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Autore: LysandraBlack    14/05/2020    2 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 32
One step closer




 

Era dalla mattina che faceva avanti e indietro per il porto, aiutando a supervisionare i lavori di rimozione delle macerie che ostruivano interi vicoli e controllando che nessuno si approfittasse degli edifici vuoti perché dichiarati inagibili per appropriarsi del loro contenuto.

Molti magazzini erano andati in fiamme, così anche alcune navi che erano rimaste attraccate invece che allontanarsi in fretta e furia come avevano ordinato la maggior parte dei capitani.

Quando finalmente fu l'ora di pranzo, ringraziò calorosamente i due elfi che avevano portato al piccolo gruppetto di lavoratori, templari e guardie cittadine stanziate ai moli un carretto stracolmo di pane, formaggio e qualche frutto succoso.

«Figuratevi, Ser Hawke, è il minimo che possiamo fare per voi!» Si inchinò uno dei due, le orecchie a punta rosse per il freddo, proseguendo a distribuire le vivande.

«Sembra che farsi quasi ammazzare da un bovino gigante abbia dato i suoi risultati...» Commentò Ruvena, avvicinandosi e sedendosi accanto a lei sul muretto. «Cibo a volontà!»

Marian sorrise, affondando i denti nel pane ancora tiepido e gustandone la fragranza. «Quando smetteranno di offrircene, tocca a te, io non ho intenzione di replicare tanto presto.»

«Sono un cittadino volenteroso, sto chiedendo solo un altro po' di pane!»

Si voltarono entrambe, e la tenente aggrottò le sopracciglia vedendo Samson, che già stringeva tra le braccia una pagnotta piuttosto grossa, allungare le mani per prenderne un'altra. L'elfo intercettò il suo sguardo e mollò la presa, limitandosi a guardare male l'uomo mentre tornava al lavoro. L'ex templare non sembrò minimamente turbato, e anzi si avviò verso le due donne, infilandosi la seconda pagnotta nella tasca del pastrano logoro.

«Che avete da guardare?» Chiese loro, prendendo un morso e masticando voracemente. «Non sarà certo grave quanto nascondere un mago nell'armadio, eh Hawke!»

«Non farmi pentire di averti chiamato, Samson.»

«Sono qui per lavorare, mica per stare zitto.»

Alzò gli occhi al cielo, prendendo un pezzo di formaggio dal cestino tra lei e Ruvena e porgendoglielo. «Prego.»

Samson non esitò ad afferrarlo, ponendosi il pane in grembo per poi aprirlo in due parti e piazzandoci in mezzo il formaggio morbido. «Se fossero tutti di buon cuore come te, Hawke, o sarebbe un mondo migliore oppure ci ritroveremmo con gli Abomini pure su per il culo.»

«Sempre ottimista, eh?»

«Da che pulpito.»

Incassò il colpo con una scrollata di spalle.

«Comunque, sono rimasto sorpreso che ti abbiano fatto tenere persino il tuo grado. Meredith si sta ammorbidendo o cosa? Ai miei tempi, saremmo finiti per strada per molto meno... io ne so qualcosa.» Proseguì amaramente Samson.

«Non so perché non mi abbia nemmeno declassato, forse non voleva apparire come un'ingrata davanti a tutti.»

«Quindi le voci sul fatto che tu abbia amici ai piani alti non sono vere?»

Intercettò lo sguardo di Ruvena, confusa. «Come fai a sapere sempre tutto, pur passando il tuo tempo in questo letamaio?» Gli chiese piccata. «E va bene, forse è stato anche grazie all'intercessione di alcuni amici, ma il mio posto me lo sono meritato. Checché ne dica il Canto della Luce o meno.»

Samson estrasse la fiaschetta dalla tasca, brindando alla sua. «Continua così allora, e ricordati di me se ti fanno Capitano al posto di Culo!»

Ruvena gli lanciò un'occhiataccia da sopra uno spicchio d'arancia. «Non sei pagato nemmeno per bere, oltre che per sparare stronzate.»

L'uomo diede un altro sorso, per poi allungarle la fiaschetta. «Vuoi? Cambierai idea.»

Marian scoppiò a ridere alla faccia schifata dell'amica, e si protese ad afferrarla. Annusò il contenuto, riconoscendone l'aroma fresco del lyrium misto a qualcosa di più tagliente. Ne prese un sorso, sentendo la gola bruciare. Chiuse gli occhi per un attimo, mentre la sostanza mandava tutta una serie di fuochi d'artificio dal petto su fino al cervello. «Questo è nuovo.»

Samson si riappropriò della fiaschetta, infilandosela gelosamente in tasca. «Mi pagate, posso permettermi roba migliore.» Si alzò e, dopo aver scimmiottato un inchino verso Marian, si allontanò verso un vicolo laterale.

«Fantastico, ci fa proprio piacere sapere che i soldi della comunità stiano andando spesi bene.»

«Ru, dagli un po' di tregua.» Sussurrò all'amica, rifilandole una gomitata leggera sul braccio. «Alla fine sta aiutando, no?»

«Su una cosa ha ragione, sei troppo buona.»

Si zittì di colpo, rabbuiandosi. «Mi spiace non averti detto niente, a proposito.»

Ruvena fece una smorfia. «Avevi le tue ragioni, se avessi anche io un fratello eretico non lo andrei a sbandierare in giro, però... potevi dirlo ai tuoi amici. Andrew e Trevelyan sono arrivati da un paio di mesi, e loro lo sapevano, mentre noi due condividiamo una stanza da quattro anni.»

«Lo so, è che... non volevo metterti nei guai. Non era un mio segreto da condividere, e nell'eventualità che fosse saltato fuori, com'è successo, non ci saresti andata di mezzo. Andrew è cresciuto con noi a Lothering ed era un amico di Garrett, per questo ne era a conoscenza, e l'ha detto poi a Trevelyan perché anche lui ha un fratello mago.» Alla faccia sconvolta di Ruvena, Marian sollevò le mani. «Non è un segreto per nessuno, quello, è al circolo di Ostwick!»

«È per quello che ha messo una buona parola per te con la sua famiglia e la Divina?»

Scosse la testa. «Non ho idea del perché l'abbia fatto, immagino che sia tutto un suo piano per scalare la gerarchia dell'Ordine, in un modo contorto e assolutamente incomprensibile.»

Ruvena storse la bocca. «Nobili.» Si sporse oltre il muretto, fingendo di vomitare e causando uno scoppio di risa nell'amica. «Sono contenta che abbia funzionato, però. Mi ha risparmiato prendere Cullen a calci.»

«L'avresti fatto davvero?» Le chiese ammirata. Quella specie di adorazione nei confronti del Capitano che aveva l'amica quando si erano conosciute, negli anni era un poco scemata, eppure non si sarebbe mai aspettata una dichiarazione del genere.

L'altra fece spallucce. «Sarà anche avvenente quando si toglie quel cipiglio arrabbiato, ma nessuno può permettersi di dire quelle cose su di te.»

«“Quelle cose”? E io che pensavo mi avesse riempita di complimenti.»

«Le parole “traditrice”, “esempio” e “potrebbero essere ovunque” sono state ripetute più di un paio di volte.» Rispose Ruvena, rabbuiandosi. «Sembra essersi dimenticato che gli hai salvato le chiappe ai Satinalia.»

Si strinse nelle spalle. «Almeno tutti gli altri se lo sono ricordato.» Un po' le bruciava però che Cullen odiasse a tal punto i maghi da rivoltarlesi contro in quel modo. Non aveva fatto altro che il bene dell'Ordine e della Città, persino nascondere la magia di Garrett alla fine si era rivelata una buona cosa. “La prossima volta che Capitan Culo avrà bisogno di aiuto, potrei essere altrimenti impegnata”, pensò piccata.

Finirono di mangiare lanciando qualche altra frecciatina al superiore, per poi rimettersi in piedi e tornare al lavoro.



 

Il resto della giornata trascorse lentamente e faticosamente, e quando fu finalmente il momento di togliersi l'armatura e darsi una rinfrescata, fu con immenso piacere che si infilò in abiti più comodi. Si spazzolò i capelli, guardandosi allo specchio con un cipiglio soddisfatto. Era finalmente la serata giusta, non ci sarebbero state scuse, intralci, complotti o impellenti problemi ad impedirle di portare a termine quello che si era prefissata. Si mise un filo di trucco sul volto, sotto lo sguardo vagamente divertito di Ruvena, e afferrò la giacca pesante dall'appendiabiti.

«Non aspettarmi per la notte!» Annunciò prima di aprire la porta.

L'amica scoppiò a ridere. «Da dove arriva tutta questa sicurezza, improvvisamente?»

«Dall'essere quasi morta un'altra volta, tre è il numero giusto a quanto pare!» Rispose, finendo di legarsi la cintura con la daga corta alla vita e lanciando alla Profetessa una preghiera accorata perché non ci fosse necessità di usarla.

«Non azzardarti a tornare prima di domani mattina!»

Scoppiò a ridere, ignorando gli sguardi astiosi dei tre templari in fondo al corridoio e superandoli con passo leggero, uscendo dalla Forca e lasciandosi alle spalle il lavoro per il resto della serata.

Tagliò per la piazza principale, procedendo sul vialetto di casa e incrociando Lumia e Seth che stavano in quel momento aprendo la porta.

«Ser Marian!» La salutarono i due, illuminandosi. «Bodahn e Sandal sono già usciti, noi abbiamo preparato tutto... siete sicura che non volete che almeno io resti a servire la cena?» Le chiese l'elfa, titubante.

La donna arrossì un poco. «Siete già stati molto gentili, Lumia, prendetevi pure la serata libera.»

Quando si ritrovò nel salotto di casa, finalmente sola e pronta a tutto, si concesse uno sbuffo di trepidazione. La tavola era già stata preparata, senza inutili fronzoli, e un odore di pane appena sfornato aleggiava dalla cucina al piano di sotto. I candelabri erano accesi, tutto era stato messo in ordine e spolverato, e sul caminetto-

«Che cretino!» Esclamò afferrando il biglietto posato sotto la statuetta di pietra di un mabari e osservando il disegno di un'Andraste ridicolmente oltraggiata che urlava da dietro una finestra chiusa. Nell'angolo in basso a destra del foglio, nella calligrafia del fratello, si leggeva un “era ora”.

Ridacchiò, infilandosi il foglio in tasca in un moto di affetto.

Era stato Garrett a proporle quell'idea, “in fondo la casa è anche tua”, le aveva detto con l'aria che aveva Varric quando parlava loro delle sue idee per qualche libro. Marian aveva accettato con un po' di riluttanza, ma dopo tutto quello che era successo nell'ultimo periodo, ne aveva bisogno.

Si toccò la spalla, sovrappensiero, seguendo con le dita sopra la stoffa la cicatrice che le era rimasta dal colpo dell'Arishok.

Il campanello dell'ingresso la fece sobbalzare e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo allo specchio posto sulla parete, andò ad aprire la porta.

«Marian, sei...» Sebastian, un mazzo di fiori in mano, aveva le guance rosse per il freddo. «Splendida.» Si schiarì la voce, mentre lei si faceva da parte per farlo entrare. «Come sempre, intendo.» Si guardò attorno confuso, verso il tavolo apparecchiato per due.

«Aveline e Donnic avevano da fare con la Guardia, Isabela è ancora ai lavori forzati giù alla clinica e Fenris doveva dare una mano all'Enclave...» Spiegò innocentemente lei, prendendogli dalle mani i fiori e avvicinandovi il viso. Non riuscì a riconoscerli tutti, ma spiccavano nel bouquet dei garofani rosacei, di cui inspirò rapita il profumo. «Sono bellissimi, grazie.»

Recuperò un vaso largo e dall'aspetto costoso, mettendoci dentro i fiori alla bell'e meglio cercando di non rovinarli, prendendo una caraffa d'acqua e versandone dentro un po'. Sollevando di nuovo il vaso per rimetterlo sul tavolino, le sfuggì una smorfia di dolore.

Sebastian accorse in suo aiuto, afferrandoglielo delicatamente dalle mani e appoggiandolo con cura al centro del pianale. «Come stai?» Le chiese, sfiorandole la spalla con aria preoccupata.

«Meglio, davvero. Mi hanno rattoppata per bene.» Rispose, ignorando il prurito che la accompagnava da giorni.

«Quando l'ho saputo... non mi perdonerò mai per non esserti stato al fianco.»

«Stavi proteggendo i fedeli e la Chiesa, Sebastian. Abbiamo entrambi fatto il nostro dovere.»

«Se Garrett non fosse intervenuto...» Scosse la testa, afflitto. «Non voglio nemmeno pensarci. E nonostante tutto, hai rischiato di essere processata per aver fatto la cosa giusta.»

Marian gli strinse il braccio per un attimo. «Non pensarci, allora. Sono viva, sto bene e abbiamo salvato la città, è questo che conta.»

Sebastian arrossì un poco. «Sia ringraziato il Creatore.»

“Ecco, è proprio di lui che volevo parlarti”, pensò lei con un filo di ansia. Prese un respiro profondo. «C'è una cosa che ti devo dire, ed è difficile per me, ma non posso più ignorarlo. Ti chiedo di ascoltarmi, e ti assicuro che qualsiasi cosa dirai, non intaccherà la stima che provo nei tuoi confronti.»

Sebastian la guardò confuso, aggrottando la fronte.

«Pensavo di morirci in quella sala, lo ammetto. E mi sono resa conto che avrei avuto principalmente un solo rimpianto, e...» improvvisamente, il discorso che si era ripetuta in testa per due giorni di fila sembrava esserle evaporato dalla mente. «Quello che sto cercando di dire, è che in questi anni mi sei stato sempre accanto, nei miei momenti migliori e in quelli peggiori, come spero di esserti stata vicina anch'io. Tuttavia,» riprese evitando che lui la interrompesse «quella che pensavo fosse soltanto un'amicizia, che mi sono sforzata di mantenere tale...» prese un respiro profondo, rendendosi conto di essere a corto di fiato «non ha senso continuare a fingere che non sia qualcosa di più, almeno per me.» Si morse la lingua, sentendo le guance in fiamme mentre si perdeva nelle iridi azzurre dell'uomo, ora sgranate per la sorpresa.

«Io... non so cosa dire.» Parlò finalmente Sebastian, dopo quella che sembrò una pausa interminabile. «Provo anche io dei sentimenti di profondo affetto verso di te, però sono ancora un Fratello della Chiesa, anche se non ho mai avuto tanti dubbi sui miei voti come in questo momento.» Scosse la testa, abbassando poi il capo. «No, non è affetto. Non è quel sentimento puro di cui parlano i poeti, è... desiderio, che mi divora il petto ogni volta che vorrei stringerti ma devo costringermi a fermare il mio braccio.»

Marian fece un passo verso di lui, guardandolo all'insù e sfiorandogli il dorso della mano. «Non fermarlo, allora.»

Sebastian strinse il pugno, come a combattere una forza invisibile. «Se abbandono la Chiesa, sarà per sempre, e...» Le afferrò finalmente la mano, esitando. «Non ho mai conosciuto qualcuno come te, non so come comportarmi. Ho paura di deluderti, se vedessi chi ero prima di prendere i voti.»

«Tutti abbiamo dei difetti, Sebastian.» Quasi le venne da ridere, nonostante la tensione. «Non sono pura di cuore e spirito, ho fatto un sacco di cose di cui mi pento e altrettante che nonostante farebbero storcere il naso ai più devoti, ripeterei in un batter d'occhio.» Abbozzò un sorriso. «Mi sono stancata di nascondere quello che provo e quello che sono. Quindi ti chiedo molto egoisticamente di fare una scelta, perché io la mia l'ho già fatta.»

L'uomo annuì, socchiudendo gli occhi per un attimo in un sospiro. «Penso di averla fatta anche io tempo fa, devo solo decidermi ad ammetterlo.» Fece scivolare la sua mano con delicatezza dal polso alla spalla, sfiorandole il collo e fermandosi ad accarezzarle la guancia, prima di chinarsi un altro poco su di lei, appoggiando la fronte sulla sua. «Ti amo, Marian.»

Non aspettò un attimo di più. Gli catturò le labbra con le proprie, mettendoci tutta la passione che aveva tenuto a bada in quegli anni, intrecciando le dita tra i suoi capelli, il profumo dell'altro ad avvolgerla mentre gli schiudeva le labbra e approfondiva il contatto, finché rimasero entrambi senza fiato. «Speravo lo dicessi.» Sussurrò, per poi baciarlo delicatamente un'altra volta, e di nuovo, mentre lo tirava a sé. «Ti amo anch'io, Sebastian.»

Quando iniziò a sbottonargli le fibbie della giacca, lo sentì irrigidirsi. Sollevò lo sguardo, interrogativa, e vide che era ormai paonazzo.

«Non... credo di potermi fermare, se andiamo oltre-»

Per tutta risposta, fece saltare gli ultimi due bottoni quasi di forza, baciandolo all'angolo della bocca per poi mordergli il lobo dell'orecchio. «Credo che ci siamo trattenuti abbastanza, no?»

La risata di Sebastian le provocò un battito di farfalle nello stomaco mentre le afferrava i fianchi e, dimentichi della cena, iniziavano a salire le scale verso il piano di sopra, senza staccarsi per più di qualche secondo, come se dovessero recuperare tutto il tempo perduto.

Entrati nella stanza da letto, Marian si lasciò sfuggire un gemito di dolore quando provò a togliersi la camicia, ma prima che l'altro potesse preoccuparsi e interrompere le attenzioni che stava dedicando al suo seno, si fece aiutare a sollevare la stoffa sopra la testa, lasciando che cadesse per terra. Lo spinse sul letto, mentre lui percorreva con la punta delle dita la spessa cicatrice sulla spalla, scendendo poi a baciarle il petto, le mani che accarezzavano i fianchi e il ventre.

In breve, anche la camicia dell'altro fece la stessa fine, permettendole di ammirarne il fisico asciutto, la pelle scura, gli addominali e la leggera peluria rossiccia che gli copriva il petto e scendeva dall'ombelico verso il basso. Gli montò a cavalcioni, andando a slacciare quella maledetta cintura, e ascoltò soddisfatta il rumore metallico quando la fibbia incontrò il pavimento. Le mani di Sebastian si infilarono sotto i suoi pantaloni, facendoli scivolare lungo le cosce finché non finirono a terra assieme all'intimo, lasciandola nuda di fronte a lui.

La guardò dal basso quasi con venerazione, mentre lei scendeva a baciarlo nuovamente, esplorando quel corpo che aveva bramato per anni.

Ad un certo punto la sorprese ribaltando le posizioni, e Marian si ritrovò a chiedersi come avessero potuto negarsi tutto ciò. Voleva sentirlo dentro di sé, appagare quel desiderio che l'aveva tormentata come fuoco vivo. Quando sentì il respiro caldo dell'altro sul ventre, sollevò il bacino alla ricerca di quel contatto, ansimando il suo nome.

Sebastian tornò a guardarla negli occhi, gemendo con la voce impastata di desiderio che non faceva altro che marcare quel suo meraviglioso accento, mentre la stringeva nuovamente lasciandosi guidare dentro di lei, chiamandola come in preghiera.



 

Si strinse contro il suo petto, godendosi la sensazione di potersi abbandonare completamente a lui mentre Sebastian le baciava i capelli. «Non voglio tornare là fuori.» Sussurrò, cercando di ignorare la luce che entrava ormai prepotentemente nella stanza nonostante le tende chiuse.

«Lo so, vorrei restare così per sempre.»

Sorrise, accoccolandosi tra le sue braccia. «Potranno cavarsela senza di noi per qualche giorno.»

L'altro si lasciò sfuggire una bassa risata, mentre coi polpastrelli disegnava figure immaginarie sulla collinetta dei suoi fianchi. «Questa città non può stare nemmeno tre giorni senza di te, temo.»

Si voltò a guardarlo, sfiorandogli le labbra. «Sono disposta a correre il rischio.»

La baciò con dolcezza, sistemando le coperte su entrambi per ripararsi ancora un poco dal giorno. «Verranno a cercarci, lo sai.»

Trattenne a stento una risata. «Se conosco Isabela, è piazzata qui fuori armata fino ai denti e pronta ad impedire a chiunque di entrare.» Si godette il rossore sulle guance dell'altro, ricambiando il bacio. «Ammetto che era una trappola ben congegnata.»

Sebastian sorrise a sua volta. «Normalmente non sarei così contento di esserci caduto in pieno, ma visti i risultati...»

Marian stava per proporre di restare a letto per l'intera giornata, quando il suo stomaco si esibì in un brontolio affamato. Sbuffò, accoccolandosi contro di lui con un grugnito infastidito mentre il compagno le baciava una spalla.

«Nulla ci impedisce di ripetere.» Le sussurrò all'orecchio, stringendola per ancora qualche istante prima di mettersi seduto e cercare con lo sguardo i vestiti finiti sul pavimento.

Capitolò anche lei. Recuperò una vestaglia da casa dall'armadio e, senza darsi la pena di allacciarla bene sui fianchi, gli lanciò uno sguardo lascivo prima di scendere al piano di sotto.



 

«Sai, non pensavo si sarebbe finalmente tolto quell'Andraste dai pantaloni.»

Nascose il sorrisetto soddisfatto nel boccale, prendendo qualche sorso. «E invece...»

Isabela scoppiò a ridere, dandole un buffetto sul braccio. «Allora, non per farmi i fatti tuoi, Tesoro, ma com'è messo là sotto?»

«Bela, questa è esattamente la definizione di “farsi i fatti altrui”.»

Il sorriso dell'amica non fece che allargarsi.

Scosse la testa, divertita, ricambiando il colpetto. «Fatti bastare che è andata bene, impicciona!»

«Sono contenta che vi siate finalmente dichiarati.» Commentò Aveline, annuendo soddisfatta. «È stato un passo importante per entrambi.»

Annuì. «Elthina se lo aspettava, credo. Non mi è sembrata particolarmente arrabbiata con me, ieri che ero di ronda alla Chiesa, anzi, credo mi abbia persino sorriso ad un certo punto.»

«Che quel bocconcino prelibato rimanesse con la cintura di castità a vita era un crimine contro il Creatore in persona, Tesoro, hai solo fatto la Sua volontà.»

«Partirà per Starkhaven, quindi?» Chiese Aveline.

Scosse la testa. «L'idea è di creare nuove alleanze e rafforzare le vecchie, non credo che suo cugino, ma soprattutto quelli dietro al suo trono, gli renderanno la vita facile. Oltretutto, la situazione con i maghi eretici sta peggiorando a vista d'occhio e la Somma Sacerdotessa è preoccupata, come tutta la Chiesa e i Templari, del resto, e Sebastian non se la sente di andare da nessuna parte prima che si sia risolta.»

«Sì, il fatto che tu sia di stanza qui a Kirkwall non ha alcun peso sulla sua scelta di restare, assolutamente.» La punzecchiò Isabela, buttando giù il suo rum. «Beh, qualsiasi siano i motivi, sono contenta per voi. Soprattutto per te, ovviamente, anche se una parte di me piange per il fatto che non potremo mai replicare quella meravigliosa serata al porto, anche Fenris sarà in lutto.»

Scoppiò a ridere, rischiando di farsi andare di traverso la birra e tossendo alla ricerca d'aria. «Smetterai mai di ricordarmelo?»

La pirata le lanciò un sorriso smagliante. «Mai, conserverò gelosamente il ricordo finché campo. E la prima volta che il tuo bel principe sarà abbastanza ubriaco, lo sfrutterò a mio vantaggio. Chissà che non torni alle vecchie abitudini di quando era giovane e promiscuo.»

«Devi solo provarci...»

Isabela sollevò le mani in segno di resa, ridendo. «E va bene, d'accordo, è territorio inviolabile! Sei molto egoista però, sappilo, i veri amici condividono tutto.»

«Questo è perché hai un'idea completamente traviata dell'amicizia, oltre che di molte altre cose.» La rimbeccò Aveline, che tuttavia stava sorridendo.

«A proposito di veri amici, la gattina si è ufficialmente soffiata l'ultimo Hawke rimasto.» Annunciò Isabela, abbassando la voce in tono confabulatorio. «Ho notizie di... terza mano, a riguardo, ma sono fonti affidabili. Ero con quel nano baffuto e il bel tenebroso dal naso che lascia ben sperare, e a metà di quella che oserei dire una splendida esecuzione canora dopo un intero barile di birra nanica, ho chiesto dove fosse il piccolo Carver. E a quanto pare l'elfa che hanno tra i Custodi li ha visti pomiciare in modo molto entusiasta qualche sera fa.»

Marian si lasciò sfuggire una smorfia. «Sei una zabetta.»

«Chi, io?!» Finse di offendersi l'altra. «Sono solo preoccupata per la vostra salute, un buon esercizio fisico è importante nella vita.»

«E ovviamente quello è l'unico esercizio che conosci...» borbottò Aveline, scuotendo il capo. «Non dovresti impicciarti, Isabela.»

L'altra fece spallucce. «Lo so che saresti preoccupata anche tu, se non fosse il nostro piccolo Carver quello intento a raccogliere margherite. Non mi inganni, ragazzona.»

«Ripartiranno tra qualche giorno, sono contenta che almeno...» Marian sospirò profondamente, lasciando la frase in sospeso. Carver si meritava un po' di felicità, forse più di tutti loro. «Merrill sembra aver messo un po' la testa a posto, ultimamente, no? Hanno difeso bene l'Enclave, si sta dedicando all'intero quartiere...»

«Speriamo.» Si limitò a rispondere Aveline. «Temo sempre che si cacci in qualche guaio più grosso di lei, sembra sempre così...»

«Innocente?» Finì per lei Isabela, ridacchiando. «Nasconde delle sorprese, fidatevi di me.»

«A proposito di sorprese, andrei a controllare come se la stanno passando i ragazzi, prima che Garrett mandi in fumo altre duecento Sovrane solo perché non sa perdere.» Cambiò discorso Marian, alzandosi e aspettando che le altre la seguissero al piano di sopra dell'Impiccato.

La scena che si trovarono davanti era al limite del ridicolo.

Varric stava contando una grossa pila di monete d'oro davanti a sé, mentre Fenris lanciava occhiate velenosamente soddisfatte in direzione di Anders. Il mago teneva il broncio, e Garrett era intento a frugarsi nelle tasche alla ricerca di qualcosa, altri soldi probabilmente.

«Mi hai mandato sul lastrico anche stasera, bell'amico.»

«Scheggia, è colpa tua. Potevo leggere ogni singola carta della mano del biondino stampata su quel bel faccino disperato.»

«Ti odio.»

«Non ero disperato!»

«Raccontala a qualcun altro, mago.»

Marian si schiarì la voce, andando a posare entrambe le mani sullo schienale della sedia del fratello. «Vedo che ve la state spassando come al solito.»

«Ah, eccovi!» Si illuminò quello, estraendo altre tre Sovrane dal fondo della tasca dei pantaloni. «Isabela, vuoi farmi compagnia?»

«Quando vuoi, speravo avresti cambiato idea.»

Anders e Fenris si voltarono all'unisono verso i due, causando uno scoppio di ilarità generale.

La pirata andò ad appollaiarsi con nonchalance sul bracciolo della sedia di Garrett, cingendogli con un braccio le spalle e chinandosi verso i due fratelli. «Questi due insieme farebbero faville.»

«Sì, nel senso che Kirkwall andrebbe di nuovo in fiamme.»

«Cos'è che state dando alle fiamme, qui?»

Marian si voltò con un sorriso verso la porta, vedendo entrare Sebastian e Donnic, e alzandosi per salutarli. «Ci stavamo appunto lamentando della noia.»

Sebastian ricambiò il saluto, sfiorandole la mano e tirando indietro una sedia per farla accomodare. «Posso proporre un'imboscata di assassini antivani, dato che abbiamo già incontrato Qunari, maghi del sangue e pirati?»

Isabela scoppiò a ridere, andando ad accomodarsi anche lei al tavolo. «Scherza, scherza, principino, ma quando avrai messo una corona su quei bei capelli rossi potresti pure riceverne un paio, sai?»

Marian incrociò lo sguardo allarmato dell'uomo, scuotendo il capo divertita. «Sei sempre ottimista.»

«Oh, eccome, uno dei migliori affari della mia vita è stato, l'incontrarne uno.» La pirata allungò il braccio verso il mazzo di carte davanti a Varric, iniziando a mischiarle. «Allora, è rimasto qualcuno con almeno un paio di monete nella borsa?»

Non le sfuggì l'occhiata di scuse che Anders rivolse a Garrett, ma alla fine restarono tutti. Dal piano di sotto, arrivarono altre birre e qualche piatto di cibo, e la serata trascorse tranquilla.



 

Tornando verso la Città Superiore, dopo aver salutato Sebastian, si ritrovò con Aveline a camminare per la piazza del mercato, senza in realtà avere molto sonno. Donnic si era allontanato poco prima, e le due erano rimaste sole.

«Sai, credo di essere pronta.» Disse ad un certo punto Aveline, e Marian la guardò senza capire. «Per il prossimo passo, con Donnic.»

«Nel senso che intenderebbe Isabela, o...?» Scherzò lei, fermandosi sotto il portico.

L'amica scosse la testa, arrossendo imbarazzata e fissandosi i piedi. «No, intendo il passo importante.»

Sgranò gli occhi. «Te l'ha chiesto?»

Aveline rialzò la testa, allarmata. «No, no, non quello!» Si affrettò a spiegare, gesticolando nervosamente. «Sarebbe troppo presto, magari ancora qualche mese-»

«Ah, qualche mese!»

«Va bene, allora non ti dico niente.» Tagliò corto, imbronciata, facendo per andarsene.

Marian scattò in avanti, afferrandola per una spalla. «Scusa, ricomincia da capo. Sarò seria.»

L'altra alzò gli occhi al cielo, ma si fermò di nuovo. «Le cose stanno andando bene, con Donnic. E sì, non escludo l'idea del matrimonio, anzi, credo me lo chiederà a breve, è... molto romantico. Più di me, sicuramente, almeno non ha mai pensato di farmi regali assurdi per dichiararsi.»

Si limitò ad annuire, cercando di non ridere al ricordo delle assurdità a cui voleva ricorrere l'amica per fare colpo sull'uomo.

«Ecco, insomma, voglio dire che sono pronta ad affrontare il resto della vita con lui.» Borbottò Aveline, sottovoce. «Come avrei fatto con Wesley.»

Improvvisamente, l'ilarità sparì. «Sarebbe solo contento di vederti felice, Aveline.»

L'amica annuì. «Lo spero. Sto facendo del mio meglio. Lo amavo, e non cambierà mai, però Donnic è un uomo meraviglioso e...»

«Puoi amare due persone nella vita, non c'è niente di male.»

La vide abbassare il capo. «È che non voglio che si senta un rimpiazzo.»

«Non dire così, è innamorato di te e si vede che lo ricambi con tutto il tuo cuore, non potrebbe mai credere una cosa del genere.» Ribatté cercando di convincerla. «Ed è normale che pensi ancora a Wesley, sarà sempre una parte di te. Ma se senti di essere pronta ad una vita con Donnic, allora significa che è il momento giusto.»

Aveline rialzò il volto, abbozzando un sorriso. «Lo spero.»

«Ne sono certa.» In un moto di affetto, Marian la strinse in un abbraccio.


























Note dell'Autrice: fanfare e cori da stadio, finalmente quei due ce l'hanno fatta. Da qui in poi Sebastian si staccherà dal burattino di legno perennemente indeciso che l'ha reso la Bioware per diventare un bambino vero. La tensione tra questi due ormai si poteva affettare con un'ascia bipenne, spero che sia valsa la pena aspettare tanto a lungo! 
Si conclude così il secondo atto, con un attimo di pace e tranquillità e buone speranze per il futuro. 

 

  
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