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Autore: manpolisc_    15/05/2020    2 recensioni
•Primo libro della trilogia•
Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.
Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo 13

Le mie braccia ricominciano a tremare. Esausta e nervosa, rinuncio e lascio cadere la massa d'acqua che casca nella vasca da bagno così forte da farne fuoriuscire una parte, la quale si riversa sul pavimento. Demoralizzata, mi alzo dal gabinetto. Mi passo una mano sulla fronte, massaggiandola a causa del mal di testa. Se poggio le dita sulle tempie riesco a sentirle pulsare. Asciugherò dopo quel disastro.
Sono ben cinque giorni che non ho notizie di Jackson. Neanche la macchina di Harry è parcheggiata in strada. Ormai ho completamente abbandonato l'allenamento con lo Gnomo. Di tanto in tanto lo intravedo uscire di casa e solo qualche ora più tardi ritorna. La maggior parte del tempo rimane chiuso in casa. Ho pensato più volte che potesse essere in punizione, è la spiegazione più ragionevole, ma non ho un motivo per questo. Anche se lo fosse stato, poi, credo che me lo avrebbe detto: è strano che abbia smesso di aiutarmi, dopo aver insistito tanto, così all'improvviso. Poi, però, c'è l'opzione a cui non penso mai: si è stancato di me. Mi sento così confusa, e totalmente stupida. Continuo a pensare che non mi voglia vedere, ma non ho neanche pensato al motivo di questa sua scelta. I miei pensieri vagano, cercano una meta, ma cadono sempre nello stesso punto e sullo stesso viso. È insopportabile questa situazione. La parte peggiore è che non posso andare a chiedergli spiegazioni poiché, quando Jackson è in questo stato, la risposta è sempre la stessa: una frase monosillabica per congedarti e uno sguardo gelido. È uno spreco di tempo persino provarci.
Premo con due dita entrambe le tempie, cercando di alleviare quel dannato mal di testa, e scendo giù alla ricerca di una bustina di Oki. Appena arrivo in cucina, apro tutti i cassetti nella speranza di trovare quella dannata bustina ma, dopo aver controllato anche l'ultimo, lo chiudo di botto e urlo dal nervosismo non avendone neanche una. Questa è una di quelle giornate in cui vorrei rompere tutto. Inizio a respirare ripetutamente e in modo più irregolare, cosa che mi fa capire che è il momento di rilassarmi: mi sto riscaldando. Odio essere un Elementale. Odio essere una Salamandra. A volte mi sembra di essere una bomba pronta a esplodere da un momento all'altro. Non posso più neanche prendermi la comodità di arrabbiarmi come si deve perché altrimenti ci rimetto io, morendo carbonizzata. L'unica cosa buona che Jackson abbia fatto: avvertirmi del mio limite d’ira per evitare di diventare una torcia umana.
Mi siedo a terra e incrocio le gambe a mo' di Buddha, con le braccia poggiate sulle gambe e i palmi delle mani aperti verso l'alto. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, per poi espirare. Sento le palpebre pesanti. Prendo un altro respiro per poi lasciarlo uscire nuovamente. Mi allontano dalla stanza con la mente, cercando di tener a distanza i rumori di fuori. Dopo un po', l'abbaiare del cane della vicina e il rumore di un'ambulanza scompaiono. Cado in uno stato di assoluta tranquillità. Credo di rimanere così per un bel po' di tempo, ma chi può dirlo con esattezza. A me sembrano solo pochi secondi che sto vagando nel nulla col mio corpo, sebbene sia ancora seduta a terra, ma potrebbero anche essere passate ore. Quando accade questo, perdo completamente la cognizione del tempo. Improvvisamente, questo stato di trance è interrotto dalla porta d'ingresso che si spalanca di botto. Sussulto per lo spavento senza muovermi da terra e apro gli occhi. Sulla soglia c'è Delice, immobile, con uno sguardo pietrificato, colmo di terrore. Sta fissando qualcosa dietro le mie spalle. Mi volto anch’io, preparandomi al peggio; se ci fosse stato un mostro, ne avrei avvertito prima la presenza, però. Non sono esattamente esseri silenziosi. La mia bocca si schiude istintivamente, formando una "O" perfetta: l'acqua presente nel lavandino sta fluttuando in aria. Mi volto verso di lei mentre passa a guardarmi le mani: piccole fiamme danzano leggiadramente sulla punta delle dita, lambendole. Quando la guardo negli occhi, l'acqua dietro di me cade di botto, tornando nel lavandino. Solo alcune gocce mi arrivano sulla maglietta e nei capelli. Le fiamme scompaiono, mosse da un vento improvviso. Non mi ero resa conto di star usando gli elementi; pensavo solamente di rilassarmi ed essere finalmente in armonia con me stessa. Cerco di dire qualcosa, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. Delice cerca di ritornare in sé.
- Sapevo che mi tenevi nascosto qualcosa... - Sussurra dopo. Rimane ferma sulla soglia della porta. Cerco le parole giuste, ma non ci riesco. Non si può trovare una scusa per questo. Cosa le avrei potuto dire? Ora capisco la difficoltà di Jackson nel farmi quel discorso. Lei getta la borsa su una delle poltrone e si richiude velocemente la porta alle spalle, come se mi stesse nascondendo dagli occhi di qualcuno. - Che cosa diamine stai facendo? - Mi alzo da terra e le vado incontro. - Non toccarmi. - Mi avverte prima che mi possa avvicinare troppo, in tono duro. Alzo le mani in aria e indietreggio per rassicurarla che non l'avrei toccata. Prendo i guanti da forno e mi copro le mani per evitare che le mie dita prendano fuoco nuovamente. So controllare le fiamme, ma meglio non rischiare di fronte a lei: è già fin troppo scossa. Tuttavia avrei potuto bruciare i guanti se mi fosse scappata anche una minima scintilla.
- Non sono pericolosa, riesco a controllarlo. -
- Sei come Elsa? Ti metti i guanti e finisce lì? Sharon, sei... malata? - Mi afferra bruscamente un polso, togliendomi il guanto e lasciandolo cadere a terra. Studia attentamente le mie mani e si sofferma sulle dita come se cercasse di trovare il meccanismo per farle accendere di nuovo. - Non sono bruciate... - Mormora dopo un po'. La mia faccia è contorta dalla preoccupazione. Adesso scapperà anche lei e mi ritroverò da sola. Sento un nodo in gola. Da un momento all'altro sarei scoppiata in un pianto disperato, mi conosco troppo bene. Succede sempre così quando non so cosa fare e lascio la disperazione prendere il sopravvento. Dovrei trovare qualche scusa, come ha fatto Jackson con me, ma come posso mentirle dopo quello che ha visto? Poi, è la mia migliore amica: non posso proprio dirle una bugia, non se lo merita. Tuttavia, lei molla la mia mano più delicatamente questa volta. - ... e non scottano nemmeno... - Retrocede di poco per potermi squadrare bene. Ora capisco perché gli Elementali si sono nascosti per tutto questo tempo. Tutti li avrebbero guardati nello stesso modo in cui sta facendo Delice ora: come un mostro. Mi volto verso il lavandino, appoggiandomici con le mani e dandole le spalle. Non riesco a reggere il suo sguardo ulteriormente.
- Sono un mostro... - Sussurro e comincio a piangere in silenzio mentre subito cerco di asciugare in fretta gli occhi; non sopporto l'idea che la gente possa vedermi in questo stato, perfino la mia migliore amica. Non mi piace farmi vedere debole. So che non avrei dovuto autodefinirmi così, un mostro, ma non mi veniva altro in testa. Starò giocando scorrettamente in questo momento, ma provare a farle pena forse è l'unico modo per evitare che scappi da me. Anche se in parte è vero che sono vittima di questa mia natura: non l'ho scelta io. Delice mi poggia una mano sulla spalla seppur lei stia tremando. Ha paura che la possa ustionare ma, nonostante il timore, mi fa sedere e mi lascio trascinare senza guardarla in faccia, non ce la faccio.
- Cosa ti è successo? - Mi levo l'altro guanto e lo getto con tutta la forza e la rabbia che ho contro il muro. La sua faccia si contrae in un'espressione preoccupata quando mi asciugo di nuovo gli occhi con le dita, forse credendo che me li sarei bruciati. Non so come ringraziarla per non star dando di matto, seppur abbia uno sguardo dubbioso: non può pensare che possa farle male sul serio, sa benissimo che non lo farei mai.
- Non lo so... a quanto pare è nel mio DNA, e anche nel tuo, e anche in quello di tutti, ma naturalmente doveva capitare a me tutto questo! Non posso fare niente altrimenti mi brucio da sola! - Sento il calore riaffiorare sulla mia pelle e subito cerco di calmarmi, prendendo dei profondi respiri, inspirando con la bocca ed espirando con le narici. Sembro un toro. - E cosa ci fai tu qui? - Chiedo confusa anche per cambiare discorso dopo aver notato la sua faccia perplessa. Rimpiango quel giorno quando le dissi dove custodisco le chiavi di riserva: se non lo avesse saputo, probabilmente non ci troveremmo in questa situazione scomoda adesso, ma è stata anche colpa mia che non l'ho sentita bussare.
- C'è stato un incidente alla casa abbandonata. Non hai sentito l'ambulanza? Un ragazzo è morto schiacciato da un ramo. C'è la polizia sul posto adesso. - Ora la mia faccia è perplessa. Non può essere accaduto sul serio, è stato solo un sogno. - Sharon, ti senti bene? Sei pallida... - Guardo il vuoto. Senza accorgermene, il sogno che feci qualche settimana fa s’impossessa della mia mente. Il ramo rotto e il ragazzo biondo sotto di esso, il terreno che è un misto di sangue e muschio, una ragazza riccia che piange e urla, chiedendo aiuto. Queste immagini offuscano completamente la mia vista.
- Il ragazzo è biondo? - Chiedo ancora, persa a ricordare quel sogno. Non oso immaginare la faccia di Delice. Sta scoprendo l'altro lato di me, quello che prende vita quando mi lascio trasportare dai miei pensieri e mi allontano dalla realtà: un lato che nessuno dovrebbe conoscere, specialmente lei. In questo momento, forse sono anche più inquietante di Harry. Almeno non ho ancora gli occhi bianchi da spettro e la voce della ragazza posseduta nel film "L'esorcista". Riesco a prendere di nuovo il controllo sulla mia mente, schiarendomi la vista. Delice non è spaventata come immaginavo, ma più tranquilla di prima. Annuisce alla mia domanda.
- Come fai a saperlo? - Chiede ancora un po' confusa. Mi alzo di scatto e lei retrocede, spaventata dal mio gesto. Ovviamente è ancora nella fase dove non riesce a capire se la attaccherò veramente, e sto solo fingendo di non farlo, o non accadrà sul serio.
- Prendi la borsa. -
***
L'intera casa abbandonata è circondata da un nastro giallo della polizia con una scritta nera: "Non attraversare". È pieno di gente accorsa curiosa. L'ambulanza è parcheggiata vicino all'auto della polizia. Cerchiamo di farci largo tra la gente, ma è impossibile avvicinarsi: quella folla inghiotte l'intero luogo dell'incidente. Un paio di giornalisti locali riempiono di domande alcuni agenti, i quali continuano a scuotere la testa affermando di non rilasciare interviste; altri, invece, tartassano le persone che non distolgono lo sguardo da quella scena orripilante. Ogni tanto si rivolgono alla stampa per lasciare qualche dichiarazione, ripetendo costantemente le stesse cose: è una tragedia quello che è successo; povero ragazzo; com’è potuto accadere? Uno di loro ha perfino cercato di avere un'intervista con una ragazza dai capelli rossi e ricci. È seduta nella macchina della polizia, tremante, mentre un ufficiale più giovane cerca di tranquillizzarla senza successo. Deve essere la fidanzata del ragazzo morto. Lei continua ad annuire, con lo sguardo perso nel vuoto, non ascoltando realmente quello che il poliziotto le sta dicendo. I suoi occhi sono rossi, segno evidente dell'interrotto pianto che si è fatta fino a pochi secondi fa. Si gira a guardarmi, notando che la sto fissando. La osservo qualche secondo negli occhi, riuscendo quasi a sentire il dolore che sta provando, poi distolgo lo sguardo poco dopo. Altra gente sta arrivando insieme a un'altra macchina della polizia. Gli agenti escono dall'auto e cercano di tenere lontano le persone mentre io e Delice avanziamo tra la folla. Non ho mai visto tanta gente nel mio quartiere: alcuni ci spingono, non volendo perdere il posto per continuare a guardare quella scena ma, nonostante le gomitate e le imprecazioni da parte loro, riusciamo a raggiungere la linea gialla. Oltre il cancello arrugginito, un medico, nel suo camice bianco, aspetta impaziente di controllare il corpo del ragazzo, battendo il piede a terra per rilasciare la tensione. Ha le braccia incrociate al petto e gli occhiali sulla punta del naso. Si passa una mano tra i pochi capelli grigi che gli sono rimasti mentre guarda alcuni poliziotti che cercano di alzare quel ramo gigante, staccatosi e ora giacente sul terreno. Anzi, sul ragazzo. Delice si porta una mano sulla bocca, forse per trattenere un urlo di ribrezzo. L'unica parte non schiacciata del ragazzo è il braccio destro, per il resto il ramo è completamente su di lui. La mano è viola e gonfia e mi fa solo accrescere un senso di nausea. Giro lo sguardo per evitare conati di vomito e incrocio quello di June Edwards. Aggrotto la fronte, stupita di trovarla lì: è raro vederla in giro. Mi sorride per poi riprendere a guardare la scena. Sembra quasi soddisfatta, contenta della sofferenza altrui. È proprio vero che quella ragazza è il male personificato. Vorrei vedere cosa farebbe lei se sotto quel ramo ci fosse il suo, di ragazzo. Delice mi scuote il braccio.
- L'hai visto anche tu? - Mi chiede. Mi giro verso di lei. Ha lo sguardo fisso su una finestra del secondo piano. È terrorizzata. Alzo lo sguardo per controllare bene la stanza scura, per quanto mi è permesso. Qualche secondo dopo scuoto la testa, non notando nulla al di fuori del buio. Le poggio una mano sulla spalla per tranquillizzarla, ma lei si tira indietro, ancora spaventata da questa. Appena riescono ad alzare il ramo, un silenzio tombale cala fra la gente. I bisbigli e perfino delle frasi contro i malocchi che stanno lanciando le signore più anziane terminano. La ragazza riccia si alza, volendo passare e guardare a tutti i costi. Gli agenti, però, la bloccano. Lei inizia a ribellarsi, urlando e cercando di liberarsi dalla loro presa, ma scoppia a piangere quando non ci riesce. I suoi singhiozzi e le sue urla riempiono quel silenzio sovraumano. I poliziotti hanno fatto bene a non farla avvicinare: è una scena agghiacciante e raccapricciante, tipica dei film horror, se non peggiore. Alcune persone si sono allontanate, orripilate dalle condizioni del ragazzo. Perfino il dottore incurva la bocca in segno di disgusto, ma non si lascia comunque sopraffare dalle emozioni. Deve rimanere serio: ha un lavoro da svolgere, anche se non sono sicura di quale sia. Il ragazzo ormai è più piatto di un foglio di carta. La faccia è schiacciata, quasi irriconoscibile, ed è coperto di sangue ovunque. Le gambe sono entrambe rotte e solo Dio sa se anche solo un pezzetto delle costole sia rimasto. Guardo triste la scena: egli avrà più o meno vent'anni. Delice si gira, cercando di non rimettere il pranzo.
- Andiamo a prenderci un gelato. - Trovo una scusa qualsiasi e le do una leggera gomitata per trascinarla via da questa scena. La strada di uscita è molto più semplice. Appena passiamo, la gente si accalca immediatamente per riempire gli spazi vuoti che lasciamo. La ragazza riccia ora è seduta di nuovo in macchina. Ha rinunciato a cercare di vedere quel che rimane del suo ragazzo. Le lancio un ultimo sguardo dispiaciuto.
***
- Quindi sei un Elementale? - Chiede Delice prima di raccogliere con la lingua alcune gocce di gelato sciolto, che stanno scivolando lungo il cono. Non ha intenzione di macchiarsi la nuova maglietta bianca o i pantaloni beige. Annuisco e mangio il mio. Lei ne ha preso uno alla vaniglia e fragola a differenza mia, al semplice cioccolato. Diversamente dalla sua, la mia maglietta blu ha una piccola macchia scura. Dovrei stare più attenta quando mangio. - E anche Jackson Mitchell. Pensavo fosse figo, ma non così figo! Cioè... che figo! - Esclama entusiasta. Io non lo sono per nulla, invece. Ho ancora quella scena del ragazzo schiacciato in mente. Mi sento in colpa: se solo avessi saputo che quel sogno si sarebbe avverato, avrei potuto far qualcosa per evitare questo incidente. Decido però di non rimuginarci sopra e di seguire i discorsi di Delice per una volta: già è un miracolo che sia ancora qui con me, non voglio infastidirla non prestandole attenzione.
- Che figo? Mi hai paragonato a Elsa e lui "che figo"? - Chiedo stupita. Almeno sono felice che si sia rilassata e che non mi tema più di tanto, o così credo. Se sta fingendo di non esserlo perché sono la sua migliore amica, tanto di cappello. Finisco il mio gelato e getto la carta in un cestino. Delice è così impegnata a parlare e a fare domande che non è neanche a metà. Seppure le abbia raccontato ogni singola cosa che Jackson mi ha detto e che è successa, tralasciando l'episodio dell'Adaro, ha ancora domande. Non potevo dirle che stava per morire lì dentro, negli spogliatoi. Vivrà comunque senza essere al corrente di ciò. Non è necessario alla fine.
Stiamo camminando senza una meta precisa nel mio quartiere. Adesso il sole sta tramontando e il buio non tarderà a calare. Si sta bene. Non c'è più quel caldo afoso di qualche ora fa. Ora tira un vento leggero che rinfresca l'intera cittadina. Oltrepassiamo sia casa mia sia quella di Jackson. Non voglio arrivare fino alla fine del quartiere, però, e avvicinarmi di nuovo a quella casa. Non so come quelle vecchiette che abitano lì vicino possano dormire stanotte. Io non ci riuscirei. Starei costantemente vicino alla finestra a scrutare fuori, nell'attesa che accada qualcosa, o a leggere. Insomma, mi terrei occupata. E perché no? Cercare una soluzione per la questione riguardante Jackson. A un certo punto Delice mi afferra per la maglietta, trascinandomi dietro la siepe del vicino. - Ma che cosa fai? - Chiedo stupita del suo gesto mentre le allontano la mano dalla mia maglia. Mi zittisce, portandosi l'indice sulle labbra.
- Cosa ci fa lei qui? - Chiede mentre si sporge di poco dalla siepe. Mi affaccio anch’io, cercando di capire cosa stia guardando. Sento un'esplosione dentro di me quando vedo Jackson camminare accanto a June. Sento mancarmi il respiro. Passeggiano e scherzano come se fossero una coppia. Delice mi rivolge una faccia sconvolta e infastidita. Da un momento all'altro potrebbe andare lì e staccare uno a uno tutti i capelli ricci di June. Però non la fermerei, a meno che non sia io a staccarglieli. Non so se sia dovuto al mio fastidio per quella scena, ma scommetto qualsiasi cosa che una voce nella mia testa mi abbia suggerito di bruciarla. Rimango un attimo scossa da quel pensiero. Io non penso queste cose, e non devo pensarle. Non sono un mostro. Delice mi dà una gomitata per farmi guardare i due. Stavolta sono io a zittirla. Jackson ha le mani in tasca e continua a camminare, guardandola. Ogni tanto sorride mentre lei non smette neanche un secondo di parlare. - Quella lingua ammaliatrice... - Dice con rabbia mentre stringe il cono del gelato fino a romperlo, sporcarsi le mani e farlo cascare a terra. La zittisco per l'ennesima volta, notando quei due che si stanno avvicinando alla nostra siepe. June è particolarmente elegante, anche Jackson non sta male. Lui indossa una canotta bianca con la scritta nera "The Stone Roses" e l'immagine di una fetta di limone al di sotto del nome della band. Tutto questo racchiuso in una linea nera che forma un rettangolo, con uno dei lati minori verso l'alto. Ha gli stessi jeans che aveva il primo giorno di scuola e le sue Converse nere, di nuovo. Lei, invece, ha un top nero. Da sopra un'altra maglia, con le maniche lunghe e trasparenti e l'immagine di vari pipistrelli sopra, poi un jeans nero. Ai piedi non potevano mancare i tacchi, anch'essi neri. Ci sorpassano mentre continuano a parlare e ridere. Sento una fitta allo stomaco, non so se di rabbia o gelosia, forse entrambi. Questo è il motivo per cui Jackson non vuole fare allenamento o qualsiasi altra cosa con me: June. Delice è molto più furiosa. Appena ci superano e si allontanano abbastanza, raggiungiamo casa mia. Entriamo e mi chiudo la porta alle spalle, poi andiamo in cucina. Lei butta la borsa sul tavolo dal nervosismo. - Quella vipera! - Esclama arrabbiata mentre prende un tovagliolo per pulirsi le mani. - Lo sapevo che prima o poi avrebbe fatto qualcosa per cui l'avrei fatta fuori! -
- Io non sono stata fatta fuori, però. - Commento, guardandola. Quando Jackson mi ha chiesto di uscire è solo sparita per un paio di giorni, nulla di che. Lei mi rivolge uno sguardo, risentito.
- Sharon... - Un gemito di dolore proviene dal salotto. Anche Delice sembra sentirlo dato che ha smesso di lamentarsi e sta ascoltando in silenzio, sicura di udirne un altro presto. Quella voce mi chiama di nuovo con più insistenza e, appena la riconosco, raggiungo in fretta il salotto. Delice mi segue a ruota dopo aver buttato il tovagliolo. Trovo Harry steso sul divano che si stringe il braccio destro. Singhiozzo, preoccupata, appena noto le condizioni in cui si trova: ha l'occhio destro gonfio e nero, turgido di lacrime; il labbro inferiore ha un bel taglio proprio al centro; la manica destra della sua maglietta blu è diventata di un colore ancora più scuro poiché impregnata di sangue e, appena noto il suo braccio, sono costretta a mantenere un altro singhiozzo. Ha un grosso taglio che parte dalla spalla e finisce leggermente dopo il gomito. Con la mano fa pressione sulla ferita, riuscendo non so come a coprirla quasi del tutto, per cercare di bloccare il sangue. Quando Delice osserva Harry non riesce a trattenere un urletto per il disgusto. Il riccio sbuffa alla reazione di Delice, nonostante stia penando, ma lo capisco: è cosciente della situazione in cui si trova, non gli serve anche lei a ricordarglielo.
- Cosa ti è successo? - Chiedo preoccupata. Ordino a Delice di andare a prendere degli strofinacci e la cassetta per le emergenze e subito lei corre via, lasciandomi sola con Harry.
- Una strega, una gran puttana. - Ringhia cercando di tirarsi su. Geme rumorosamente per le ferite e si appoggia di nuovo sul divano, non riuscendo nel movimento. - Sharon, qualcosa non va in questo quartiere. - Mi guarda in modo serio con l'occhio buono. Io annuisco, sapendolo perfettamente. Quel ragazzo questo pomeriggio, quelle Ek Ek, l'Adaro, il vampiro... - Tutti questi mostri qui... adesso e dal nulla... qualcosa deve averli attirati. - Jackson mi ha informato del fatto che i mostri percepiscono l'odore degli Elementali e, da quando è arrivato lui, hanno cominciato a mostrarsi. Non vorrei incolparlo, ma i conti tornano.
Delice mi raggiunge con la cassetta e gli strofinacci. Non perdo tempo e li arrotolo intorno al braccio di Harry, stringendoli forte per evitare altre fuoriuscite di sangue. Geme e impreca ad alta voce appena glielo tocco. Delice guarda la scena preoccupata, mordendosi le unghie. - Hey, bionda. - La richiama. - Non mordertele che te le rovini. -
- Lascialo stare. A quanto pare affronta il dolore in questo modo. - Delice si siede sulla poltrona e smette di mordicchiarsi le unghie. Sta in silenzio, aspettando un nostro futuro discorso.
- Posso parlare davanti a lei? - Chiede Harry mentre la indica con un cenno del mento. Emette un altro gemito subito dopo, che poi blocca tra i denti.
- Anche tu sei un Elementale? - Chiede subito dopo lei, curiosa come una bambina. Harry mi guarda confuso, ma io abbasso lo sguardo in modo colpevole. Annuisce mentre s’inumidisce le labbra, capendo che ho ammesso quello che è capitato. Spiegarle tutto non è stato così difficile, omettendo naturalmente le parti peggiori riguardo ai mostri e non dicendole affatto di quell'Adaro. A tutto c'è un limite e non voglio che anche lei abbia la costante paura di diventare cibo per unicorni.
- No. - Le risponde freddamente per poi lanciare un urlo appena gli tocco la ferita. Inizia a tossire, cercando di coprirlo. Anche adesso deve evitare di farsi vedere debole. Stringe forte i denti e con la mano sinistra il cuscino fino a strapparlo un po' da un lato.
- Che cosa stavi dicendo? - Chiedo cercando di distrarlo dal dolore mentre finisco di stringere gli strofinacci. Per quanto possa evitare che muoia dissanguato, non posso chiudergli del tutto la ferita. Bisogna portarlo in ospedale.
- Dobbiamo parlare. Quel coglione di Jackson preferisce uscire con la sua ragazza mentre io sanguino su questo divano pieno di polvere! - Sbuffa forte. Sento un'altra fitta allo stomaco quando dice "la sua ragazza". Non dovrei essere gelosa, non siamo neanche amici, io e Jackson. Nonostante ciò, non perdo la concentrazione. Non è proprio il caso di pensare a lui quando Harry sta soffrendo qui. Stringo bene le bende, poi prendo un fazzoletto pulito e l'acqua ossigenata per disinfettargli il labbro mentre lui riprende a parlare. - La morte di quel ragazzo oggi non è stata un incidente. C'è qualcosa dentro quella casa. - Come corrono veloci le notizie. Lo guardo perplessa, ma non stupita, mentre avvicino il fazzoletto bagnato alle sue labbra, facendolo mugolare dal fastidio. Sono cosciente che quella casa abbia un non so che di sinistro, l'ho sempre sospettato. Anche Delice afferma di aver intravisto qualcosa prima, se solo fossi riuscita a vederla anch’io...
- Penso lo stesso. - Ammetto, non aggiungendo nulla. Non è nelle condizioni per formulare ipotesi ora. Dopo che gli ho tamponato abbastanza il labbro da evitare che s’infetti mi volto a guardare la mia amica. - Delice, hai la macchina? Dobbiamo andare in ospedale. - Lei scuote la testa. - Harry? - Mi fissa impassibile, guardandomi bene con entrambi gli occhi questa volta. È costretto a richiudere subito l'occhio destro, che ha cominciato di nuovo a lacrimare. Impreca sotto voce e annuisce.
- So che sono forte e duro da uccidere, ma non posso guidare in queste condizioni. -
- La fortuna vuole che io sappia guidare. – S’intromette Delice mentre si alza dalla poltrona con un sorriso compiaciuto sul volto.
- Ah, allora non tutte le bionde sono stupide. - Commenta. Poso il fazzoletto sul tavolino e gli stringo così forte uno strofinaccio da farlo urlare. Non mi piace il modo in cui si rivolge alla gente. Mi fulmina con lo sguardo. - Mi dispiace, biondina, ma la mia macchina è off-limits. - Dice rivolgendosi a Delice.
- Bene. - Mi allontano dal dampiro e faccio il giro intorno al divano, mettendomici dietro. - Delice, aiutami ad alzarlo. Se vuole morire in una pozza di sangue morirà fuori casa, non sul mio divano. - Cerco di ribaltarlo per farlo cadere mentre lui sospira spazientito. Potrei sembrare cattiva ai suoi occhi, ma così si fa con i bambini capricciosi. Preferisce rimanere ferito qua pur di non far guidare a Delice la sua Range Rover.
- E va bene! - Sbotta prima che possa cercare di alzarlo di nuovo, sebbene non ce l'avremmo fatta neanche con un esercito. - Le chiavi sono nella tasca sinistra dei miei pantaloni, la mia macchina è la Range Rover nera qui di fronte. - Sorridiamo trionfanti mentre Harry continua a lamentarsi su quanto andare in ospedale sia una cattiva idea. Nel frattempo che Delice recupera la sua borsa in cucina, io prendo le chiavi. - Vedi di prendere solo quelle. - Dice ghignando e facendomi l'occhiolino. Gli do un colpetto in testa per farlo smettere, lancio le chiavi a Delice appena ritorna in salotto e, mentre lei esce in modo da andare a mettere in moto la macchina, io aiuto Harry a mettersi in piedi.
   
 
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