca sorridente su uno dei pretesi soli.

Orube entra decisa, seguita da Will che in alcuni momenti, quando non è guardata, sembra nascondersi dietro di lei.

 

Passata la porta, vedono uno stanzone sotterraneo con una colonna centrale di cemento armato, e tappetoni che coprono tutto il pavimento e parte delle pareti, fin ad altezza d’uomo. Al centro di uno degli spazi, quattro allievi ben palestrati sono intenti a un duro esercizio di flessioni su una mano sola.

L’istruttore viene loro incontro. E’ un uomo alto e robusto, con i capelli brizzolati raccolti in un corto codino alla sommità del capo, spalle quadrate e poderose, vestito con un karategi e con in vita una cintura nero e oro così ampia da somigliare quasi a un corsetto.

“Buongiorno, signorine. Siete venute per...”. Le parole gli si fermano in bocca quando riconosce Orube.

Anche lei lo riconosce a colpo: quel volto quadrato, contornato da una corta barba rasa sui lati…

Resta per un attimo senza parole.

“Il Maestro Stan Luther?”, chiede Will al suo posto.

“Sono io”, risponde l’uomo con una qualche strana esitazione, poi torna a guardare Orube.

La Guerriera ha riconosciuto quell’uomo. Cosa fa qui? Butta un’occhiata verso Will: è giusto presentarla come una guardiana di Kandrakar, o non ha il diritto di rivelare la sua identità segreta? Non basterà presentarla come un’amica: certamente l’uomo non parlerà liberamente davanti a una terrestre qualsiasi. Infine si decide e le dice: “Will, per piacere, puoi lasciarci parlare da soli per qualche minuto?”.

L'altra resta a guardarla sorpresa, poi dà un’occhiata indietro, verso i corridoi squallidi e bui. Negli occhi le si legge facilmente ‘Se mi fai fare la strada indietro da sola, con me hai chiuso per sempre’.

“Solo tre minuti, Will, per piacere”.

Mentre l’altra si ritira cupa verso l’ingresso, Orube si avvicina all’uomo. “Ti riconosco. Tu sei Yarr di Basiliade”.

“E tu sei Orube!”, pronuncia lui a bassa voce con un’occhiata di sfuggita agli allievi, “Mi ricordo della tua irruzione al Tempio, la volta che hai interrotto la cerimonia di promozione di Himerish a Guerriero Supremo, per riportarlo a Kandrakar quale Oracolo. Cosa fai sulla Terra? Sei stata esiliata anche tu?”.

“No, sono… Ma perché, tu sei in esilio?”.

“Aspetta, questo non è il momento di parlare liberamente...”. Si volta verso i suoi allievi, e tuona con voce stentorea: “Adesso un esercizio di calci frontali. Fissate un punto su quella parete imbottita, e colpitelo con calci frontali finché non vi dirò di smettere. Uno per gamba, alternati”.

Dopo essersi assicurato che abbiano iniziato, Yarr si muove alle loro spalle, fuori dalla loro vista, e con un cenno chiama a sé Orube sul lato opposto dello stanzone.

“Sì, Orube, sono in esilio”, comincia a raccontare a mezza voce, “Ma mi è stato difficile adattarmi alla mentalità di un mondo così diverso. Per fortuna adesso le cose cominciano ad andare meglio, e la palestra comincia a ripagarsi prima che si esaurisca la somma che mi ha dato Kandrakar”.

“In esilio? Ma perché?”, chiede Orube stupita.

“Perchè amo il mio popolo”, risponde lui, “Più di quanto lo amino le autorità degli Asha”.

Orube si acciglia. “Perché dici questo? Le autorità difendono le leggi e l'onore!”

Lui attende un attimo, studiandola prima di rispondere: “Eppure tuo fratello Ipitlos la pensava come me”.

“Ipitlos? Cosa c’entra… Aspetta, anche lui è in esilio?”.

“Non che io sappia, Orube. Però io sono lontano dal nostro mondo da ormai due anni”. Poi, con un’occhiata verso i suoi allievi: “Adesso non possiamo parlare liberamente. Perché non vieni più tardi? Se vuoi, ti posso invitare a cena nel mio alloggio… se ti fidi, ben inteso”.

“Non c’è problema per questo”, risponde lei con nonchalance. “Ma voglio sapere di Ipitlos”.

“Non ti nasconderò niente di questa storia. Pero non aspettarti molto per la cena. Sarà frugale, come s'addice a due Guerrieri”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note sul cap.10

 

In questo capitolo incontriamo Yarr, il capo guerriero che aveva trovato il suo vecchio maestro Himerish in stato confusionale su Basiliade; lui lo aveva riconosciuto solo dalla sua tecnica di combattimento, in quanto il suo aspetto appariva molto più giovanile di quello che avrebbe dovuto.

Yarr e Orube si sono incontrati al tempio dei Due Soli quando lei, nel numero 43 del fumetto, è andata lì a richiamare l'Oracolo.

Inoltre in questo capitolo viene richiamato anche il fratello minore di Orube, Ipitlos, apparso da bambino nelle mia fanfiction La figlia del Guerriero.

Siccome l'Oracolo appartiene al popolo degli Asha, uno dei tanti sul mondo di Basiliade, ho supposto che anche Yarr e Orube appartenessero allo stesso popolo.

Per quanto riguarda l'ambiente della palestra di arti marziali, le differenze tra le diverse discipline e l'organizzazione dei campionati, devo confessare che, nonostante i miei tentativi di documentarmi, sono andato molto a naso. Se qualcuno con conoscenze dirette avesse da criticare questa parte, me lo faccia sapere e cercherò di correggere eventuali errori, per quanto possibile.

 

 

 

La cronologia di W.I.T.C.H. Parte 10

 

Un altro mio piccolo contributo alla cronologia della saga si trova nella mia fanfiction Dopo l'ultima pagina.

Qui Will ritrova un suo vecchio diario in un cassetto, e ripercorre un periodo del suo passato.

Questa storia è ambientata in una mattinata imprecisata del 2001 o 2002, ma richiama gli avvenimenti degli anni precedenti: inizia con ricordi collocabili nella sua tarda infanzia a Fadden Hills, per proseguire con i contrasti tra i suoi genitori e l'abbandono di suo padre databile alla fine del 1998; la crisi peggiore però iniziò con la ripresa della scuola nel settembre 1999, quando le divenne chiaro che era stata isolata dai suoi compagni di classe.

La storia si rifà al fascicolo W.I.T.C.H. Speciale: Un anno prima. In questo fascicolo c'è l'unica storia in cui Will è stata in grado di percepire i pensieri degli altri; questo suo potere, che mal le ha portato, non è stato mai più riproposto in altre storie.

 

  
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