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Autore: Fiore di Giada    15/05/2020    0 recensioni
[Uchuu no Kishi Tekkaman Blade]
Cinque anni dopo la fine della guerra, Ringo riceve una lettera, che sarà per lui un trauma.
(shonen ai Richard x Nick)
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rapida, la macchina blu dell’esercito si avviava verso l’ospedale militare, lasciando dietro di sé una densa scia di fumo.
Richard, seduto sul sedile posteriore, meditava. Aveva dato il consenso ad una simile operazione, eppure il suo cuore era dilaniato.
Quel senso tormentoso di amarezza, che gli stringeva lo stomaco, non svaniva.
Si irrigidì. Il percorso, in quel momento, gli pareva allungarsi all’infinito.
E questo aumentava il suo senso d’angoscia.
Desiderava la fine di una simile sofferenza, ma temeva il momento del suo arrivo.
Cosa avrebbe visto? Come avrebbe reagito?
Aveva preso quella decisione spinto dal suo affetto filiale, ma i dubbi non si erano dissolti.
Il suo amore filiale combatteva contro il suo lato egoista e non riusciva a prevalere.
Girò la testa e guardò oltre il finestrino.
Il cielo, grigio di nubi, era illuminato dalla rara luce di un lampo grigiastro, accompagnata da un cupo rombo, simile alla detonazione di un cannone.
Un amaro sorriso sollevò le labbra del giovane soldato. Quantomeno non doveva combattere con l’amarezza di una bella giornata di sole.
Il tempo sembrava volere dare un conforto alla sua anima e si accordava ai suoi sentimenti.
Spero stiate festeggiando bene, amici miei., si disse. Cinque anni di riposo e cure avevano permesso a Nick di rigenerare i danni patiti dal suo corpo durante la dura guerra contro i Venomoidi.
Aveva perfino ripreso gli allenamenti nelle arti marziali!
Certo, si era rotto una gamba, ma era sempre meglio un arto rotto di uno stato di catatonia!
E tutti volevano festeggiare quest’evento con una vacanza nelle più belle città europee.
Certo, Star e Nick si erano lasciati, ma Balzac e Rachel, dopo la guerra, si erano ritrovati e pensavano al matrimonio.
Con un cenno della testa, allontanò i pensieri molesti. No, in quel momento, il suo pensiero doveva tendersi a suo padre, che giaceva in un letto d’ospedale, incatenato ad una crudele agonia.
La sua attenzione doveva concentrarsi su di lui,
Le lacrime non erano degne dell’unico figlio del generale Charles Varlause.
Eppure, tale razionalizzazione non diminuiva il peso del suo dolore.
Sarebbe riuscito a onorare il suo impegno?
Avrebbe sopportato la definitiva distruzione di quel legame?

Diverso tempo dopo, davanti ai loro occhi, si stagliò un edificio assai grande, a pianta rettangolare, con muri perimetrali tinti di bianco e il tetto piatto, circondato da un ampio giardino, rigoglioso di piante verdi.
Decine di persone entravano e uscivano dalla struttura, come api in un alveare, mentre diverse ambulanza si fermavano nel parcheggio.
Siamo arrivati., pensò. Mancava poco alla fine di quel tragitto.
Suo padre era in quell’ospedale…
Sto facendo quello che è giusto? Avrei dovuto rifiutare?, si domandò, sempre più turbato. Suo padre era un uomo d’animo fermo e non avrebbe mai accettato una simile condizione, priva di qualsiasi rimedio.
Questo non aveva frenato la sua devozione verso sua moglie e l’aveva assistita, durante la sua terribile malattia.
Aveva rispettato la scelta di lei di lottare contro quell’orrendo tumore.
Erano mutati i suoi pensieri in quei lunghi anni di lontananza?
Gli sembrava di essere precipitato in un vortice privo di scopo.
Sospirò. No, non aveva senso porsi simili domande…
Doveva mostrare la sua risolutezza.
I militari non avrebbero goduto della pena, che, crudele, gli dilaniava l’anima.
La macchina si fermò, l’autista scese e aprì la portiera.
A che piano? – domandò il Cavaliere dello Spazio.
Quinto piano. Seguimi. – rispose il soldato, atono.

A passo rapido, entrarono nell’ospedale.
Attraversarono l’ampia sala d’attesa, poi si avvicinarono ad un ascensore ed entrarono.
Con un rumore secco, le porte si chiusero e il montacarichi si sollevò.
Il giovane chiuse gli occhi e le sue braccia si incrociarono sul petto. Doveva serbare la sua apparenza di contegno…
I militari non si sarebbero impietositi, davanti alla sua disperazione, e lui non desiderava essere oggetto del loro biasimo.
Affondò i polpastrelli negli avambracci. Solo l’orgoglio gli permetteva di non cedere all’angoscia.
Ma quanto avrebbe tollerato un tale peso?
Ad un tratto, l’ascensore si bloccò.
Siamo arrivati. – annunciò il soldato.
Premette il tasto sul quadro elettrico e le porte, con uno scatto metallico, si aprirono.

A passo rapido, attraversarono un lungo corridoio e, giunti davanti ad una porta metallica, si fermarono.
Il soldato, presa la tessera magnetica, la introdusse nel lettore e la spia lampeggiò d’una luce verde.
Di scatto, la porta si spalancò e i due giovani entrarono in una stanza ampia, di forma rettangolare, con pareti e pavimento d’un bianco accecante.
La luce gialla di una lampada a neon appesa al soffitto, un poco più scuro delle pareti, illuminava l’ambiente e si posava su un letto assai ampio.
Su di esso giaceva un uomo alto e magro, il volto circondato da una folta chioma bionda e gli occhi chiusi in un sonno profondo.
Nel suo braccio destro, era infisso un ago, da cui si allungava una lunga cannula, collegata ad una flebo, da cui stillava una soluzione bianca, mentre sul suo volto era posata una maschera bianca per l’ossigeno.
Sul suo petto e sulla sua testa erano collocati degli elettrodi, collegati ad un elettrocardiografo e un elettroencefalografo, dai quali si spandeva un ronzio monotono e insistente, come quello di un banco di mosche.
Un medico basso e tarchiato, con una folta chioma candida attorno al viso squadrato, controllava i macchinari, assieme a due infermieri.
A stento, il giovane Cavaliere dello Spazio frenò un gemito. Suo padre era stato ridotto ad un simulacro di se stesso…
Quel corpo, privo di energia, sostenuto dalle macchine, manteneva solo le sembianze del suo amato genitore..
Strinse i pugni e, a stento, frenò la brama di piangere. Tanti ricordi si spiegavano nella sua mente, dilaniata da quella crudele visione…
Rivedeva Charles Valause, mentre lo sollevava tra le sue forti braccia di rugbista…
Gli pareva quasi di sentire la solidità dei suoi muscoli sotto le sue gambe…
E di lui cosa restava?
No, quel corpo non apparteneva ad un uomo vitale e risoluto come suo padre.
Il medico, sentendo il rumore della porta, distolse l’attenzione dai macchinari e, a passo rapido, si avvicinò ai due militari.
Sono il dottor Mahon e sono il primario di questo ospedale. Sei tu Richard Valause? – chiese, calmo.
Il giovane trasse dalla tasca della sua divisa un tesserino identificativo e lo consegnò al medico.
Capisco. Mi dispiace per quello che vi hanno chiesto. – mormorò, fissando il suo sguardo metallico sul giovane figlio del generale Valause.
Grazie. – rispose questi, atono.
Mise la mano nella tasca destra del camice e trasse un telecomando con un pulsante rosso al centro.
Che cosa è? – domandò il giovane.
Con questo telecomando, puoi spegnere le macchine che mantengono il generale in vita. Devi solo premere il pulsante. – spiegò il dottore.
Ringo accennò ad un mezzo sorriso stanco. Quella cortesia gli permetteva di mantenere un atteggiamento calmo, malgrado la situazione.
Il medico chinò la testa in segno di rispetto, poi si allontanò, portando con sé i due infermieri e il soldato.

Il giovane, per alcuni istanti,rimase immobile, poi si avvicinò al letto.
Si sedette su una sedia e, per alcuni istanti, rimase immobile, lo sguardo fisso sul corpo disteso. No, non era suo padre…
Lui era un uomo forte e vigoroso.
O forse era un ricordo d’infanzia, scolorato dal tempo?
Non so che cosa fare… – mormorò. Davanti a quelle povere membra, prive di vita, la sua decisione, apparentemente solida, mostrava crepe evidenti…
Il suo cuore si schiantava con fragore e le incertezze lo straziavano.
Di nuovo, l’indecisione dilaniava la sua mente.
Suo padre, così deciso e vigoroso, non avrebbe mai tollerato una simile esistenza, giudicandola indegna di un uomo.
Eppure lui, suo unico figlio, temporeggiava.
Il lato più egoistico del suo amore filiale frenava la sua mano e gli impediva di portare a termine il suo compito.
Non so che cosa fare… – mormorò, affranto. Suo padre, a causa del suo lavoro, non gli dedicava molto tempo, ma sapeva rendere incisivi i momenti che gli dedicava…
Grazie ai suoi insegnamenti, era divenuto un uomo coraggioso, che non arretrava davanti a nulla.
Al contrario degli altri Cavalieri dello Spazio, era stato fortunato.
Oltre a suo padre e sua madre, era stato ricoperto d’affetto e di premure dall’anziano maggiordomo Barnaby, morto poco tempo prima, a causa delle conseguenze di una caduta.
E doveva a suo padre quest’ultimo atto d’amore.
Gli doveva restituire parte del suo debito.
La sua mano destra si allungò e si posò sulla guancia del generale, in una tenue carezza.
Le lacrime annebbiarono i suoi occhi e un debole singhiozzo strinse il suo petto. Poteva sentire un flebile calore attraversare le sue dita…
Ma non era un segno di vita consapevole.
Suo padre era un vegetale, privo di una qualsiasi umanità.
La sua coscienza era dispersa in una dimensione lontana, a cui lui, malgrado il suo amore filiale, non poteva accedere.
Eppure, poteva toccarlo e sfiorarlo.
Poteva nutrire il suo cuore di ricordi e illusioni.
E quelle memorie sarebbero state un balsamo per la sua sofferenza.
Ma desiderava questo?
Era giusto imprigionare suo padre in una rete così soffocante, pur di allontanare la sofferenza dal suo cuore?
Certo, non sentiva nulla, ma non era rispettoso verso l’uomo che lui era stato.
Il suo sguardo, ad un tratto, si indurì e, con un gesto nervoso, allontanò le lacrime. Non poteva più esitare.
Le sue labbra si posarono sulla fronte del genitore in un lieve bacio e rade lacrime gocciarono dai suoi occhi.
Ti voglio bene… – mormorò.
Gli accarezzò il viso, poi la mano destra e gli lanciò uno sguardo, lucido d’amarezza. Sì, doveva compiere il suo dovere.
Non doveva farsi dominare dall’egoismo dell’amore.
Per amore suo, non doveva condannarlo ad una tale pena.
La tempra di suo padre non meritava un simile affronto.
Torna da lei… Torna dalla mamma… Non sarete più lontani...sussurrò.
Esitò un poco, poi premette il pulsante sul telecomando.
Il ronzio si attenuò sempre più, fino a spegnersi in un cupo silenzio.




   
 
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