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Autore: Fleurs Captives    15/05/2020    0 recensioni
La storia ripercorre in parte alcuni degli avvenimenti originali che vengono mostrati nell'anime (NB: non ho ancora letto il manga) dal punto di vista di un personaggio originale: la mia protagonista, Lydia. Si tratta, però, ugualmente di un universo alternativo.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Wounded Wings

Capitolo 2 – Cambio di prospettiva
 
Come ogni mattino, il sole si innalzò in cielo. I suoi raggi penetrarono attraverso le imposte di una finestra malridotta, colpendo inevitabilmente le palpebre serrate di una Lydia dormiente. Le prime luci dell’alba la destarono da quel sonno, come ogni giorno. Ma sveglia o addormentata non faceva alcuna differenza per lei. Durante il sonno, ogni notte, faceva incubi ricorrenti. Durante il giorno, la realtà era anche più spaventosa e dolorosa, e le costanti visioni di un angelo taciturno e piangente, che la fissava tutto il tempo senza aprir bocca, non le rendevano certo più sopportabile quell’esistenza infernale. Difatti quella notte aveva faticato parecchio ad addormentarsi, ed il sonno che tanto disperatamente riuscì infine ad ottenere era stato tormentato e sofferto.
Si sollevò da quello scomodo giaciglio, accingendosi ad affrontare l’ennesima giornata vuota e priva di uno scopo. Si diede una sistemata approssimativa e si recò rapidamente nelle cucine per dedicarsi alla preparazione della colazione, mentre il resto dell’abitazione era ancora silenziosa e dormiente.
Trascorsero poche ore, l’atmosfera si fece più movimentata. Quegli omoni non vedevano l’ora di iniziare la giornata con i loro stomaci pieni ed appagati e Jorgen sembrava compiaciuto all’idea di poter offrire loro ciò che desideravano senza far fatica. Per lui era tutto perfetto.
Una volta servita la colazione, la giovane schiava si apprestò a proseguire nel resto delle faccende di sua competenza. Sistemò le loro stanze, quegli uomini non conoscevano il senso della misura e vivevano nella sporcizia e nel disordine.
Si ritrovò poi nell’ultima camera rimasta, l’unica apparentemente meno devastata delle altre. Non le parve vero di aver quasi terminato la gran parte del lavoro, ma iniziava a percepire dell’improvviso torpore. Pensò che fosse dovuto alla mole di lavoro decisamente raddoppiata, ma c’era dell’altro che ella si sforzava di ignorare.
D’un tratto, alle proprie spalle si udirono dei passi in avvicinamento. Lydia non ne conosceva la provenienza, ma ciononostante la indussero a sobbalzare. Si voltò con uno scatto in direzione della porta, notando una presenza familiare: Askeladd, l’uomo della sera precedente, era fermo sulla soglia d’entrata, lievemente sorpreso; probabilmente non si aspettava di trovare la giovane donna nella sua stanza.
I due rimasero per diversi istanti a fissarsi, incapaci di aprire bocca. Askeladd era ben conscio di cosa fosse accaduto la notte precedente, lo aveva visto con i suoi occhi. Negli sguardi di entrambi vi era tacita consapevolezza.
« Uh… devo soltanto prendere una cosa, poi mi levo di torno. » si giustificò in tal maniera l’uomo dagli occhi scaltri, mentre prese ad incamminarsi verso un sacchetto posato su una panca in legno. Lydia rimase silente come al solito, ma smise anche di operare. Senza un apparente motivo, seguiva attentamente ogni movimento compiuto da quell’uomo, quasi come se ne fosse ipnotizzata. Si trovava china sul pavimento mentre continuava a fissarlo. Accortosi di essere osservato, Askeladd si voltò a propria volta nella sua direzione, e fu in quel momento che le iridi ambrate della giovane slittarono altrove. Egli era davvero perplesso.
Lydia si forzò quindi a concentrare l’attenzione sul compito che stava precedentemente svolgendo, decidendo di rialzarsi da terra. Ma le cose non parvero andare secondo i piani: nel risollevarsi, la forza nelle proprie gambe sembrò d’improvviso soccombere. La vista divenne annebbiata, sentì d’un tratto il proprio corpo appesantirsi e cedere inesorabilmente, accasciandosi all’indietro. Il sottoposto di Jorgen, dal canto suo, era alquanto allibito ed indeciso sul da farsi per i primissimi istanti. Ma riuscì a scattare verso di lei appena in tempo per impedirle di toccare terra a peso morto. Non poteva rimanere lì inerte e con le mani in mano, infondo.
« Ehi, ehi! Stavi cercando di spaccarti la testa o cosa? Ma che diavolo ti piglia all’improvviso?! » Askeladd cercò di scuoterla come più poté, abbrancando con ben poca grazia le sue esili spalle; aveva dei modi tutt’altro che cavallereschi, come d’altronde si addiceva ad un guerrirero vichingo, quale egli era, ma per lo meno aveva avuto la discrezione di intervenire prontamente in soccorso della sventurata fanciulla. Quest’ultima, dopo diversi scuotimenti, parve riacquistare i sensi, risollevando con lentezza le pesanti palpebre. Quando i loro sguardi si incrociarono per l’ennesima volta, l’uomo dall’ispida barbetta fu avvolto da una curiosa sensazione, la stessa che aveva provato nel momento in cui aveva udito per la prima volta il suo nome, la stessa di quando l’aveva vista umiliata, maltrattata ed infine violata. Quella ragazza suscitava in lui memorie che avrebbe decisamente preferito non rievocare.
« Beh? Come ti senti? » chiese, pareva sorprendentemente allarmato. Come forse avrebbe dovuto aspettarsi, Lydia non fornì alcun responso. Aveva ripreso conoscenza, ma probabilmente avrebbe preferito immergersi in uno stato comatoso piuttosto che tornare alla realtà. Evidentemente, però, Askeladd si aspettava davvero di ricevere una risposta rapida, sebbene avesse ormai appurato che quella graziosa giovane fosse tutt’altro che loquace.
« Certo che Jorgen ha ragione, è veramente irritante parlare e non ricevere risposta. Si può sapere perché diamine non--... » dovette interrompere quel suo breve soliloquio, quando si accorse di qualcosa di strano. Il volto della schiava era irrorato di rapide ed inarrestabili lacrime, il suo sguardo era perso, vacuo. Lo stupore provato dall’uomo lo indusse ad allentare inconsapevolmente la presa alle sue spalle, e così la rossa si lasciò scivolare debolmente verso il basso, finendo inginocchiata sul pavimento, ai suoi piedi. Askeladd era semplicemente sbigottito e senza parole, si era messo in una situazione complessa, dalla quale sentiva però di non poter fuggire. O forse, semplicemente, non desiderava realmente farlo.
« Ti fa vivere un inferno, è così? » le domandò, il suo tono parve d’improvviso più mansueto. Si piegò sulle ginocchia, tentando di raggiungere la stessa altezza della rossa, che tuttavia non lo guardava.
« Ho assistito a quello che è successo questa notte, ma lo sai già. E a giudicare dall’aspetto devastato che hai non doveva nemmeno essere la prima volta. Credi sul serio di poter continuare in questo modo? Ti sta uccidendo lentamente. »
A seguito di quel quesito, il silenzio continuò a farla da padrone. Lydia non pareva intenzionata ad aprir bocca, il suo sguardo era fisso verso il basso, sembrava che non lo stesse neppure ascoltando. Sembrava pietrificata.
A quel punto, seccato, Askeladd lasciò andare un esasperato sospiro. Si risollevò in piedi.
« Va bene, basta così. Ho già perso fin troppo tempo. » dichiarò infine, stanco di quella situazione. Decise quindi di incamminarsi verso l’uscita della stanza.
« Il destino… governa le nostre vite. » d’un tratto una voce, flebile e soave, che mai prima aveva udito, interruppe la sua avanzata. Quasi totalmente incredulo, egli si voltò verso la fonte di quella voce. La schiava era ancora inginocchiata sul pavimento, il suo sguardo ancora proiettato verso il basso, ma per la prima volta in sua presenza, quelle rosee labbra si erano schiuse e da esse un docile suono era fuoriuscito.
« Se il destino ha voluto questo per me, allora io… non posso oppormi. » continuò la giovane, ora rivolgendogli finalmente il proprio madido guardo. Askeladd smorzò una risata piuttosto enigmatica, dopo qualche secondo di evidente sbigottimento.
« Oooh, allora parla! » riconobbe giocosamente, ma pochi istanti dopo il suo volto sembrò incupirsi nuovamente ed egli tornò a rivolgerle le spalle.
« Quante stronzate. Se avessi lasciato che il destino decidesse per me, a quest’ora io non sarei… » si interruppe, era meglio così. Strinse una mano in pugno e rimase in silenzio per pochi attimi, prima di riattaccare a parlare.
« Prendi in mano la tua vita. Solamente tu sei in grado di farlo. Se non farai al più presto qualcosa per afferrarne le redini… sarà la tua vita a manovrare te. »
Lydia era ammutolita. Fissava quell’uomo senza fiatare. Ascoltava silenziosamente quelle parole mentre contemplava la sua figura, che in quel momento pareva aver preso a brillare di luce propria. Ancora silenzio, diversi secondi trascorsero, riempiti unicamente dal canto di un merlo che si aggirava attorno alla finestra di quella stanza.
« Che cosa posso fare io? Non ho la forza necessaria per fare niente. » chiese la giovane, d’improvviso, rompendo quel silenzio. Askeladd si voltò nuovamente verso di lei.
« Comincia a domandarti cosa non puoi fare. Rimanere ferma e lasciare che la tua tortura continui in eterno rientra fra le opzioni. Agisci. Se rimarrai ferma non avrai scampo. Forse è vero, il destino governa le vite degli uomini. Ma ciò non impedisce agli uomini di detronizzare il maledetto destino e mettersi a capo delle loro stesse vite, o no? » era dannatamente diretto e colpiva dritto in ogni punto. Lydia era incapace di replicare a quelle parole.
« Combatti per la tua libertà, riprenditi la vita che ti spetta. Se sarai in grado di farlo, se sarai capace di afferrare con le tue mani il timone della tua esistenza, allora ti considererò mia pari. » affermò con risolutezza, concludendo infine il suo monologo. La rossa sussultò alla sua ultima affermazione, con incredulità nello sguardo. Essere considerata al pari di un uomo come lui? Era realmente possibile? Faticava ad immaginarlo.
Tuttavia Askeladd aveva parlato a sufficienza, non aveva nessuna garanzia di aver davvero convinto la giovane con le sue parole, ma ormai non v’era più altro da aggiungere a riguardo. Le rivolse ancora una volta le spalle, e ridusse definitivamente la distanza che lo separava dalla porta della camera, ma prima di poterne varcare la soglia, si espresse un’ultima volta: « Ah, comunque le aringhe affumicate di ieri sera sono state davvero ottime! Quasi mi spiace dover ripartire, ne avrei fatto volentieri un’altra scorpacciata. La vita è così ingiusta! ».
Quelle affermazioni accompagnarono la sua uscita di scena. Lydia rimase lì, da sola, a riflettere su quanto appena ascoltato per ancora diversi minuti.
D’un tratto, un’apparizione familiare, dai capelli rossi e dalle ali spezzate, catturò la propria attenzione. L’angelo era lì, di fronte a lei, ancora una volta.
 
Che cosa c’è ora? Perché mi guardi in quel modo? Perché il tuo pianto… si è improvvisamente interrotto?
  
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