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Autore: VigilanzaCostante    16/05/2020    0 recensioni
Matilde è maldestra e traballa sui tacchi dopo aver ingerito anche un bicchiere solo di vino. Elisa è burbera tranne che con i cani e con Matilde.
Pillole d'amore, di convivenza e di vita.
"Elisa sbuffò impercettibilmente, poi Matilde le prese il viso tra le mani (fregandosene del trucco) e le disse
-Al diavolo la probabilità e i bouquet, io ti sposo.-
- Lo dici solo perché sei ubriaca. -
- Però non hai detto di no. -"
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Elisa '
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“Matilde metti giù quel calice di vino stai esagerando”, e in effetti era così, tutto iniziava ad essere confuso e il vestito rosso della ragazza continuava a essere pestato da chiunque per via del suo essere sempre più maldestra. Ma insomma, il matrimonio della propria sorella? Quante volte capita nella vita? Matilde sperava una sola, quindi doveva pur sempre godersela.
“Matilde devi fare il discorso dopo”, quelle parole però la fecero un po’ riprendere, sperando di non fare una delle sue solite imbarazzanti scenette.
“Elisa tirami uno schiaffo. Forza”, la sua ragazza la guardava un po’ divertita e un po’ arrabbiata, come sempre quando iniziava ad essere brilla. Sembrava di parlare con una bambina ogni volta che la riccia sorseggiava qualche bicchiere di liquido ambrato in più.
Però risero insieme, leggermente appoggiate una all’altra mentre aspettavano il dolce. Era stato un bel matrimonio, non era durato troppo (altrimenti la sposa sarebbe impazzita) e non era stato troppo melenso (altrimenti lo sposo sarebbe scappato), e per loro due era stato semplicemente perfetto.
Elisa e Matilde stavano insieme da così tanto tempo che ormai potevano leggere una nei pensieri dell’altra e sapevano con assoluta certezza che entrambe si immaginavo al posto dei due sposi, ma forse intimorite non ne parlavano. A momenti sarebbero andate a convivere, è decisamente troppo presto. Un matrimonio ha i suoi costi.
Eppure, entrambe dietro alla sposa per il lancio del bouquet, speravano trepidanti un segno del destino. Matilde non era mai stata agile, ed Elisa aveva quei trampoli che stava odiando maledettamente ma... perché no? Giocando in due avevano più probabilità: ecco il vantaggio di stare con un’altra donna.
È stata una frazione di secondo, e come in un film le due ragazze videro il mazzo di fiori in aria a rallentatore, sbracciandosi per afferrarlo all’ultimo. Ma a prenderlo fu una ragazza paffutella con l’orecchino al naso, amica dei due sposi dagli albori della loro storia. Esultò felice per poi girarsi con un sorriso verso il fidanzato.
Elisa sbuffò impercettibilmente, poi Matilde le prese il viso tra le mani (fregandosene del trucco) e le disse “Al diavolo la probabilità e i bouquet, io ti sposo”.
“Lo dici solo perché sei ubriaca”
“Però non hai detto di no”
 
***
 
Matilde non era mai entrata in un canile. E non aveva mai avuto un cane, ma Dio solo sa quanto lo aveva desiderato per tutta la vita. E ora, alla veneranda (forse non troppo) età di 27 anni stava per avere il suo primo cucciolo. E avrebbe scelto lei il nome, oh sì.
“Mati sento da qui i tuoi pensieri, te l’ho detto, il nome lo devi adattare al cane, a sentimento, non puoi farti una lista prima. E soprattutto, non è detto che scelga tu”
Matilde si imbronciò incrociando le braccia al petto, ma in realtà non le importava molto. Voleva solo che Elisa fosse felice quanto lei di avere un cucciolo tutto loro.
Ormai vivevano nella loro casetta da qualche mese, e la convivenza (se pur difficile) stava indubbiamente procedendo. Essere un po’ fuori città e non in un appartamento era sicuramente un pregio, altrimenti sarebbero state denunciate per le grida. Elisa e Matilde non sarebbero Elisa e Matilde se non litigassero, e questo lo avevano sempre saputo.
“Oh Eli, guarda quel cucciolo là”, ad avere attirato l’attenzione della mora era un cucciolo dal pelo scuro, un meticcio probabilmente, con il muso schiacciato e degli occhi grandi espressivi. Ma ciò che l’aveva colpita era il fatto che aveva un orecchio su e uno giù, e sapeva bene che Elisa lo avrebbe apprezzato. Infatti, gli occhi della sua compagna si riempirono di lacrime, e spontaneamente allungò la mano verso la gabbia per vedere la reazione della piccola bestiolina.
“È un maschio o una femmina?”, chiese all’uomo mingherlino che le aveva condotte fino a lì.
“Un maschietto”
“È bellissimo” sussurrò Matilde, mentre il cucciolo scodinzolava e si faceva accarezzare da Elisa.
In realtà non era bellissimo, non perfetto come certi cani di razza, si vedeva che aveva un vissuto, che non vedeva l’ora di poter essere libero e avere qualcuno a cui dare affetto incondizionato.
“Nox”
“Nox? Dici? Mi piace?”, disse Elisa sorridendo, non si sa se per farla contenta o perchè apprezzava davvero.
Ma da quel giorno Nox fece parte della loro vita, ogni mattina le andava a svegliare graffiando sulla porta della camera da letto per poi saltare sul materasso lasciando malauguratamente peli ovunque.
Quando le due si urlavano contro e pestavano i piedi, lui abbaiava divertito, come se dovesse far sentire anche lui la sua vocetta, come se fosse un gioco. E alla fine era quasi sempre motivo di pace, come da mediatore tra le due turbolente, focose, e testarde donne.
Poi una sera, tra le risate generali, Matilde disse: “Alla fine, comunque, il nome l’ho scelto io”
“Tanto vale, allora a me tocca il nome di nostro figlio”.
Lo disse con una naturalezza disumana ma entrambe, nel buio della camera, sorrisero al pensiero.
 
***
 
“Matilde calmati, andrai alla grande”.
Era il suo primo giorno da insegnante in una classe che avrebbe tenuto non solo per due miseri mesi, da supplente sottopagata, ma per un intero anno! Avrebbe potuto affezionarsi prima di essere sbattuta fuori e questo era qualcosa che un po’ la agitava, ma soprattutto la rendeva felice.
“Mi odieranno e vigerà l’anarchia perché sai che quando urlo nessuno mi ascolta”
“Non è vero, io ti ascolto, e anche Nox”
“Nox è un cane, non capisce quello che dico”
“Non provare a offendere il mio bambino. È estremamente umano” poi chinandosi verso il cucciolo disse sottovoce “Si amore mio sono sempre io la tua preferita, lo so”
Matilde alzò gli occhi al cielo, ma in realtà sorrideva. Non riusciva a mangiare niente, e la colazione con le uova e il bacon che Elisa per l’occasione speciale le aveva preparato la guardava con impazienza.
Matilde si costrinse a mangiare qualcosa, poi lasciò il bacon a Nox che saltellò tutto contento come se fosse già Natale.
Prese la borsa, e anche quella di Elisa che era sul comò in camera da letto, controllò di avere tutto e tornò in cucina dalla compagna.
“Amore stai dimenticando il pranzo”. Oh, ecco cosa si stava dimenticando, il pranzo. L’avevano preparato insieme ieri sera per entrambe! Era stato un momento così romantico e speciale e stava rovinando tutto, voleva mettersi a piangere.
Elisa la guardava di sottecchi prevedendo l’imminente crollo emotivo, e prima che potesse dire qualsiasi cosa la strinse tra le sue braccia, e le accarezzò la schiena per farle rilassare i muscoli del corpo. Matilde si nascose tra il suo collo e la sua spalla e sorrise su di lei. Era una bella sensazione essere amata nonostante il disastro che ogni giorno dimostrava di essere.
Elisa le infilò premurosamente tutto nella valigetta nuova di zecca e la guardò dalla testa ai piedi. Matilde aveva una giacchetta leggera, una camicia azzurra inserita nei pantaloni grigi e i mocassini. Era estremamente professionale, e sapeva che dal giorno dopo avrebbe già iniziato a indossare vestiti svolazzanti e colorati, ma a lei piaceva sempre e comunque.
“Pronta? Andiamo?”
Uscirono dalla porta chiudendo a chiave Nox in casa, che guaì triste, abituato ormai ad averle intorno per le ferie.
Salirono nelle rispettive macchine dopo essersi date un bacio veloce sulle labbra, e Matilde sperò con tutto il cuore di sapere ancora guidare
“10 anni che ho la patente e ho ancora dubbi, qualcuno dovrebbe seriamente ritirarmela”
Fece per partire ma poi ci ripensò per controllare di aver messo il telefono. Frugando nella borsa per fortuna lo trovò, e vicino ad esso, trovò un bigliettino piegato in quattro.
“Sarai la migliore di tutti, per me lo sei sempre stata. Ti amo tanto stupida, ci vediamo a casa stasera”
Ora si che poteva partire
 
***
 
“Temo che morirò”
Matilde, con voce tragica, prevedeva la sua morte da tutto il giorno ormai, e solo per un po’ di mal di testa e qualche linea di febbre.
“Amore, sul serio, hai preso l’antidolorifico, ti ho fatto la borsa dell’acqua calda, ora aspetta solo che tutto questo faccia effetto”.
Matilde non voleva ascoltarla però, e continuava a piagnucolare e dimenarsi nel letto cercando una posizione adatta.
“Ma non sono un po’ vecchia per l’influenza? Pensavo che dopo i 20 anni ormai fossi immune”
“Matilde ma cosa stai dicendo?”
“Potrei avere qualche strana malattia mortale. In tal caso sappi che ti ho amato. Lascio tutto a te e Nox.”
“Piantala” Elisa decretò così la fine della conversazione, legando i capelli in un codino sfatto e mettendosi la crema in viso. Poi controllò le mail sul telefono, cercando di capire se qualcuno dei suoi colleghi avesse tentato di contattarla, e poi spense la luce.
Scioccò un bacio rumoroso sulla fronte della fidanzata, per poi biascicarle la buonanotte.
“Non puoi abbandonarmi”, Matilde rincarò la dose senza troppe cerimonie.
Non ricevette risposta
“Amore?” continuò Matilde, che iniziava a spazientirsi per la mancanza di attenzioni che il suo corpo malato si meritava
“Elisa! Sei così ingiusta!”
Si sporse per controllare il viso della sua ragazza, scoprendolo profondamente addormentato. Quanto tempo ci aveva messo a crollare in questo modo? Spostò gli occhi sull’orologio digitale sul comodino e pensò che in effetti fosse proprio tardi, e ultimamente la stavano riempiendo a lavoro.
Allora fece la cosa che le sembrò più giusta, abbracciando forte Elisa sperando con tutto il cuore che i germi facessero il loro lavoro.
“Così possiamo stare insieme qua recluse finché non ci scende la febbre”. Sorrise soddisfatta del suo piano malvagio, il dolore alla testa sembrava svanito e la borsa dell’acqua calda preparata con cura era abbandonata ai piedi del letto.
 
***
 
La vita aveva ripreso a scorrere come al solito, la febbre non aveva ucciso nessuna delle due e la quotidianità di lavoro e faccende non era mai sembrata più bella di così.
Matilde aveva scoperto che cercare di passarle la febbre non era stata una buona idea ed Elisa non aveva mai desiderato così tanto ritornare a lavorare. Chi l’aveva detto che la combo convivenza, ciclo e febbre avrebbe reso la loro piccola tana luogo di continue lotte?
“E io che volevo solo un po’ di tempo per noi”, pensò Matilde mentre con il viso corrucciato tornata dalla sua prima giornata di lavoro dopo la breve malattia. Cercare una supplente alla supplente deve essere stato abbastanza ironico per la preside, che la teneva d’occhio pronta per giudicarla a ogni minima mossa. Sospirò odiando con veemenza quella situazione precaria.
Elisa quella mattina era uscita prima, senza aspettarla come il loro solito, e Matilde aveva un grosso peso sul cuore. Non le piaceva litigare con lei, anche dopo tutto questo tempo. Eppure, non avrebbe scambiato quello che avevano per nulla al mondo. Aveva lottato troppo per averla nella sua vita e non sarebbe stata una stupida febbre e la difficoltà della convivenza a separarle.
“Non aspettarmi a cena, ho l’ultimo paziente alle 18 e poi vado a mangiare un boccone con Caterina”, recitava il messaggio.
Era un modo per allontanarsi da lei? Si stava stufando? Si maledì per aver avuto quel pensiero, dato che dopo 10 anni le insicurezze da “Oddio mi sta per lasciare” non avrebbero dovuto esistere.
Si mise una maglia e un pantalone da ginnastica, e tirò fuori i compiti che i suoi alunni avevano fatto la settimana prima.
Mentre spulciava le risposte giuste e inorridiva davanti a certe sentenze, Matilde pensava a tutt’altro. Pensava all’anello che aveva nascosto e che da giorni voleva tirare fuori per farle la proposta. Non l’aveva fatto per paura, non poteva negarlo: voleva fare qualcosa di speciale, stupirla, scegliere il momento giusto, all’antica. Avrebbero potuto benissimo solo parlarne, decidere di farlo a tavolino, ma non era da lei, non era quello che voleva.
Interruppe tutto quello che stava facendo per assecondare un’idea che le era balenata nella mente, un’idea che le avrebbe occupato tutto il tempo prima del ritorno dell’amata.
Passò il pomeriggio a fare avanti e indietro tra vari negozi e sistemare la casa. L’avrebbe stupita, ecco, così l’avrebbe perdonata per la sua infantilità e ingenuità nel fare le cose.
Le tornarono in mente, in un baleno, le parole della sera prima “Eri felice di avermi passato la febbre senza pensare neanche per un attimo che non era quello di cui avevo bisogno in questo momento. Sei una bambina”
Gli occhi si bagnarono improvvisamente di lacrime e capì ancora di più che non era il momento di crollare. Che doveva dimostrarle di essere pronta, matura, adatta ad essere la compagna della sua vita, oltre che della sua anima.
Alle 21 tutto era pronto: aveva messo la playlist delle loro canzoni, aveva versato del vino in due calici, e un tappeto di petali di rose copriva il loro letto matrimoniale (disgustosamente romantico)
Si era vestita di tutto punto, come se stesse per uscire, con il vestito che più piaceva ad Elisa. Non aveva rinunciato a togliere il rossetto che lei tanto odiava, dandole così la possibilità di toglierlo tutto a suon di baci.
“Sempre se dice di si”, una voce maligna dentro di sé le ricordò l’ovvietà.
Aveva ritirato vecchi oggetti del loro passato: due diabetici regali che si erano fatte il giorno del loro primo anniversario, una foto scattata quando erano ancora solo amiche anni addietro, il faro che le avevo comprato in vacanza in Puglia con la mia famiglia, e poi una scatola enorme con dentro tutte le lettere, poesie, pensieri che si erano scritte l’una per l’altra in quegli anni. Era una raccolta immensa, considerando che Matilde amava scrivere.
Non era molto, non era un flashmob in piazza, o una cena lussuosa a lume di candela: ma significava qualcosa.
Sentì la macchina parcheggiare nel vialetto, i piedi che qualche minuto dopo si pulivano nel tappetino davanti alla porta e il cuore sembrava uscirle dal petto.
Elisa entrò in casa con la faccia rilassata, tranquilla, sembrava che tutto il nervosismo e la rabbia fosse volata via dai suoi occhi cerulei. Le era bastata una giornata fuori casa per capire che quelle discussioni erano sterili, inutili, senza capo né coda. A che pro ignorarsi e litigare? Alla fine, tutto quello che voleva ogni sera era parcheggiare l’auto e entrare nella loro dimora.
Ma quella volta era diverso, perché c’era un’aria strana in casa, un’aria speciale.
Matilde era lì, in piedi, con il suo vestito migliore, aderente, il suo amato rossetto – sempre della stessa marca e tonalità da anni – che le incorniciava un sorriso timido.
“Mati..?”
“NO.” Matilde ci mise un po’ troppo impeto, e arrossì lievemente. “Volevo solo dirti che mi dispiace, mi dispiace di averti fatto credere anche solo per un secondo che non fossi adatta a vivere la nostra vita adulta, se ti faccio sempre esasperare per la mia petulanza, scusami se sono sempre così disordinata e scusami se so fare solo due cose in croce in cucina e non ti preparo mai una bella cenetta. Scusami se mi ubriaco alle cene importanti perché altrimenti sono troppo timida, e perdonami se non ti do la sicurezza e la stabilità che meriti.”
“Mati ma cosa stai..”
“No, fammi parlare”. Si avvicinò allo scatolone, tirando fuori una manciata di fogli
“Vedi questi? Sono tutte le poesie, lettere, pensieri che ho scritto per te in questi anni, anche ai tempi della scuola.” Le posò di nuovo cercando di non rovinarle ulteriormente, “E questo, ti ricordi? Il faro che ti avevo comprato in Puglia, proprio simile a quello che hai tatuato sulla caviglia...”
Elisa la guardava con gli occhi lucidi, sapendo che la morosa non aveva ancora finito.
Matilde continuò a mostrarle tante piccole cose che aveva conservato per anni, oggetti che scandivano il tempo del loro amore.
“Quindi, anche se magari sono un pasticcio, io ti amo davvero tanto. Ti amo tanto quanto questa casa che sognavamo di avere insieme, tanto quanto la gioia che Nox ha portato nelle nostre vite” – in tutta risposta il cane abbaiò felice di essere stato nominato – “Ti amo perché mi sopporti e ti amo per tutti i tuoi difetti, per la tua rabbia e per ogni nostra litigata.”
Elisa fece per avvicinarsi, voleva abbracciarla e stringerla, ma soprattutto baciarla.
“Quindi, prima che tu possa dire qualsiasi cosa, prima che tu possa anche solo pensare di riprendere a litigare, devo mostrarti una cosa”. Tirò fuori dalla tasca l’anello, nella scatolina di velluto. La aprì con suono secco e guardò timida verso la sua Elisa.
“Vuoi sposarmi?” lo disse con la voce tremante, anche se l’aveva detto mille volte tra le risate, facendolo passare come uno scherzo. Ora lo intendeva davvero.
Elisa non rispose. Lasciò un breve silenzio inneggiare nell’aria, prima di scoppiare a ridere.
A ridere, capite?
Le guance di Matilde si tinsero di bourdeaux e probabilmente sarebbe esplosa da un momento all’altro. Ma Elisa si piegò verso la sua borsa e trafficò un po’, per poi tirare fuori una scatolina di velluto uguale alla sua, solo di un colore verde smeraldo. La aprì, con uno scatto, e un altro anello comparì alla loro vista.
“Ma.. che significa?”
“Significa che entrambe abbiamo pensato allo stesso modo per fare pace... mi sembra un po’ esagerato un matrimonio per una litigata dovuta a qualche linea di febbre, ma credo che me lo farò andare bene”. E le sorrise, con un sorriso a 360 gradi e gli occhi luminosi, non più arrabbiati o stufi.
 
“Questa cosa è proprio da noi, sai?” disse Matilde cercando di coprire, ore dopo, il suo corpo nudo con le lenzuola piene di petali.
“No, è proprio da te”, rispose Elisa divertita, “Mi hai solo irrimediabilmente contagiata”
 
***
 
“A che ora arrivano?”
“A mezzogiorno e mezza. Sei agitata?”
“Un po’, sì”.
La casa non era mai stata così splendente, e il tavolo in salotto era apparecchiato con gran cura. Era una domenica apparentemente innocua, senza pretese, almeno così sarebbe stata per i loro parenti che stavano arrivando per un pranzo in famiglia. Ma loro fremevano dall’impazienza, perché volevano annunciare l’intenzione di sposarsi.
Avevano preparato le lasagne. In realtà le aveva preparate Elisa e Matilde non aveva fatto altro che cercare di dare una mano invano.
Poi, quando si era accorta che era solo di impiccio, aveva iniziato a pulire compulsivamente la casa per avere qualcosa da fare.
I primi ad arrivare furono la sorella di Matilde, Annalisa, con il marito e il figlio. Il piccolo Michele, con lo stesso nome del nonno, aveva solo un anno ma i suoi occhi vispi saettavano senza sosta per la casa, e biascicava le poche parole che conosceva. “Mamma” era sicuramente nel suo repertorio, ma “Zia” non ancora e ogni volta che lo vedeva Matilde cercava di farglielo entrare in testa.
“Ciao amore della zia”, scandì particolarmente bene l’ultima parola speranzosa, per poi prenderlo in braccio
“Ti prego non passare troppo tempo con lui altrimenti me lo fai diventare scemo”, ridacchiò Annalisa.
Mentre le due sorelle si salutavano per bene, Elisa offrì ai loro ospiti qualcosa da bere, salutandoli calorosamente.
“Gianni come sta? Dopo lo chiamiamo in videochiamata?”. Il fratello più piccolo delle due era ancora alle prese con i propri studi, Giurisprudenza, a Pisa e quindi quella domenica non si sarebbe unito a loro. Chissà perché sospettavano non gli dispiacesse affatto, lui aveva sempre odiato i pranzi in famiglia per quanto sotto sotto ne sentisse la mancanza.
Nox in tutto questo guardava il piccolo arrivato con curiosità, probabilmente non aveva mai visto un cucciolo di umano. Fiutava e cercava di avvicinarsi ma sempre con molta cautela, sembrava molto confuso. Per fortuna il marito di Annalisa sembrò accorgersene, anche lui amante dei cani, e cercò di tentare di spiegare al figlio che quello era un “Bau bau” e che non gli avrebbe fatto alcun male.
Matilde sorrise agitata, ma non ebbe nemmeno il tempo di preoccuparsi di ciò che stava accadendo (Matilde si preoccupava sempre per tutto) che il campanello suonò di nuovo.
Aprì la porta ai suoi amati suoceri, felice di vederli ma con il cuore che batteva all’impazzata. Perché Elisa le aveva lasciato il compito di accoglierli tutti? Certo, si stava occupando del pranzo, ma Matilde avrebbe fatto volentieri a cambio.
I genitori di Elisa la conoscevano da ancora prima che diventasse maggiorenne, e per loro era una seconda figlia, però era sempre emozionante l’idea di passare una domenica con le rispettive famiglie insieme, e le sembrava assurdo che fossero davvero arrivate a quel punto. Al seguito dei due suoceri c’era il fratello di Elisa, attaccato al telefono e un sorrisetto sul volto. Aveva 18 anni, era decisamente il più piccolo di tutti, ma nonostante la voglia sicuramente di fare altro con gli amici era stato costretto a venire. Matilde aveva sempre avuto un rapporto splendido con lui, quindi lo prese affettuosamente in giro insinuando che sicuramente aveva la morosetta e che, come obbligo, doveva raccontarle tutto.
Elisa sentendo la voce dei suoi familiari, si precipitò in salotto e li abbracciò tutti e tre. Toccò a Matilde stavolta riempire tre calici di prosecco e porgerli con un sorriso.
“Grazie tesoro”, le sorrise Claudia, la madre di Elisa, con affetto. Matilde ridacchiò: un tempo era lei a ringraziare per il vino offerto, le innumerevoli volte che era stata invitata a casa loro per qualche cena o qualche festa. Matilde, che a 20 anni beveva pochissimo, non aveva il coraggio neanche allora di rifiutare ciò che le proponeva la suocera, e finiva per essere brilla ai pranzi con la famiglia della morosa. Imbarazzante
Gli ultimi ad arrivare, ma quelli che scatenavano più agitazione nell’animo della riccia, furono i suoi genitori. Sua mamma, con una torta in mano e un bel sorriso sul volto, le scoccò due baci sulla guancia. Il padre le mise la mano sulla spalla e disse “Ciao Mati, tutto bene?”.
Matilde aveva un’adorazione, letteralmente, per i suoi genitori, e il fatto di dire loro una cosa così importante le metteva in subbuglio lo stomaco. Non voleva essere giudicata troppo giovane, o troppo inesperta e sperava con tutto il cuore che avessero smesso di trovarlo non convenzionale.
Certo, vivevano insieme da circa un anno, e non si sarebbero sposate prima del settembre successivo, ma avrebbe odiato sentirsi dire che era “troppo presto”, soprattutto da loro.
La casa era accogliente, ma non enorme, ma per fortuna pur stringendosi tutti riuscivano a parlare e mangiare con tranquillità; il pranzo era ottimo, tutti risero e scherzarono, il piccolo Michele si addormentò tra le braccia del nonno dopo aver mangiato i suoi omogenizzati, e al momento del dolce tutti cercavano di non svegliarlo.
Però Elisa lo sentiva che era il momento giusto, e guardò con uno sguardo d’intesa la sua Matilde.
Mentre porgeva le tazzine di caffè ai suoi ospiti, disse “Mati ed io vi dobbiamo dire una cosa”.
Temeva di essere stata un po’ troppo tragica, nel tono di voce, ma non sapeva come altro annunciarsi.
Tutti gli occhi erano su di loro, Alessandro aveva perfino smesso di buttare uno sguardo sul display del suo cellulare, e Matilde sentiva il cuore in gola. Probabilmente divenne tutta rossa, come suo solito, ma buttò le parole senza pensarci troppo “Ci sposiamo”.
L’aveva detto talmente velocemente che non sapeva nemmeno se l’avessero effettivamente capita. Elisa le strinse la mano e ripeté dopo di lei “Si, ci sposiamo. Probabilmente l’anno prossimo, a settembre”
Claudia si alzò subito in piedi e buttò le braccia intorno alla figlia, per poi includere nell’abbraccio anche la futura nuora.
“Sono così felice per voi”, e sembrava esserlo davvero, non per finta o per convenzione. E dietro di lei arrivarono tutti a congratularsi
Non c’era alcuna differenza con l’annuncio, di qualche tempo prima, della sorella di Matilde. Non c’era discriminazione verso il loro amore, anche se tra due donne.
Natalia, la mamma di Matilde, digitò subito il numero del figlio più piccolo per rendere partecipe anche lui, e tutto si tramutò in una grande festa.
Matilde e Elisa, sicuramente più leggere, sorrisero davanti al quadretto delle loro famiglie. Erano tutti insieme, come se si conoscessero da sempre.
Il ricordo delle difficoltà che avevano avuto con i loro genitori era ormai svanito, per lasciare posto a un sentimento di unione e comunità che sembrava alleggiare nell’aria. E senza alcuna remora, e senza alcuna parola di troppo, erano irrimediabilmente felici.
 
***
 
Elisa continuava a muovere la gamba sotto il tavolo, in uno stato di agitazione totale, tentava di mangiucchiarsi le unghie ma non voleva sbavare il rossetto e il trucco che la faceva sentire con un pezzo di cemento in faccia. Non aveva idea che nella stanza adiacente Matilde era nella stessa identica situazione, forse però rendendolo più noto, parlando a macchinetta come suo solito.
“E se non si presenta? E se scappa? E se si fa prendere dalla paura? Forse dovrei andarmene prima io, prima che possa lasciarmi all’altare. Ho deciso. Ho visto fin troppe serie tv americane per non sapere come fare”.
Faceva su e giù per la stanza ma mai con l’intenzione di andarsene davvero, la lunga coda del vestito che rischiava di incastrarsi di qua e di là. Sua madre e sua sorella, se possibile più agitate di lei, non la tranquillizzavano affatto.
“Comunque non è troppo tardi per presentarmi al tuo matrimonio vestita da dinosauro”, cercò di dire sua sorella per prenderla in giro e alleggerire la tensione, alla fine un testimone è questo che deve fare, no?
“Oppure potrei ubriacarmi come hai fatto tu al mio”, Matilde la ignorò.
 A momenti stava per iniziare tutto, le rispettive madri incrociandosi per strada si diressero verso i loro posti in prima fila, apprezzando le decorazioni bianche che rendevano quella distesa verde ancora più magica. La scelta della location non era stata di certo casuale, Elisa neanche voleva pensare a tutte le volte che la sua – a – momenti – moglie aveva insistito per cercare il posto giusto. “Devo sentirlo dentro, devo emozionarmi”, diceva. Menomale che si era fermata a quella scelta perché, altrimenti, l’avrebbe fatta girare tutta Italia.
Elisa sapeva che mancava poco, che toccava a Matilde uscire per prima: la riccia aveva ceduto al suo sogno di bambina di dirigersi verso un altare con qualcuno ad aspettarla. Guardò suo padre in quei pochi secondi, indeciso se chiedergli di sbirciare dal balconcino oppure rimanere nell’ignoranza.
“Ti fa strano papà?”
“Che cosa?”
“Portarmi all’altare con una donna che mi aspetta e non un uomo”
Di solito loro non ne parlavano affatto, per Elisa era stato così difficile, e anche se sapeva che l’avevano accettato le faceva strano parlare in quei termini così diretti. Preferiva i fatti alle parole, senza dubbio.
“Non fa la differenza per me, tu sei felice ed è un miracolo che con il tuo caratteraccio non l’abbia fatta scappare via”. Elisa assestò un pugno sul braccio del padre
“Scherzo tesoro, sono felice della donna che sei diventata”. Elisa, questa volta, gli strinse la mano.
 
Matilde invece camminava traballante nella corsia in mezzo ai due blocchi di sedie. Odiava quei tacchi, ma tenere sottobraccio il suo papà la rassicurava, le faceva sembrare di avere i due piedi ancorati ben saldi per terra.
Tutte quelle persone erano lì per lei, per loro. I suoi testimoni erano già lì che l’aspettavano arrivare e anche il ragazzo del Comune che avrebbe suggellato l’unione civile.
Le gambe le tremavano ed era sicura di avere l’emozione dipinta sul viso.
Ma niente si può paragonare a quando la vide procedere verso di lei, con un sorriso timido e i capelli legati in una dolce crocchia. Era bellissima
Una volta, in un film che aveva visto, un tale diceva che ai matrimoni non era importare la sposa in sè che attraversava l’abside, ma lo sguardo dello sposo, i suoi occhi, per capire quanto quel poveretto era cotto a puntino.
Non era un uomo, forse non era convenzionale, ma Matilde sapeva che chiunque avesse guardato nella sua direzione avrebbe visto i suoi occhi nocciola brillare di una luce abbagliante.
Prima di allora non si era mai sentita così completa.

 
 

 
   
 
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